MEDITAZIONE
PER IL TEMPO DI QUARESIMA
“Come
guarire le nostre ferite” –
Giovanni Crisostomo ci ricorda che “le vie della riconciliazione con
Dio sono molte e svariate, però tutte conducono al Cielo”. La prima è quella
della “condanna dei propri peccati”.
Confessa per primo il tuo peccato e sarai giustificato. Perciò anche il profeta
diceva: “Dissi, confesserò al Signore le mie colpe, e tu hai rimesso la
malizia del mio peccato” (Sal 31,5). Condanna dunque anche tu le tue colpe.
Questo è sufficiente al Signore
per la tua liberazione. E poi, se condanni le tue colpe, sarai più cauto nel
ricadervi. Smuovi la tua coscienza a divenire la tua interna accusatrice, perché
non lo sia poi dinanzi al tribunale del Signore. Questa è dunque una via di
remissione, e ottima; ma ve n’è un’altra per nulla inferiore: non
ricordare le colpe dei nemici, dominare l’ira, perdonare i fratelli che ci
hanno offeso. Anche così avremo il perdono delle offese da noi fatte al
Signore. E questo è un secondo modo di espirare i peccati. “Se infatti
perdonerete agli uomini le loro colpe, il Padre vostro celeste perdonerà anche
voi”.(Mt 6,14). Vuoi imparare ancora una
terza via di purificazione? E’ quella della preghiera fervorosa e ben
fatta che proviene dall’intimo del cuore. Se poi vuoi conoscere anche una
quarta, dirò che è l’elemosina.
Questa ha un valore molto grande. Aggiungiamo poi questo: Se uno si comporta con
temperanza e umiltà, distruggerà alla radice i suoi peccati con
minore efficacia dei mezzi ricordati sopra. Ne è testimone il pubblicano che
non era in grado di ricordare opere buone, ma al loro posto offrì l’umile
riconoscimento delle sue colpe e così si liberò del grave fardello che aveva
sulla coscienza. Abbiamo indicato cinque vie di riconciliazione con Dio.
La prima è
la condanna dei propri peccati, la seconda è il perdono delle offese,
la terza
consiste nella preghiera, la quarta nell’elemosina e la quinta nell’umiltà.
(dall’Omelia
sul diavolo 2,6 – di San Giovanni Crisostomo)
*****
Grida
a squarciagola, non aver riguardo; come una tromba alza la voce;
dichiara
al mio popolo i suoi delitti, alla casa di Giacobbe i suoi peccati.
Mi
ricercano ogni giorno, bramano di conoscere le mie vie, come un popolo che
pratichi la giustizia
e non abbia
abbandonato il diritto del suo Dio; mi chiedono giudizi giusti, bramano la
vicinanza di Dio:
“Perché
digiunare, se tu non lo vedi, mortificarci, se tu non lo sai? ”.
Ecco,
nel giorno del vostro digiuno curate i vostri affari, angariate tutti i vostri
operai.
Ecco,
voi digiunate fra litigi e alterchi e
colpendo con pugni iniqui.
Non
digiunate più come fate oggi, così da fare udire in alto il vostro chiasso.
È
forse come questo il digiuno che bramo, il giorno in cui l’uomo si mortifica?
Piegare
come un giunco il proprio capo, usare sacco e cenere per letto, forse questo
vorresti chiamare digiuno e
giorno gradito al Signore?
Non
è piuttosto questo il digiuno che voglio: sciogliere le catene inique, togliere
i legami del giogo, rimandare liberi gli oppressi e spezzare ogni giogo?
Non
consiste forse nel dividere il pane con l’affamato, nell’introdurre in casa
i miseri, senza tetto, nel vestire uno che vedi nudo, senza distogliere gli
occhi da quelli della tua carne?
Allora
la tua luce sorgerà come l’aurora, la tua ferita si rimarginerà presto.
Davanti
a te camminerà la tua giustizia, la gloria del Signore ti seguirà.
Allora
lo invocherai e il Signore ti risponderà; implorerai aiuto ed egli dirà:
“Eccomi! ”.
Se
toglierai di mezzo a te l’oppressione, il puntare il dito e il parlare empio,
se offrirai il pane all’affamato, se sazierai chi è digiuno, allora brillerà
fra le tenebre la tua luce, la tua tenebra sarà come il meriggio.
IL
LIBRO DEL CROCIFISSO
O
uomini, o donne, o padri, o
figli, o figlie,
o
preti, o chierici, o religiosi, o monaci,
o
monache, o grandi, o piccoli, o cittadini,
o grandi maestri, o d’ogni sorte e grado di persone,
pigliate
questo libro del Crocifisso in mano,
dove
sono descritti tutti i benefici
che
Dio ci ha fatti e fa ogni giorno
e
questo ti gioverà più che tutti gli studi del mondo….
.Andiamo
tutti a cercare il Signore.
Pentiamoci
dei nostri peccati,
torniamo
alla Confessione e alla Comunione,
lasciamo
il superfluo, torniamo alla semplicità.
Questa
è la via di Cristo.
(
Girolamo Savonarola)
*****
Il
parcheggio del Calvario
<<Collocazione provvisoria>>
Nel Duomo vecchio di Molfetta c’è un grande crocifisso di terracotta.
L’ha donato, qualche anno fa, uno scultore del luogo. Il parroco, in attesa di
sistemarlo definitivamente, l’ha addossato alla parete della sagrestia e vi ha
apposto un cartoncino con la scritta: collocazione provvisoria. La scritta, che
in un primo momento avevo scambiato come intitolazione dell’opera, mi è parsa
provvidenzialmente ispirata, al punto che ho pregato il parroco di non rimuovere
per nessuna ragione il crocifisso di lì, da quella parete nuda, da quella
posizione precaria, con quel cartoncino ingiallito. Collocazione provvisoria.
Penso che non ci sia formula migliore per definire la croce. La mia, la tua
croce, non solo quella di Cristo. Coraggio, allora, tu che soffri inchiodato su
una carrozzella. Animo, tu che provi i morsi della solitudine. Abbi fiducia, tu
che bevi al calice amaro dell’abbandono. Non ti disperare, madre dolcissima,
che hai partorito un figlio focomelico. Non imprecare, sorella, che ti vedi
distruggere giorno dopo giorno da un male che non perdona. Asciugati le lacrime,
fratello, che sei stato pugnalato alle spalle da coloro che ritenevi tuoi
amici.Non angosciarti, tu che per un tracollo improvviso vedi i tuoi beni
pignorati, i tuoi progetti in frantumi, le tue fatiche distrutte. Non tirare i
remi in barca, tu che sei stanco di lottare e hai accumulato delusioni a non
finire. Non abbatterti, fratello povero, che non sei calcolato da nessuno, che
non sei creduto dalla gente e che, invece del pane, sei costretto a ingoiare
bocconi di amarezza. Non avvilirti, amico sfortunato, che nella vita hai visto
partire tanti bastimenti, e tu sei rimasto sempre a terra. Coraggio. La tua
croce, anche se durasse tutta la vita, è sempre «collocazione provvisoria».
Il Calvario, dove essa è piantata, non è zona residenziale. E il terreno di
questa collina, dove si consuma la tua sofferenza, non si venderà mai come
suolo edificatorio. Anche il Vangelo ci invita a considerare la provvisorietà
della croce. C’è una frase
immensa, che riassume la tragedia del creato al momento della morte di Cristo.
« Da mezzogiorno fino alle tre del pomeriggio, si fece buio su tutta la terra
». Forse è la frase più scura di tutta la Bibbia. Per me è una delle più
luminose. Proprio per quelle riduzioni di orario che stringono, come due paletti
invalicabili, il tempo in cui è concesso al buio di infierire sulla terra.
Da mezzogiorno alle tre del pomeriggio. Ecco le sponde che delimitano il fiume delle lacrime umane. Ecco le saracinesche che comprimono in spazi circoscritti tutti i rantoli della terra. Ecco le barriere entro cui si consumano tutte le agonie dei figli dell’uomo. Da mezzogiorno alle tre del pomeriggio. Solo allora è consentita la sosta sul Golgota. Al di fuori di quell’orario, c’è divieto assoluto di parcheggio. Dopo tre ore, ci sarà la rimozione forzata di tutte le croci. Una permanenza più lunga sarà considerata abusiva anche da Dio. Coraggio, fratello che soffri. C’è anche per te una deposizione dalla croce. C’è anche per te una pietà sovrumana. Ecco già una mano forata che schioda dal legno la tua. Ecco un volto amico, intriso di sangue e coronato dì spine, che sfiora con un bacio la tua fronte febbricitante. Ecco un grembo dolcissimo di donna che ti avvolge di tenerezza. Tra quelle braccia materne si svelerà, finalmente, tutta il mistero di un dolore che ora ti sembra un assurdo. Coraggio. Mancano pochi istanti alle tre del tuo pomeriggio. Tra poco, il buio cederà il posto alla luce, la terra riacquisterà i suoi colori verginali e il sole della Pasqua irromperà tra le nuvole in fuga.
La
circonvallazione del Calvario
«Abbiamo
inquadrato la croce nella cornice della sapienza umana,
ma non ce la
siamo piantata nel cuore ».
Vi dispiace se, per più di una volta, fermerò
la vostra attenzione sul « legno dolcissimo » della croce che noi, come dice
Claudel, non siamo chiamati a piallare, ma sul quale siamo chiamati a salire?
Ascoltatemi,
allora. E perdonatemi se parlo con immagini: è perché si fissi più
profondamente nell’anima lo spessore dei nostri tradimenti.
Se
è vero che la croce è l’unità di misura di ogni impegno cristiano, dobbiamo
fare attenzione a un grosso pericolo che stiamo correndo: quello che san Paolo,
scrivendo ai Corinzi, chiama l’evacuazione della croce». Che non significa
disprezzo della croce, o rifiuto della croce, o irrisione della croce. No.
Non
c’è nessuno di noi che non parli con eloquenza del «legno santo», o che in
Quaresima non canti con tutta l’anima il «Vexilla regis», o che nel venerdì
santo non intoni l’inno alla «Crux fidelis ».
La
croce rimane sempre al centro delle nostre prospettive. Ma noi vi giriamo al
largo. Troppo al largo. Prendiamo una extramurale lontanissima dal colle dove
essa s’innalza. E’ come quando, in viaggio, si sfiora una città passando
dalla tangenziale. Mentre l’automobile corre sulla strada, si dà ogni tanto
un’occhiata ai campanili che si ergono e alle torri che svettano. Ma poi tutto
finisce lì.
Purtroppo
la nostra vita cristiana non incrocia il Calvario. Non s’inerpica sui tornanti
del Golgota. Passa di striscio dalle pendici del luogo del cranio.
Come
i Corinzi anche noi, la croce, l’abbiamo «inquadrata» nella cornice della
sapienza umana, e nel telaio della sublimità di parola.
L’abbiamo
attaccata con riverenza alle pareti di casa nostra, ma non ce la siamo piantata
nel cuore. Pende dal nostro collo, ma non pende sulle nostre scelte. Le
rivolgiamo inchini e incensazioni in chiesa, ma ci manteniamo agli antipodi
della sua logica.
L’abbiamo
isolata, sia pure con tutti i riguardi che merita. E’ un albero nobile che
cresce su zolle recintate. Nel centro storico delle nostre memorie religiose.
All’interno della zona archeologica dei nostri sentimenti. Ma troppo lontano
dalle strade a scorrimento veloce che battiamo ogni giorno.
Dobbiamo
ammetterlo con amarezza. Abbiamo scelto la circonvallazione e non la mulattiera
del Calvario.
Abbiamo
bisogno di riconciliarci con la croce e di ritrovare, sulla carta stradale della
nostra esistenza paganeggiante, lo svincolo giusto che porta ai piedi del
condannato!
ALLA
FINESTRA LA SPERANZA DI DON TONINO BELLO
*****
La
discesa del Signore agli inferi
Da
un’antica «Omelia sul Sabato santo».
Che cosa è avvenuto? Oggi sulla terra c’è grande silenzio, gran
silenzio e solitudine. Grande
silenzio perché il Re dorme: la terra è rimasta sbigottita e tace perché il
Dio fatto carne si è addormentato e ha svegliato coloro che da secoli
dormivano. Dio è morto nella carne ed è sceso a scuotere il regno degli
inferi.
Certo egli va a cercare il primo padre, come la
pecorella smarrita. Egli vuole scendere a visitare quelli che siedono nelle
tenebre e nell’ombra di morte. Dio e il Figlio suo vanno a liberare dalle
sofferenze Adamo ed Eva che si trovano in prigione.
Il
Signore entrò da loro portando le armi vittoriose della croce. Appena Adamo, il
progenitore, lo vide, percuotendosi il petto per la meraviglia, gridò a tutti e
disse: «Sia con tutti il mio Signore». E Cristo rispondendo disse a Adamo: «E
con il tuo spirito». E presolo per mano, lo scosse dicendo: «Svegliati, tu che
dormi, e risorgi dai morti, e Cristo ti illuminerà.
Io sono il tuo Dio, che per te sono diventato tuo
figlio; che per te e per questi, che da te hanno avuto origine, ora parlo e
nella mia potenza ordino a coloro che erano in carcere: Uscite! A coloro che
erano nelle tenebre: Siate illuminati! A coloro che erano morti: Risorgere! A te
comando: Svegliati, tu che dormi! Infatti non ti ho creato perché rimanessi
prigioniero nell’inferno. Risorgi dai morti. Io sono la vita dei morti.
Risorgi, opera delle mie mani! Risorgi mia effige,
fatta a mia immagine! Risorgi, usciamo di qui! Tu in me e io in te siamo infatti
un unica e indivisa natura.
Per te io, tuo Dio, mi sono fatto tuo figlio. Per
te io, il Signore, ho rivestito la tua natura di servo.
Per te, io che sto al di sopra dei cieli, sono
venuto sulla terra e al di sotto della terra. Per te uomo ho condiviso la
debolezza umana, ma poi son diventato libero tra i morti.
Per te, che sei uscito dal giardino del paradiso
terrestre, sono stato tradito in un giardino e dato in mano ai giudei, e in un
giardino sono stato messo in croce. Guarda sulla mia faccia gli sputi che io
ricevetti per te, per poterti restituire a quel primo soffio vitale.
Guarda sulle mie guance gli schiaffi, sopportati
per rifare a mia immagine la tua bellezza perduta.
Guarda sul mio dorso la flagellazione subìta per
liberare le tue spalle dal peso dei tuoi peccati. Guarda le mie mani inchiodate
al legno per te, che un tempo avevi malamente allungato la tua mano
all’albero. Morii sulla croce e la lancia penetrò nel mio costato, per te che
ti addormentasti nel paradiso e facesti uscire Eva dal tuo fianco. Il mio
costato sanò il dolore del tuo fianco. Il mio sonno ti libererà dal sonno
dell’inferno. La mia lancia trattenne la lancia che si era rivolta contro di
te.
Sorgi, allontaniamoci di qui. Il nemico ti fece
uscire dalla terra del paradiso. Io invece non ti rimetto più in quel giardino,
ma ti colloco sul trono celeste.
Ti fu proibito di toccare la pianta simbolica della
vita, ma io, che sono la vita, ti comunico quello che sono. Ho posto dei
cherubini che come servi ti custodissero. Ora faccio sì che i cherubini ti
adorino quasi come Dio, anche se non sei Dio.
Il trono celeste è pronto, pronti e agli ordini sono i
portatori, la sala è allestita, la mensa
apparecchiata,
l’eterna dimora è addobbata, i forzieri aperti. In altre parole, è preparato
per
tea di
secoli eterni il regno dei cieli».
****
La
segnaletica del Calvario
Al Golgota si
va in corteo, come ci andò Gesù.
Sulle grandi arterie, oltre alle frecce giganti
collocate agli incroci, ce ne sono ogni tanto delle altre, di piccole
dimensioni, che indicano snodi secondari.
Ora,
per noi che corriamo distratti sulle corsie preferenziali di un cristianesimo
fin troppo accomodante e troppo poco coerente, quali sono le frecce stradali che
invitano a rallentare la corsa per imboccare l’unica carreggiata credibile,
quella che conduce sulla vetta del Golgota?
Ve
ne indico tre. Ma bisogna fare attenzione, perché si vedono appena.
La freccia dell’accoglienza. E’
una deviazione
difficile, che richiede abilità di manovra, ma che porta diritto al cuore del
Crocifisso.
Accogliere
il fratello come un dono. Non come un rivale. Un pretenzioso che vuole
scavalcarmi. Un possibile concorrente da tenere sotto controllo perché non mi
faccia le scarpe.
Accogliere
il fratello con tutti i suoi bagagli, compreso il bagaglio più difficile da far
passare alla dogana del nostro egoismo: la sua carta d’identità! Sì, perché
non ci vuole molto ad accettare il prossimo senza nome, o senza contorni, o
senza fisionomia. Ma occorre una gran fatica per accettare quello che è
iscritto all’anagrafe del mio quartiere o che abita di fronte a casa mia.
Coraggio!
Il Cristianesimo è la religione dei nomi propri, non delle essenze. Dei volti
concreti, noti degli ectoplasmi. Del prossimo in carne e ossa con cui
confrontarsi, non delle astrazioni volontaristiche con cui crogiolarsi.
La freccia della riconciliazione. Ci
indica il cavalcavia sul quale sono fermi, a fare autostop, i nostri nemici. E
noi dobbiamo assolutamente frenare. Per dare un passaggio al fratello che
abbiamo ostracizzato dai nostri affetti. Per stringere la mano alla gente con
cui abbiamo rotto il dialogo. Per porgere aiuto al prossimo col quale abbiamo
categoricamente deciso di archiviare ogni tipo di rapporto.
È
sulla rampa del perdono che vengono collaudati il motore e la carrozzeria
della nostra esistenza cristiana. E su questa scarpata che siamo chiamati a
vincere la pendenza del nostro egoismo e a misurare la nostra fedeltà al
mistero della croce.
La freccia della comunione. Al
Golgota si va in corteo, come ci andò Gesù. Non da soli. Pregando, lottando,
soffrendo con gli altri. Non con arrampicate solitarie, ma solidarizzando con
gli altri che, proprio per avanzare insieme, si danno delle norme, dei progetti,
delle regole precise, a cui bisogna sottostare da parte di tutti. Se no, si
rompe qualcosa. Non il cristallo di una virtù che, al limite, con una
confessione si può anche ricomporre. Ma il tessuto di una comunione che, una
volta lacerata, richiederà tempi lunghi per pazienti ricuciture.
Il
Signore ci conceda la grazia di discernere, al momento giusto, sulla
circonvallazione del Calvario, le frecce che segnalano il percorso della Via
Crucis. Che è l’unico percorso di salvezza.
ALLA FINESTRA LA SPERANZA DI DON TONINO BELLO
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Pasqua Cristiana
Suggestione del macigno, che la mattina di Pasqua le donne, giunte
nell’orto, videro rimosso dal sepolcro
Ognuno di noi ha il suo macigno. Una pietra enorme, messa
all’imboccatura dell’anima, che non lascia filtrare l’ossigeno, che
opprime in una morsa di gelo, che blocca ogni lama di luce, che impedisce la
comunicazione con l’altro.
E’
il macigno della solitudine, della
miseria, della malattia, dell’odio,
della disperazione, del peccato. Siamo tombe allineate. Ognuna col suo sigillo
di morte. Pasqua, allora, sia per tutti il rotolare del macigno, la fine degli
incubi, l’inizio della luce, la primavera di rapporti nuovi.
E se ognuno di noi, uscito dal suo sepolcro, si adopererà per
Pasqua è la festa dei macigni rotolati. E’ la festa del terremoto.
Il Vangelo ci dice che i due
accadimenti supremi della storia della salvezza, morte e risurrezione di Gesù,
furono entrambi caratterizzati dal terremoto (Mt 27,51; 28,2).
PASQUA, dunque, non è la festa del ristagno.
Fino a quando nelle nostre città la
Via Crucis non sarà organizzata dagli amici del cambio, dagli appassionati
della rivolta, dai poveri che si ribellano, dai condannati alle piccole croci
quotidiane, da chi vi rimane schiacciato sotto, da chi è ingiustamente
spogliato di tutto come Cristo, da chi viene abbeverato con l’aceto e il fiele
di una vita insostenibile, avremo sempre delle Pasque sterilizzate, delle
liturgie innocue, delle aurore senza mattino. E i macigni continueranno a
ostruire i nostri sepolcri.
Che la Pasqua sia per tutti una memoria spiritualmente eversiva.
Solo allora questa allucinante vallata
di tombe, a cui spesso dà l’impressione di rassomigliare la terra, si muterà
in serbatoio di speranze. Il Risorto vi illumini di gioia e vi riempia di
fiducia.
Con Lui ce la faremo.
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<<SAREMO
PARTECIPI DEL MISTERO PASQUALE>>
Se
sei Simone di Cirene prendi la croce e segui
Cristo.
Se
sei il ladro e se sarai appeso alla croce,
se
cioè sarai punito,fai come il buon ladrone
e
riconosci onestamente Dio, che ti aspettava alla prova.
Egli
fu annoverato tra i malfattori per te e per il tuo peccato,
e
tu diventa giusto per lui.
Adora
colui che è stato crocifisso per te.
Se
vieni crocifisso per tua colpa, trai profitto dal tuo peccato.
Compra
con la morte la tua salvezza, entra con Gesù in paradiso
e
così capirai di quali beni ti eri privato.
Contempla
quelle bellezze e lascia che il mormoratore,
del
tutto ignaro del piano divino, muoia fuori con la sua bestemmia.
Se
sei Giuseppe d’Arimatèa,
richiedi
il corpo a colui che lo ha crocifisso,
assumi
cioè quel corpo e rendi tua propria, così,
l’espiazione
del mondo.
Se
sei Nicodemo, il notturno adoratore di Dio,
seppellisci
il suo corpo e ungilo con gli unguenti di rito,
cioè
circondalo del tuo culto e della tua adorazione.
E
se tu sei una delle Marie, spargi al mattino le tue lacrime.
Fa’
di vedere per prima la pietra rovesciata,
vai
incontro agli angeli, anzi allo stesso Gesù.
Ecco
che cosa significa rendersi partecipi della Pasqua di Cristo.
(S.Gregorio
Nazianzeno)
****
Un
Cristo senza croce
Vedi,
ho un Cristo senza croce,
l’ho
acquistato presso un antiquario.
Mutilato
e bellissimo. Ma non ha croce.
Per
questo mi si è affacciata un’idea.
Forse
tu hai una croce senza Cristo.
Quella
che tu solo conosci.
Tutti
e due siete incompleti.
Il
mio Cristo non riposa perché gli manca una croce.
Tu
non sopporti la croce, perché le manca Cristo.
Un
Cristo senza croce, una croce senza Cristo.
Ecco
la soluzione: perché non li uniamo e li completiamo?
Perché
non dai la tua croce vuota a Cristo?
Ci
guadagneremo tutt’e due. Vedrai.
Tu
hai una croce solitaria vuota, gelata, paurosa, senza senso: una croce senza
Cristo.
Ti
capisco: soffrire è illogico.
Non
comprendo come hai potuto sopportare così a lungo.
Una
croce priva di Cristo è una tortura,
il
principio logico della disperazione.
Hai
il rimedio tra le mani. Non soffrire più solo.
Su,
dammi questa croce vuota e solitaria. Dammela.
Ti
darò in cambio questo Cristo mutilato,
senza
riposo, né croce.
La
tua croce non è più solamente tua;
è
anche e nello stesso tempo la croce di Cristo.
Su,
prendi la tua croce, amico; la tua croce con Cristo.
Non
sarai più solo a soffrire.
La
porterete in due, il che vuol dire dividerne il peso.
E
finirai per abbracciare e amare la tua croce,
una
volta che Cristo sarà in essa.