DIARIO DI VIAGGIO IN THAILANDIA

Viaggio "fai da te" dal 23 febbraio al 3 marzo 1998 provenendo dalla Birmania
Per leggere la precedente parte del viaggio in Birmania cliccare qui THAILANDIA

In occasione del nostro viaggio in Myanmar per una visita a Chiara e Soe, con scalo obbligatorio a Bangkok sia all’andata che al ritorno, abbiamo pensato bene di allungare la vacanza e di restare una settimana in Thailandia. Con una veloce lettura della ponderosa ma preziosa guida EDT interamente dedicata alla Thailandia, avevo tentato di individuare le possibili mete da visitare compatibilmente con i pochi giorni a disposizione(dal 23 febbraio al 3 marzo, quindi otto giorni completi) e con il bisogno di qualche giorno di completo riposo. Decidiamo di dedicare due o tre giorni a Bangkok, una giornata per la visita di una delle antiche capitali, tre giorni di relax al mare e una ultima giornata a Bangkok nell’attesa della partenza prevista per le ore una del 3 marzo.

Lunedì mattina, 23 febbraio, di buon’ora, Chiara e Soe vengono a prelevarci all’albergo di Yangon per portarci all’aeroporto. Lasciamo soddisfatti la capitale del Myanmar perché questa volta siamo riusciti a conoscerla un po’ meglio, e non solo come luogo di visita di uno dei più grandi e ricchi agglomerati di costruzioni religiose esistenti nel sud-est asiatico. Quindi tutti sulla jeep, valigie in collo perché Soe ha già tolto il portabagagli, e via verso l’aeroporto ripercorrendo la bella strada a due corsie separate da una lungo filare di alberi. Salutiamo e ringraziamo Chiara e Soe per lo stupendo tour che ci hanno fatto fare nel Myanmar e ci avviamo a svolgere le solite formalità doganali: Chiara la rivedremo a Livorno verso il 20 di marzo, mentre Soe verrà nel prossimo settembre. L’aereo parte puntualmente e dopo poco più di un’ora atterriamo a Bangkok alle 12.10. Dal momento che i nostri movimenti in Thailandia verranno effettuati con mezzi pubblici, diviene obbligatorio limitare al minimo il bagaglio da portarsi dietro e quindi depositiamo in aeroporto ben 5 valigie di indumenti e souvenir vari: restiamo con un bagaglio a persona, per il momento………

Prima di lasciare l’aeroporto provvediamo a cambiare un po’ di dollari in Bath: la moneta thailandese vale circa 41 lire italiane grazie alla svalutazione subita negli ultimi mesi. Senza badare a spese prendiamo un taxi, Mercedes bianca, e ci facciamo portare all’albergo di Bangkok, scelto sulla guida: abituati alle sconnesse e strette strade birmane, restiamo un po’ impressionati dalla moderna autostrada che collega l’aeroporto alla città. Bangkok, città che il tassista ci dice avere ormai oltre 10 milioni di abitanti, ci viene incontro con le sue decine di grattacieli modernissimi e le enormi insegne pubblicitarie: ad appena un’ora di volo siamo in un altro mondo. In 45 minuti raggiungiamo il nostro hotel e una prima impressione ci convince di aver scelto giusto: il Newrotel è in zona che dovrebbe consentirci facili spostamenti, ha camere con servizi, aria condizionata, frigo e televisione, il tutto per 750 bath a camera doppia, colazione compresa: può andare anche se le camere sono piccoline e la moquette nel corridoio non è proprio il simbolo della pulizia. Ci liberiamo dei pochi bagagli rimastici e, senza perdere tempo, iniziamo la visita della città. Dobbiamo prima prendere contatto con le distanze, è una città veramente grande, e con il caldo, molto forte e umido. Vorremmo andare subito al Grand Palace ma un poliziotto, o qualcosa del genere, ci dice che oggi è chiuso e allora decidiamo di dedicare il pomeriggio al percorso in battello sul Chao Phraya River, il grande fiume di Bangkok.

Il Chao Phraya divide la città in due parti, a est la Bangkok vera e propria con i principali templi e palazzi, il quartiere cinese e quello indiano, la principale stazione ferroviaria, i nuovissimi grattacieli e a ovest il nucleo originario della città , chiamato Thonburi, capitale della Thailandia per quindici anni prima della fondazione di Bangkok, che si estende tra una miriade di canali più o meno grandi, tutti percorsi da ogni tipo di imbarcazioni a remi o a motore, e fiancheggiati da abitazioni in legno o in muratura.

Cominciando a scontrarsi con quella che si rivelerà come una delle più tipiche abitudini dei thailandesi, nessuno escluso, a partire dai guidatori di tuk-tuk per finire agli impiegati delle ferrovie, che consiste nel cercare disperatamente di condurre o indirizzare il turista dove possano riceverne un tornaconto e non dove lui ha chiesto di andare, riusciamo ad arrivare al punto di imbarco per poter prendere il vaporetto espresso che, come servizio pubblico, percorre l’intero tratto del fiume che divide Bangkok facendo diverse fermate sulle due rive. Per soli 10 bath ci facciamo un interessante viaggetto che ci consente di avere il primo approccio con la vastità della città. Il vaporetto solca il fiume ad una discreta velocità, tanto che i passeggeri seduti vicino alle fiancate hanno a disposizione dei cuscini rettangolari muniti di maniglia che non facciamo fatica a capire che servono per ripararsi dagli schizzi e non per sedersi. Restiamo a bordo sino alla fine della corsa e dopo oltre 30 minuti arriviamo al capolinea e precisamente a Nonthaburi, un agglomerato urbano praticamente senza soluzione di continuità da Bangkok ove vivono oltre 240.000 persone. Qui abbiamo il primo approccio con le bancarelle alimentari thailandesi: si trovano lungo il corso del fiume e sui margini delle strade e sono molto simili a quelle birmane; l'unica differenza a loro favore è senz’altro una visibile sensazione di maggiore pulizia, anche se ancora lontana dagli standard ai quali siamo abituati dalle nostre parti. Girelliamo un po’ e poi facciamo una breve sosta per bere una birra seduti al tavolo di un tipico locale coperto, situato lungo la riva del Chao Phraya. Torniamo al punto di imbarco, riprendiamo il battello e scendiamo dopo appena tre fermate sulla riva opposta del fiume, vicino ad uno dei ponti che uniscono le due rive. Per raggiungere il Vimanmek Teak Mansion,, un bellissimo palazzo costruito interamente in teak senza l’utilizzo di chiodi e sede, fino a 60 anni fa, della famiglia reale, prendiamo un autobus. Purtroppo arriviamo al palazzo quando ormai l’orario per le visite è terminato e quindi possiamo solo riprometterci di tornarci alla prossima occasione.

Cominciamo ad essere stanchi e a sentire il caldo umido: tutti i cani che incontriamo sono inesorabilmente stravaccati lungo il marciapiede. Il traffico è notevole, costituito soprattutto da centinaia di taxi-meter e da tuk-tuk: questi ultimi, tipico mezzo pubblico della città consistente in una moto carrozzata coperta su tre ruote e con sedile posteriore per tre persone, saranno il nostro principale mezzo di trasporto in Bangkok. Per tre persone e quindi il quarto di noi, Alberto o io a turno, doveva sedersi per traverso sui piedi degli altri tre facendo attenzione a tenersi ben stretto per evitare di venire sbalzato di fuori in occasione di qualche curva presa ad eccessiva velocità. Prima di salire sul tuk-tuk era d’obbligo una animata contrattazione sul prezzo: spesso riuscivamo ad ottenere riduzioni nell’ordine del 50 e anche 80 percento.

Dal palazzo in teak torniamo all’albergo in tuk-tuk, dopo aver tentano invano di capire quale autobus avremmo potuto prendere; anche qui ci scontriamo subito con l’altra realtà del paese: pochissime sono le persone che capiscono un po’ di inglese e quindi risulta praticamente impossibile riuscire ad ottenere, nonostante il nostro colorito e significativo gesticolare, le necessarie informazioni per spostarsi a Bangkok.

Arriviamo in albergo, ci sistemiamo nelle due camere, una di fronte all’altra al secondo piano, ci facciamo una doccia e poi usciamo alla ricerca di un ristorante nelle vicinanze segnalato dalla guida. Lo troviamo, si tratta del famoso Maria Bakery & Restaurant, dove possiamo mangiare di tutto, dai piatti tipici thailandesi a quelli vietnamiti e cinesi, per finire agli spaghetti e…..alla pizza. Anche se si tratta di piatti precotti e riscaldati al momento, mangiamo veramente bene. Spaghetti di riso e gamberi, banana fritta con miele e infine Grazia non riesce a non ordinare una pizza: buona anche questa! In quattro spendiamo 896 bath, poi, stanchissimi, cerchiamo una cabina telefonica internazionale per telefonare a nonna Tina e a Chiara e finalmente torniamo in albergo per andarcene a letto.

Martedì 24 febbraio, dopo una nottata trascorsa con l’aria condizionata quasi sempre accesa e un rumore di traffico pressochè continuo, ci facciamo una normale colazione in albergo e poi, con un tuk-tuk, ci facciamo condurre al Grand Palace. Cominciamo subito con le discussioni con i guidatori di tuk-tuk che, dopo aver stabilito il costo della corsa, sono di una insistenza eccezionale per cercare di condurci a fare shopping in qualche negozio dove chiaramente hanno una provvigione sugli acquirenti che riescono a procurare: il guidatore di questa mattina vorrebbe portarci al Buddha d’oro in Chinatown – centro di shopping forsennato – dicendoci che il Grand Palace apre soltanto all’una! Solo grazie alle nostre insistenze riusciamo finalmente ad arrivare dove volevamo, senza alcuna sosta forzata.

Il Grand Palace, insieme al tempio del Buddha di smeraldo (Wat Phra Kaew) e ad un centinaio di edifici, monasteri, chedi e piccoli padiglioni, si trova all’interno di un’area rettangolare circondata da un muro bianco lungo oltre un chilometro e situata nel centro di Bangkok vicino ad un’ansa del Chao Phraya. Questi edifici, costruiti a partire dal 1782, anno in cui Bangkok fu designata come capitale del regno dal re Rama I, riassumono due secoli di architettura thailandese e sono caratterizzati dai colori scintillanti dei tetti, con lucide tegole arancio e verde, e dai mosaici fatti con frammenti di porcellana in vari colori che ricoprono chedi – variante thailandese dello stupa birmano – colonne e statue.

All’ingresso del complesso c’è una grande quantità di turisti, soprattutto gruppi di gite organizzate; ci sono due custodi che squadrano rigorosamente l’abbigliamento dei visitatori, provvedendo a impedire l’accesso a chiunque sia vestito in maniera ritenuta sconcia: chi è in pantaloni corti o porta delle ciabatte deve accomodarsi in un locale adiacente per ritirare, dietro cauzione del passaporto e il pagamento di una tassa, un telo per coprirsi le gambe o un paio di scarpe chiuse. Finalmente entriamo e ci ritroviamo immersi in un mondo quasi magico: siamo circondati da edifici coloratissimi e scintillanti e abbiamo bisogno di un po’ di tempo per poterci orientare nella visita. Il primo edificio che prendiamo in considerazione è il grande Tempio ove si trova il Buddha di smeraldo. Lasciamo le scarpe all’esterno e entriamo in un grande ambiente, scarsamente illuminato, con le grandi pareti interamente coperte da pitture rappresentanti scene del Jataka ( vite precedenti del Buddha), scene della vita di Buddha e della cosmologia buddista. In fondo al tempio, si trova la statua del Buddha di smeraldo ( anche se in realtà è di giada) posta sopra un trono d’oro e racchiusa in una teca di vetro, il tutto collocato sulla sommità di un grande altare dorato: anche all’interno ci sono molti turisti, tutti rigorosamente in silenzio e seduti sul pavimento. E’ vietato fotografare. Le pitture murali meriterebbero molta più attenzione soprattutto se potessimo essere aiutati da una dettagliata descrizione dei soggetti. Noi ci limitiamo ad una visita di pochi minuti perché abbiamo lasciato fuori Ornella che proprio prima di entrare ha avuto un riacutizzarsi del dolore al piede che la ha costretta a sedersi per riprendere fiato. Continuiamo il giro passeggiando tra scintillanti edifici, statue di demoni dal viso di uomo o di scimmia, guerrieri a guardia degli ingressi, chedi slanciati verso il cielo, il tutto in una fantasmagoria di colori determinati da migliaia di "cocci" di porcellana che ricoprono le varie superfici. Limitandoci all’esterno troviamo il Pantheon Reale, ove sono sepolti i re della dinastia Chakri, la biblioteca, un plastico del complesso monumentale di Angkor in Cambogia e infine le mura perimetrali semicoperte che circondano parte degli edifici del complesso, interamente ricoperte da pitture murali ispirate a scene del Ramakian, versione thailandese del poema epico indiano Ramajana,. E’ veramente interessante "leggere" la storia della bellissima regina rapita dal malefico Ravana, re di Lonka,, e poi liberata, dopo innumerevoli battaglie, dal marito, re Rama, grazie al suo esercito di scimmie. Queste pitture murali, divise in ben 178 sezioni, risalgono alla fine del XVIII secolo, ai tempi di re Rama I e sono state recentemente sottoposte a restauri. Dopo una veloce lettura del poema illustrato, continuiamo nel giro del complesso monumentale. Visitiamo un grande edificio, sormontato da una serie di tetti coloratissimi che si sovrappongono l’uno all’altro in tipico stile thailandese, dove troviamo la sala delle udienze con bellissimo trono reale, la sala delle incoronazioni e infine la residenza dei re Rama I, II e III. Continuiamo verso l’edificio più grande del complesso, un palazzo a tre ali chiamato Grande Palazzo Sacro di Chakri, costruito nel 1882 in uno stile che mescola forme rinascimentali italiane ad elementi architettonici tipicamente thailandesi: la parte più interna di questo palazzo ospitava, un tempo, i grandi harem dei re thai ed era sorvegliato da donne armate sino ai denti. Attualmente possiamo visitare solo due locali al piano terreno ove sono esposte raccolte di armi antiche. Mentre osserviamo questo palazzo assistiamo al cambio della guardia. L’ultimo padiglione che visitiamo è la Dusit Hall, tutta in stile thailandese, costituita da una grande sala per le udienze con un grande trono in madreperla.

Stanchi e accaldati, facciamo una sosta ristoratrice in un locale situato all’interno del complesso: seduti ad un tavolino ci beviamo e mangiamo una noce di cocco e un fresco gelato. Ornella ha ormai superato il momento critico passato al momento dell’inizio della visita e, seppur a fatica, riesce a starci dietro. Prima di uscire da questo grande complesso, facciamo una veloce visita al museo ove sono raccolti vari pezzi architettonici dei vari edifici con la spiegazione delle tecniche usate e i tre vestiti con i quali

in base alla stagione, viene addobbata la statua del Buddha di smeraldo.

 

 

Dopo oltre quattro ore di visita, usciamo dal recinto del Grand Palace e, a piedi, ci dirigiamo verso il mercato degli amuleti buddhisti. Dopo poche centinaia di metri cominciamo ad incontrare venditori di amuleti e poi, al coperto fino alla riva del fiume, decine e decine di bancarelle con migliaia di immagini sacre in tutte le forme e dimensioni. Ci sono immagini o amuleti che costano molto e altre, apparentemente uguali, che ci vengono offerte per pochi bath: io mi limito ad acquistare un piccolo Ganesha ad un prezzo, rivelatosi poi - come al solito - eccessivamente elevato. La stanchezza e il caldo cominciano a farsi sentire e allora per raggiungere l’altro tempio situato nelle vicinanze del Grand Palace ricorriamo ad un tuk-tuk. In un attimo arriviamo al Wat Pho, il più antico e grande wat di Bangkok, con il più grande Buddha disteso della Thailandia e la più grande collezione di immagini di Buddha. Anche questo wat è circondato da un lungo muro imbiancato a calce e per l’ingresso dobbiamo pagare una ventina di bath. In un grande edificio si trova un bellissimo Buddha disteso nella posizione del trapasso nel nirvana, modellato in gesso intorno ad una struttura in mattoni e poi interamente coperto di una lamina d’oro, lungo 50 metri; i giganteschi piedi mostrano i 108 segni dell’eminenza del Buddha. Oltre ad altre interessanti e sempre diverse statue di Buddha disposte nelle varie cappelle del complesso (merita ricordarne una dorata situata su un altissimo altare), ci sono ben 394 immagini del Buddha , tutte ricoperte d’oro, nelle gallerie che uniscono le varie cappelle. Ma la cosa che più ci colpisce sono quattro meravigliosi chedi (stupa), che commemorano i primi tre re della dinastia Chakri, interamente ricoperti da migliaia di pezzetti di ceramica in vari colori che si ergono nei pressi del padiglione del Buddha disteso. Negli spazi esterni, tra alberi, bouganville e stupa ci sono diverse immagini in pietra grigia che ci ricordano simili personaggi e sculture già viste in Cina: ritengo che tali statue risalgano ad un periodo antecedente l’ultima costruzione del wat avvenuta nel 1781.

Alberto ed io continuiamo a girellare tra i vari padiglioni, gallerie, giardini mentre Grazia e Ornella si fermano al solito, immancabile negozio di souvenir. Tra l’altro troviamo i due locali dove vengono praticati i famosi massaggi thailandesi: al prezzo di 200 bath, un’ora di massaggio! Affacciandoci nel locale vediamo per lo meno una ventina di persone, sdraiate su altrettanti lettini uno vicino all’altro, che vengono più o meno dolcemente massaggiate per tutto il corpo; molte altre persone sono in attesa della chiamata. Anche a noi viene voglia di provare e andiamo a chiamare le nostre mogli: meglio spendere per un’ora di rilassante massaggio che per un ennesimo ricordino. Anche Grazia e Ornella si mostrano contente di provare il massaggio thailandese e così prendiamo quattro numeri e ci mettiamo in paziente attesa. Al nostro turno ci fanno indossare un paio di pantaloni larghissimi e per un’ora veniamo massaggiati letteralmente dalla punta dei capelli fino alle dita dei piedi, con un particolare riguardo alla parte del corpo che ognuno ha più dolorante: quando il massaggio finisce e mi alzo dal lettino provo la gradevolissima sensazione di non avvertire più il pur leggero dolore che ancora accompagnava la mia regione lombare! Non parliamo poi di Grazia che esce particolarmente soddisfatta e soprattutto di Ornella che afferma di non sentire più il dolore al piede , dolore che la accompagna ormai da diversi giorni. Prima di uscire facciamo la conoscenza con un pisano (!) che ha prolungato la sua permanenza a Bangkok proprio per poter partecipare ad un corso di massaggio della durata di una decina di giorni. Quindi, interamente messi a posto e riposati, torniamo in albergo con un tuk-tuk, non senza aver strenuamente contrattato per il prezzo che riusciamo a limitare a 100 bath nonostante una richiesta di partenza notevolmente più alta. Una buona doccia ci rinfranca ancora di più e, approssimandosi ormai l’ora di cena, scegliamo sulla guida il ristorante della serata: siamo abbastanza affamati perché, bevande a parte, abbiamo mangiato solo chi una noce di cocco e chi un gelato.

La scelta cade sul Bussaracum, un tipico locale con piatti tradizionali thailandesi e spettacolo di musica e danze che dovrebbe essere abbastanza vicino al nostro albergo, ma non tanto da andarci a piedi. Fermiamo un tuk-tuk, ma non conosce il locale e se ne va; altro tuk-tuk e questo finalmente dice di aver capito: "ok,ok, danze thailandesi, ok,ok", si stabilisce il prezzo e via. Orientativamente mi sembra che vada verso la zona giusta e infatti si ferma nei pressi di un grande ristorante con molti tavoli all’aperto, pieno di gente. Non riusciamo a vedere il nome e, fiutando qualcosa, domando al maitre che ci è venuto incontro se effettivamente si tratta del Bussaracum:" ok,ok" e ci fa accomodare sulla terrazza al primo piano, vicino ad un piccolo teatrino sul quale stanno danzando, abbastanza pateticamente, due thailandesi. Per ordinare il pesce Alberto ed io scendiamo da basso e il cameriere ci porta davanti ad un bellissimo bancone, tipo mercato, con tutto il pesce esposto: aragoste, gamberoni di varie misure, pesci da fare arrosto e tante qualità di arselle. Stasera non badiamo a spese e scegliamo due aragoste e qualche gamberone; il cameriere li pesa e ci fa capire che penserà lui a farceli cuocere nella maniera più adatta. Mentre torniamo al tavolo riusciamo finalmente a vedere l’insegna del ristorante e il sospetto di non essere stati condotti al locale che volevamo comincia a farsi sempre più concreto: il nome infatti è qualcosa di simile a Sea Food Center e quindi molto diverso da Bassaracum! Comunque ormai ci siamo e ci consoliamo dicendo che un locale vale l’altro. Purtroppo non sarà così perché, anche per la rabbia di essere stati presi per i fondelli, finiamo per non gustare il pesce che, oltretutto, ci viene servito in maniera alquanto squallida e povera, senza alcun contorno e guarnizione come invece siamo abituati anche nei locali molto più poveri. Lo spettacolo di danze e canti è di uno squallore unico e per finire, da un tavolo di quattro italiani che sono arrivati dopo di noi, abbiamo la conferma di non essere dove volevamo: anche loro avevano scelto, sempre sulla guida uguale alla nostra, un altro ristorante e, come era successo a noi, erano stati portati lì; evidentemente eravamo in un ristorante che dava delle laute provvigioni ai tuk-tuk che procuravano clienti piccioni. Oltre tutto paghiamo un conto salatissimo di quasi 4000 bath, oltre 40.000 lire a testa : più di quattro volte dei nostri abituali pasti. Prima di andare a letto, ci facciamo due passi nei dintorni cercando inutilmente di trovare il locale che avevamo scelto, e poi con un tuk-tuk torniamo in albergo.

Mercoledì 25 febbraio: anche oggi è una bellissima giornata e decidiamo di continuare nella visita di Bangkok. Colazione all’inglese e via per un altro giro.

La prima meta è il Wat Arun o Tempio dell’alba, che prende il nome da Aruna, il dio indiano del giorno nascente, e si trova sull’altra sponda del Chao Phraya e cioè a Thonburi. Lo raggiungiamo con un tuk-tuk che ci fa fare un giro vizioso nella disperata ricerca di convincerci a fare qualche sosta per lo shopping. Non ci lasciamo convincere e finalmente arriviamo al wat. All’interno del complesso si erge una torre alta 82 metri in stile khmer, interamente decorata da frammenti multicolori di porcellana cinese, abitudine, questa, risalente al periodo in cui le navi cinesi che facevano scalo a Bangkok usavano quintali di porcellana come zavorra.

Entriamo in alcuni edifici ove ci sono varie immagini di Buddha e un certo numero di fedeli che portano offerte e così arriviamo sulla riva del fiume, da dove, con un traghetto, torniamo sull’altra sponda: molto suggestiva la veduta del Wat Arun dal fiume con il suo altissimo stupa che scintilla alla luce del sole.

Ci mettiamo subito in cerca del punto di partenza da dove un bus-taxi di linea, e quindi con pochi bath, dovrebbe portarci in giro per i canali di Thonburi. Percorriamo il lungo fiume, tra decine di bancarelle e tipici locali ove si può bere una birra o fare uno spuntino a base di riso, incontriamo una giovane coppia di italiani come noi alla ricerca del punto di imbarco. Nel luogo indicato dalla guida ci dicono che non esiste il bus-taxi ma in compenso troviamo una barca privata che, dopo strenua trattativa sul prezzo e sulle modalità del percorso, accetta di farci fare un giro senza stop. Per oltre un’ora navighiamo piacevolmente lungo i canali più o meno grandi che dividono innumerevoli abitazioni costruite lungo le rive del Chao Phraya o addirittura su palafitte. Ci sono casette in legno modeste, altre decadenti, ma ci sono anche delle bellissime ville con giardini e addirittura condomini di recente costruzione con doppio ingresso, uno dalla strada e uno dal fiume. La nostra imbarcazione è lunga circa 12 metri ed è armata di un grosso motore fuoribordo simile a quello di un trattore, con un’elica che viene immersa appena a pelo dell’acqua. Ammiriamo delle bellissime bouganville, alberi di banane e altri frutti tropicali; immancabile nei giardini delle case un caratteristico altarino a forma di piccolo stupa ove i proprietari depositano le offerte per il loro Dio. Mano a mano che ci si allontana dal Chao Phraya vediamo diradarsi le abitazioni fino a ritrovarci quasi in piena foresta. Facciamo una brevissima sosta per acquistare una bibita da una venditrice in canoa e poi torniamo verso Bangkok; si rientra nel Chao Phraya lungo un canale vicino al wat Arun e infine riapprodiamo allo stesso punto di partenza. Tutto bene, salutiamo la coppia di italiani e, sotto un sole sempre più caldo, ci avviamo verso il wat Pho perché le nostre donne vogliono farsi una seconda seduta di massaggi. Nel frattempo Alberto ed io torniamo lungo il fiume e ci sediamo ad un tavolo in un piccolo localino di fronte al wat Arun. Sorseggiamo una birra freschissima e poi ci mangiamo un buon piatto di riso saltato con verdure. Black coffee in tazze leggermente ammaccate: ma è buono e anche Alberto – chi l’avrebbe mai detto! – se lo beve senza fiatare. Passeggiamo un po’ nei dintorni curiosando tra le decine di negozietti della zona per fare l’ora di riprendere le nostre donne. E’ qui che vediamo i negozi che vendono pesce essiccato, dalle sogliole alle seppie, esposto in grosse quantità lungo la strada. Torniamo al wat Pho proprio in tempo. Grazia e Ornella sono rimaste soddisfatte; salutiamo il pisano ripromettendoci di tornare per un ulteriore massaggio prima di lasciare la Thailandia e, con un autobus privo di aria condizionata, raggiungiamo il Wat Saket. Questo monastero non è di particolare interesse se non fosse per la collina artificiale, Golden Mount, che si eleva sul lato ovest del monastero stesso e che consente di poter vedere tutta Bangkok dall’alto. La salita è abbastanza faticosa soprattutto per Ornella che continua a soffrire al piede, però la veduta a 360° sulla città, contornata per tre quarti da grattacieli, ci ripaga della sofferenza. Quando torniamo indietro, alla fine della discesa, non ci facciamo sfuggire l’occasione per farci una piccola ma freschissima noce di cocco o una coca cola a secondo dei gusti.

Riprendiamo un autobus per raggiungere Chinatown e la stazione ferroviaria di Hualamphong dove dobbiamo domandare l’orario dei terni per il giorno dopo per andare a Ayuthaya. Questo tragitto si rivelerà come il più inquieto e sofferto dell’intera vacanza perché facciamo una immensa fatica ad ottenere le indicazioni necessarie per scegliere il bus, poi scendiamo molto tempo prima della stazione e dobbiamo percorrere una lunga strada piena di negozi di pompe funebri; siamo stanchi, fa caldo e Ornella comincia a non farcela veramente più. Ma riusciamo a superare l’impasse e con un tuk-tuk torniamo in albergo per una salutare doccia, due bottiglie di soda water e un’oretta di riposo. Di nuovo rinfrancati scommettiamo con noi stessi che stasera riusciremo senz’altro a trovare l’ormai famoso ristorante Bussaracum; anzi per esserne più sicuri ci facciamo scrivere il nome del ristorante in lingua thailandese e decidiamo di prendere un taxi ritenendolo più sicuro e attendibile dei soliti tuk-tuk. Purtroppo siamo destinati a restare con la voglia di quel ristorante perché il tassista ci porta nella zona richiesta e poi comincia a girare tra strade piene di traffico alla disperata ricerca dell’introvabile Bussaracum: meno male che avevamo pattuito una tariffa fissa, altrimenti se avessimo dovuto pagare a tassametro non so a quale cifra saremmo arrivati. Comunque dopo una mezza oretta di ricerche infruttuose, cominciamo a dare segni di impazienza e alla fine domandiamo al tassista, che era alquanto imbarazzato, se sapeva o no dove era il locale desiderato; ancora più imbarazzato ci dice di no e "go! go!": non ce lo facciamo dire due volte e tutti e quattro, all’unisono, scendiamo dal taxi, lasciandolo lì senza pagare un bath ma evidentemente soddisfatto di essersi finalmente sbarazzato di noi. Siamo in Silom Road, una lunghissima strada piena di negozi, grandi magazzini, alberghi e banche. Chiediamo ad un tuk-tuk se conosce il Bussaracum: sì, dice, e allora via, finalmente! Ma di nuovo anche questo comincerà a girare inutilmente per tutte le strade e stradine del circondario, finchè non gli diciamo di fermarsi e di lasciarci scendere: abbiamo deciso di rinunciare definitivamente al Bussaracum e cerchiamo un altro ristorantino nei paraggi che possa ugualmente soddisfarci. Lo troviamo in una traversa della Silom Road e ci facciamo una discreta ma piccantissima mangiata in perfetto stile thailandese e ad un prezzo modestissimo. Dopo cena passeggiamo per Silom Road scoprendo che questo è il regno dello shopping degli oggetti firmati ma, evidentemente falsi: orologi, magliette, borse, vestiti, profumi. Trascorriamo un paio d’ore tra decine di bancarelle e migliaia di turisti alla disperata ricerca di qualcosa da comprare. Inutile dire che le trattative di sprecano; si parte da una richiesta per concludere come minimo alla metà o addirittura ad un terzo dell’importo iniziale. Naturalmente nessuno di noi riesce a passare indenne da quel luogo di perdizione e poi, finalmente, carichi di pacchi e pacchettini, dopo mezzanotte, prendiamo un ennesimo tuk-tuk per farci portare a letto, sfiniti ma soddisfatti dell’intensa giornata.

Sospendiamo la visita di Bangkok per poter vedere magari una delle antiche capitali della Thailandia; optiamo per Ayuthaya, a circa 80 km. a nord di Bangkok, capitale del regno dal 1350 al 1767. Decidiamo di visitarla dalla mattina alla sera, tornando quindi a dormire a Bangkok. Quindi dopo la solita colazione, ci facciamo portare alla stazione e prendiamo un treno di sola terza classe che in un’ora e mezza, nonostante diversi rallentamenti per lavori in corso, ci porta ad Ayuthaya. Il viaggio scorre abbastanza piacevolmente nonostante le panche di legno; ci cono posti a sedere in abbondanza e anche il paesaggio è interessante. Per arrivare in piena campagna il treno impiega quasi un’ora, attraversando innumerevoli sobborghi e dintorni di Bangkok che in pratica si estende sino al suo aeroporto.

Resto impressionato dalla quantità di persone che vivono, lavorano, oziano, mangiano e giocano in baracche e capanne ai margini della ferrovia e proprio qui mi viene da pensare alla differenza tra il livello di vita esistente in Myanmar e quello della Thailandia. Nella prima il livello generale è molto più basso, ma resta pur sempre dignitoso senza scendere mai così in basso come qui; in Thailandia invece esistono sì gruppi di persone che stanno bene, con un tenore di vita che non ha niente da invidiare a quello di un occidentale, accanto però a tante altre persone che vivono ai margini della grande città e delle sue ricchezze senza goderne alcun beneficio, ma anzi ricevendone soltanto i lati negativi.

E così scendiamo alla stazione di Ayuthaya, oggi cittadina con poco più di 70.000 abitanti ma che un tempo, quando era capitale del regno, aveva superato il milione di anime. La città sorge sulla confluenza di tre fiumi, il Chao Phraya ( e quindi risulta collegata a Bangkok anche via fiume), il Pa Sak e il Lopburi. Per la visita dei templi più importanti, che sono situati abbastanza lontani l’uno dall’altro e spesso in aperta campagna, dobbiamo noleggiare un tuk-tuk che per 800 bath resterà a nostra disposizione sino al completamento del giro. Il prezzo poi si rivelerà eccessivo perché al ritorno vedremo in stazione che esiste una tariffa pubblica che stabilisce in soli 600 bath il costo di un tale servizio.

Il primo tempio che visitiamo è il Wat Yai Chai Mongkhon situato a sud-est della città e un tempo molto famoso per la meditazione. Fu costruito nel 1357 da re U Thong e ancora oggi risulta molto interessante e ben tenuto. E’ circondato da giardini e ospita un chedi molto grande costruito in mattoni rossi e diverse statue intonacate di Buddha in posizione seduta. Il secondo tempio è ancora fuori della città e si chiama Wat Phra Chao Phanan Choeng; anche questo è preceduto da un grande spiazzo assolato, circondato dalle immancabili bancarelle di souvenir. L’interno non presenta niente di particolare, a parte un’immagine di Buddha seduto alto 19 metri. Ornella anche stamani ha dei forti dolori al piede e questo le causa una brutta caduta sugli scalini che portano al tempio, fortunatamente senza conseguenze, grosso spavento a parte. Continuiamo il giro con il Wat Mongkhon Bophite il Wat Phra Si Sanphet situati entro la città. Quest’ultimo è il tempio più grande di Ayuthaya e sorge accanto al luogo ove c’era il palazzo reale. Girelliamo tra diverse rovine di chedi e edifici in mattoni, costruiti in uno stile divenuto poi il più rappresentativo dell’arte thailandese. Il caldo comincia ad essere insopportabile. Grazia e Ornella si fermano all’ombra di uno stupa, mentre io ed Alberto andiamo verso la zona ove sorgeva il palazzo reale: niente di particolare da segnalare e anche noi torniamo indietro dal nostro tuk-tuk che ci stava aspettando all’ombra di un grosso albero: che differenza tra il guidare il tuk-tuk a Bangkok e farlo invece qui ad Ayuthaya! Di nuovo in moto e altra sosta nei pressi di una grande statua di Buddha sdraiato costruita in uno spazio aperto: queste grandi immagini di Buddha anticamente venivano per lo più costruite e lasciate all’aria aperta, mentre l’usanza di proteggerle in templi o altri edifici è stata importata dai cinesi. La visita all’ultimo Wat ormai non ci offre più niente di nuovo, tanto che Grazia e Ornella preferiscono restare nel tuk-tuk.

Terminato il giro dei templi di Ayuthaya chiediamo al tuk-tuk di portarci al Phae Krung Kao, un ristorante galleggiante sulla riva del Pa Sak. Inutile dire che in un primo momento veniamo scaricati in un altro ristorante e solo dopo nostre grosse insistenze riusciamo a farci portare dove volevamo. Nonostante sia ormai passata l’ora della chiusura ci fanno accomodare ad un tavolino su una piattaforma galleggiante sulla riva del fiume: abbiamo una sete tremenda e nessuno di noi resiste alla tentazione di bere un bicchiere di acqua con ghiaccio. Buon pranzo a base di gamberoni con una deliziosa salsina, il tutto accompagnato da un gradevole movimento di barche e lunghissimi barconi lungo il fiume. Con tutta calma ci avviamo poi a piedi verso la stazione: il caldo è forte e non ci lasciamo sfuggire l’occasione di un tuk-tuk che ci passa accanto . Ma le fregature continuano e veniamo scaricati vicino alla stazione ma al di qua del fiume e quindi dobbiamo aspettare il traghetto! Finalmente giungiamo alla stazione e nell’attesa del treno possiamo berci l’ennesima bibita e fare una discreta conoscenza dell’ambiente ferroviario thailandese. Il viaggio di ritorno risulterà meno comodo di quello della mattina a causa del maggior numero di passeggeri, ma ugualmente interessante. Arriviamo a Bangkok quando ormai è buio e con un po’ di difficoltà riusciamo a trovare un mezzo che accetti di portarci all’albergo per la tariffa stabilita da noi: infatti dobbiamo rinunciare al tuk-tuk e servirci di una specie di mini-pulmino scarcassato senza insegna. Comunque tutto bene, albergo, doccia, cena leggera da Maria Backery e poi a letto presto. Il viaggio si sta ormai avviando alla conclusione: ci restano da domani tre giorni di pieno relax al mare e poi si torna a casa.

Non avendo tanto tempo a disposizione e soprattutto essendo vincolati ad un preciso orario per il viaggio di ritorno, dobbiamo nostro malgrado rinunciare all’isola thailandese e accontentarci di una spiaggia facilmente raggiungibile da Bangkok. La nostra scelta cade su Hua Hin, una cittadina di 40.000 abitanti situata sulla costa orientale del golfo della Thailandia a circa 280 km. da Bangkok. La guida ce la descrive come una cittadina tranquilla, con discrete spiagge senza i difetti e le volgarità di Pattaya.

Di buon mattino ci facciamo portare con un taxi al bus-terminal dal quale partono moltissimi autobus per le varie località del paese. Facciamo un confortevole viaggio su un autobus nuovo, fornito di aria condizionata, su strade larghe e lisce e in poco più di tre ore arriviamo a Hua Hin: il tutto per soli 55 bath! Durante il viaggio abbiamo così l’opportunità di osservare la realtà thailandese al di fuori della capitale. Per prima cosa restiamo colpiti dalla estensione di Bangkok e dalla quantità di nuovissime e larghe strade in costruzione in previsione evidentemente di un grosso incremento del traffico automobilistico. Usciti finalmente dalla periferia della capitale con i suoi grandi depositi e magazzini, cominciamo a vedere rade abitazioni immerse in bellissime piantagioni di banani e di palme spesso attraversate o divise da piccoli canali di irrigazione. La prima fermata è a Samut Sakhon, 28 km. a sud di Bangkok; ripreso il viaggio inizia un paesaggio costellato da una serie infinita di saline e da vecchi mulini a vento. Più a sud, dopo un'altra fermata che ci permette una buona bevuta, il paesaggio cambia e passiamo attraverso verdissime risaie: a qualche chilometro sulla nostra destra vediamo una catena di montagne che separano la Thailandia dalla Birmania. Non possiamo resistere dal fare paragoni tra le povere abitazioni di legno con semplici pareti in foglia di palma intrecciata viste in Myanmar e quelle che vediamo ora scorrere dal finestrino dell’autobus; queste, pur essendo in legno, si presentano molto più solide e ordinate, con vasi di fiori alle finestre, con giardini ben tenuti e con antenne televisive dritte e altissime, ben fissate al tetto e quindi ben diverse da quelle birmane legate su una semplice e oscillante canna di bambù. Dopo una nuova breve sosta a Phetburi continuiamo il viaggio verso sud e infine cominciamo a vedere alti complessi alberghieri costruiti, purtroppo, sulla riva del mare, che annunciano l’approssimarsi della località balneare di Hua Hin. L’autobus prosegue verso sud e noi scendiamo in una piazza del paese, da dove, con due samlor (bici con sidecar) ci facciamo portare all’hotel Ban Boosarin. La camera doppia, senza colazione, qui costa 950 bath, ma è un bell’ambiente e anche le camere risultano di nostra piena soddisfazione. Ora siamo veramente a posto e già ci pregustiamo tre stupende giornate di mare tropicale. Dopo una veloce sistematina in albergo usciamo alla ricerca di un ristorante. Ne scegliamo uno lungo la strada principale, dove mangiamo degli ottimi calamari cucinati con garlic (aglio) e uno stupendo gelato alla cioccolata. Poi via verso la spiaggia. Il tempo di spogliarsi, saggiare l’acqua con un piede e….ci ritroviamo tutti in mare a galleggiare immersi in una gradevolissima acqua tiepida! Mai sentita un’acqua così! La spiaggia, fatta di sabbia bianca e finissima, è molto estesa in lunghezza ma non eccessivamente profonda ; ci sono diverse zone attrezzate con ombrelloni e sedie a sdraio e, purtroppo, un altissimo grattacielo, sede di un lussuoso albergo, a solo un centinaio di metri dal mare. Dopo il primo bagno di sole e di mare facciamo una passeggiata per il paese: non mancano i negozi di articoli locali, bancherelle di souvenir tra i quali spiccano oggetti e animali fatti interamente da piccole conchiglie(da ricordare dei grossi pavoni o tacchini dai colori impossibili), ristoranti, locali di ritrovo e tanti venditori di specialità alimentari soprattutto a base di pesce(resterò con la voglia di mangiare un calamaro infilzato in un bastoncino e cotto sulla griglia al momento).

Doccia in albergo e poi alla ricerca di un ristorante per mangiare un po’ di pesce. Ci sono molti locali lungo il mare e il molo e tutti hanno l’abitudine di esporre il pesce su alcuni banchi all’ingresso, ma nessuno riesce a convincerci ad entrare; alla fine scegliamo un discreto locale lungo la strada principale dove mangiamo gamberoni e calamari alla griglia. Niente di particolare se non fosse per la gradita sorpresa del prezzo: non crediamo ai nostri occhi, solo 300 bath, si sono dimenticati di conteggiare i piatti di pesce e le bevande; mentre Grazia e Ornella distraggono il cameriere, paghiamo e ci allontaniamo in fretta. Girelliamo per il paese: anche qui di sera le strade sono piene di bancherelle con falsi prodotti firmati e naturalmente le solite specialità culinarie preparate al momento. La prima giornata di mare è ormai terminata e, stanchi, ce ne andiamo a dormire.

Sabato 28 febbraio ci svegliamo alle otto dopo una buonissima dormita. Colazione in albergo e poi subito in spiaggia. Per pochi bath noleggiamo un ombrellone con quattro sedie a sdraio e un tavolino proprio vicino al mare. Tra offerte di massaggi, manicure e pedicure, frutta esotica e pareo dai bellissimi colori, nonché rilassanti bagni nelle tiepide acque siamesi e dolci passeggiate lungo la spiaggia alla ricerca di conchiglie, trascorriamo una riposante mattinata: proprio quello che ci voleva dopo 20 giorni di viaggio abbastanza movimentato.

La spiaggia non è affollata e solo una piccola parte degli ombrelloni sono occupati. La nostra noleggiatrice di ombrellone è una simpatica e grossa thailandese che sta dietro una piccola bancarella dove possiamo trovare di tutto, dalle bibite fresche ai liquori e al caffè e soprattutto del buonissimo pesce che scegliamo direttamente dal suo capiente frigorifero: gamberoni saltati, gambe di granchio gigante fritte, risotto e noudles ai gamberetti, cozze dal caratteristico guscio viola e arselloni saltati, il tutto cotto e mangiato in spiaggia. Nuovo riposino con una buona lettura e poi, per merenda, un gustoso piatto misto di frutta esotica preparatoci da Mamy: mango, ananas, papaja, cocomero e banane. Tra le cinque e le sei lasciamo la spiaggia e ci avviamo in albergo: a parte l’imbarazzante incontro con il cameriere del ristorante di ieri sera che ci domanda se avevamo pagato il conto (come no!?, abbiamo pagato ad una cameriera), tutto procede bene con le solite soste alle bancarelle alla disperata ricerca di gattini, canini, elefanti, zaini, cappellini, magliette, orologi, sandali, Buddha, pantaloni, vestiti e naturalmente nuove valigie per poterli portare in Italia: tanto per la cronaca ricordo che abbiamo già lasciato cinque valigie in deposito all’aeroporto di Bangkok e altrettanti pacchi all’albergo Newrotel! Dopo una frugale cena a base di gelato gigante, ce ne andiamo a letto.

E’ domenica primo marzo e perdiamo la scommessa di chi arriva per primi in spiaggiaquando Grazia ed io arriviamo all’ombrellone, lo troviamo già occupato da Alberto da solo, Ornella sta ancora dormendo. Ci facciamo preparare una buona colazione da Mamy e …ci godiamo una nuova giornata di mare, sole , riposo e ottimo pesce; oggi granchio bollito, calamari alla griglia, gamberoni e risotto. Lunga passeggiata lungo a spiaggia, direzione sud: anche oggi la spiaggia non è minimamente affollata e si incontrano anche ampi spazi liberi. In lontananza si vedono alti edifici che deturpano un po’ il paesaggio rendendolo simile alla spiaggia di Rio, ma la passeggiata resta comunque piacevole e rilassante. Oggi si vede anche qualche thailandese che fa il bagno in mare, tutti però rigorosamente vestiti: nonostante le spiegazioni

di Mamy resteremo con il dubbio sul perché i thailandesi non si mettano in costume da bagno: per pudore o perché non hanno i soldi per comprarselo? Ci facciamo il bis del piatto misto di frutta esotica e poi salutiamo Mamy: domani si parte, si torna in Italia. Passeggiata, gelato e…ancora acquisti, poi a nanna.

Colazione in albergo, a piedi alla fermata del bus con la nostra collezione di valigie e zaini e si parte. Arriviamo a Bangkok poco dopo le 12 e in taxi ci facciamo portare all’albergo dove depositiamo altri bagagli.

Abbiamo una intera giornata a disposizione in quanto dovremo essere all’aeroporto solo verso le ore 10 di stasera e quindi la dedichiamo a quanto non abbiamo potuto vedere nei giorni scorsi: il palazzo reale in teak, il Buddha d’oro, un grande magazzino. Pertanto dall’albergo prendiamo un tuk-tuk che, con grandi difficoltà (ci convinciamo sempre di più che i guidatori di questi mezzi conoscano pochissimo la città in cui lavorano: spesso quando mostriamo loro la pianta di Bangkok per indicare dove vogliamo andare, guardano la pianta come se fosse quella di un’altra città….la girano e la rigirano con aria piena di dubbi), ci porta finalmente all’ingresso del Vimanmek Teak Mansion giusto in tempo per poter entrare e partecipare all’ultima visita guidata.

Questo bellissimo palazzo in teak fu costruito nel 1868 sul Ko Si Chang e solo nel 1910 venne trasferito nella sua sede attuale all’interno di un grande parco situato nella parte nord del centro di Bangkok. E’ un edificio di tre piani con 81 camere, sale e anticamere ed è considerato il più grande palazzo in teak del mondo; nei primi anni del novecento fu residenza del re Rama V per essere poi chiuso nel 1935 e riaperto al pubblico nel 1982 che ha così la possibilità di ammirare le stupende stanze contenenti vari oggetti personali del re e una collezione di opere d’arte del primo periodo Ratanakosin. Per poter entrare nel palazzo dobbiamo depositare scarpe, borse, marsupi e macchine fotografiche. E’ molto piacevole camminare a piedi nudi sui lucidissimi pavimenti in teak delle varie stanze del palazzo sino alla sala reale ove ci sediamo per terra su bellissimi tappeti cinesi.

Al termine della visita prendiamo un taxi e ci facciamo portare in Silon Road, qui visitiamo una grande magazzino e poi ci incamminiamo verso l’albergo. La strada è lunghissima, piena di negozi, alberghi, banche e ristoranti e con l’avvento della sera vede aumentare continuamente la quantità delle persone che vi circolano. Facciamo gli ultimi acquisti e infine, se pur un po’ stanchi, riusciamo a ritrovare l’albergo. Ritiriamo i nostri innumerevoli bagagli, ringraziamo e con un capiente taxi raggiungiamo l’aeroporto.

Salutiamo Bangkok, una delle grandi metropoli del sud-est asiatico, con i suoi innumerevoli grattacieli che coesistono con modestissime e squallide capanne in legno lungo i binari della ferrovia, con i suoi intriganti ma comunque simpatici guidatori di tuk-tuk che cercano disperatamente di portarti a fare shopping, con il suo movimentatissimo Chao Phraya River e le sue decine di canali pieni di fascino orientale e infine con gli stupendi mosaici fatti di frammenti multicolori di piatti di porcellana cinese che rivestono edifici, stupa e figure di demoni.

All’aeroporto te di particolare da segnalare: ritiriamo i bagagli e, dopo una lunga ma prevista attesa, ci imbarchiamo verso l’1 e mezzo del mattino del giorno 3 marzo 1998. Volo di quasi dodici ore fino a Roma ove atterriamo poco dopo le ore 7 dello stesso giorno. Salutiamo Alberto e Ornella e con un intercity arriviamo a Livorno prima delle 13. Il viaggio è finito e possiamo dirci veramente soddisfatti di come sia andato, considerando anche le difficoltà e contrattempi che avevano preceduto la partenza.

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