DIARIO DI VIAGGIO IN CORSICA

TRAVERSATA E NOTIZIE

Come tutte le cose che abbiamo a portata di mano che inevitabilmente finiscono per essere quelle meno considerate, anche la Corsica che dista appena quattro ore di traversata dal porto di Livorno, era stata sino ad oggi tante volte meta di viaggi preventivati e mai realizzati. Ma finalmente venerdì 15 giugno ci ritroviamo in quattro, Alberto, Ornella, Grazia ed io, imbarcati sulla motonave della Corsica Ferries alle ore 8.,30 mentre lascia il porto di Livorno con un mare esageratamente tranquillo e liscio come non mai.

Durante la navigazione approfitto per leggere qualche notizia su questa isola, la terza del Mediterraneo occidentale dopo Sicilia e Sardegna. 8.720 km quadrati di superficie con uno sviluppo costiero di 1.047 chilometri che rapportati alla lunghezza, 183 km., e alla larghezza, 83 km., danno subito un'idea della natura frastagliata delle sue coste. Avremo modo di rendercene conto di persona quando per spostarsi da una località all’altra apparentemente vicine sulla carta, impiegheremo qualche ora!

La Corsica è un’isola prettamente montuosa, con poche e piccole pianure e montagne che raggiungono anche i 2706 metri di altezza (Monte Cinto).

Guy de Maupassant la chiamava la "montagna nel mare".

Il dato che più di ogni altro mi apparirà incredibile è quello sulla quantità di popolazione che vive nell’isola. Nel 1982 non raggiungeva i 250.000 abitanti e penso che oggi ce ne siano pochi di più. Confrontato con la sua estensione, sono veramente pochi.

Come al solito non posso resistere dal dare una seppur semplice inquadratura storica del paese che sto andando a visitare e per fortuna qui non c’è la straripante confusione delle antiche civiltà mesopotamiche.

La Corsica ha una sua propria civiltà solo fino al II millennio a.C.; poi cominciano le invasioni e colonizzazioni da parte di potenze straniere. Primi tra tutti i greci, seguiti dai romani che stabilirono la loro capitale a Aleria sulla costa orientale facendone una città importante.

Nel III secolo d.C. comincia la cristianizzazione della Corsica, seguita poi da invasioni barbariche (vandali e ostrogoti) e poi da quelle dei saraceni, finché non arrivano i pisani che la dominano per due secoli dal 1077 al 1284. Poi, dopo la famosa sconfitta della Meloria, i pisani vengono sostituiti dai genovesi che vi restano sino al 1769, per ben cinque secoli.

La decadenza di Genova da il via a movimenti di indipendenza che culminano nel 1755 con la nomina di Pasquale Paoli, eroe nazionale corso, a capo del governo della Nazione Corsa. Ma l’indipendenza dura pochissimo perché nel 1769 Paoli viene sconfitto dai francesi e da allora la Corsica entra a far parte della Francia, portandosi naturalmente dietro tutti i problemi della diversità e del conseguente movimento separatista corso.

In sintesi la Corsica ha uno sviluppo storico estremamente semplice: influenza italiana fino al XVIII secolo e poi influenza francese. Della dominazione pisana e genovese resta, oltre alle chiese e ai palazzi, la lingua: il corso è molto più simile al nostro italiano che al francese, sia scritto che parlato. Più volte durante il viaggio avrò modo di accertarmi che è più facile essere compreso parlando in italiano piuttosto che nel mio maccheronico francese! Sugli stessi cartelli stradali, sempre bilingue, la seconda scritta in corso è molto vicina al nostro italiano.

Le quattro ore della traversata da Livorno a Bastia passano in completo relax, seduti a poppa su comode sdraio. Passiamo molto vicino alla Capraia e abbiamo anche modo di assistere ai salti gioiosi di un paio di delfini.

Prima di arrivare a Bastia ho il tempo di leggere qualche notizia sull’arte presente in Corsica.

E’ evidente che la pressoché continua dominazione straniera ha lasciato poco spazio all’originalità isolana.

Dell’era pre-cristiana restano alcune vestigia megalitiche risalenti al II e I millennio a.C. rappresentate da menhir, e resti di semplicissime torri, simili ai nuraghi sardi, aventi funzione di culto e identificate come prodotti di una locale "civiltà torreana". Dei periodi di dominazione straniera restano invece le chiese romaniche pisane, quelle barocche genovesi e tutta l’architettura militare, sempre genovese, costituita da torri di avvistamento e da stupende cittadelle costiere.

In perfetto orario raggiungiamo il porto di Bastia che, sin dallo sbarco, ci dà subito l’impressione di cittadina estremamente ordinata e pulita.

PRIMO IMPATTO CORSO

Una breve ma piacevole sosta seduti ad un bar sotto l’ombra di un platano, ci consente di gustare la nostra prima baguette ripiena di formaggi corsi accompagnata dalla scoperta dell’ottima birra locale, la Pietra, dal colore ambrato, che non abbandoneremo più per tutto il viaggio.

Approfittiamo della sosta per fare un sintetico piano di viaggio, che ci vedrà rinunciare per il momento al periplo di Capo Corso, per dirigersi subito sulla costa occidentale da percorrere sino a Bonifacio sulla estrema punta meridionale, per poi risalire nell’interno fino a Corte e da qui tornare a Bastia. Quindi tour completo con esclusione della costa orientale che ci dicono poco interessante e di Capo Corso che eventualmente, qualora ci restasse del tempo, potremmo percorrere al ritorno prima di imbarcarsi per Livorno.

Con la solita, inevitabile, difficoltà iniziale, riusciamo a uscire da Bastia per immettersi sulla tortuosa strada che salendo sino a 550 metri e tagliando il dito di Capo Corso, ci porta subito sulla costa occidentale. Qui giunti, prima di iniziare il percorso stabilito verso sud, facciamo una breve puntata a settentrione, sino al villaggio di Nonza, famoso per la sua splendida spiaggia nera.

Nonza è un piccolo paese raggruppato intorno alla sua chiesa barocca e poi sul promontorio che porta alla torre a picco sul mare.

Abbiamo la sorpresa di scoprire che la chiesa è dedicata a Santa Giulia, fanciulla nativa di Nonza e patrona della Corsica, che altri non è che la patrona della nostra Livorno: nella chiesa sono conservate alcune sue reliquie e proprio il 22 maggio – come da noi – ne viene celebrata la festa con tanto di pellegrinaggio. A completezza di informazione leggo che la salma della santa si trova ora a Brescia dove vi fu portata nel 734 per salvarla dagli assalti dei saraceni.

Per raggiungere la torre genovese situata sul punto più alto del promontorio, seguiamo una stradina che attraversa il centro storico del villaggio fiancheggiata da tipiche case corse con il tetto formato da lastre di pietra.

La torre, risalente al 1550, è ancora in buone condizioni. E’ una delle cento torri costiere, volute e costruite dai genovesi, che costituivano un valido sistema di avvistamento contro gli assalti dei pirati: ogni torre era ininterrottamente occupata da un "torregiano" pronto ad avvertire tempestivamente tramite segnali di fumo la popolazione dell’interno e le altre torri costiere dell’eventuale apparire di pericolose e malintenzionate flotte barbaresche.

Dall’alto del promontorio una veramente stupenda vista sul mare e sulla sottostante spiaggia lunga 500 metri, formata da ciottoli di scisto amiantifero. Indimenticabile il contrasto tra l’azzurro cupo del mare e il grigio scuro della spiaggia, separati dal bianco splendente delle onde che si infrangono sulla battigia.

Il caldo delle ore centrali della giornata ci fa rinunciare alla discesa sulla spiaggia, facendoci optare per una bevuta seduti all’ombra dell’immancabile e provvidenziale platano che adorna un caffè lungo la strada vicino alla chiesa.

Da quella sosta ci rendiamo conto che sono proprio i prodotti tipici da bar, come bibite, caffè, gelati e quant’altro, a rivelarsi particolarmente cari se confrontati con analoghi prodotti in Italia. Fortunatamente la stessa cosa non si verificherà per gli alberghi che troveremo a prezzi addirittura inferiori a quelli nostri.

Rinfrescati e riposati riprendiamo il viaggio iniziando finalmente il percorso costiero verso sud. La strada, stretta e tortuosa, passa per St. Florent, porto turistico e stazione balneare situata in fondo al golfo omonimo, e poi prosegue verso l’interno, a una decina di chilometri dal mare, tagliando il largo promontorio del Dèsert des Agriates , sedicimila ettari privi di insediamenti urbani, ricoperti da una stupenda macchia mediterranea dalla quale spuntano in un dolce susseguirsi fino al mare, nude e appuntite cime di granito rossastro.

La macchia mediterranea, seppur a noi nota, la troviamo qui in Corsica, particolarmente fiorente, colorata e intensa. La parte del leone sembrano farla i corbezzoli, con lo stupendo verde brillante delle loro foglie, tanto da farmi venire la voglia di tornare in ottobre/novembre per poterli ammirare e fotografare, quando, carichi di migliaia di frutti gialli e rossi, saranno capaci di offrire un impatto coloristico eccezionale.

Insieme ai corbezzoli non sono da meno i cisti, i lentischi, i mirti, gli agrifogli, tanto per citare le specie più diffuse e conosciute.

Dopo una ventina di chilometri lontani dal mare, la strada torna sulla costa e arriviamo così a Ile Rousse, importante centro turistico, dove perdiamo un paio d’ore nella ricerca degli amici di Ornella sistemati in un campeggio ai quali dobbiamo consegnare un pezzo di ricambio per la loro antiquata A112.

A Ile Rousse non troviamo da dormire e allora dobbiamo proseguire fino a Algajola, altro centro balneare, dove ci sistemiamo in un elegante albergo all’interno di un bel giardino.

Per la cena torniamo a Ile Rousse dove, dopo un bel tramonto, abbiamo l’imbarazzo della scelta per decidere in quale trattoria mangiare. Le tre vecchie strade parallele che, partendo da una grandissima piazza fiancheggiata da enormi platani, portano al mare ne ospitano qualche decina e alla fine optiamo per uno che offre un piatto misto di mare ad un prezzo accettabile. Risultato gastronomico modesto, ma in compenso consumato in ambiente piacevole e fresco.

Al mattino successivo, dopo il primo fragrante croissant – per me una dei più grandi meriti della Francia - approfittiamo della spiaggia di Algajola, a poche decine di metri dall’albergo, per prendere un po’ di sole e, attratti da una irresistibile acqua limpida, anche per fare un bagno. Passiamo qualche minuto a superare lo perplessità derivata dal vedere il sole che sale dal nostro fianco destro e non dietro le nostre spalle come avevamo ipotizzato; ma poi uno sguardo alla carta ci fa capire che non siamo ancora sulla costa occidentale ma sulla costa nord dell’isola: quindi è giusto, di mattina, guardando il mare, avere il sole alla nostra destra e cioè a oriente.

Chiarito il consueto problema dell’orientamento, possiamo poi rilassarsi, passeggiare e infine caricare bagagli e proseguire l’itinerario verso il sud. Senza niente da rilevare arriviamo a Calvi dove in un supermercato Casino facciamo l’approvvigionamento di panini per il pranzo.

Calvi ripete in bello la consueta disposizione dei paesetti corsi sul mare: un promontorio sul quale è situata la cittadella genovese e poi la città bassa che si estende intorno al porto, al centro di un golfo veramente stupendo, sormontato a nord da catene ancora innevate.

A piedi girelliamo nelle stradine della città bassa intorno al porto e poi ci fermiamo in un giardinetto per mangiare i nostri panini. Nonostante l’ora calda non possiamo esimerci da una visita alla cittadella: sotto un sole implacabile saliamo fino alla parte più alta del promontorio da dove il panorama sul golfo, allietato anche dalla presenza di due candide navi da crociera, è veramente mozzafiato.

Al centro della cittadella, nel punto più alto, c’è la Chiesa di S.Giovanni Battista di epoca barocca anche se l’interno, come la maggior parte delle chiese corse che avremo occasione di visitare, risulta alquanto trasandato e non in linea con lo sfarzo e la ricchezza alle quali siamo abituati.

Nei pressi della chiesa si trova una caserma della legione straniera - in precedenza era il palazzo dei governatori genovesi - e poi la solita sequela di stradine strette, scale, vecchie casette tra le quali è sempre piacevole camminare. Tra l’altro abbiamo anche il modo di restare sbalorditi nel ritrovarci di fronte da un edificio che viene segnalato come la casa natale di Cristoforo Colombo! Evidentemente le notizie in nostro possesso circa la genovesità di Colombo non sono troppo certe!

La pace dell’ambiente viene improvvisamente guastata dall’implacabile arrivo di uno schiamazzante gruppo di turisti della terza età e noi preferiamo allontanarci e riprendere il viaggio. Anche perché Alberto è particolarmente preoccupato per quanto gli ha raccontato ieri sera un bolognese: sembra che questi per percorrere il tratto di costa che ci aspetta – una cinquantina di chilometri, anche se sulla carta in linea d’aria sembrerebbero non più di una decina - ci abbia impiegato più di quattro ore a causa del traffico intenso e della difficoltà per i pullman di superare certe curve a strapiombo sul mare.

Questa sua preoccupazione ci impedirà di fare una sosta rinfrescante in una incantevole spiaggetta dove un piccolo golfo di acqua azzurra visto dall’alto mi evoca esotiche sensazioni. Niente! Nonostante le nostre suppliche, l'autista non si ferma. Per fortuna dopo qualche chilometro riesco a fargli imboccare una stradina che, tra la solita macchia mediterranea e gruppi di rocce granitiche, porta al Belvedere di Nostra Signora della Serra. Una cappella costruita nel XIX secolo sulle rovine di un santuario del 1400, una statua della Madonna sul punto più alto della roccia, alcune panche per i pellegrini e soprattutto uno stupendo panorama sull’intero golfo di Calvi, protetto sulla sinistra dalla mole della sua antica cittadella e del promontorio.

Anche a rischio di arrivare tardi a Porto è stata comunque una deviazione che non rimpiangeremo.

Il prosieguo della strada, seppur non drammatico come ce l’aveva disegnato il turista bolognese, merita una particolare attenzione sia per poter ammirare i paesaggi sia per il rischio di tragiche deviazioni. La strada è stretta e corre a strapiombo sul mare proprio dalla nostra parte, provvidenzialmente protetta da un basso muretto in pietra. Alcune carcasse di auto precipitate giù in tempi passati si intravedono, quasi come un ammonimento, nascoste tra rocce e cespugli di vegetazione. Per fortuna il traffico è scarso e quindi possiamo anche permetterci numerose soste per affacciarsi sugli strapiombi e fare qualche fotografia.

Una volta tanto posso dire di trovarmi, fotograficamente palando, nel posto giusto all’ora giusta. Il sole, seppur ancora alto, è ormai in fase calante e colora le rocce granitiche della costa di uno stupendo colore rosso che contrasta stupendamente con il verde dei corbezzoli e l’azzurro cupo del mare.

Piacevole è anche la sosta per dissetarci con la freschissima acqua di una fontana all’ombra di due eucalipti giganteschi.

Poi, in barba alle fosche previsioni del bolognese e nonostante le numerose soste effettuate, alle 18.30 entriamo nel piccolo villaggio di Porto caratterizzato da una torre genovese quadrata sul mare proprio nel punto in cui vi sfocia un fiumiciattolo.

Sistemazione in un modesto alberghetto, passeggiata a piedi sino alla torre sul mare, cena a base di pesce in una delle tante trattorie e tranquillo ritorno per il riposto notturno.

TREKKING ALLE CALANCHES

Di buon mattino ci dirigiamo al porto con l’intenzione di partecipare alla tanto decantata gita in barca alle Calanches. Ma da lontano vediamo gli spruzzi delle onde che si infrangono sulla banchina del porto e cominciamo a temere il peggio: infatti giunti al botteghino dell’imbarcadero vi troviamo un cartello recante l’avviso che, per mare agitato, non verranno effettuate uscite in barca.

Breve variazione di programma e decisione di visitare queste Calanches per via terra anziché via mare. Forse non sarà la stessa cosa, ma non c’è altra soluzione.

Quindi dopo una tranquilla colazione carichiamo bagagli in auto e proseguiamo verso sud fermandoci dopo pochi chilometri in località Tète de chien da dove parte il sentiero verso il mare e les Calanches.

Abbandoniamo i comodi sandali per un paio di adeguate scarpe da trekking e iniziamo la discesa in mezzo all’ormai consueto verde della macchia mediterranea qui rappresentata soprattutto da lentischi e lecci.

Man mano che scendiamo il sentiero si fa sempre più sassoso e impegnativo, ma gli scorci di mare e di rocce granitiche che si lasciano intravedere attraverso gli alberi ci ripagano della fatica. Dopo una trentina di minuti siamo su un fantastico sperone di granito, duecento metri a picco sul mare, dal quale vediamo tutto il golfo di Porto e a qualche decina di metri un ancora più splendido, ma irraggiungibile, monolito rossastro chiamato la rochèforte proprio per la sua straordinaria somiglianza ad una roccaforte militare.

Un po’ di rimpianto per non aver potuto vivere l’esperienza di vedere queste rocce dal basso a bordo di una barca, e poi la fatica, non impossibile, del ritorno.

Dopo una sosta per il rituale acquisto di panini a Piana, un piccolo borgo che dall’alto domina il golfo di Porto, proseguiamo la strada costiera. Dopo qualche chilometro, il desiderio di un bagno ci fa abbandonare la strada principale per impegnarne una secondaria che, attraverso uno scenario di collinette ricoperte da piante basse, ci porta proprio sino alla plage d’Arone sul promontorio di Capo Rosso. Qui possiamo scherzare - sul bagnasciuga! - con maestosi cavalloni che funzionano da rilassante idromassaggio, gustare con appetito un panino spalmato di un ottimo paté di fegato d’oca, e riposarci per un paio d’ore prima di riprendere il viaggio alla volta di Ajaccio.

Degno di una sosta si rivela il paese di Cargese che incontriamo all’inizio del grande golfo di Sagone. Due chiese cattoliche, in stile neoclassico, costruite su due terrazze vicino al mare, sembrano fronteggiarsi a modo di sfida: da una parte la chiesa di rito latino, e di fronte, a un centinaio di metri, l’altra di rito orientale. Risale al 1773 un insediamento in questa zona di una colonia di greci provenienti da altre zone dell’isola perdute durante la brevissima stagione dell’indipendenza corsa. Più interessante la chiesa greca con una iconostasi lignea che separa il santuario dall’unica navata e con alcune icone risalenti al XVI secolo.

Seguendo il consiglio di chi c’è già stato – mai fidarsi degli altri! – preventiviamo ad Ajaccio una sosta mordi e fuggi. Appena il tempo di individuare la casa di nascita di Napoleone, che troviamo chiusa da pochi minuti ( la guida indicava che di domenica era comunque sempre chiusa e quindi non ci eravamo affrettati a cercarla : mai fidarsi delle guide di edizione non recente! ), un giretto per il porto particolarmente animato e subito partenza.

Dopo la mancata sosta nella stupenda spiaggetta a pochi chilometri da Calvi, questa visita eccessivamente affrettata e sommaria di Ajaccio andrà a far parte del bagaglio dei pentimenti.

Abbandoniamo la strada costiera per una strada interna decisamente più larga e scorrevole che ci consente di proseguire con maggiore velocità verso Bonifacio. Verso le 20 decidiamo di sostare per la notte a Olmeto, un piccolo borgo di poche case lungo la strada. Qui abbiamo la fortuna di trovare una simpatica e suggestiva sistemazione in un antico palazzetto in pietra, ristrutturato ad albergo, dove finalmente consumiamo una cena degna di questo nome; antipasti a base di prosciutto e salami corsi, ravioli, un ottimo spezzatino di manzo, formaggi corsi e per finire un dessert; il tutto in un ambiente piacevole e suggestivo.

UN TUFFO NELLA PREISTORIA

Al mattino successivo, prima di proseguire il viaggio verso sud, facciamo una deviazione nell’interno con lo scopo di visitare il sito archeologico di Filitosa.

Come di consueto nella visita di questi siti archeologici risalenti a qualche millennio precedente, al fine di evitare tristi delusioni tipo la sconcertante: "...ma ci sono solo pietre!…", è opportuno affidarsi alla lettura della solita guida che normalmente si trova in vendita a caro prezzo alla biglietteria, accompagnando il tutto con una buona dose di curiosità e di immaginazione.

E così entro nel sito e seguendo il percorso indicato dai cartelli mi trovo al centro di una decina di grossi e informi macigni di pietra che sembrano spuntare casualmente dal terreno; una lettura più attenta mi aiuta a intravederci un accenno di recinto entro il quale probabilmente gli uomini si riunivano, divisi in famiglie o in gruppi, per proteggersi dagli animali. L’epoca viene indicata verso il VI millennio.

Proseguendo il percorso arrivo nei pressi di alcuni resti di una costruzione in pietra appena sopraelevata, chiamata "Monumento centrale", attorno alla quale i ricercatori hanno conficcato sei statue menhir recuperate nel sito.

I menhir sono stele in pietra, conficcate verticalmente nel terreno, che a seconda della qualità e della lavorazione vengono fatti risalire a periodi diversi. I più vecchi sono quelli costituiti da una semplice pietra, grossolanamente sgrezzata, privi di qualsiasi segno, che risalgono al terzo millennio. Poi con il passare dei secoli il menhir si affina, presentando le due facce regolari e levigate e la cima arrotondata quasi a voler rappresentare la testa di un uomo. Questi menhir vengono spesso ritrovati allineati. Poi ancora il menhir si evolve in statua-menhir, dove la testa è perfettamente distinta dal resto del corpo nel quale si possono notare le spalle e il bacino. Siamo ormai nel secondo millennio. Le successive statue presentano infine un volto raffigurato con un certo realismo con naso, occhi e bocca, e qualche volta anche il disegno scolpito di un’arma.

Per poterli apprezzare come meritano, se si pensa che risalgono a una civiltà primordiale di quattromila anni fa, mi è di aiuto la lettura delle varie ipotesi fatte dagli archeologi sullo scopo di questi menhir.

Si parla di una funzione di calendario astronomico, oppure di punti di riferimento usati per poter studiare il movimento delle stelle, oppure di manufatti conficcati nel terreno a guardia di tombe e infine come simulacri a ricordo di grandi capi guerrieri.

Sulla parte posteriore del Monumento centrale si intravedono i resti di una abitazione a più stanze, costruita sfruttando massi di pietra originari combinati con accatastamento di piccole pietre smussate e riportate. Un notevole passo in avanti!

Il sito scende poi verso una piccola zona pianeggiante nella quale si trovano alcune statue-menhir dell’ultima generazione riparate dall’ombra di un gigantesco olivo che ha più di 1.200 anni, per poi risalire verso la cava delle pietre, un ammasso di enormi massi tra i quali ne spicca uno particolarmente suggestivo nel quale la fantasia dei ricercatori ha voluto riconoscere un dinosauro.

Salgo in cima a queste pietre per poter abbracciare con lo sguardo l’intero sito di Filitosa.

Mentre mi riposo seduto su un grosso blocco, mi piace ricordare analoghi siti visitati in qualche recente viaggio e azzardare anche un parallelo cronologico con quanto rimane di costruzioni di altre civiltà.

Mi viene alla mente subito il dolmen di Chianca piacevole sorpresa scoperta nel corso del recente viaggio in Puglia: monumento funerario del 2000 a.C. costituito da due grosse lastre in pietra levigata, conficcate verticalmente nel terreno e sormontate da una terza; e poi i blocchi in globigerina che a Tarxien (Malta), ben lavorati, levigati e alcuni addirittura arricchiti di semplici bassorilievi, costituivano le semplici mura del vasto complesso templare ( quattro templi) risalente al 2500/2000; e infine, anche per la vicinanza geografica, i caratteristici nuraghi della Sardegna risalenti alla seconda metà del secondo millennio avanti Cristo.

Ma nel rivedere e ripensare a queste opere dell'uomo non posso impedire al pensiero di fare un volo in Egitto dove già nel terzo millennio, nella piana di Giza e ancora prima a Saqqara, la sua civiltà era riuscita ad erigere tali maestose e stupende costruzioni capaci di ridicolizzare, al confronto, quello che ora mi sta davanti agli occhi.

Eppure il momento era lo stesso! Mi affascina immaginare di salire in alto nel cielo nel terzo millennio e da lassù osservare che mentre qui alcuni uomini cominciavano a fatica a sgrossare alcune pietre per farne rudimentali stele, altri uomini, a qualche migliaio di chilometri di distanza verso sud, stessero erigendo sofisticatissime piramidi delle quali ancora oggi nessuno è ancora riuscito a spiegare con certezza i modi, i tempi e i motivi della costruzione.

Prima di uscire, merita una breve sosta nell’annesso piccolo museo dove sono raccolte e ordinate ossa, suppellettili e pietre ritrovate nel sito.

BONIFACIO

Si è fatta l’ora giusta per il bagnetto giornaliero e quindi con una breve deviazione raggiungiamo la spiaggia di Porto Pollo situata all’estremità settentrionale del golfo di Valinco.

Si tratta di una località balneare abbastanza frequentata sulla quale si aprono gli ombrelloni di diversi stabilimenti balneari.

Nel primo pomeriggio riprendiamo il viaggio verso Bonifacio, passando, senza fermarci, da Propriano al centro del golfo e poi, abbandonando la costa, arrivando sino a Sartene.

Il poeta francese Merimée ha definito Sartene "la più corsa delle città corse" e quindi decidiamo di farci una breve sosta per visitarne il centro storico.

In effetti la sua invitante piazza centrale, Place de la Liberation, non potrebbe essere più corsa di quello che è: fiancheggiata dai soliti provvidenziali platani che fanno ombra sui tavoli dei suoi caffè e sulle panchine che ne delimitano il perimetro, si rivela subito come il punto d’incontro dei sartenesi. Ad un lato, seminascosta dagli alberi, si erge la severa mole della sua cattedrale, l’Eglise Ste.Marie, interamente costruita in granito, dietro alla quale si estende la caratteristica città vecchia.

L’interno della cattedrale è piuttosto squallido e a parte un altare barocco in marmi policromi importato dalla Toscana non c’è niente di artisticamente rilevante. Abbastanza suggestive invece, anche se sanno molto di angosciante fervore religioso medievale, una croce e una grossa catena che vediamo appese alla parete interna appena entrati dall’ingresso principale: si tratta della croce (31,5 Kg.) e della catena (14 Kg.) che ogni notte del Venerdì Santo colui che è stato prescelto per essere il Grande Penitente, incappucciato e vestito di rosso, deve portarsi addosso per circa tre ore attraversando tutta la città illuminata da candele.

A fianco della chiesa si apre poi una porta medievale attraverso la quale si entra nella città vecchia, dove è sempre piacevole perdersi tra vicoli e stradine alla ricerca di scorci suggestivi e di tipiche botteghe piene di invitanti specialità gastronomiche locali come il prosciutto corso, il brocciu, un formaggio fresco molto simile alla nostra ricotta, la farina di castagne venduta a peso d’oro e gli immancabili vini.

Prima di riprendere il viaggio vogliamo fare il pieno di atmosfera corsa sorbendoci un ottimo gelato seduti al tavolo di uno dei caffè della piazza sotto l’ombra del solito, gradevolissimo, platano.

Mi domando perché non sia così diffusa anche in Italia questa piacevole abitudine di sfruttare l'ombra dei grandi platani per sistemarci sedie e tavoli dei caffè all'aperto.

Arrivati a Bonifacio, prima di cercare l’albergo per la notte, abbiamo l’infelice idea di passare un’oretta sulla grande spianata di S.Francesco dalla quale, su uno strapiombo di 60 metri sul mare, ci godiamo un anticipo dello spettacolo delle bianche scogliere della città vecchia e del mare delle Bocche di Bonifacio.

Infelice perché poi quando cominceremo a chiedere per le camere avremo la spiacevole sorpresa di renderci conto che in tutta il paese non esiste una camera libera!!!! Neanche negli alberghi con una stella in più di quante possiamo permetterci. E oltre a tutto gli alberghi sono veramente pochi.

Dopo vani tentativi non ci resta che cercare nei dintorni ma anche qui la scelta è veramente limitata. O torniamo indietro fino a Sartene oppure andiamo verso Porto Vecchio. Optiamo per questa seconda soluzione e a circa una ventina di chilometri troviamo finalmente una sistemazione accettabile a Sotta, un semplice nucleo di poche case sparpagliate lungo la strada.

La camera, sì, ma niente cena perché, ci dicono, in questo periodo non hanno un sufficiente movimento di clienti che giustifichi l’apertura della cucina. Sono le 21.30 e dobbiamo tornare indietro per un paio di chilometri dove ricordiamo di aver visto una pizzeria con la speranza che sia ancora aperta e funzionante. Per fortuna, nonostante che non ci siano altri avventori, il forno è ancora acceso e così, seduti all’aperto, possiamo rilassarci e mangiarci con appetito una pizza niente male.

Al mattino, sotto un cielo incredibilmente azzurro, dobbiamo ripercorrere a ritroso i venti chilometri che ci separano da Bonifacio. L’intenzione è di fare una gita in barca ma il mare non è completamente tranquillo e allora Grazia e Ornella preferiscono rinunciare a favore di una più accurata visita della città alta.

Alberto e io invece, memori della precedente rinuncia a Porto, saliamo su un motoscafo e optiamo per una breve escursione in mare. Sarà sufficiente per poterci rendere conto della incredibile e unica conformazione di questo paese: una specie di fiordo lungo 1500 metri, al termine del quale c’è il porticciolo, separa un altrettanto lungo e stretto promontorio di bianchissime scogliere calcaree alte una sessantina di metri a strapiombo sul mare e culminanti in un pianoro, sul quale si estendono le costruzioni e le stradine della città vecchia.

Il motoscafo parte dal porticciolo, percorre l’intero fiordo e poi esce in mare aperto dove i cavalloni risultano molto meno fastidiosi di quello che potevamo pensare. Ci dispiace per Ornella e Grazia perché in realtà nessuno degli occupanti subirà un minimo accenno di mal di mare.

L’imbarcazione si dirige dapprima verso nord sino alla grotta dello Sdragonato, nella quale con qualche manovra possiamo entrare per vedere la curiosa fessura nella volta che somiglia alla sagoma capovolta della Corsica. Poi, tornando indietro, inizia il tratto più affascinante dell’escursione.

C’è da restare affascinati quando si passa sotto l’altissima punta del promontorio, chiamata Timone della Corsica, a metà della quale si apre una grotta utilizzata come punto di avvistamento militare e soprattutto quando si raggiunge il lato sud del promontorio, quello che guarda la vicina Sardegna, interamente occupato dai palazzi della città vecchia che incredibilmente si ergono sull’estremo limite a strapiombo sul mare lasciando vedere sotto di loro una sessantina di metri di bianca e apparentemente friabile roccia calcarea.

Molto suggestiva, veduta dal mare, la lunga scala di 187 gradini chiamata del re di Aragona che dall’alto del promontorio scende sino ad un camminamento di ronda scolpito nella roccia a una decina di metri dal mare.

Alla fine dell’escursione marinara ci ritroviamo con le nostre donne e approfittiamo della loro precedente esperienza per seguirle a spasso per le stradine della città vecchia raggiungibile dalla Marina attraverso una serie di scale e di salite.

Sarà piacevole rivedere alcune cose osservate dal mare come la grande caserma della Legione straniera, o l’ingresso, a pagamento, alla scala del Re d’Aragona. Niente a che vedere comunque con il fascino e la bellezza ammirate prima.

Tornando verso l’auto quando è ormai ora di pranzo, soffriamo le pene di Tantalo nel passare davanti alle decine e decine di ristoranti che si riversano su tutte le stradine della città vecchia e soprattutto lungo le banchine del porticciolo: irresistibili tavolate piene di vassoi di pesci e di frutti di mare. Con la scusa che prima vogliamo farci un bagnetto nella famosa e decantata spiaggia di S.Giulia, resistiamo alle tentazioni e lasciamo Bonifacio.

DAL MARE ALLA MONTAGNA, VERSO NORD

La spiaggia di Santa Giulia si trova qualche chilometro prima di Porto Vecchio e la quantità di bagnanti giustifica la sua fama. Ma appena il tempo di spogliarsi e.…comincia a piovere! Grossi e cupi nuvoloni accompagnati da tuoni annunciano un temporale. Qualche mala lingua dice che la colpa è di Alberto che finalmente aveva deciso di fare il bagno utilizzando quel "boccaglio" che dall’inizio del viaggio era diventato una specie di tormentone per il fatto di vederselo sempre in mezzo alle valigie, completamente inutilizzato. Ci rivestiamo e ci sediamo ad un ristorante nei pressi della spiaggia dove ci sfoghiamo con una ennesima, ma sempre buona, pizza.

Niente di particolarmente interessante da segnalare nella sosta a Porto Vecchio, terza città dell’isola dopo Ajaccio e Bastia. E allora ne approfittiamo per ripartire subito alla volta di Corte che grazie ad una strada costiera finalmente diritta e scorrevole che percorriamo sino ad Alèria, capitale della Corsica al tempo dei Romani, e ad una strada più tortuosa ma poco transitata verso l’interno, raggiungiamo un paio d’ore prima del tramonto.

Corte si estende su una collina situata al centro di un altopiano circondato da montagne. Sulla collina si erge a sua volta un suggestivo picco scosceso con resti di fortificazioni già dall’XI secolo ed attualmente occupato dalla cittadella militare risalente al 1419.

Anche a Corte, che sembra un paesino sperduto tra le montagne, dobbiamo perdere un po’ di tempo per trovare una sistemazione in quanto tutti gli alberghi risultano ormai completi. Poi, quando ormai cominciamo a perdere le speranze, ci rivolgiamo ad un grande albergo nei pressi della stazione che, stranamente, nessuno ci aveva suggerito, e ci sistemiamo in maniera soddisfacente per un paio di notti.

Domani niente auto e Alberto è particolarmente felice di poter parcheggiare la sua Peugeot ben protetta nel cortile dell’albergo.

La cittadina può vantarsi di essere stata la capitale della Corsica indipendente nei pochissimi anni intercorsi tra la liberazione dai Genovesi e la conquista da parte della Francia.

Sarà un po’ per la suggestione ma ho veramente l’impressione di respirare un’aria di maggior singolarità rispetto a quanto percepito sino ad ora, un’atmosfera che ti fa pensare di essere in Corsica in quanto paese indipendente e non tanto in Corsica nella sua qualità di dipartimento della Francia. Seppur stanchi andiamo a piedi verso il centro della cittadina alla ricerca di un posto dove mangiare. Il movimento è scarso. Rimandiamo a domani sera la visita alla cittadella, situata inevitabilmente nel punto più alto del paese, e ci mangiamo crèpes al brocciu in una piazzetta di Corte con risultati piuttosto deludenti.

Al mattino successivo di buon’ora andiamo alla stazione ferroviaria per prendere il treno locale che ci porterà nel vero cuore della Corsica, a Vizzavona.

Corte si trova al centro di uno dei due rami delle ferrovie Corse, quello che giornalmente unisce Bastia ad Ajaccio e viceversa. E di questo, il tratto da Corte verso Ajaccio fino a Vizzavona è considerato particolarmente turistico e spettacolare in quanto si sviluppa in mezzo a montagne, superando viadotti coraggiosi come quello alto 94 metri, interamente costruito in ferro dall’ingegner Eiffel, quello della torre parigina, che consente di superare un torrente che scorre ben 196 metri più in basso.

Considerando tre fermate ad altrettante piccole stazioncine perdute tra montagne e foreste di castagni, pini e abeti, il treno impiega poco più di un’ora a portarci a Vizzavona, luogo di soggiorno situato a 910 metri di altezza.

Dalla stazione, gambe in spalla, e iniziamo a percorrere un agevole sentiero che in 45 minuti dovrebbe condurci fino alle Cascades des anglais.

Ho detto dovrebbe perché in realtà noi, fermandoci per raccogliere fragoline, fare fotografie e anche per riposarci, impiegheremo quasi un paio d’ore.

In mezzo a una fitta foresta di faggi e di magnifici pini larici che inevitabilmente ci ricordano quelli ammirati giusto l’anno scorso nei boschi della Sila nella nostra Calabria, il sentiero raggiunge e poi costeggia il torrente Agnone.

Il pino laricio è uno degli alberi più alti d’Europa e il suo fusto diritto raggiunge i 40 metri di altezza e i due metri di diametro.

L’ultima parte del percorso è la più faticosa perché il sentiero si fa sempre più ripido e sassoso. Finalmente, dopo aver ammirato una paio di invitanti pozze d’acqua limpidissima formate dal torrente, arriviamo alle cascate. Siamo a più di 1100 metri di altezza. Approfittiamo delle enormi rocce levigate che stanno alla base della cascata per riposarci e per provare la stupenda sensazione di immergere i piedi nudi, stanchi e bollenti, nelle limpide e scorrevoli acque del torrente.

Il ritorno sarà molto più agevole e, senza fretta, ne approfitteremo per farci una abbondante scorpacciate di ottime fragoline di bosco che casualmente scopriamo in grande quantità lungo una piccola stradina che ad un certo punto si biforca dal nostro sentiero. Alla stazioncina di Vizzavona, in attesa del trenino che ci riporterà a Corte, ci rifocilliamo con un panino ripieno di jambon corse e l’ormai consueta bottiglia di birra Pietra.

Una volta tornati a Corte, dedichiamo il resto del pomeriggio e della serata alla visita della cittadina.

Prima che faccia buio saliamo, attraverso stradine e ripidi vicoletti della città vecchia, sino ad una punta del promontorio sulla quale sorge un belvedere. Sotto, a strapiombo, scorre la strada principale e due fiumi, il Tavignano e la Restonica, che poco più in là si uniscono; di fianco, poco distante, si erge l’altro picco più alto e più grande occupato dalle più estreme costruzioni della Cittadella medievale. Con calma, scendendo e risalendo, raggiungiamo anche quella parte di Corte per vedere l’edificio che fu sede della Legione straniera, situato all’interno delle alte mura di cinta. Oggi , sia l’interno delle mura che la caserma, sono in corso di recupero per essere adattate a sede di mostre e di altre manifestazioni culturali. Dall’ampio piazzale che si apre sulla parte opposto della Cittadella, si gode la vista della città nuova.

Ma non ancora paghi di salire e scendere, torniamo al precedente Belvedere, dove, seduti ad un delizioso ristorantino all’aperto, ci gustiamo una zuppa corsa e un tipico dolce di castagne.

RITORNO VERSO IL MARE

Giovedì mattina lasciamo Corte diretti a Bastia. Percorriamo la strada principale in mezzo a foreste di querce da sughero sino a Ponte Leccia; poi deviamo per una stradina tortuosa per raggiungere il luogo, perduto in mezzo a colline e campagne, ove si trova la suggestiva chiesetta romanico-pisana di S.Michele di Murato.

Dopo una ventina di chilometri percorsi aggirando colline, la vediamo apparire laggiù, solitaria, piccola, in mezzo ad un pianoro delimitato da un semplice muretto a secco, lontana da centri abitati o altre costruzioni. Inconfondibile con quel campanile quadrato che si eleva direttamente sopra il portico d’ingresso.

E’ stata costruita nel 1140, sopra i resti di una precedente cappella sempre dedicata a San Michele e risalente ad un paio di secoli prima, utilizzando in maniera alternata, due pietre locali: la pietra verde-blu scuro proveniente dal letto del torrente Bevinco che scorre ai piedi del pianoro stesso, e la pietra bianca proveniente da Patrimonio. Il tetto poi è coperto da pietre in lavagna di Brando.

La facciata, l’abside e le due fiancate laterali presentano alcune sculture e bassorilievi in goffo, ma suggestivo, stile romanico. Nell’interno restano ancora alcuni affreschi nell’abside raffiguranti l’Angelo Gabriele e la Vergine Maria.

Ancora pochi chilometri di strada tortuosa e torniamo poi a rivedere la costa orientale con la Capraia e un po’ più lontano e meno visibile, un lembo dell’isola d’Elba.

A Bastia solita difficoltà per trovare l’albergo a causa della presenza in città di numerosi professori per lo svolgimento degli esami scolastici di fine anno, ma anche qui poi tutto si risolve giusto in tempo per consentirci di fare un bagnetto ad una vicina spiaggetta.

Il tardo pomeriggio lo dedichiamo quindi alla visita di Bastia che, contrariamente a quanto ci avevano detto, ci appare molto interessante e piena di atmosfera.

E’ ancora un bagno di vera Corsica quello che facciamo mentre, diretti alla consueta Cittadella costruita nel punto più elevato, percorriamo lunghe strade in salita fiancheggiate da grandi palazzi ingrigiti nella loro vetustà, ma con le facciate animate da terrazzi e finestre. I palazzi sono piuttosto decadenti, certamente privi di manutenzione periodica, ma emanano un calore che affascina. Ogni terrazzo, pieno fino all’inverosimile di panni stesi e roba accatastata, meriterebbe una foto per la sua capacità di raccontare i segreti e le abitudini delle persone che vi abitano.

E salendo, salendo, arriviamo in cima alla cittadella sino alla colorata Chiesa di Santa Maria, reduce da un recentissimo restauro. L’interno barocco con pavimento in marmi policromi: oltre ai tipici colori locali, rosso d’Oletta, blu di Corte, verde del Bevinco, è presente anche il nostro bianco di Carrara. Particolarmente importante il gruppo in argento del XVIII secolo dell’Assunzione della Vergine che ogni 15 agosto viene portata in processione attraverso i vicoli e le strade della cittadella.

Purtroppo, per una chiusura anticipata di pochi minuti, non ci è consentito vedere l’attigua Chiesa di santa Croce dove è conservato il famoso Cristo dei Miracoli in legno di quercia, sembra rinvenuto in mare da due pescatori nel 1428.

Il resto del quartiere, costituito da vecchi palazzi, oggi abitati soprattutto da comunità di extracomunitari, da vicoletti e da incantevoli piazzette, ci offre ancora alcuni momenti di immersione nella tipica atmosfera corsa.

Molto suggestiva la discesa verso il Vecchio porto, oggi quasi interamente occupato da decine di eleganti yachts. In mezzo ad una fitta selva di alberi di barche a vela si intravedono le animate e strette facciate degli edifici che delimitano il semicerchio acuto della banchina dietro alle quali, stupenda, si eleva la facciata neoclassica , racchiusa tra due campanili, della chiesa seicentesca di S. Giovanni Battista.

Tutto il Vecchio Porto è animato da una serie continua di ristoranti e difficile sarà per noi la scelta del luogo dove consumare l'ultima cena in terra corsa. E come al solito tale scelta, frutto di una ricerca troppo elaborata, si rivelerà un fallimento, o quasi.

A Bastia, e forse in tutta la Francia, ci dicono che stasera è una serata particolare, in quanto dedicata alla festa della musica e così, tornando verso l’albergo, abbiamo la piacevole sorpresa di trovare in ogni piazzetta di Bastia un piccolo palco dove si esibiscono cantanti e giovani musicisti al termine dell’anno di conservatorio. Particolarmente suggestiva la sosta in piazza Sebastiano de Casalta, come al solito circondata da platani, al cui centro si alternano al piano alcuni giovani musicisti: ricordo struggenti note di Chopin e poi un duo di flauto e violino con musica di Paganini. Stridente il contrasto con la grande piazza Saint Nicolas cinta da platani e palme e aperta sul lungomare del porto, dove da un palco attorniato da qualche centinaio di giovani vocianti, si sprigionano chiassose e assordanti, le note di musica rock.

Venerdì mattina, partenza dal porto di Bastia, con traversata liscia come all’andata e arrivo a Livorno con qualche minuto di anticipo.





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