DIARIO DI VIAGGIO IN TERRASANTA

Pellegrinaggio in Terra Santa dal 23 aprile 2010 al 30 aprile 2010

 

Pellegrinaggio in  Terra Santa dal 23 aprile 2010 al 30 aprile 2010

 

Alla fine ce l’abbiamo fatta! La decisione di fare un viaggio a Gerusalemme era nata due anni fa mentre eravamo a Rodi, e nonostante le normali difficoltà eravamo quasi certi di poterlo realizzare senza grossi problemi. Ma non sapevamo che il destino ci era avverso e che l’anno successivo, quando saremmo dovuti partire, eravamo in tutt’altre faccende affaccendati. Allora scommettemmo tra di noi  rinviando il viaggio ancora di un anno, ma questa volta non eravamo più certi di vincere. E invece alla fine abbiamo vinto e siamo partiti per Israele.

Non è stato facile perché, una volta vinta la scommessa principale, ci siamo ritrovati in un tour già prenotato e parzialmente pagato che all’ultimo è stato annullato per scarsità di partecipanti; abbiamo superato questo impasse prenotando un nuovo tour organizzato dalla Delegazione della Terra Santa gestita da certi Frati Francescani di Roma; poi ci si è messa la nube uscita dall’innominabile vulcano dell’Islanda che ha fatto cancellare migliaia di voli in Europa e che sembrava di scendere fino a Fiumicino: fortuna ha voluto che all’ultimo la nube si sia diradata e che il volo Roma/TelAviv non sia stato cancellato.

Quindi venerdì mattina alle quattro e mezz’o siamo partiti in auto alla volta dell’aeroporto di Fiumicino dove avevamo già prenotato il parcheggio fino al venerdì successivo. Pioggia ininterrotta per tutto il viaggio ma parcheggio e ritrovo del gruppo senza problemi.

Il frate accompagnatore, Padre Piermarco, ci ha salutati dimostrandosi particolarmente contento per la fortuna che, così disse lui, avevamo avuto riuscendo a trovare posto per dormire le prime due notti alla Casa Nova di Nazareth – anziché di Tiberiade come da programma -: la fortuna consisteva nel fatto che la Casa Nova di Nazareth era proprio di fronte alla Basilica dell’Annunciazione tanto che saremmo potuti andarci per la messa sia alla sera del nostro arrivo che al mattino presto!

Il gruppo completo è di 32 partecipanti, compreso il frate-guida, quasi tutti di Roma e Rieti, poi una giovane signora di Milano, una coppia di Torino e noi quattro di Livorno.

Ci viene consegnato il pacco del Pellegrino e quindi passiamo alle consuete formalità: controllo passaporti, check-in, controllo passeggeri, attesa per l’imbarco, decollo, volo regolare con pasto a bordo e alle 14 circa atterriamo a Tel Aviv dove ci attende il pullman che ci porterà in giro per Israele e i Territori Palestinesi.

Il trasferimento da Tel Aviv a Nazareth è di oltre 100 chilometri e durante il viaggio Padre Piermarco ci fa una breve cronistoria su Israele, Palestina, ebrei e Gesù. Io ascolto volentieri e osservo il paesaggio. La strada  che percorriamo costeggia i Territori Palestinesi tanto che qualche volta riesco anche a vedere il muro che da qualche anno divide Israele dalla Palestina. Noto subito una caratteristica costante dei territori Palestinesi: la presenza di tante palazzine di due o tre piani, innalzate sino al tetto ma non finite, abitate solo parzialmente o ancora disabitate,  e realizzate negli stili più disparati; direi che l’unica nota che hanno in comune le moderne abitazioni in Israele  è quella di essere rivestite di pietra calcarea bianca. Ma il fatto che ce ne siano tante non finite non sono riuscito a spiegarmelo: forse si usa vendere gli appartamenti così, non finiti, ed è consuetudine che l’acquirente provveda a terminarli con rifiniture e infissi secondo le sue esigenze e gusti.

Arriviamo a Nazareth nel primo pomeriggio e il pullman ci lascia a duecento metri dalla Casa Nova che raggiungiamo a piedi: le valigie ce le porteranno in albergo con un minibus. La distribuzione delle camere è già stabilita e perfettamente organizzata: la sistemazione si rivela decorosa ed effettivamente posso verificare che la Basilica dell’Annunciazione si trova proprio di fronte alla Casa Nova! Riposino, doccia, un salto nella Basilica e poi a cena alla 7.30 in punto.

Dopo la cena, decorosa anch’essa ma a menu fisso, usciamo a fare due passi nella Nazareth notturna.

Cominciano i primi acquisti: rosari in ulivo a 2 euro: crediamo di fare un affare e poi nel corso del pellegrinaggio ci verranno offerti prima a 1 euro e poi  a pochi centesimi l’uno!!! Ma tant’è!

Allora Nazareth: capitale della Galilea con oltre 65.000 abitanti. La cosa che mi lascia sconcertato, letta prima sulla guida e comunque verificata sul campo, è che si tratta di una città araba d’Israele, anzi la più grande, cioè è abitata quasi esclusivamente da arabi israeliani, che stanno bene o almeno abbastanza bene e comunque molto meglio degli arabi che vivono nei Territori Palestinesi e che quotidianamente vediamo alla televisione impegnati in lotte e scorribande con la polizia israeliana oppure in fila ai vari checkpoint israeliani per andare a lavorare in Israele o magari andare a trovare parenti che abitano in Israele. Ma allora, mi domando, la scelta di questi arabi di restare in Israele e di convivere con gli ebrei è stata tutto sommato indovinata piuttosto che quella di lasciare case e andare negli attuali Territori Palestinesi con il miraggio un giorno di avere uno stato indipendente magari riuscendo a annullare Israele. La differenza economica tra gli abitanti di Israele, siano essi ebrei o arabi musulmani, e gli arabi palestinesi è enorme. I dubbi mi assillano e purtroppo aumenteranno con il proseguo del pellegrinaggio.

Nazareth, ove Gesù dovrebbe aver vissuto più o meno i suoi primi trent’anni, era a quei tempi un modestissimo villaggio e solo dal VI secolo in poi cominciò ad ingrandirsi grazie ai numerosi pellegrinaggi cristiani ai luoghi  legati alle storie del Nuovo Testamento. I crociati nel XII secolo la scelsero come capitale della Galilea e da allora è sempre stata una delle cittadine più vitali della Palestina fino a diventare sede dell’amministrazione della Galilea sotto il mandato Britannico. Nel 1948, al momento dello scoppio della prima guerra arabo israeliana,  venne subito occupata  dagli ebrei che evidentemente però vi lasciarono vivere e lavorare i tanti arabi ivi residenti. Gli ebrei hanno infatti preferito costruire e sviluppare nei pressi una Nazareth a loro misura che oggi si chiama Nazareth Illit o Superiore per distinguerla dalla Nazareth originaria che è quella che contiene i tanti luoghi di culto cristiano.

Per chi vuole approfondire e cercare di chiarirsi le idee sul confuso problema ebrei-palestinesi consiglio di andare a leggere il sito http://nswas.org/spip.php?article290. Forse aumenterà la confusione e i dubbi, ma è sempre una vissuta voce da ascoltare.

“Si era al tempo di Erode, quando l’angelo Gabriele fu mandato da Dio in una città della Galilea, chiamata Nazaret, a una vergine, sposa di un uomo della casa di Davide, chiamato Giuseppe. La vergine si chiamava Maria”. 

Su questa storia nasce la fortuna  di Nazareth e il suo imponente Santuario dell’Annunciazione: si tratta della più grande chiesa cristiana del Medio oriente e sorge sul luogo ove si trovava la casa di Maria: proprio qui l’arcangelo Gabriele sarebbe apparso a Maria annunciandole che sarebbe divenuta madre del Figlio di Dio.

L’attuale chiesa risale appena al 1969 ma è stata costruita sul luogo ove già dal V secolo esisteva una basilica, deteriorata nel corso dei secoli e poi ricostruita in stile romanico  dai crociati nel XII secolo. Per pochi anni perché nel 1263 fu rasa al suolo dai musulmani i quali lasciarono intatta la grotta ove l’angelo era apparso a Maria. Solo nel 1620 i cristiani ottennero la possibilità di conservare la sacra grotta e nel 1730 vi venne costruita una nuova chiesa, poi demolita per dare posto all’attuale edificio.

L’odierno Santuario è una costruzione imponente e moderna interamente rivestito dalla classica pietra bianca calcarea; è circondato da un ampio cortile con loggiato nel quale sono conservate moderne e originali immagini di Maria e del Bambino Gesù a nome delle comunità cattoliche di tutto il mondo. L’interno è moderno e al suo centro, mediante due scalette, si scende alla parte inferiore circolare al cui lato si apre la Sacra Grotta ove è  conservato l’originario altare giudeo-cristiano.

Dopo un breve incontro di gruppo con Padre Piermarco durante il quale si cerca di chiarire l’attuale situazione tra Israele e Palestina, tutti i partecipanti vanno a letto con l’appuntamento per le 7.30 del mattino successivo.

E così è. Io nell’attesa che il gruppo dei partecipanti sia completo, ma la puntualità di tutti sarà una costante e positiva caratteristica che ci accompagnerà per l’intera durata del tour, faccio un giretto all’inizio del suq ove i primi negozianti hanno già cominciato ad aprire e ad appendere le varie merci in vendita.

Andiamo a piedi al pullman che ci aspetta qualche centinaio di metri dalla Casa Nova e inizia l’escursione al Monte Tabor.

Ripercorriamo parte della strada di ieri fino ad Afula e poi deviamo verso nord-est. Il Monte Tabor si trova a metà strada tra Afula e Tiberiade. Lasciamo il pullman alla base del monte e da qui saliamo alla vetta con tre minibus gestiti da una cooperativa di palestinesi: vengo a sapere che la salita per il Monte Tabor con ben 16 tornanti è stata intenzionalmente costruita stretta proprio per evitare che i pullman turistici possano salirci e quindi obbligando così i pellegrini ad utilizzare i minibus della cooperativa: questo salvo che si tratti di veri pellegrini che decidono di salire a piedi.

Il Monte Tabor si eleva per 558 metri sulla pianura di Esdrelon caratterizzata da un mosaico di campi coltivati dalle inconsuete forme circolari.

Qui avvenne la Trasfigurazione: “Sei giorni dopo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro; il suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed ecco, apparvero loro Mosé ed Elia……Egli stava ancora palando, quando…. ecco una voce che diceva:”Questi è il Figlio mio prediletto, nel quale mi sono compiaciuto. Ascoltatelo!”.

La storia ci dice che qui esisteva nel 1099 una chiesa bizantina poi distrutta dai musulmani che vi eressero una fortezza. Vani furono i tentativi dei crociati di riconquistare il sito, perduto definitivamente con la sconfitta subita nella battaglia di Hattin nel 1187 che si trova appunto nelle sue vicinanze.

Arrivati alla sommità del monte, un cancello ci introduce in quella che era la  fortezza saracena della quale oggi restano le basi delle mura che circondavano tutta la sommità della montagna e che oggi ospita tra l’altro un complesso francescano  con monastero e ospizio. Superato il cancello costeggiamo alla nostra sinistra le rovine della chiesa bizantina oggi aggraziate da piante e fiori, poi arriviamo alla Basilica della Trasfigurazione costruita nel 1924, alla cui destra sorge un’altra piccola chiesa greco-ortodossa sacra a S.Elia.

La Basilica ha forme romaniche-siriache: il portale è preceduto da un arco riccamente scolpito e l’interno è a tre navate divise da robusti pilastri; alla fine della navata centrale  una scala discende alla cripta scoperta con l’altare e i bei mosaici alle pareti che riproducono i simboli delle trasfigurazioni di Gesù.

Approfittiamo della piacevole atmosfera del luogo per radunarci ad ascoltare Padre Piermarco che tra le rovine bizantine legge un adeguato brano del Vangelo.

Prima di uscire dal complesso del Monte Tabor ci attardiamo a bere un  caffè e a fare shopping al negozietto gestito dai francescani: e per questo veniamo aspramente redarguiti dal tassista che si rivela un “vero” palestinese arrabbiato, il quale dovendo aspettare noi si vedeva costretto a rinunciare a qualche corsa in più. Durante la discesa assistiamo leggermente impauriti ad una animata discussione tra il tassista palestinese con kefiah e il nostro buon padre Piermarco.

Tornati al nostro pullman proseguiamo per qualche chilometro verso nord sino al paese di  Kafr Kana, meglio conosciuto da noi con il nome di Cana: qui Gesù compì il suo primo miracolo mutando l’acqua in vino al banchetto  di  nozze alle quali era stato invitato insieme a Maria.

Ancora oggi Cana è un piccolo paese, abitato da arabi, che ospita però alcune chiese cristiane. Attraversiamo il paese per arrivare alla chiesa francescana dove le coppie del gruppo rinnovano ufficialmente le promesse matrimoniali.

Nella tarda mattinata torniamo poi a Nazareth ove mangiamo alla Casa Nova.

Nel primo pomeriggio, dopo che  Padre Piermarco ha celebrato per il gruppo la Santa Messa nella Chiesa Inferiore della Basilica dell’Annunciazione, facciamo tutti insieme una visita guidata del complesso soffermandoci nella vicina chiesa di San Giuseppe. Si tratta di un edificio costruito nel 1914 sui ruderi di altre chiese precedenti, romaniche e greche,  e anche, almeno così  vuole la tradizione,  sul luogo ove sorgeva la bottega di falegname o la casa di Giuseppe.

Usciamo dal complesso della Basilica e, attraversando la cittadina, arriviamo alla chiesa greco-ortodossa di San Gabriele. Durante il percorso Padre Piermarco ci racconta della sinagoga greco-cattolica, che non visitiamo, dove secondo il Vangelo di Luca, Gesù parlando ai dotti ebrei avrebbe scatenato la loro ira al punto che “lo cacciarono fuori dalla città, e lo condussero fin sul ciglio del monte sul quale era costruita la loro città, per precipitarlo giù”.

La chiesa di San Gabriele, che si trova a lato di una graziosa piazzetta al centro della quale sorge un pozzo meglio conosciuto come Fontana della Vergine, costruita nel XVII secolo come al solito sui resti di chiese precedenti,  ha una cripta che racchiude la sorgente che alimenta il pozzo al quale, sempre secondo la tradizione, Maria andava ad attingere l’acqua: e secondo la chiesa Greco-ortodossa l’Arcangelo Gabriele sarebbe apparso a Maria e le avrebbe fatto lo storico annuncio, proprio qui e non nella grotta della Basilica come invece vuole la tradizione cattolica.                                               

Entriamo nella chiesa proprio durante lo svolgimento di una funzione; passiamo tra i fedeli e scendiamo nella cripta dove, in perfetto ordine e silenzio assoluto, rendiamo “pagano” omaggio alla sorgente.

Torniamo verso la Casa Nova e, in attesa della cena mentre Grazia, Claudio e Carla se ne vanno a riposare, io vado in giro per Nazareth alla ricerca di qualcosa da fotografare. Purtroppo non trovo né soggetti attraenti né ispirazione adeguata e allora finisco con il fermarmi ad uno dei tanti localini gastronomici per gustare un ottimo kebab anche a costo di rovinarmi l’appetito per la cena ormai imminente.

Nonostante l’ottimo kebab riesco a gustare anche la cena e dopo ci aspetta una solenne processione con tanto di candela personale che parte nei pressi della Basilica, dopo canti e litanie espressi nelle varie lingue dei paesi cattolici, che si snoda lentamente fino alla Basilica, lungo il loggiato contenente le immagini della Madonna per finire naturalmente all’interno della Basilica stessa fino alla Grotta dell’Annunciazione.

erzo giorno, domenica, partenza di buon mattino per Tiberiade. Trasferimento in pullman, direzione nord-est, verso il Lago o mare di Galilea sulla cui riva a settentrione si trova il sito di Tabgha legato a ben tre importanti episodi del Nuovo Testamento: il miracolo della moltiplicazione dei pani e dei pesci, il Primato di San Pietro e il famosissimo discorso della Montagna.

La prima sosta la facciamo al Santuario della Moltiplicazione dei pani e dei pesci: una serie di giardini ben curati ci introduce sulla riva del lago non senza però prima esserci raccolti intorno a Padre Piermarco per una breve lettura del Vangelo dove viene raccontato il miracolo di Gesù: “ Quanti pani avete?Andate a vedere”. E, accertatisi, riferirono:”Cinque pani e due pesci”. Allora ordinò loro di farli mettere tutti a sedere, a gruppi, sull’erba verde………levò gli occhi al cielo, pronunziò la benedizione……tutti mangiarono e si sfamarono, e portarono via dodici ceste piene di pezzi di pane e anche dei pesci. Quelli che avevano mangiato i pani erano cinquemila uomini.”

Anche noi arriviamo sulla riva del lago che riesce ad infondere uno straordinario senso di pace e di serenità. Qualcuno ne approfitta per rinfrescarsi i piedi nelle sue acque e poi torniamo indietro visitando il Santuario della Moltiplicazione,  che come al solito sorge sul sito di una chiesa bizantina, dove una fila di fedeli sfila davanti alla roccia dove la tradizione vuole che Gesù abbia deposto i cinque pani e i due pesci.

Ci spostiamo in pullman a Cafarnao, luogo ove si trovano i resti di una sinagoga e i resti della casa di San Pietro, divenuta chiesa dei primi cristiani,  oggi sormontata a modo di protezione da una chiesa moderna a forma di disco volante. Proprio a Cafarnao si stabilì  Gesù una volta lasciata Nazareth, e ne fece il centro  della sua predicazione in Galilea. Altro raccoglimento intorno a Padre Piermarco per la lettura del passo del Vangelo che illustra alcuni momenti significativi dell’opera di Gesù in questo luogo e poi ci trasferiamo in pullman al Monte delle Beatitudini.

Anche qui il sito è preceduto da splendidi giardini e il santuario a forma ottagonale risale al 1937 ma sorge sui resti di chiese precedenti. Bellissima e rilassante la veduta sul Lago di Tiberiade. Prima di pranzare al ristorante all’interno del sito gestito dai frati francescani, Padre Piermarco celebra, aiutato dagli altri due sacerdoti che ci accompagnano, la Santa Messa all’aperto sotto l’ombra di stupendi e giganteschi alberi di magnolia. Come al solito si dedica alla lettura del Vangelo e precisamente al famosissimo e fondamentale discorso di         Gesù che la tradizione vuole pronunciato proprio qui, su questa montagna: “Beati i poveri di spirito, perché di essi è il regno dei cieli. Beati gli afflitti, perché saranno consolati. Beati i miti….Beati quelli che hanno  fame e sete della giustizia…..Beati …Beati….Beati i perseguitati…Beati voi quando vi insulteranno……Rallegratevi ed esultate, perché grande è la vostra ricompensa nei cieli”.

Dopo aver mangiato un piatto di pasta e un pesce arrosto che, sarà un caso?, si chiamava Pesce Sanpietro, risaliamo sul nostro pullman  e ci dirigiamo nelle vicinanze di Tiberiade per fare la prevista piccola crociera nel Lago a bordo di una grossa barca che somiglia alle barche usate dai pescatori ai tempi di Gesù. La traversata del lago non fa che confermarci il senso di serenità e di tranquillità che riescono ad emanare le sue acque tranquille, le sue sponde verdeggianti e la stessa città di Tiberiade che vediamo in lontananza estendersi su una collina prospiciente il lago.

La crociera sul lago dura un’oretta ed è seguita da un altro trasferimento a Yardenit verso sud costeggiando il Lago di Galilea, fin quando ne esce il fiume Giordano. Ed è proprio a Yardenit, con le acque “benedette” del fiume Giordano, che rinnoviamo la cerimonia del battesimo. La località in effetti è particolarmente suggestiva, le acque del fiume risultano verdissime grazie anche alla fitta vegetazione che ne ricopre le rive e la sensazione di calma sarebbe deliziosa se non fosse per le frotte di fedeli che, vestiti con semplicissimi camici bianchi, pregano sulle sponde e si immergono completamente nell’acqua per rinnovare il Battesimo. Tutto questo perché qui viene fatto credere che Gesù sia stato battezzato da Giovanni Battista, anche se in realtà la vera tradizione cristiana indica come più probabile luogo del battesimo di Gesù un’altra località più a sud vicina a Gerico, ma oggi di pericolosa frequentazione in quanto troppo vicina al confine tra Territori Palestinesi e Giordania.

Il tour odierno è ormai terminato e l’ultimo trasferimento in pullman ci riporta verso nord e precisamente a Tiberiade dove alloggiamo alla Casa Nova Francescana.

Questa nuova sistemazione si rivela più spartana di quella do Nazareth, sia come camera per la notte sia come cena. Comunque ci resteremo solo una notte e quindi va tutto bene. Sia prima che dopo cena facciamo un giretto in piena libertà per Tiberiade: una bella passeggiata lungo le sponde del lago, con locali tipici da località turistica, e il consueto mercatino.

Al mattino lasciamo Tiberiade con direzione sud lungo il fiume Giordano fino a Qumran in pieno Territorio Palestinese o Palestina o Cisgiordania o Giudea, o come meglio si preferisce identificare la parte della Palestina che grosso modo venne assegnata agli arabi palestinesi dalla famosa decisione unilaterale dell’ONU nel 1948 con la quale venne costituito lo stato di Israele per gli ebrei, decisione come noto non accettata dagli stati Arabi. Ho scritto “grosso modo” perché le guerre e le rivolte che si sono succedute in questi anni, e i tanti insediamenti ebraici,  hanno modificato non poco la ripartizione originale delle terre. La situazione è veramente confusa e certo una breve visita come la mia non può essere in grado di chiarire niente, anzi. Mi limiterò quindi a riferire quello che vedo o meglio che credo di vedere. Intanto non esiste alcuna frontiera, transitiamo senza alcun controllo né interruzione da Israele ai Territori Palestinesi: me ne rendo conto solo seguendo la carta geografica e anche in base al paesaggio che dopo Israele si fa, oltre che più desertico, meno coltivato e più abbandonato. I pochi arabi palestinesi che vivono in queste terre prediligono il nomadismo o la raccolta dei datteri  all’agricoltura israeliana dove spiccavano le tante piantagioni di banane e di manghi. Mano a mano che scendiamo verso sud il paesaggio si fa sempre più desertico e disabitato e dopo un’oretta di viaggio arriviamo a Qumran.

Si tratta di una località desertica divenuta famosa perché nel 1947 all’interno di una grotta vi furono ritrovati, casualmente da un pastore nomade che ricercava una sua capra smarrita, dei vasi terracotta contenenti rotoli di papiro sui quali era scritto in ebraico antico un manoscritto completo di Isaia, un commentario del profeta Abacuc e altri libri di notevole importanza. Purtroppo la prima guerra arabo-ebrea che scoppiò dopo pochi mesi fece passare in seconda linea l’importanza della scoperta ritenuta “la più importante scoperta archeologica del popolo ebraico”. E così solo alla fine della guerra e precisamente nel 1951 vennero riprese approfondite ricerche nelle innumerevoli grotte del circondario che portarono alla scoperta dei resti di un villaggio abitato dalla comunità degli Esseni dal 150 a.C. e di altri vasi di terracotta contenenti altri rotoli con alcune parti del Vecchio Testamento e altri libri apocrifi.

Oggi la visita consiste in una passeggiata lungo alcune passerelle in legno costruite sui resti del villaggio degli Esseni dai quali possiamo individuare, tra l’altro, le tante vasche utilizzate per bagni rituali e la biblioteca ove venivano stilati i rotoli ritrovati; sullo sfondo si ergono le montagne desertiche che fanno immaginare le grotte nelle quali sono state ritrovate le giare in terracotta. Prima di accedere ai resti archeologici del villaggio, assistiamo alla proiezione di un breve documentario che ci introduce alla vita e  alle usanze degli Esseni, che erano ferventi sostenitori dell’ascetismo tanto da abbandonare la peccaminosa, per loro, vita delle città, e rifugiarsi in mezzo alle montagne desertiche creandovi un nuovo villaggio  nel quale portare avanti la vita secondo le loro credenze.

Lasciamo il caldo del deserto di Qumran per trasferirsi sulle rive del Mar Morto, dove possiamo rilassarci per un’oretta immergendoci nelle sue acque salatissime tanto da consentirci di restare a galla immobili. L’acqua è particolarmente fangosa e anche se tali fanghi sembra che abbiano proprietà terapeutiche, non è estremamente piacevole né facile camminare sulla battigia per arrivare almeno dove l’acqua è abbastanza alta da immergervisi. Qualcuno ne approfitta per cospargere tutto il suo corpo di fango nella speranza di ottenere un miglioramento della pelle o magari della riduzione della cellulite: io mi limito a riprovare la sensazione del restare a galla immobile e poi vado di corsa a farmi una provvidenziale doccia. La regione del Mar Morto è la massima depressione della terra tanto che siamo a circa 400 metri sotto il livello del mare ma non proviamo nessuna difficoltà nel respirare nonostante gli avvertimenti preoccupati di padre Piermarco.

Una volta di nuovo tutti asciutti e rivestiti, risaliamo in pullman e per fare contento il nostro autista facciamo una sosta per shopping in un centro commerciale di Gerico gestito da arabi-palestinesi. Acquisti di ceramica, statuette in legno di ulivo, datteri e dolci buonissimi. Niente di particolare, tutte cose già viste nelle altre località e prezzi normali: ma qualche acquisto lo facciamo magari anche nell’ottica di aiutare l’economia palestinese.

Gerico oggi è una cittadina di circa 20.000 abitanti ma è nota per essere la più antica città abitata della terra  nonché la più bassa essendo situata a ben 260 metri sotto il livello del mare. Dista pochi chilometri da Gerusalemme e da qui possiamo vedere l’insediamento ebraico più esteso e controverso che da Gerusalemme si insinua nella Cisgiordania.

Facciamo sosta per il pranzo in un attrezzato centro commerciale e poi continuiamo l’avvicinamento a Gerusalemme facendo però una sosta a Betania, il paese abitato da arabi-israeliani  situato a meno di tre chilometri da Gerusalemme ove Gesù fece il miracolo della resurrezione di Lazzaro.

Lazzaro  era un amico di Gesù ed era morto già da quattro giorni quando Gesù andò a Betania:”Io sono la resurrezione e la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà; chiunque vive e crede in me , non morrà in eterno. Credi tu questo?……..”Lazzaro, vieni fuori!” il morto uscì….”Scioglietelo e lasciatelo andare”.

A Betania nella chiesa di S. Lazzaro, risalente al 1952, padre Piermarco celebra la Santa Messa e poi visitiamo nelle vicinanze la Tomba di Lazzaro scendendo per 24 scalini in un piccolo vestibolo dal quale per una angusta e bassa apertura si accede scendendo altri tre scalini nella stanza mortuaria nella quale fu deposto il cadavere di Lazzaro.

Di nuovo in pullman e questa volta per entrare in Gerusalemme: passiamo attraverso una zona abbastanza squallida dove sono situate attività commerciali e artigiane che ritengo, visto il disordine e la sciatteria, gestite da arabi-palestinesi. L’ingresso nella Gerusalemme ebraica avviene senza particolari controlli alla frontiera e così finalmente arriviamo nella città santa che immediatamente mi fa l’effetto di una città bellissima da scoprire palmo a palmo.

Il pullman ci lascia all’esterno della Città Vecchia e poi a piedi, attraversando le antiche mura della città dalla Porta Nuova, ci dirigiamo al nostro albergo che come di consueto si chiama Casa Nova ed è situato vicino alle mura nel Quartiere Cristiano.

Certo Gerusalemme merita ampiamente una descrizione storica e una toponomastica. Per la storia però è meglio rimandare a testi più qualificati e qui mi limiterò a indicare i tratti più salienti. E la principale caratteristica per me è che si tratta della Città Santa per le tre religioni monoteistiche, l’ebraismo, il cristianesimo e l’islamismo. Ognuna di queste tre religioni ha in questa città siti, ricordi e testimonianze che la rendono di primaria importanza. Inevitabile quindi che questa città si sia trovata per tre millenni al centro di continue lotte tra chi considera la propria religione come l’unica portatrice di verità e le altre invece piene di errori e di falsità. A complicare ulteriormente le cose va detto poi  che una delle tre religioni suddette, il cristianesimo, si trova qui rappresentato da una serie di sotto-religioni – non so meglio come definirle – in eterna lotta tra di loro come e forse anche più che verso le altre due: cattolici, greco-ortodossi, armeni, copti, etiopi, maroniti, russo-ortodossi, protestanti luterani, valdesi ed altre che non ricordo.

Tutto comincia, secondo il racconto fatto dall’Antico Testamento, con la partenza di Abramo da Ur in Mesopotamia (odierno Iraq) nel 1800 circa a.C. verso la Terra Promessa da Dio al popolo ebraico, appunto la Palestina; e tutto si giustifica, violenze, massacri, guerre, omicidi, espropriazioni di terre e di città, in quanto il popolo ebraico si considera Popolo eletto da Dio e in quanto tale unico legittimo proprietario della Terra promessa. Questa convinzione - dopo quasi quattromila anni!-  è la ragione fondante della attuale e tuttora insoluta questione palestinese.

Gerusalemme appare solo  nel 997 a.C. quando il re David la sceglie come capitale degli israeliti che al tempo erano divisi in dodici tribù. David porta in questa città i simboli principali dell’ebraismo e su tutti l’Arca dell’Alleanza e inizia la costruzione del Tempio che poi viene portato a termine da suo figlio, Salomone, il quale ingrandisce la città fino a conglobarvi la collina sulla cui sommità esiste la roccia che la tradizione ebraica vuole essere quella sulla quale Abramo  stava per dare in sacrificio a Dio il figlio prediletto Isacco . Negli anni successivi le dodici tribù si dividono e solo tre restano fedeli alla stirpe di David costituendo il Regno di Giuda. Arriviamo al 586 a.C. quando Gerusalemme viene conquistata dai Babilonesi di re Nabucodonosor che fa distruggere il Tempio e costringe gli ebrei all’esilio a Babilonia. Tra l’altro è da questo momento che si perdono le tracce dell’Arca dell’Alleanza, ma questa è un’altra storia che non interessa Gerusalemme. Gli ebrei, liberati dai persiani di Ciro,  tornano a Gerusalemme nel 538 e intorno al  520 vi costruiscono, sullo stesso luogo del Primo, il Secondo Tempio. Nei secoli successivi si alternano diverse dominazioni fino ad arrivare alla conquista da parte dei romani nel 63 a.C. Si chiama Regno di Giudea e Erode il Grande vi regna dal 37 a.C. al 4 d.C. proprio per conto dei romani. A tale epoca Gerusalemme conta circa 50.000 abitanti. Morto Erode il Grande gli succede, come governatore, Ponzio Pilato. Qualche anno dopo gli ebrei si ribellano ai romani, i quali però dopo quattro anni trionfano con Tito  e danno alle fiamme la città distruggendo tra l’altro nell’anno 70 il Secondo Tempio. Seguono anni di declino fino al 313 quando Costantino, su suggerimento e ispirazione della madre Elena, fece del cristianesimo la religione di stato. Gerusalemme allora si riprende, vi viene scoperta la possibile tomba di Gesù tanto che inizia la costruzione della Basilica del Santo Sepolcro. Ma nel 638 la Palestina e Gerusalemme vengono invase e conquistate dagli arabi sotto la bandiera dell’islam guidati dal califfo Omar. Questo califfo crede che la famosa roccia a suo tempo racchiusa nel Primo Tempio  e ritenuta sacra per gli ebrei, sia stata invece la pietra dalla quale il profeta Maometto era asceso al cielo per incontrare Allah: quindi  il luogo che nel frattempo era stato abbandonato tanto da divenire una discarica, viene ripulito e addirittura vi viene costruita intorno la stupenda Cupola della Roccia e così Gerusalemme diviene Città Santa anche per l’islam. Nonostante ciò Gerusalemme resta fino al X secolo città aperta ai pellegrinaggi di ebrei e cristiani; poi iniziano le persecuzioni tanto da provocare il famoso e non troppo chiaro fenomeno delle crociate cristiane. Quindi per qualche secolo si alternano a Gerusalemme mamelucchi mussulmani  con i  cristiani fino a che nel 1516 gli Ottomani conquistano la Palestina – e con essa naturalmente Gerusalemme – e la inglobano nel loro impero. A loro e soprattutto al loro sultano Solimano il Magnifico si debbono le stupende mura che tutt’ora racchiudono la città vecchia con un perimetro di circa quattro chilometri. Durante il periodo ottomano la visita dei luoghi sacri per gli ebrei e i cristiani viene quando tollerata e quando vietata. Così fino alla disgregazione dell’impero Ottomano alla fine della prima guerra mondiale quando la Palestina viene affidata alla Gran Bretagna. Dopo qualche anno la Gran Bretagna decide di abbandonare il mandato e l’ONU stabilisce unilateralmente nel 1948 la creazione dello stato di Israele per gli ebrei dividendo di fatto la Palestina tra ebrei e arabi: Gerusalemme sarebbe dovuta restare fuori da questa divisione in quanto nelle intenzioni dell’ONU era di farla diventare città aperta internazionale. La mancata accettazione di quanto sopra da parte degli stati Arabi provocò la prima guerra arabo-israeliana, alla quale ne seguirono altre e a tutt’oggi il problema non è ancora risolto.

Gerusalemme è oggi interamente inglobata nello stato di Israele tanto che ne è considerata la capitale. Ha una popolazione che sfiora i 700mila abitanti e si sviluppa sulle colline che circondano la città vecchia: stupenda la visione della città caratterizzata tra l’altro dall’obbligo di rivestire tutti gli edifici con la sua bianca pietra calcarea: non si vede una costruzione, sia antica nelle città vecchia, che moderna, di un colore diverso dal bianco. La Città vecchia è interamente circondata dalle mura di Solimano e al suo interno è suddivisa in quattro quartieri: quello Cristiano con la Basilica del Santo Sepolcro, quello Armeno, il più piccolo, quello ebraico con il suggestivo Muro del Pianto e infine il più grande, quello musulmano, con la grandiosa Spianata del Tempio e la Cupola della Roccia o Moschea di Omar.

La nostra sistemazione alberghiera a Gerusalemme, certamente non di lusso,  ha però il grande vantaggio di trovarsi proprio all’interno delle mura nella Città Vecchia e questo ci darà la possibilità di raggiungere a piedi nei momenti di libertà i caratteristici mercatini o suq che esistono nei dintorni.

La solita tranquilla e organizzata distribuzione delle camere e poi prima di cena riusciamo già a fare un giretto nei dintorni e a visitare i negozietti di un suq vicino: con Grazia troviamo un negozio di ceramiche dove riusciamo, almeno così ci piace credere, ad acquistare uno specchio e altri oggetti in ceramica a prezzi vantaggiosi. Io vengo considerato “taccagno” dal simpatico ragazzo venditore che però dimostra di saperci fare. Tanto per dare un’idea, alla prima richiesta lo specchio ci veniva offerto a 70 euro e alla fine lo abbiamo acquistato per 25; il vassoio che Carla aveva acquistato a Nazareth convinta di aver fatto un affare a 28 euro, lì potremmo acquistarlo a 20 euro. Come al solito una cosa è certa e cioè che l’affare lo fa sempre e comunque il venditore, noi turisti acquirenti possiamo solo limitare i danni.

Dopo cena, facciamo un salto alla vicina Basilica del Santo Sepolcro per assistere alla chiusura, che si svolge immutata da anni tutte le sere alle ore 21, del portone di ingresso; tutto in base ad un accordo che risale al tempo dei tempi: dal momento che le varie comunità cristiane e cioè ortodossi, cristiani, armeni e via dicendo, non riuscivano ad accordarsi su chi avesse il diritto di custodire il Santuario, alla fine venne deciso che  una famiglia  mussulmana chiudesse ogni sera  a chiave il Santuario portando via le chiavi e lasciandovi all’interno i vari rappresentati delle comunità cristiane, e così fino alle quattro del mattino successivo quando il portone veniva riaperto sempre dai mussulmani.

Alla chiusura, che tutto sommato si svolge senza tante cerimonie e risulta alquanto squallida, assiste sempre un nutrito gruppo di turisti tra i quali ci siamo anche noi. Dopo di che torniamo alla nostra Casa Nova e ci diamo l’appuntamento per il mattino successivo.

Di buon mattino usciamo dalle mura della Città Vecchia, costeggiando la Cittadella e passando per la Porta di Jaffa: entriamo nella Gerusalemme moderna e ci piace indugiare ad osservare gli ebrei ortodossi che tranquillamente fanno la loro vita senza curarsi delle nostre attenzioni, le donne musulmane che con i loro vestiti lunghi danno una nota diversa alle strade, una donna poliziotto israeliana che controlla il traffico e su tutto le belle e ordinate costruzioni tutte rigorosamente rivestite della consueta pietra bianca calcarea.

Il pullman ci conduce a Betlemme, a pochi chilometri di distanza da Gerusalemme ma in territorio palestinese, tanto che padre Piermarco ci raccomanda di tenere a portata di mano il passaporto. Oggi Betlemme è una cittadina di oltre 60.000 abitanti, in larga parte arabi-cristiani, e naturalmente è famosa per essere il luogo di nascita di Gesù. Gesù nacque proprio qui perché Giuseppe e Maria  vi si erano recati per il censimento quando a Maria si ruppero le acque e partorì.

Il pullman ci lascia nelle vicinanze della Basilica della Natività che raggiungiamo a piedi.  Prima di accedere alla Basilica, padre Piermarco ci fa entrare nel chiostro adiacente e in una cappella, intitolata a S.Elena la madre dell’imperatore Costantino, celebra la giornaliera Santa Messa.

Dal chiostro passiamo poi all’interno della Basilica vera e propria di chiara impronta ortodossa, caratterizzata da splendide colonne in calcare rosso forse originarie della chiesa precedente. Un suggestivo raggio di sole entra da una vetrata dietro l’altare e illumina il pavimento sul quale in alcuni punti si aprono ante in legno che lasciano vedere i mosaici risalenti al pavimento fatto costruire da Costantino nel IV secolo.

La presenza di numerosi gruppi di turisti inquina non poco l’atmosfera di spiritualità che potremmo cogliere nella chiesa. L’accesso principale alla Basilica è costituita da una apertura piccola e molto bassa tanto da essere chiamata la Porta dell’Umiltà, perché per entrarvi è necessario inchinarsi. C’è chi dice che venne fatta così bassa al tempo degli ottomani  per impedire ai soldati di entrare in chiesa a cavallo. Questa basilica, come i tanti altri principali luoghi del cristianesimo, risulta oggi formata da una pluralità  di costruzioni, alcune eseguite su edifici preesistenti, che si sono aggiunte nel corso dei secoli, e non consentono una precisa identificazione dall’esterno né tanto meno dall’interno: rivedendo la pianta vedo che il complesso è formato dalla chiesa con colonne di calcare rosso, dalla quale si accede al coro  sotto il quale c’è il luogo della Natività;  a fianco della chiesa esistono i chiostri medievali e accanto a questi una grande chiesa francescana costruita nel 1881; infine, sempre inserite nel complesso, vedo un monastero greco-ortodosso e la chiesa armena.

Ci mettiamo in coda per entrare nella Grotta della Natività, ora sotto la giurisdizione dei monaci greco-ortodosssi,   alla quale si arriva appunto scendendo i pochi scalini dietro al coro. L’attesa è abbastanza lunga perché nella Cappella è in corso la celebrazione di una funzione di rito armeno. Non appena tale funzione termina, inizia la lenta processione con genuflessione finale verso il luogo sacro, rappresentato da una stella d’argento a 14 punte inserita nel pavimento che segna il punto preciso in cui la tradizione vuole che sia nato Gesù.  Su questa stella  sono sospese quindici lampade ad olio ognuna delle quali rappresenta una diversa confessione cristiana.

Dalla Basilica della natività ci spostiamo in pullman al Campo dei Pastori dove, in mezzo a antiche rovine Padre Piermarco continua la sua lettura giornaliera di brani del Vangelo. Visitiamo la piccola chiesetta costruita dal Barluzzi e contenente tre affreschi moderni che illustrano appunto l’Angelo che avverte i pastori dell’avvenuta nascita di Gesù e la loro visita alla grotta della natività.

Torniamo nei pressi della Basilica della natività per pranzare alla Casa Nova di Betlemme.

Nel primo pomeriggio in pullman raggiungiamo nei dintorni di Gerusalemme, ma sempre in territorio palestinese, il piccolo paese di Ain Karem reso celebre perché qui venne Maria in visita alla parente Elisabetta da cui nacque colui che divenne poi  Giovanni il Battista.

Visitiamo la chiesa di S. Giovanni Battista, preceduta da un ampio cortile alle cui pareti sono murate tanti pannelli in maiolica in altrettante lingue del mondo riportanti per intero il canto di Zaccaria, il Benedictus, tratto dal Vangelo di Luca. La chiesa si ricorda per le sue pareti  interne ricoperte di piastrelle in maiolica bianche e azzurre;  al termine della navata sinistra c’è una scalinata per la quale si discende in una grotta che la tradizione vuole facente parte della dimora di Zaccaria e luogo di nascita di Giovanni.

Dalla chiesa di San Giovanni saliamo a piedi, qualcuno recitando il rosario secondo l’invito di Padre Piermarco, sino all’altra chiesa, quella della Visitazione, edificata proprio in ricordo della  famosa viisita che Maria fece ad Elisabetta ai tempi in cui erano entrambe incinte: Maria di Gesù ed Elisabetta di Giovanni. Le pareti della chiesa ed il cortile davanti all’ingresso sono ricoperte da pannelli in maiolica nei quali viene riportato in tante lingue del mondo, una per pannello, il Magnificat. Nella chiesa inferiore è conservato, e venerato, un antico macigno che avrebbe nascosto Giovanni, credenza questa supportata dal fatto che nel macigno c’è scolpita un impronta che sembra quella di un bambino giacente.

Conclusa la visita, riscendiamo verso il pullman che ci riporta a Gerusalemme. Dal momento che Ain Karen e Betlemme sono nei territorio palestinese, il rientro a Gerusalemme comporta il passaggio da un chek point israeliano che padre Piermarco ci illustra essere abbastanza attento e meticoloso nel controllo delle persone e dei mezzi che vi transitano. Mentre tutti noi prepariamo passaporti e leviamo di giro macchine fotografiche e tutto ciò che potrebbe dare adito a qualche cattiva interpretazione da parte dei soldati israeliani che presidiano il chek point, il pullman si mette pazientemente in filo dietro a tanti altri mezzo. Fortuna vuole che la fila non proceda troppo lentamente come, secondo padre Piermarco, è capitato altre volte e finalmente quando dopo poco più di mezz’ora ci troviamo all’ingresso in Israele, subiamo la visita a bordo del pullman di un soldato israeliano, debitamente armato, che si limita però a camminare per il pullman entrando dalla porta davanti e uscendo dal retro e a darci po il via libera.

Il rientro alla Casa Nova avviene senza problemi e restiamo d’accordo quasi tutti per approfittare  dell’autista che, per una decina di euro a persona,  si offre di portarci in giro dopo cena per vedere Gerusalemme di notte. Il piccolo tour notturno ci porterà su una collina dalla quale si ammira un veramente splendido panorama di Gerusalemme by night, poi al Parlamento Israeliano, la Knesset, all’ingresso del quale c’è una grande menorah di bronzo e infine a passeggio in una strada centrale animata da locali dove la gioventù israeliana si ritrova per parlare e bere: il tutto rigorosamente entro le 23, ora alla quale la Casa Nova chiude i battenti, e nessuno di noi ha voglia di rischiare di restare senza letto.

Oggi, 28 aprile mercoledì, giornata interamente dedicata alla visita dei luoghi sacri di Gerusalemme che effettueremo a piedi senza l’aiuto del pullman il cui autista si prende un giorno di libertà.

Cominciamo di buon mattino effettuando l’intero percorso della via Dolorosa o Via Crucis, che altro non è se non il cammino che si crede Gesù abbia compiuto portando la croce sino al Calvario , le cui 14 stazioni sono evidenziate da una targa rotonda in bronzo murata alla parete.

Raggiungiamo la Prima Stazione che si trova in pieno quartiere ebraico nei pressi della Cappella della flagellazione,  uscendo dalla Porta Nuova, costeggiando parte delle mura e rientrando nella Città Vecchia attraverso la famosa e movimentata Porta di Damasco e proseguendo infine per le caratteristiche stradine del suq arabo. Ad ogni stazione facciamo una sosta e Padre Piermarco ci legge il relativo brano del vangelo. Quindi di stazione in stazione ritorniamo nel quartiere cristiano e infine alla Basilica del Santo Sepolcro dove sono  situate le ultime quattro stazioni.

La 14° ed  ultima Stazione infatti è il Santo Sepolcro, ovvero la tomba di Gesù, che è situata alla sinistra dell’ingresso, in una piccola cappella situata sotto una grande edicola rotonda  nella quale è inserita tra l’altro la piccola cappella dei Copti. Ci mettiamo disciplinatamente in fila per vedere il Santo Sepolcro, fila così lunga che si snoda interamente intorno all’edicola situata proprio al di sotto della cupola della Basilica.  Dopo quasi un’ora di fila tocca anche a noi genufletterci sulla lastra  di marmo che chiude il Santo Sepolcro illuminato da candele offerte dai fedeli; dopo di che continuiamo la visita della Basilica salendo al Calvario, situato questo a cinque metri dal piano della basilica e costituito  da due cappelle, una di proprietà dei cattolici-latini con mosaici  rappresentanti Gesù crocifisso, e l’altra di proprietà del greci-ortodossi  caratterizzata da una crocifissione  murale dipinta e rivestita d’argento lavorato, tipo le famose icone russe.  Ai lati dell’altare di questa cappella si vede la sommità della roccia che sormontava il Calvario e che resse la croce di Gesù. “ Essi allora presero Gesù ed egli, portando la croce, si avviò verso il luogo del Cranio, detto in ebraico Golgota, dove lo crocifissero e con lui altri due, una da una parte e uno dall’altra, e Gesù nel mezzo…….. Alle tre Gesù gridò con voce forte :” Dio mio, Dio mio, perché mi hai abbandonato?…..”.

Scendendo poi dal Calvario per tornare all’ingresso si incontra la Pietra dell’Unzione, lastra di marmo rosso particolarmente venerata da un gran numero di fedeli: proprio sopra questa lastra di marmo Giuseppe d’Arimatea adagiò il corpo di Gesù per la prevista unzione prima della sepoltura. Alla parete dietro la Pietra c’è un grande mosaico moderno raffigurante appunto l’’unzione e la venerazione del corpo di Gesù.

Sospendiamo per un paio d’ore le visite religiose per dare linfa al nostro stomaco tornando alla Casa Nova per il pranzo. Dopo di che riprendiamo la visita dei luoghi sacri della città, o meglio di alcuni dei luoghi sacri perché in realtà Gerusalemme è così piena di luoghi sacri cristiani, ebraici e islamici che non sarebbe sufficiente una intera settimana o anche un mese  per visitarli tutti.

Costeggiando le mura dalla parte della Cittadella, entriamo nel quartiere armeno della città: il quartiere è costituito in gran parte da un complesso monastico ed è abitato al momento da una comunità di circa 1500 persone che vive in un mondo a sé e che, almeno a quanto ci dice la guida, è difficile poter visitare. Noi infatti ci limitiamo a percorrere la strada che passa attraverso questo quartiere, soffermandoci alla Cattedrale di S. Giacomo: la chiesa è aperta e al suo interno, silenzioso e tipicamente ortodosso, respiriamo una atmosfera di mistero e di vuoto senza riscontro negli altri luoghi sacri.

Usciamo dalla Città Vecchia varcando la Porta di Sion e arriviamo al Cenacolo, il quarto luogo più sacro del cristianesimo, dove Gesù consumò l’Ultima Cena con gli Apostoli.  L’edificio originario, che divenne la prima chiesa cristiana, è stato distrutto diverse volte e passato di mano dai cristiani ai persiani, ai mussulmani, poi di nuovo ai crociati, poi mandati via dai turchi e divenuto moschea. Oggi è consentito visitare il luogo che, a parte il rilievo storico-religioso, ha veramente poco o nulla di mistico. Però “Ora, mentre essi mangiavano, Gesù prese il pane e, pronunziata la benedizione, lo spezzò e lo diede ai discepoli dicendo:”Prendete e mangiate; questo è il mio corpo”. Poi prese il calice e, dopo aver reso grazie, lo diede loro dicendo:” Bevetene tutti, perché questo è il mio sangue dell’alleanza…”.

 Usciamo dal cenacolo passando per il cortile della tomba di re David frequentato e venerato dai fedeli ebrei e raggiungiamo la vicina chiesa della Dormizione, sorta sul luogo ove Maria morì: l’interno, la chiesa risale ai primi del 900, si ricorda per un moderno mosaico nella cupola dell’abside, che raffigura Maria con Gesù bambino; nella cripta sottostante invece c’è una statua in pietra di Maria addormentata sul letto di morte.

Senza rientrare nella Città Vecchia, costeggiamo le mura assistendo a consuete scene di vita ebraica, e poi passando attraverso la Porta di Jaffa andiamo all’incontro con il Padre Custode della Terrasanta.

Cena come al solito e poi tutti a nanna presto: domani ci resta la visita dei due luoghi più rappresentativi di Gerusalemme anche se non cristiani: il Muro del Pianto o Muro Occidentale, ebraico, e la Spianata del Tempio con la Cupola della Roccia, islamiche.

Per il nostro ultimo giorno di visita di Gerusalemme attraversiamo il quartiere cristiano lungo quella che una volta era il Decumano, che collegava la porta di Jaffa a quella d’Oro, oggi chiusa,  e proprio  all’incrocio con il vecchio Cardo Maximus, che partiva dalla porta di Damasco,  entriamo nel quartiere ebraico; tutto questo sempre all’interno delle mura nella Città Vecchia. Il quartiere ebraico è di carattere residenziale con strade lastricate, ben pulito e ordinato, con moderni e ben tenuti condomini. Oggi è giornata lavorativa e questo ci consente di osservare scene di vita quotidiana, lontane anni luce da quello che pensiamo quando in Italia vediamo il telegiornale che ci racconta dei tanti incidenti mortali che avvengono in questa parte del mondo tra israeliani e palestinesi.

Ecco quindi bambini, anche piccoli, che da soli se ne vanno tranquillamente a scuola; uomini e donne che vanno al lavoro e prelevano da uno sportello Bancomat; ragazzi tutti rigorosamente vestiti con giacca nera e camicia bianca e con la testa coperta da un improbabile, per noi,  cappello; uomini, sempre in nero, con lunga barba bianca e cappello che conversano con altri uomini che portano legata sulla fronte una strana scatolina nera contenente, lo leggerò dopo, alcuni passi delle Sacre Scritture.

Arriviamo così ad una specie di belvedere dal quale ci aspetta una splendida veduta sul Muro del Pianto e sulla Spianata del Tempio dominata dalla Moschea di Al-Aqsa e soprattutto dalla Moschea di Omar con la sua famosa Cupola della Roccia che luccica in tutto il suo splendore nonostante il cielo sia, al momento, coperto: il tutto contornato dal panorama generale della vecchia Gerusalemme fatto da centinaia di piccole casette senza tetto, tutte rigorosamente di color bianco sporco.

A fianco del Muro del Pianto risalta un passaggio in legno sopraelevato e coperto che conduce alla Spianata del Tempio. Scendiamo lentamente verso il Muro del Pianto e poi il gruppo si scioglie dandosi un appuntamento dopo una trentina di minuti.

Che cosa è questo Muro del Pianto, tanto famoso quanto poco immaginabile; tutti noi ne abbiamo sentito parlare ma in realtà nessuna fotografia era mai riuscita a farmelo “vedere”. E ora ci sono. Le fotografie si sprecano. Tutto è da fotografare e fortuna vuole che nessuno si lamenti di questo. Il Muro è pieno di fedeli ebrei che pregano, nei loro costumi o meglio sarebbe dire nei vestiti che richiede loro la religione.

Il Muro del Pianto nasce 2000 anni fa  come semplice muro di contenimento per sostenere la parte esterna della spianata ove sorgeva il Secondo Tempio: è largo una settantina  di metri e alto poco più di venti metri. Fatto di grosse pietre  squadrate e sovrapposte  con qualche cespuglio che nasce tra una pietra e l’altra; è preceduto da un ampio piazzale e fiancheggiato a destra e a sinistra dalle mura di antichi palazzi: sia il piazzale che il Muro sono divisi in due zone, una riservata agli uomini e una alla donne. La parte riservata agli uomini è larga il doppio di quella delle donne ed  è anche molto più suggestiva in quanto piena  di fedeli ebrei, tutti a capo rigorosamente coperto dalla papalina chiamata kippah, invariabilmente vestiti di nero, con il talled, lo scialle bianco della preghiera sulle spalle, tutti accalcati alla parete e presi dalla preghiera che accompagnano con il dondolio del corpo. Altri fedeli stanno nello spazio antistante il Muro, chi in meditazione e chi in preghiera. A questi si mescolano, annacquando non poco l’atmosfera religiosa, i turisti come noi che al massimo cercano di carpire il senso della spiritualità del luogo guardandosi intorno, arrivando sino al Muro, sostandovi per un attimo per osservare le centinaia di bigliettini inseriti dai fedeli negli intersfizi delle pietre, e infine cercando di fotografare qualche scena da riportare a casa in ricordo  dell’esperienza che si sta vivendo senza riuscire a capirne in pieno la forza e il significato. Nella parte riservata alle donne invece c’è ugualmente una ressa di fedeli addossate al muro ma tutte vestite senza paludamenti religiosi e quindi le ebraiche si confondono con le turiste senza dare quindi quel colore suggestivo visto nella parte riservata agli uomini. Tanto è vero che una buona parte delle donne, almeno le turiste, finisce con l’affacciarsi al divisorio per osservare la zona riservata agli uomini.

La maggior parte dei fedeli sta addossata al Muro o nei suoi pressi, alcuni pregano seduti in mezzo al piazzale, vicino al divisorio dal settore femminile ci sta una specie di banchetto circondato da fedeli debitamente paludati con papalina bianca e scialle, che osservano un bambino di 13/14 anni seduto allo stesso tavolo che sta leggendo le Sacre Scritture. Mentre osservo il movimento del piazzale arrivano due fedeli, questa volta con scialle bianco e scatolina legata sulla testa, che portano a mano un bellissimo contenitore cilindrico in argento finemente istoriato contenente il grande rotolo di pergamena – chiamato Sefer Torah -  sul quale sono scritti i primi cinque libri della Bibbia e cioè il Pentateuco.  I due ebrei chiudono poi il grosso cilindro in una specie di armadio addossato al Muro. Tutto questo si svolge come se fosse una grande festa, ed è così tutti i giorni. Unica nota stonata in questa cerimonia religiosa è rappresentata dalle orrende sedie in plastica bianca che sono sparse per il piazzale e nelle vicinanze del muro che vengono evidentemente utilizzate da chi, tra una preghiera e l’altra, ha bisogno di riposarsi.

I trenta minuti passano in un baleno e il gruppo si ricompone intorno a padre Piermarco nei pressi della specie di pensilina che conduce alla Spianata del Tempio. Il passaggio al Quartiere islamico per i non musulmani è consentito solo dalla porta Bab al-Maghariba situata all’uscita della piazza del Muro e la fila è lunghissima. Ci mettiamo pazientemente in coda e mentre avanziamo lentamente verso la porta per i necessari controlli che vengono effettuati da alcuni militari, vediamo passare alcuni gruppetti di ebrei, tutti scortanti un bambino vestito a festa sempre sui 13 anni, che evidentemente festeggiano una qualche cerimonia religiosa avviandosi verso il Muro del Pianto. Superato il controllo, saliamo a piedi percorrendo la pensilina coperta che passa sopra la parte femminile della piazza del Muro, e ci troviamo come per incanto nel fantastico mondo della Spianata del Tempio.

Anche la Spianata, così come il Muro del Pianto, è famosissima ma credo che non sia inutile una sua breve descrizione formale e storica per chi non dovesse avere l’opportunità di vederla con i propri occhi. Intanto ha la forma di un rettangolo, lastricato con pietre antiche, con i lati di  circa 300 e 400 metri , del quale la parte di muro oggi conosciuta e venerata come Muro del Pianto aveva e ha tuttora la semplice  funzione di contenimento. 

La storia di questa grande spazio inizia mille anni prima di Gesù perché qui re David vi iniziò la costruzione del Primo Tempio. E lo fece costruire proprio qui perché la grande lastra di roccia che vi si trovava era ritenuta, dalla tradizione e dalla religione ebraica, la roccia sulla quale era stato fondato il mondo, la roccia sulla quale Dio aveva creato Adamo, la roccia sulla quale venivano compiuti i sacrifici, il più famoso dei quali era quello, rimasto per fortuna incompiuto, che stava per fare Abramo verso il figlio prediletto Isacco se non fosse stato fermato in tempo da Dio. Ragioni quindi per essere considerato Luogo Sacro dagli ebrei ce ne sono a sufficienza. Ma il destino volle che diventasse un luogo sacro anche per un’altra religione monoteistica, quella islamica. Infatti altra tradizione vuole che nel VII secolo d.C. Maometto in una notte sia arrivato a Gerusalemme e proprio dalla roccia esistente nella spianata sia asceso al cielo per incontrare Allah. Quindi il luogo è diventato sacro anche per i mussulmani che se ne sono appropriati e vi hanno costruito nel corso dei secoli alcuni interessanti e bellissimi edifici sui quali spicca la Cupola della Roccia che contiene la sunnominata lastra di roccia ritenuta sacra.

Lasciamo quindi l’atmosfera religiosa ma un po’ concitata del Muro del Pianto e della lunga coda per entrare nella Spianata, per ritrovarsi improvvisamente in una atmosfera più rilassata e tranquilla, quasi fuori del tempo. Di fronte a noi incontriamo la grande moschea di Al-Aqsa, un vero luogo di culto capace di ospitare 5000 fedeli, edificio che non possiamo visitare in quanto la visita di questa moschea, come di tutte le altre compresa la Cupola della Roccia, è vietata ai non musulmani dai tempi della Guerra del Golfo. Quindi dobbiamo accontentarci di ammirarla dall’esterno. Sembra che si tratti di una chiesa bizantina del VI secolo, trasformata poi in moschea, oppure che sia stata costruita ex-novo come moschea nell’VIII secolo. Fatto sta che nel corso dei secolo ha subito diversi e modifiche e restauri.

Comunque, anche se poi mi pentirò di non aver dato a questa costruzione l’importanza che meritava, la nostra attenzione viene subito attratta e rivolta alla costruzione che si eleva dal centro della Spianata e cioè dalla stupenda Cupola della Roccia o Moschea di Omar. E’ considerato il terzo luogo sacro dell’Islam dopo la Kashba alla Mecca e la Moschea del profeta a Medina e racchiude al suo interno, che non ci è consentito visitare, la famosa lastra di roccia.

Questo gioiello dell’architettura mondiale  risale agli ultimi anni del VII secolo quando il califfo Abd al-Malik fece abbattere la preesistente piccola Moschea di Omar, costruita dal califfo Omar qualche decennio prima sul luogo ove erano stati costruiti dagli ebrei il Primo e poi il Secondo Tempio, per sostituirla appunto con la Cupola della Roccia:  questo è il motivo per cui ancora oggi l’edificio che stiamo vedendo viene da alcuni chiamato ancora con il nome del califfo che per primo fece erigere una moschea in questo luogo. Nel corso dei secoli la Cupola ha subito diverse modifiche: nata con un aspetto  austero venne poi arricchita da mosaici sia interni che esterni e la sua cupola venne rivestita d’oro. Successivamente i mosaici interni vennero poi rimossi mentre quelli esterni, che oggi possiamo ammirare in tutto il loro splendore e il loro colore, vennero rinnovati nel recente 1963. Purtroppo anche la cupola non è più rivestita d’oro come in origine  – oro che sembra sia stato  fuso da un califfo pieno di debiti – ma di semplice alluminio anodizzato che comunque fa la sua figura.

La  Cupola, che culmina con il quarto di luna, simbolo mussulmano, si poggia su un edificio più grande ottagonale le cui pareti esterne sono rivestite, nella parte superiore di marmi di diverso colore che raffigurano scritte arabe, nella parte mediana di maioliche turche verdi, gialle, azzurre , bianche e nere, e infine nella parte inferiore di  marmo bianco; completano l’opera i quattro portali che precedono i quattro ingressi situati su quattro delle otto pareti, portali orientati verso i quattro punti cardinali.

Sono talmente preso dalla bellezza della Cupola che mi dimentico di osservare anche le altre, seppur piccole rispetto alla Cupola, costruzioni mammalucche presenti nella grande Spianata: la Cupola della Catena, la Sabil - fontana per le abluzioni - di Al-Kas, le Scuderie di Salomone, la Cupola dell’Ascensione e così via. Non vanno comunque dimenticate le sette scale che, in diversi punti,  fanno salire  alla parte della Spianata sopraelevata rispetto al tutto e sulla quale sorge la Cupola: possiamo dire che la visione della Cupola dai piedi della scala principale impreziosita dalle quattro arcate che sorgono in cima alla stessa, resta una delle più belle immagini di Gerusalemme da ricordare.

Ora a freddo posso dire che questi due splendidi gioielli di Gerusalemme, la Spianata per le sue bellezze architettoniche e il Muro del Pianto per l’atmosfera che vi si respira, sono stati troppo trascurati rispetto al tempo e alle attenzioni rivolte ai luoghi del cristianesimo, validi dal punto di vista storico e soprattutto religioso  ma certamente meno interessanti e  belli da quello artistico.

Fatto sta che, senza aver dato la dovuta attenzione alle Moschee e agli altri piccoli capolavori esistenti nella Spianata, usciamo da questo sito e passando attraverso giardini popolati da ulivi ci ritroviamo in pieno quartiere musulmano dove ci aspetta la visita di un altro luogo sacro del cristianesimo e cioè la chiesa di Sant’Anna sorta sul sito ove secondo la tradizione sorgeva la casa di Gioacchino e Anna, i genitori di Maria. Adiacenti alla chiesa visitiamo le rovine della vasca di Betesda, conosciuta anche come Piscina Probatica, nella quale la tradizione storica vuole che Gesù abbia guarito un paralitico.

Lasciamo la Chiesa e passando attraverso le sempre interessanti e suggestive stradine del suq arabo ci avviamo verso la Casa Nova. Claudio, Carla ed io, perdiamo i contatti con il gruppo e ne approfittiamo per infilarsi in una stradina in salita al termine della quale ci imbattiamo nel piccolo e anonimo ingresso del Monastero Etiope. Entriamo e siamo accolti da un etiope che attraverso una ripida scaletta ci conduce sul tetto dell’edificio dal quale si gode un panorama sui tetti di Gerusalemme pieni di antenne paraboliche, pannelli solari con boiler e panni stesi ad asciugare.

Continuiamo il cammino verso la Casa Nova, perdendosi tra le stradine del suq ma trovando il tempo di fermarsi ad uno dei tanti negozietti gastronomici per mangiare un ottimo felafel fatto di calde e piccantissime polpettine di verdura mescolate con salsine e condimenti vari. Proseguendo a naso e facendosi anche aiutare da un paio di negozianti riusciamo poi a ritrovare la strada giusta e a raggiungere la Casa Nova dove ritroviamo Grazia e il resto del gruppo.

Dopo il pranzo ritroviamo il nostro pullman che ci porta sul Monte degli Ulivi situato fuori dalla Città Vecchia, indicativamente sul retro della Spianata del Tempio. Iniziamo il percorso a piedi visitando la piccola e ottagonale Moschea dell’Ascensione, prima costruita come chiesa dai crociati sul sito di una chiesa bizantina  e poi definitivamente conquistata dai musulmani: sul pavimento di pietra viene venerata un’impronta che si dice sia l’ultima impronta di Gesù sulla terra. Da questa moschea passiamo alla Chiesa del Pater Noster che si trova all’interno di un bel cortile con le pareti ricoperte di mattonelle che riportano incisa la preghiera del Padre Nostro in oltre cento lingue diverse. Dal cortile scendiamo nella grotta nella quale la tradizione dice che Gesù parlasse ai suoi discepoli.

La celebrazione giornaliera della Santa Messa conclude poi la visita del complesso e dopo iniziamo il ritorno verso Gerusalemme scendendo  attraverso una ripida discesa che passa in mezzo ad un vastissimo cimitero ebraico che si differenzia da quelli ai quali siamo abituati dalla austerità e semplicità delle tombe disposte in fila, dalla assoluta mancanza di fiori e di fotografie: unica nota di colore sono dei piccoli sassi lasciati sulle tombe dai visitatori. Da qui si gode uno stupendo panorama controluce di Gerusalemme, con la Cupola della Roccia che risplende nel mezzo della Spianata e calamita gli sguardi e gli obbiettivi fotografici di tutti noi, panorama poi arricchito anche dalla veduta in secondo piano delle cupole a cipolla, dorate e lucenti, della Chiesa di Maria Maddalena di rito ortodosso.

Al termine della discesa si entra nell’Orto del Getsemani dove Gesù era solito stare con i suoi discepoli e dove poi venne baciato da Giuda e arrestato: in quest’orto si trovano alcuni degli ulivi più antichi del mondo ed infatti è accertato che tre ulivi risalgono a oltre 2000 anni fa. Purtroppo la ressa di visitatori rovina l’atmosfera che potrebbe suggerire il luogo e noi, come tutti gli altri, non possiamo esimerci dallo scattare qualche foto ricordo. Adiacente all’Orto sorge la Basilica delle Nazioni, di costruzione moderna al cui interno alcuni grandi mosaici illustrano il tradimento di Giuda e la cattura di Gesù, mentre la facciata esterna è sormontata da un altro mosaico raffigurante Gesù che assume su di sé le sofferenze del mondo.

Come ultimo luogo sacro visitiamo la vicina Tomba della Vergine scendendo per una larga scalinata che sembra condurci verso un luogo cupo, poco e male illuminato da alcune lampade di ottone  che scendono dal soffitto: il sito, costruito dai crociati, è di proprietà della chiesa greco-ortodossa ma solo gli armeni, i siriani e i copti vi hanno il diritto di officiare.

La visita è così terminata e noi ritroviamo il nostro pullman che ci riconduce nei pressi della Città Vecchia. Prima di cena, Grazia ed io, approfittiamo dell’ora che resta per andare a fare gli ultimi acquisti di ricordini arrivando sino alla famosa e movimentata Porta di Damasco. Come al solito le scene di vita di mercato si confondono e si intersecano l’una sull’altra ipnotizzando il nostro sguardo e la nostra attenzione: negozietti di frutta secca e caramelle colorate, macellerie con intere caprette spellate appese all’esterno, distese di spezie coloratissime che culminano in una improbabile montagna di vari colori, banchi di frutta e verdura, friggitorie di kebab e felafel,  banchetti dove le frittelle dolci ti invogliano all’assaggio, carretti pieni di olive verdissime, bambini che vendono pulcini colorati e così via. Il tutto arricchito dalla sempre piacevole presenza delle donne arabe che impaludate nei loro lunghi vestiti neri, bianchi o grigi si aggirano tranquille tra i vari banchi alla ricerca delle merce desiderata, invitandomi senza volerlo a immortalarle in tante immagini da portare in Italia.

Al mattino successivo, giorno della partenza e del ritorno in Italia, la sveglia suona più presto del solito perché è prevista la celebrazione della giornaliera Santa Messa alle sette presso la Basilica del Santo Sepolcro. Padre Piermarco, aiutato da padre Valerio e da padre Romero,  la  celebra in una delle tante cappelle della Basilica ma non nella cappella del Santo Sepolcro in quanto nonostante l’ora piccola c’è già una lunga fila di fedeli in attesa di visitarla.

Il ritorno alla Casa Nova, il carico delle valigie e la passeggiata fino al pullman che ci consente un ultimo sguardo alla città di Gerusalemme, avvengono senza problemi. Il pullman ci porta fino all’aeroporto di Tel Aviv dove arriviamo tre ore prima della partenza prevista: tre ore sono necessarie perché i controlli all’aeroporto si riveleranno più accurati e lunghi di quanto ci avevano avvisati e di quanto immaginassimo. Una prima coda durante la quale vengono rivolte, separatamente, domande alla guida, padre Piermarco, e ad uno di noi che parlava inglese per accertarsi che cosa avessimo fatto, chi avessimo visto, dove fossimo stai e così via. Primo controllo passaporti, poi controllo valigie tramite metal detector; in tale sede le valigie vengono numerate da uno a sei, con conseguente applicazione di numero sulle stesse, numero che determina l’accuratezza del controllo manuale al quale verranno sottoposte. Mi dicono che guai per chi ha la valigia con il sei: la valigia verrà svuotata e controllata nei minimi termini. Fortuna vuole che le nostre valigie siano numerate con il tre, controllo normale. Tocca a noi. Ci fanno aprire una valigia, una ragazza con guanti inizia a svuotarla, individua il vassoio, ci chiede, in inglese, che cosa abbiamo comprato, se ci hanno regalato qualcosa, se ce l’hanno impacchettato in nostra presenza, se ci è stato dato qualcosa da portare in aereo e così via. Finalmente passiamo. Ma non è finita, ora c’è il controllo bagagli a mano, borse, giubbotti e noi stessi. Passiamo attraverso il metal detector, è finita? No ancora il controllo passaporti, poi il check-in, ancora un controllo passaporti. Finalmente siamo vicini all’imbarco. Ci resta una mezz’ora per mangiare il cestino che ci hanno dato alla Casa Nova: stranamente sono passate inosservate ai controlli le bottigliette contenenti l’acqua da bere. Quindi imbarco e volo per Roma dove arriviamo dopo poco più di tre ore. Lunga attesa per il ritiro bagagli, saluti a tutto il gruppo e ringraziamenti a padre Piermarco, e poi subito alla ricerca del parcheggio dove una settimana prima avevamo lasciato l’auto.

Ancora tre ore e mezzo di strada e alle nove di sera arriviamo a Livorno.

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

 

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