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Le Trenta Rose di Santa Teresa di Gesù Bambino

 

Piccola via per grandi grazie

di P. M. Fiasconi

 

Primo giorno - Fiducia in Dio

 

 

 

 

 

   

<<Dio ha pietà di chi vuole, e fa misericordia a chi vuol fare misericordia>>(Esodo 33,18).

Di te ha pietà, a te vuol fare misericordia, anima mia, che inizi oggi questo sacro mese di raccoglimento e di meditazioni secondo lo spirito di S. Teresa del Bambino Gesù. Egli ti porge un modello di perfetta vita spirituale da imitare, ti mostra un esempio da seguire col sottoporre alla tua attenzione parole che non sembrano scritte da una creatura umana, ma tratte con tutto il loro affascinante splendore dal tesoro del Cuore divino.

Ascolta e medita.

Mi trovo in un momento della mia esistenza in cui posso gettare uno sguardo al passato. L'anima mia si è maturata nel crogiuolo delle pene interne ed esterne; e, come il fiore dopo l'uragano, torno adesso a sollevare la testa, e vedo realizzarsi per me le parole del salmo: <<Il Signore è il mio pastore, non mancherò di niente. Egli mi fa riposare nei suoi pascoli graditi e fer­tili, mi guida dolcemente lungo le acque; e  conduce la mia anima senza stancarla... Ma anche quando scenderò nella valle dell'ombra di morte non temerò alcun male, poiché tu sarai con me, o Signore>> (Sal. 22, 1-4).

Ben lo sento, che se pure mi pesassero nell'anima tutti i delitti che si possono commettere,  non perderei un atomo di questa confidenza. Col cuore spezzato dal pentimento, volerei a gettar­mi fra le braccia del mio Salvatore, perché  so che egli ama teneramente il figliuol prodigo, e te ho udito le suo parole alla Maddalena, alla donna adultera, alla samaritana. No, nessuno potrebbe spaventarmi, perché so quanto potrei contare sull'amor suo e sopra la sua misericordia. So che in un batter d'occhio tutto quel cumulo di offese scomparirebbe come una goccia d'acqua gettata in un braciere ardente.

Come queste parole non ti accendono di speranza, anima mia?

Sì, da che mi è dato di comprendere l'amore del Cuor di Gesù, ogni apprensione svanisce dal mio cuore. Il ricordo delle mie colpe mi umilia, m’induce a non fidarmi della mia forza, che è soltanto debolezza; ma tale ricordo mi parla ancor più di misericordia e d'amore.

E' vero che non sempre sono fedele, ma non mi scoraggio: confido a Gesù le mie infedeltà pensando col mio completo abbandono di acqui­star maggior ascendente sul suo Cuore e attirare  più interamente l’amor di colui. che disse: <<Non sono venuto a chiamare i giusti ma i peccatori>>. (Matteo 9, 13)

 

II. - Dio, per la sua sapienza, conosce le nostre necessità; per la sua onnipotenza è in grado di sovvenirle, per la sua misericordia di compatirle, per la sua bontà é carità di rimediarle, per la sua provvidenza di promuovere sollecitamente il nostro bene, per la sua mansuetudine e affabilità di trattarci da fratelli, per la sua liberalità e magnificenza di fare parte delle sue infinite ricchezze; fino a darci quanto ha di più prezioso, il Corpo e il Sangue del suo Unigenito, per nostro riscatto e nostro cibo.

Egli ci governa con giustizia e prudenza, con integrità e rettitudine. E' un re eterno; che non passa come i re della terra. Savio, giusto, buono, impone leggi soavi, che col suo esempio ci esorta a osservare. Il  suo regno non avrà mai fine, perché fondato sull'eternità.

Con quali offerte di lode e di gratitudine. con quali propositi, non vorrai tu pure servirlo?

Anima mia, glorifica il Signore, sovrano amorevole, che non ti fa sentire il peso della sua maestà e potenza, anzi ti induce alla sua familiarità. Se tanto stimi l’avvicinare i grandi della terra, quanto più dovrai desiderare di giungere a colui che tutti li supera!

In nessun modo puoi vivere senza confidare in qualcuno. Ora, in chi può riporre la sua fiducia un figlio, se non in Dio Padre, da cui  teneramente amato; che in sommo grado possiede la dilezione, la vera carità e benevolenza, e che si dà la massima premura di tutte le cose che riguardano ciascuno in particolare?

Usando le venerate espressioni di Pio XII, diremo:<<Aver fiducia in Dio significa abbandonarsi con tutta la forza della volontà sostenuta dalla grazia e dall'amore, nonostante i dubbi, suggeriti da contrarie apparenze, all’onnipotenza, alla sapienza. all'amore infinito di Dio. E' credere che tutti i suoi fini in questo mondo sono sempre fini di amore per gli uomini. E' credere che tutte le sue operazioni, anche per noi dolorose, sono paternamente ispirate e dominate dall'amore. E' credere che la fiera acutezza della prova, come l'apparente trionfo del male, non dureranno. che per un corto tempo e non più; che verrà l 'ora della misericordia, della santa letizia, della liberazione: l'ora in cui, dopo aver lasciato imperversare l'uragano, la onnipotente mano del Padre, con un cenno impercettibile lo ratterrà e lo sperderà per vie della nostra mente ignorate>>.

Tu, creatura affidati al tuo creatore che costantemente si mostra fedele, benefattore, difensore. “Abbi fiducia nel Signore, con tutto il tuo cuore” (Prov. 3,5)

Egli conosce le tue pene, i tuoi sconforti, le tue lotte dello spirito e nel bisogno, la necessità che talvolta ti tormenta, le sofferenze dei tuoi cari, i dolori segreti….ed egli stesso ti incoraggia, ti invita al riposo: << Venite a me, voi tutti che siete affaticati ed oppressi, e io vi ristorerò>> (Matteo 11,23). Se della tua vita difficile in un mondo ostile e perverso, della tua debolezza a superare molti contrasti, e vuole rassicurarti: <<nel mondo sarete angustiati, ma abbiate fiducia, io ho vinto il mondo>>. (Gv 16,33).

E non ti promette assistenza per una sola volta, ma per sempre: <<Ecco che io sono con voi per tutti i giorni, fino alla consumazione dei secoli>> (Matteo 28,30).

 

III. -  Gesù così ci parla: - La mia volontà è di far guerra ai miei nemici, che sono il mondo, la carne, e tutti i vizi e peccati, per instaurare sulla terra il regno di Dio. Chi dice di amarmi, deve seguirmi in questa impresa, vivere come io vivo, combattere come io combatto: unito a me nella battaglia, lo sarà anche nella vittoria.

Chi mi vuol servire, mi seguiti; e dove sto io, starà ancora chi mi servirà. Chi si offre al mio servizio, vivendo come me, avrà parte nel premio eterno che io godo.   

Anima mia, ascolta le sue parole. E' il tuo Re che ti chiama. L'impresa a cui egli vuole associarti, è giusta e utile più per te che per lui, essendo ordinata alla distruzione dei tuoi nemici, dei quali tanto danno tu ricevi. Egli va innanzi per combattere, e scese dal cielo per dartene l'esempio: <<Quel che mi vedete fare, fatelo voi pure>>  (Giud.7,17). Con lui hai certezza di vincere e di ottenere il premio.

Ma egli ti dice ancora, come al figlio della vedova di Naim: <<Lèvati su>> (Lc. 7,14) cioè: Alzati dall'assopimento letargico che è la morte dello spirito, sorgi dalla tiepidezza e dall'insensibilità; lascia la via che ti porta alla perdizione e collabora efficacemente  alla tua salute.

Quando, dunque, ti convertirai? Non rimandare a domani; ma oggi, oggi stesso, risolvi di cambiar vita, di riformare i tuoi costumi, di frenare le passioni ribelli, di seguirlo. Dice S. Bernardo che tutti desiderano di giungere dove sta Cristo, ma pochi vogliono seguire Cristo. Sii almeno tra questi, poiché gloria grande te ne verrà.

O Signore, il mio cuore è pronto. Eccomi qua, apparecchiato per adempiere i tuoi precetti, ascoltare i tuoi consigli, seguirti fedelmente per la mia sal­vezza. Eccomi qua, Signore; mandami dove vuoi, perché io ti obbedirò in tutto quanto ti piacerà di comandarmi. Traimi dal fango, onde io non vi resti confitto. (Sal.48,5)

Pensiero: <<Ciò che offende Gesù, che lo ferisce è la mancanza di fiducia in lui>>

Giaculatoria: <<O Gesù, tu sai bene che non è per la ricompensa che io ti amo, ma unicamente perché ti amo>>.

Preghiera a S.Teresa di Gesù Bambino:

O piccola Teresa del Bambino Gesù, che nella tua breve carriera mortale fosti specchio di angelica purezza, di tenerissimo amore, di generoso abbandono in Dio, ora che godi in cielo il premio delle tue virtù, rivolgi uno sguardo di compassione a me che in te confido. Tu che vivesti eroicamente lo spirito di rinuncia, tu che additasti a tutte le anime “la piccola via dell’infanzia spirituale” quale mezzo sicuro per giungere alla felicità eterna, tu che affermasti di voler passare il tuo Paradiso a far del bene sulla terra, e promettesti di mandare sui tuoi devoti una “pioggia di rose”, guarda alla mia afflizione e mantieni le tue promesse.

Dì per me una parola a quella Vergine Immacolata di cui fosti il fiore prediletto, alla Regina Celeste che ti sorrise sul mattino della vita; dille che mi ottenga con la sua potente intercessione la grazia che ora tanto desidero…………e l’accompagni con una benedizione che mi fortifichi in vita, mi difenda in morte e mi conduca alla beata eternità.

 

Si recitino tre Gloria al Padre alla SS. Trinità per la maggior gloria di S.Teresa del Bambino Gesù

Esempi di grazie ottenute per intercessione di S.Teresa del Bambino Gesù

Guarigione istantanea di un fanciullo

Arturo Pattot di anni 9, da Boulogne-sur-Mer, era affetto da tumore con carie alla mascella inferiore destra, complicato da continui ascessi durante vari anni, quali gli avevano ingrossato la guancia in modo spaventoso. Dichiarato inguaribile dai medici, veniva curato ormai con semplice lavaggio delle piaghe purulente; non poteva più parlare, perché l’osso cariato della mascella gli fuoriusciva dalla bocca e forava il labbro colando una bava infetta; da molto tempo non si nutriva che di alquanto pane ammollato nel latte. Una buona signora, impietosita, fece incominciare ai primi di luglio 1915 da alcuni coetanei del fanciullo che essa preparava alla prima comunione, una fervorosa novena a S.Teresa del Bambin Gesù, perché anche il piccolo Artur potesse partecipare alla mensa eucaristica, ricevendo almeno una parte dell’ostia consacrata.

Il 10 luglio, vigilia della festa, il fanciullo, che la sera avanti soffriva ancora terribilmente in tali pietose condizioni, si presenta improvvisamente all’ultima lezione di catechismo a testa nuda, senza alcuna delle bende che portava da anni. Scomparsi gli accessi, le suppurazioni, le piaghe, l’osso mascellare malato divelto, le cicatrici interne ed esterne della guancia completamente chiuse. Fra la stupefazione di trecento testimoni che gridano al miracolo.

 

Secondo giorno – Onnipotenza  di Dio

 

 

 

 

 

  – In una lettera della madre è narrato questo episodio della vita di S.Teresa del Bambino Gesù: “L’altro giorno Celina (la sorella maggiore) disse: - Come può darsi che Dio stia in un’ostia così piccola? – E Teresa rispose: Non è poi tanto meraviglioso, dal momento che Dio è onnipotente! – E che vuol dire onnipotente? – Vuol dire che egli può fare ciò che vuole!”

In brevi termini, insegnamento profondo della nostra santina, che all’età di poco più che tre anni spiegava mirabilmente il significato e le possibilità della potenza divina, espresso dalla più strepitosa e misteriosa delle sue manifestazioni: quella di racchiudere un Dio sotto le umilissime apparenze di una particola consacrata. Qual gran santo, in tenera età, ha detto ancora con tale efficace semplicità la meraviglia del mistero eucaristico?

Se perciò l’onnipotenza divina è soprattutto onnipotenza d’amore e di perdono, ascoltiamo altrove la piccola Teresa che dice: “Voi amate S.Agostino e Santa Maddalena, queste anime a cui molti peccati sono stati rimessi perché hanno molto amato: io pure le amo, amo il loro pentimento e soprattutto la loro amorosa audacia. Quando vedo la Maddalena  avanzarsi tra i numerosi convitati di Simone, bagnare con le sue lacrime i piedi dell’adorato Maestro, sento che il suo cuore ha compreso gli abissi d’amore e di misericordia del Cuore di Gesù il quale non solo era disposto a perdonarle, ma anche a prodigarle il beneficio della intimità, innalzandola ai più alti vertici della contemplazione….Quando con filiale abbandono, si gettano le proprie colpe nel fuoco divorante dell’amore, come non saranno esse distrutte per sempre?”

Un singolare omaggio rendeva Teresa all’onnipotenza di Dio nella commossa preghiera da lei prediletta: “Sento nel mio cuore desideri immensi, e con intera confidenza ti domando, mio Dio, di prendere possesso dell’anima mia. Non posso ricevere la santa comunione così spesso come vorrei, ma Signore, non sei Tu Onnipotente?

Rimani, dunque in me come nel Tabernacolo, non ti allontanare mai dalla tua piccola ostia”.

 II - Agli occhi umani, avvezzi a mirare l'esteriorità, l 'onnipotenza di Dio si rappresenta age­volmente con opere sensibili. Egli ha il potere per essenza. Può fare infinitamente più di quanto ha fatto; può disporre delle cose fatte come vuole; può fare tutto quel che può volere, senza alcun li­mite.  Tutto ciò che volle il Signore fece in cielo e in terra” (Sal.134,6); le cose visibili e le invisibili che sono nel mondo, senza altro esemplare nè modello che se stesso, causa efficiente di tutto, ultimo fine a cui,  egli le ordinò.

Creatore dell'empireo, perché contenesse dentro di sé la macchina del mondo visibile, e fosse corte e trono del suo regno e perpetua stanza dei beati; di innumerevoli angeli, divisi in tre gerarchie e no­ve cori, con tutte le perfezioni di natura e di grazia che a ciascuno convenivano; di astri a miriadi, di­sposti in sistemi, rotanti negli spazi siderali con leggi matematiche perfette di armonia  e di equilibrio; fra i pianeti dell’orbita solare, la terra, dapprima muta e deserta, coperta dalle acque, destinata abitazione della specie animale e della specie umana. La luce e le tenebre sono opera sua. Sua opera la divisione delle acque dalla terra, le valli e i monti, i fiumi, le sorgenti, le piante, il giorno e la notte, i pesci e gli uccelli e gli animali tutti. Infine, a sua immagine e somiglianza, l’uomo, signore del creato.

Di sua libera volontà elesse l’ordine delle creature che popolano il mondo, altre ne lasciò nell’abisso del nulla. E dall’origine dei secoli, determinò la creazione dell’anima mia.

O sapientissimo e potentissimo Iddio, e che mai vedesti nella mia anima per trarla dal niente, piuttosto che tante altre, le quali ti avrebbero meglio glorificato?

Come ho io corrisposto a tanto beneficio?  Deh, Signore, poni anche me nel numero di coloro per i quali dicesti:

“Io perdonerò le loro prevaricazioni, non mi ricorderò più delle loro iniquità” (Geremia 31,34) poiché tutto è possibile innanzi a Dio (Marco 10,27).  

 III - Eppure la creazione dell'universo, splendido di varietà, di bellezza, di immensità, di ordine, di feconda armonia, non può stare a paragone del massimo dei prodigi, operato nel cenacolo con l'istituzione della SS. Eucaristia.

Guarire gli infermi e risuscitare i morti, sono fatti prodigiosi perché in contrasto con le leggi naturali. Ma con una parola mutare la sostanza del pane nel suo Corpo, lasciando del pane solo le apparenze, e sotto queste adattarsi in modo da rimanere egli nel giro di una piccola ostia, e starvi tutto intero ancorché l'ostia si frazioni, e ripetere quotidianamente il miracolo ad ogni ora del giorno.

In tutti i luoghi della terra ove si celebri il santo sacrificio, è tal fatto sublime che la mente umana si smarrisce nel meditarlo. L'ordine della natura è turbato, e la teologia, che pur attinge i vertici della conoscenza nello studio di Dio, non può che tacere e adorare. Questa è la manifestazione massima, il capolavoro dell'onnipotenza, onnipotenza soprattutto d'amore. È l'amore che ha imposto alla potenza infinita di spiegare tutte le risorse delle sue poderose energie, di concentrare in questo mistero, come in un sole, tutta la sua luce. Il dono a noi elargito non poteva essere più alto; più tenero, più ricco: in altra parola, divino. Una madre, al figlio amato che parte per lidi lontani, vorrebbe dare in ricordo il proprio cuore racchiuso in un reliquiario. Se non lo fa, è perché non lo può fare; se lo potesse, lo farebbe. Ma prima di affrontare il cammino doloroso della croce, al compimento della sua missione terrena, Cristo Dio volle lasciare e lasciò a noi se stesso, vivo e vero, testimonianza perenne del suo amore per noi esuli dalla patria eterna. “Non vi lascerò orfani” (Gv14,18), egli promise. E mantenne in pieno l'augusta promessa restando da quel santo giovedì tra noi, nostro cibo, nostra forza, nostro conforto, nostra speranza, nostra resurrezione. Grazie, o Dio onnipotente, che mai ci abbandoni anche quando ai nostri sensi tremanti sembri assente o lontano o dimentico, mentre ci hai offerto il facile mezzo di ritrovarti sempre nel tabernacolo. In ogni istante noi possiamo venire a te, pervenire alla tua presenza, aprirti il nostro cuore, narrarti le nostre molte sofferenze e le nostre poche allegrezze, piangere o gioire con te, umiliarci sotto i tuoi occhi, esortare con te della tua gloria, chiedere a viva voce un soccorso alle nostre miserie; perché sei costantemente e pazientemente là ad attenderci talvolta solitario e appena vegliato dalla tenue fiamma di una lampada.

Grazie o Signore, per tanta bontà e generosità. E fa che io sappia finalmente conoscerti, comprenderti, amarti come tu meriti.

 

Pensiero: <<Dio tiene nelle sue mani il cuore delle creature, e può mutarlo come gli piace>>.

Giaculatoria:  <<  Ti amo, Signore: mi dò a te per sempre>>.

 Preghiera a S. Teresa come al primo giorno.

 Esempio : Chiede una buona morte e ottenne la guarigione

 Il dottor Lerat da Roubaix, attesta con quattro certificati che la giovane Maria Ducreux è stata da lui curata di congestione polmonare, aggravata da frequenti emorragie con manifestazione sintomatiche di tubercolosi. La malattia ha avuto tre mesi di decorso sempre peggiorando, aggiungendosi forti disturbi gastro-intestinali, continuo stato febbrile, dolori sciatici ribelli a ogni cura, e infine l'apparizione di un'ulcera al labbro inferiore. Il complesso dello Stato clinico rende l'alimentazione quasi impossibile e fa dichiarare l'ammalata in pericolo di vita. La mattina del 23 dicembre 1915, al medico che si ritiene chiamato per registrare il decesso, Maria Ducreux si presenta inaspettatamente risanata e tutti i sintomi del suo male sono scomparsi. Il dottor Lerat, nel prenderne atto, asserisce doversi escludere qualunque fenomeno nervoso o isterico. Che era successo? La giovane, disperando della guarigione e rassegnata alla propria fine aveva incominciato il 10 dicembre una novena a santa Teresa del Bambino Gesù per ottenere la grazia di una buona morte. Nelle notti del 20 e 21 le appariva la sua celeste protettrice, incoraggiandola. Il giorno 22 riceveva dal confessore la solita comunione settimanale stando a letto; ma subito dopo spinta da forza misteriosa, si alzava guarita.

 

Terzo giorno - amore di Dio

 

 

 

 

 

 

  I - Tutta la dottrina di S. Teresa è fondata sull'amore: un amore assiduo, crescente, attento, delicato, fatto di soavità e di premure. Della sua prima infanzia, poco più che cinquenne, ella narra: “Quanto più crescevo, tanto più amavo Dio, e molto spesso davo a lui il mio cuore, servendomi della formula che mi aveva insegnata mia madre, mi sforzavo di piacere a Gesù in ogni azione, e stavo molto attenta per non offenderlo mai”. Di tale virtù fu informata l'intera sua vita, se poté dire sul letto di morte: “ Non ho dato a Dio altro che amore, ed egli non renderà a me altro che amore ” . Seguiamo la santina nelle sue riflessioni: un sapiente ha detto: datemi una leva, un punto d'appoggio, ed io solleverò il mondo. - Ma ciò che egli non poté ottenere, perché la sua domanda non aveva che uno scopo materiale, e non era indirizzata a Dio, i santi l' hanno pienamente ottenuto. L'onnipotente ha dato loro un punto d'appoggio, lui medesimo, lui solo! Per leva, l'orazione che accende di fuoco d'amore, e così essi sollevarono il mondo, e così i santi, ancora militanti, lo sollevano e solleveranno fino alla fine dei tempi.

“Tu lo sai mio Dio, che non ho desiderato altro che amare te unicamente, e che non ambisco altra gloria fuori di questa.....L'amore trae l'amore, il mio amore si slancia verso di te, e vorrebbe colmare l'abisso che attrae, ma ahimè esso non è neanche una goccia di rugiada perduta nell'oceano. per amare te, come tu ami me, devo servirmi del tuo proprio amore, e solamente allora trovo riposo”. 

Quello stesso Dio che ci dichiara di non avere necessità alcuna di dirci se ha fame, non ha temuto di chiedere in elemosina un pò di acqua alla samaritana.... Aveva sete! ma dicendo: - dammi da bere! - era l'amore della povera sua creatura che il creatore dell'universo chiedeva. “Aveva sete d'amore!”.

“Mio Dio, che l'amore non si compensa se non con l'amore, io lo so; e per questo ho cercato e trovato il mezzo di confortare il mio cuore, rendentoti amore per amore”.

 II - Il vero amore, l'amore perfetto, ha tre gradi: insuperabile, inseparabile, singolare. Il tuo amore a Dio sarà insuperabile, quando nulla che sia a lui contrario potrà sopraffarlo e vincerlo; quando tu starai saldo contro ogni tentazione e immutato, sii tu sereno o angosciato, sano o sofferente, e neppure per tutto il mondo vorrai fare cosa che a lui dispiaccia, soffrendo piuttosto tutti i dolori che possono colpire una creatura umana, e nulla li potrà abbattere, ma anzi, anche nell'avversità, tenderai più in alto.

Il tuo amore sarà inseparabile, quando il tuo cuore, il tuo pensiero e la tua forza saranno così interamente posti, fissi, stabili in Dio, che il tuo sentimento mai lo lascia, se non nel sonno. Tu non potrai dimenticare Dio, qualunque cosa tu dica e faccia, e di nulla altro ti preoccupi: grado difficile, cui salirai con la totale fusione nel tuo creatore. Sarà ancora singolare il tuo amore, quando non avrà l'eguale, per cui tu non gusterai altra gioia o conforto se non da Dio. Il suo amore è durevole e ardente, la fiamma che lo alimenta è deliziosa e mirabile. La tua anima ama Dio, pensa a Dio, desidera Dio, vive solo per lui, in lui riposa. Il tuo pensiero diverrà canto e melodia, e ti parrà di cantare perfino le preghiere che prima recitavi. Penserai alla morte come alla più ineffabile delle dolcezze, fuori di ogni illusione aspettandola come il tuo ultimo desiderato riposo, come un ritorno alla tua origine e che ti ravvicina per sempre a colui che ami. Avrai abbandonato allora ogni voglia mondana, ogni concupiscenza, ogni brama della vita peccaminosa, per ascendere all'oggetto supremo delle tue ispirazioni, immergendoti nell'abisso dello sconfinato amore. Quale gioia gusterai nessuno può dirlo, se non chi l'ha provato.

Alla domanda insidiosa dei farisei: “Qual è il maggior comandamento della legge?”, Gesù risponde: “Amerai il Signore Dio tuo con tutto il tuo cuore, con tutta l’anima tua, con tutto il tuo spirito. Questo è il massimo e il primo comandamento” (Matteo 22,36-38). Disse amerai, e non temerai, perché amare è molto più che temere. Amare è proprio dei fanciulli, sentimento delle anime semplici e innocenti, atto istintivo suggerito da moto spontaneo del cuore, non riflesso ed effetto di considerazione. Si ama, e non ci si domanda come, né perché. L’amore non ragiona, non calcola: è trasporto, inclinazione, calore, luce, sorriso, profumo, schiettezza, riassunto e sintesi meravigliosa di abbandono. E’ manifestazione assoluta nella forma, totale, perfetta, minima ed infinita. L’amore vero non si condiziona, altrimenti non è più amore.

Secondo poi lo spirito più modernamente raffinato della piccola Teresa, il pieno amor di Dio è laborioso, generoso, disinteressato, delicato, esclusivo.

Laborioso, in quanto non consiste nel godere passivamente il senso beatifico, ma si adopera nel combattere le cattive tendenze che oppongono al trionfo del regno divino: lotta contro la natura, contro il quietismo indolente, condotta con coraggio e decisione, con vigile attenzione e metodo costante, senza avvilirsi di successi incompleti; applicata a tutte le circostanze della vita.

Generoso, cioè disposto ad ogni sacrificio, prodigo di buona volontà, rinunciatario di consolazioni e soddisfazioni esteriori o interiori, incondizionato, senza misura, simile all’acqua che ribolle e trabocca, alimentato da vibrante entusiasmo e ardente di fervore.

Disinteressato, perché soprattutto non desideroso di piacere al soggetto ma all’oggetto, quindi dimentico di sé e ansioso soltanto di gioia altrui, ispirato dal sentimento di dare e non di ricevere.

Delicato, poiché soffuso di attenzioni e di riguardi, sforzandosi di mostrare aspetto sorridente anche nelle prove più dolorose, diretto più a consolare che ad essere consolati, e manifestando negli altri le più squisite raffinatezze.

Esclusivo, che vuol dire dedicato a un solo termine, con allontanamento assoluto di ogni altro termine; anzi da qualsiasi riferimento umano o terreno incessantemente ricondotto alla principale sorgente, a questa attribuendo la parte meritoria perfino delle minime opere, e comunque geloso sia pure di apparenti intrusioni.

Anima mia, questi gradi e queste qualità del vero amor di Dio sommuovono profondamente tutte le tue fibre?

 III – Oh, sì! Nell’abisso della privazione e della desolazione, dell’aridità e dell’impotenza, della povertà e della debolezza, dell’orgoglio e della vana stima, dell’ignoranza e delle tenebre, te solo amerò, mio Dio, vertice di consolazione, di ricchezza, di misericordia e di forza, di scienza e di luce. Io sono nella morte, e tu nella vita; io nella dissipazione e nella distrazione, e tu nel raccoglimento e nel fervore; io nella tristezza, e tu nelle delizie; io nel turbamento e nell’inquietudine, e tu nella pace; io nella sofferenza, nell’amarezza, nel timore e tu nella confidenza e nella carità.

“O Dio invisibile, bello di splendore e di magnificenza, guidami alla tua luce, concedimi di conoscerti e vivere in te. Soddisfa il mio desiderio, appaga la mia brama. Disgustato della terra, io sospiro la tua reggia celeste. Intristito dalle pene, io anelo l’eterna beatitudine. Svegliatomi dal letargo, io voglio riconquistarti per non lasciarti mai più. Pasci questo mendicante famelico e rallegrami con la presenza ambita della tua grazia. Appicca il tuo incendio all’anima mia, o mio dolce refrigerio: fa che, infiammato d’amore, io sospiro solamente a te e di te soavemente respiri”.

PENSIERO: <<l’amore non ha che un argomento: l’opera>>.

GIACULATORIA: <<Mio Dio, ti offro i tesori infiniti del tuo unico Figliuolo e ti supplicavo di non guardarmi che nel tuo Cuore ardente d’amore>>.

 Preghiera a S.Teresa, come al primo giorno

 ESEMPIO: “Non morrete ancora”

In una lettera del 25 febbraio 1920, il Padre E. Mulder, missionario al Congo, racconta che a seguito dell’eccesso di lavoro sotto un clima torrido, esaurito di forze, fu colpito da una di quelle malattie tropicali a cui qualunque rimedio locale è semplice palliativo, in attesa delle lunghe cure risolutive che solo possono aversi dal soggiorno ristoratore in patria.

Spacciato dal medico, e preoccupato dell’abbandono della missione in caso di sua assenza, sollecitò un confratello a cominciare una novena a S.Teresa del Bambino Gesù insieme agli indigeni cattolici per implorare la sanità, e collocò un’immagine della vergine carmelitana accanto al tabernacolo perché perorasse la grazia. Altra immagine tenne a portata di vista, incessantemente supplicando la piccola santa.

Mentre i fedeli pregavano in chiesa ed egli si univa spiritualmente a loro, gli parve che la sorridente figura si ingrandisse fino a divenire come di persona viva, e una voce distinta avvertire: “No, padre non morirete ancora, dovete continuare a lavorare per i vostri negri”.

L’indomani il superiore propose di amministrare all’infermo gli ultimi sacramenti; ma questi rivelò la celeste promessa ricevuta, e l’altro non insistette.

Al termine della novena il P. Mulder era fuori pericolo, e quantunque sollecitato dai medici a rimpatriare per rimettersi bene, dopo sei mesi rimaneva ancora al suo posto di lavoro apostolico, in piena efficienza di forze.

Quarto giorno – Provvidenza di Dio

 

 

 

 

 

 

I – S.Teresa sperimentò largamente la provvidenza divina, a lei palese e intorno a lei vigilante con la sollecitudine più amorosa. Essa ne analizza le misericordiose manifestazioni così meditando: “Mi sono domandata per un pezzo perché non tutte le anime ricevano una eguale misura di grazie. Mi recava meraviglia il vedere dispensare favori straordinari a grandi peccatori come San Paolo, Sant’Agostino, Santa Maria Maddalena, e tanti altri da lui, direi, quasi forzati a ricevere le sue grazie. Nel leggere le vite dei santi, mi meravigliavo ancora nel vedere nostro Signore carezzare dalla culla alla tomba certe anime privilegiate, non lasciando egli sul loro passaggio nessun ostacolo che le trattenesse dal sollevarsi a lui, e non permettendo mai al     peccato di offuscare  l’immacolato candore della loro veste battesimale”

L’amore di nostro Signore si rivela tanto nell’anima più semplice, che non oppone la minima resistenza alle sue grazie, quanto nell’anima più sublime; ed infatti, poiché è proprio dell’amore l’abbassarsi, se tutte le anime somigliassero a quelle dei Santi Dottori che illuminarono la Chiesa, quasi parrebbe che Dio, per giungere fino ad esse, non si chinasse abbastanza.

Come il sole illumina al tempo stesso tanto il cedro quanto il piccolo fiore, così l’astro Divino illumina particolarmente ogni anima, sia grande, sia piccola e tutto corrisponde al suo bene…Se un fiorellino potesse parlare, mi sembra che anch’egli direbbe con tutta semplicità ciò che Dio ha fatto per lui, senza provarsi a nasconderne i doni.

Dio mi ha sempre soccorso; e fin dalla mia più tenera infanzia mi ha aiutata e condotta per mano…. Io conto sopra di lui. Il dolore potrà giungere al colmo, ma sono sicura che egli non mi abbandonerà.

Che egli non ti abbandona, anima mia, anzi che la sua provvidenza amorosa intende al tuo vero bene, non ne è prova anche questa pia pratica che egli ti ha suggerito di intraprendere per la tua riforma spirituale? Non è la dolce provvidenza di Dio, che oggi ti ritrae dalle vie del peccato? Sappi riconoscerlo, e secondare docilmente la sua bontà.

 II -  Iddio vuole conservare l’ordine fisico e morale stabilito nel mondo quando lo creò, e con la sua provvidenza svolge un’azione perpetua sulle creature per mantenerle e dirigerle al loro fine, secondo la disposizione da lui stessa fissata.

Dio sarebbe inutile per noi, se non si prendesse  cura delle cose di quaggiù, specie delle creature intelligenti, e noi saremmo molto indifferenti al sapere se egli esista o no. La bontà, la sapienza, la giustizia, la santità, che noi gli attribuiamo, parole vuote di senso; la morale una vana speculazione, la religione un assurdo.

Invece, fin dall’origine dell’uomo, come creatore essendone anche il padrone, si mostrò padre, legislatore, benefattore, autore e conservatore di tutte le cose, ma anche rimuneratore della virtù e vendicatore del peccato. La storia di Dio nei rapporti di tutta la creazione, non è che la storia della sua provvidenza; dalla formazione delle due prime creature umane agli avvenimenti succedutisi nell’infanzia del mondo, fino ai nostri giorni. Così nell’ordine naturale che nell’ordine soprannaturale. Così nell’ordine spirituale che nell’ordine fisico. Così nell’ordine generale che in quello particolare.

Dal principio del mondo, ebbe per oggetto la salute del genero umano, e in tutti i secoli questo fu lo scopo della sua condotta. Ma i mezzi a ciò adoperati sfuggono alla nostra modesta comprensione, quantunque a ciascuno di noi abbia conferito grazie e doni giudicati a proposito. Le lezioni da lui date agli uomini sono state sempre adeguate ai bisogni dell’umanità, e perciò non possono essere opera del caso ma piano di una sapienza perfetta.

Tutti gli uomini sono quasi fanciulli dinanzi a Dio, tutti, anche i  più profondi pensatori e i più sperimentati reggitori di popoli. Essi giudicano gli avvenimenti con la veduta corta del tempo che passa e vola irreparabile. Dio li guarda invece dalle altezze e dal centro immoto dell’eternità. Essi hanno davanti ai loro occhi l’angusto panorama universale dei secoli. Essi ponderano gli eventi dalle cause remote e li misura negli effetti lontani.

E quale tenero Padre, pieno di compassione per le debolezze, le ignoranze, le impazienze umane, non si lascia distogliere dalle vie della sua sapienza e del suo amore; continua a far sorgere il suo sole sopra i buoni e i cattivi, a far piovere sui giusti e sugli ingiusti, a guidare i nostri passi di fanciulli con fermezza e dolcezza.

Per rendere accessibile meglio ai nostri sensi la sua costante e provvida azione, ci ha offerto, nell’insegnamento evangelico, la similitudine dei “gigli del campo, i quali lavorano e non filano, eppure nemmeno Salomone, con tutta la sua magnificenza, fu mai vestito come uno di questi” (Matteo 6,29-30).

 III – Perché non ti affiderai anche tu alla provvidenza di Dio? Esaminiamo il nostro cuore e la nostra condotta. Quali interessi ci muovono: i temporali e passeggeri, o gli eterni? Dio non proibisce l’onesta cura dei propri interessi, ma la smodata sollecitudine di essi, che procura l’angustia dello spirito. I veri bisogni dell’uomo sono ristretti, mentre il superfluo non soltanto non può essere causa di pericoli, ma ci può togliere la vita, e dopo la nostra morte possedersi certo da altri, forse anche da chi non vorremmo. Il lavoro delle nostre braccia e della nostra mente, il sudore della nostra fronte, deve procurarci il pane che Dio ci darà per ricompensa liberalmente; non l’inquietudine eccessiva del nostro domani.

Sii piuttosto sollecito della tua anima. <<E’ un gran guadagno la pietà unita alla contentezza di ciò che basta alla vita>> (1 Tim. 6,6)

Dio ci ha dato un’anima fatta a sua immagine, la conserva, l’assiste, l’aiuta; e se ha fatto il più, perché non farà il meno? Cioè darci da vivere fino al termine da lui stesso voluto? Se è così, chi mi darà le penne di colomba per volare, mio Dio, e riposarmi nelle tue braccia amorose della tua provvidenza? (Sal. 54,7)

Continuando nell’insegnamento evangelico, egli ha precisato meglio: “Cercate dunque in primo luogo il regno di Dio e la sua giustizia, e avrete in soprappiù tutte queste cose” (Matteo 6,33).

Quella provvidenza di Dio che lavora tutti i giorni ad accrescere il tuo corpo, come resterà inattiva dinanzi alle tue vere necessità? Chiedi, dunque, prima il tuo bene supremo, l’allontanamento dal peccato, l’esercizio della virtù, ciò che Dio ama, e il resto l’avrai in aggiunta; come ti è provato da infiniti esempi della tua stessa vita e di coloro che ti circondano.

Sì mio Dio e Padre mio, dammi i beni migliori e non caduchi i quali nessuno possa rapirmi, in questo mondo e nell’altro. Per il rimanente mi affido alla tua illuminata provvidenza, che non disdegna di manifestarsi propizia agli uccelli dell’aria e ai fiori dei campi. “La tua provvidenza regge tutte le cosa” (sap. 14,3). E perdonami, se la mia cecità mi ha fatto finora altrimenti desiderare.

Pensiero: << Ho osservato molte volte che Gesù non vuol darmi grandi provviste; mi nutre però, momento per momento, con un cibo tutto nuovo, che trovo in me senza sapere come vi sia>>.

 Giaculatoria: <<La sola grazia che ti domando, mio Dio, è di giammai offenderti>>.

 Preghiera a S.Teresa come al primo giorno

 ESEMPIO – una sfida accettata

In luglio 1911, alcuni missionari di Dakar, nel Senegal, i quali avevano iniziato la costruzione di una sala parrocchiale e non disponevano dei necessari mezzi per condurre a termine il lavoro, si intrattenevano una sera a mensa. Tra essi si esprimevano dubbi sopra un miracolo attribuito a S. Teresa del Bambino Gesù, della quale si era affermato che avesse miracolosamente provveduto di una somma di denaro indispensabile alla Priora del Carmelo di Gallipoli, allora in bisogno per la sua comunità.

Il religioso incaricato dei lavori uscì in questa curiosa frase:  <<Se la Santa di Lisieux è davvero intervenuta in tale circostanza, ce ne dia la prova mandandoci oggi stesso due biglietti da 500 franchi>>.

La sfida proposta era forse irriverente, ma S.Teresa, che vuole mostrarsi particolarmente benevola verso i missionari, si compiacque di raccoglierla subito.

Infatti la sera stessa, verso le ore 3, un ufficiale si presentava alla missione e consegnava una lettera senza firma, che conteneva due biglietti da 500 franchi.

Eloquente e gentile risposta, che fu commentata con viva riconoscenza!

Quinto giorno - Unione con Dio

 

 

 

 

 

 

I – Visse S.Teresa nella costante, intima, fervorosa unione con Dio, pazientemente e attentamente adoperando ogni sollecitudine a mantenersi stabile. Appassionata e volitiva, non si prefisse di giungervi in lunghe tappe, ma si slanciò di un balzo risoluto e gioioso quando ne scoprì il mezzo sicuro, che è propria rinunzia..

<<Appena l’idea della perfezione apparve nell’anima mia, compresi che per farsi santi è necessario soffrire molto, cercare sempre il più perfetto, e dimenticare se stessi; che i gradi di santità sono molteplici, che ogni anima è libera di rispondere agli inviti di nostro Signore, e far poco o molto per amor suo; in una parola è libera di scegliere tra i sacrifici da lui richiesti. Perciò, come nei giorni della mia infanzia, esclamai allora: - Mio Dio, io scelgo tutto, non voglio farmi santa a metà, non ho paura di soffrire per te, non temo che una cosa sola, serbare, cioè la mia volontà. Prendila, dunque, perché io scelgo tutto quello che tu vuoi>>.

Ripeti queste parole, anima mia, <<non voglio farmi santa a metà…..non ho paura di soffrire….>> e fermati a considerare l’energico proposito che esse contengono. Per farsi santi, basta volere; ma ricorda che nel cammino della santità il sacrificio è tuo indivisibile compagno.

Raggiunta la stretta unione con Dio, lo spirito di Teresa anelava goderne la gioia e gli effetti, meditando su ciò un passo della Scrittura: <<Traimi dietro di te, correremo all’odore dei tuoi profumi>> (Cantico 1,3). Traimi! Chiedere di essere tratti, equivale a volersi unire in una maniera intima all’oggetto che signoreggia il cuore. Io chiedo che mi attiri nelle fiamme del suo amore, e che mi unisca così strettamente a sé da vivere e agire egli in me. Sento che quanto più il fuoco dell’amore incendierà il mio cuore, e quanto più io ripeterò: attraimi, tanto più le anime si avvicineranno alla mia, correranno dietro all’odore del profumo del mio Diletto.

Tutti i doni più perfetti sono nulla senza l’amore; la carità è la via più eccellente per andare sicuramente a Dio.

Con quale naturalezza, e insieme con quale altezza di pensiero, la piccola santa esprimeva la sua volontà di unirsi a Dio, di immedesimarsi in lui, che già fornì ai più grandi mistici di tutti i tempi sovrano oggetto di considerazione, commossi accenti, lirici infiammati voli di desiderio!

 

II - dice il Profeta: <<Buona cosa è per me lo stare unito a Dio>> (salmo 72,28). Infatti, se vogliamo godere Dio, dobbiamo unirci a lui e possederlo. Allora, semplici, pacifici, liberi, vivremo in lui, come l'aria penetrata dalla luce, o come una nuvola che incorporata dal sole né è da illuminata. L'unione con Dio è un ritorno originale a Dio, ritorno non facile, perché richiede prima la liberazione dalle cose mondane e da qualsiasi vizio, poi preghiere e continue, solitudine, e esercizi per sottomettere la carne allo spirito, conformare la nostra vita a quella del celeste modello. Saremo uniti a Dio, quando avremo voltato le spalle alle cose terrene, vane e passeggere, alle consolazione delle creature, amando la mortificazione, il fervore della penitenza, il profitto di tutte le virtù e perfezioni. Se amiamo la terra, siamo terra; se amiamo il cielo, siamo cielo; se amiamo Dio, siamo Dio, a lui uniti non per natura, ma per grazia e partecipazione. Soprattutto l'orazione è il mezzo per salire all’ unione con Dio, stabili e consolidati in lui, si dà non essere più nostri ma suoi, permanendo nella luce divina e da essa abbracciati.  La preghiera unisce l'anima a Dio. Pregare vuol dire stare in unione costante, calma, forte, sicura con Dio, uno degli effetti dell'amore, e l'unione delle persone che si amano con ogni passione e  potenza; ma non vi può essere un'unione perfetta se le persone che si amano non si sono liberate dagli ostacoli che si frappongono alla loro completa fusione. Dovremmo, perciò, elevare lo spirito oltre ogni oggetto sensibile e creato, guardando unicamente a Dio. Allora Dio occuperà totalmente alla nostra anima, e la nostra anima mutuamente sarà presa di lui.

In tale stato non vi sarà più né creato né creatura, né scienza e ne ignoranza, né termine e né principio, non differenza della tempo passato o futuro o presente; ma stabilita una relazione divina tra Dio e l'anima, con l'unione più intima e assoluta che si possa immaginare, tutto si perderà nel godimento dell'intero possesso, riempiendosi l'anima nostra, fattura dell’Eterno, delle sole cose che siano degne di essa: l’Eterno Fattore e la sua predilezione per noi.

Nell’ultima cena, così pregava Gesù per i suoi apostoli: <<Padre giusto, certo il mondo non ti ha conosciuto, ma Io ti ho conosciuto; e questi hanno conosciuto che tu ma hai mandato. E feci e farò noto ad essi il tuo nome, affinché l’amore col quale mi hai amato sia in essi, e io in loro>> (Giov 17,25-26).

Quanta tenerezza del suo bel cuore mi rivelano queste parole! Egli mi previene con il suo amore! E’ vero, io lo amo, ma quanto maggiormente Egli mi ama!

 

III - O Dio, che sei amore increato, amore in­finito, amore senza mezzo, anzi tutto l'amore; o Dio, che sei la stessa bontà, e per il quale tutto il buono è buono e dal quale deriva la bontà di tutte le creature; o Dio, che sei la stessa bellezza, da cui procedono tutte le bellezze dell'universo e tutte le perfezioni: come non ti amerò io, e amandoti perfettamente non sarò unito pienamente a te?

Ti miro cinto di gloria e di maestà, e ne esulto. Ti guardo ammantato di luce e di potenza, e t'a­doro. Ti vedo benigno, amabile, compassionevole e t'amo. Ti considero prodigo delle tue grazie e dei tuoi doni, e ti lodo, ti benedico, ti glorifico. Tu sei pieno di beatitudine e di gioia, e chi ti ama ab­bonda di gaudio e in ogni tempo lo trova. lo ti bramo e non occorre che ti cerchi lontano, poiché ti trovo in me stesso. Opera, dunque, in me, perché io sia degno di te. Sgombra il mio cuore dagli affetti e dalle miserie terrene, per farne la tua sede perenne.

Fa che libero da catene, io mi sforzi di penetrare immediatamente e intimamente alla tua presenza, e con incessanti ed infiammati desideri e sospiri io tenda all'umile mia abnegazione e alla tua unione amorosa. A te unito, io applichi tutta l'attività delle mie potenze a trascinare e introdurre un ordine nuovo nella mia vita, nelle mie azioni, in tutto quello che farò per tua concessione benigna. Sottoposta alla tua dolcezza, l'anima mia non senta e non comprenda più altra cosa che non sia luce, amore, vita, riposo eccelso, bellezza infinita, bene immenso e soavissimo.

  Con l’unione dell’intelletto io ti abbia sempre nella mia memoria, mi sforzi di conoscerti in maniera sempre più chiara e distinta; con l’unione della volontà, io mi stringa alla bontà tua, ti ami, ti ringrazi, ti obbedisca, zeli la tua gloria e la salvezza delle anime; con l’unione di somiglianza, mi conformi al tuo volere e pratichi l’esercizio di tutte le virtù che costituiscono la perfezione cristiana, uniformandomi al precetto paolino: << Chi si appressa e aderisce a Dio, diventa uno stesso spirito con Dio>> (1 Cor. 6,17)

 

PENSIERO: <<E’ impossibile che un cuore inclinato agli affetti umani possa unirsi intimamente a Dio>>.

GIACULATORIA: <<O Gesù, non ti chiedo che l’amore, un amore senza limiti e senza misura>>

 Preghiera a S.Teresa come al primo giorno

  ESEMPIO : Un tumore guarito a Lisieux

Con la data 8 dicembre 1920, da Arras, Giovanna Dumont narra le circostanze della sua miracolosa guarigione. Rivelatole da ispezione medica l’esistenza di un tumore alla vescica e consigliatole l’intervento chirurgico, ella rinvia l’atto operatorio al ritorno di un progettato pellegrinaggio a Lourdes, nel quale ripone grande fiducia. Invece non solo non ottiene alcun miglioramento, ma accresciute le sue sofferenze deve sospendere qualsiasi lavoro. Il curato della parrocchia le suggerisce di ricorrere a S.Teresa del Bambino Gesù, ed ella acconsente, determinando di recarsi a pregare sulla tomba della piccola santa nell’anniversario della sua morte. Ella stessa così prosegue: <<la sera del 28 settembre giungemmo a Lisieux, e l’indomani la nostra prima visita fu al cimitero, dove pregai con tutto l’ardore. Prostrata sulla tomba della vergine carmelitana, la scongiurai di concedermi, insieme alla salvezza dell’anima, la guarigione senza operazione; promettendo di farla conoscere e amare. Immediatamente provai come un brusco strappo nel punto malato, e mi sentii guarita. Potetti compiere facilmente il viaggio di ritorno, e la giornata del 30 fu consacrata a festose azioni di grazie. Dopo la data benedetta non ho più sofferto, tutti gli indizi rivelatori del male sono scomparti, e gli esami radioscopici ai quali venni sottoposta constatarono l’assenza di ogni traccia di tumore>>.

 

Sesto giorno – Bontà di Dio

 

 

 

 

 

 

  I – Un bambino non può vivere senza il soccorso e l’assistenza del padre suo. E come avrebbe potuto vivere la prediletta piccola Teresa, pioniera di una via di perfezione destinata a innumerevoli anime, senza essere lei stessa il primo soggetto sperimentale di una nuova forma inattesa della bontà di Dio? Le parole con cui ella lo dichiara rivelano le tenere maniere a lei usate dalla bontà divina, spirano candore e soavità, sono magistrali pennellate di un vaghissimo quadro.

<<Il Signore si è compiaciuto di circondare d’amore tutta la mia vita. Oh, se Iddio non avesse  profuso i suoi benefici raggi al suo fiorellino, giammai questo si sarebbe potuto acclimatare sulla terra, perché essendo troppo debole ancora per sopportare le piogge e gli uragani, gli occorrevano il calore, le dolci rugiade e le brezze primaverili: tali benefici non gli mancarono poi neppure sotto la neve della prova. Mio Dio, quanto sei buono e come proporzioni le prove alle nostre povere forze!

Io sono quel figlio, oggetto dell’amore di un Padre che non ha mandato il suo Verbo per redimere i giusti, ma i peccatori. Egli vuole che l’ami, perché mi ha perdonato non molto ma tutto. Senza aspettare che l’ami molto, come fece Santa Maria Maddalena, mi ha fatto sapere di avermi amata di un amore ineffabilmente previdente, perché io lo ami adesso fino alla follia. Credo che Gesù, nascosto in fondo al mio piccolo cuore, agisca in me in una maniera misteriosa e mi ispiri quanto vuole che io faccia nel momento presente. Se è difficile il dare a chiunque chiede, è ancora più difficile lasciarci prendere ciò che è nostro senza richiederlo. Dico che è difficile, ma dovrei dire piuttosto, che sembra difficile, poiché il giogo del Signore è soave e leggero e, appena da noi accettato, ne gustiamo tutta la dolcezza.

Oh, quanto mi rende felice il Signore, e come è facile e soave servirlo qui in terra! Sì, io ripeto, egli mi ha sempre dato quello che ho desiderato, o piuttosto mi ha fatto desiderare quello che egli voleva darmi!>>.

 

II - La bontà è uno degli attributi sovrani, se non pure il massimo di Dio.

Nel senso classico, la bontà non è solo l'atto e l'abito di esercitare il bene, o del dimostrare animo buono, ma tutti insieme i beni di qualsiasi genere, spirituali e corporei. Consiste nella mite indulgenza e nel perdono generoso, e più propriamente bontà d'animo che di cuore. Consiste ancora nell’adope­rare il proprio diritto a fare il bene  agli altri,  nel rendere gli altri più perfetti e più felici, mediante quelle azioni che non v'è obbligo di fare, ma che spontaneamente si compiono: lnfatti, di una cortesia insolita ricevuta, noi esclamiamo: che bontà!

Male si contrappone alla giustizia, ma piuttosto si deve conciliare con essa. In ogni senso può avere dei gradi, e dirsi maggiore o minore. Di Dio si dice che Egli è la Somma e la Suprema Bontà. Se per bontà di un metallo o di una lega metallica, si intende quando il metallo sia puro e la lega formata di buoni ingredienti, e riuscita di buona qualità, quanto più si riferirà a Dio, perfetto in tutte le sue virtù.

La Bibbia ci rammenta: <<La mano del Signore Iddio è sopra tutti quelli che lo domandano in bontà>>.  (Esodo l, 8). Il Salmista ci conforta: <<Il Signore è pieno di misericordia e di compassione>>. (Sal.85, 12). E come se non bastassero le voci dell'Antico Testamento, nella legge d'amore procla­mata dal Vangelo, ecco la parabole del figliuol pro­digo ad ammaestrarci. Quel giovane dissipato, giun­to all'estremo della sua abiezione in terra straniera, si solleva, alla speranza del perdono, confidando nella bontà paterna: << Mi alzerò e andrò da mio padre>> (Luca 15,18). In certi momenti, dire pa­dre è dire tutto, cioè sottomettersi e confidare. E Gesù narra come tal padre s'intenerì al vedere il figliuolo tuttora lontano: <<E correndo gli si gettò al collo e lo baciò>> (Lc 15,20). Rifletti un istante, anima mia, sul significato della parola correndo. Il padre corse, evidentemente perché stava in ansia e attendeva trepidando quel ritorno. Così è di Dio, ansioso della tua salvezza.

Primo desiderio della bontà di Dio, è che l'uomo sia restituito alla grazia; e per ciò ottenere essa impiega ogni mezzo umano e divino, ordinario e straordinario, non sempre chiaro o comprensibile dalla nostra mente, anzi talvolta in apparente con­trasto ai desideri da noi manifestati, mirando però al vero e utile fine.

A ben considerare, in tutta la nostra vita noi riscontriamo manifestazioni della bontà divina: a cominciare dall'atto liberale della nostra esistenza alle cure dimostrate col preservarci da infiniti peri­coli, talora sconosciuti, alle gioie e soddisfazioni provate, alle stesse pene seminate sul nostro cam­mino, e infine al perdono sollecito e generoso e completo delle offese da noi recate alla sua giustizia.

Che cosa vorremmo di più

III - O mio Dio, tu fosti sempre verso di me padre amoroso. Or quando io mi deciderò a rico­noscerti tale, ricambiando la tua bontà con lo stesso amore, con altrettanta sottomissione ai tuoi voleri e precetti, con umile fedeltà ai tuoi insegnamenti, ammirando come fai campeggiare le ricchezze della tua bontà in vasi di misericordia? (Rom. 9, 23).

Tu non vuoi altro che la mia salvezza. Per otte­nerla, non hai esitato a darmene la prova suprema, sacrificando il tuo Figliuolo nell'opera stupenda del­la Redenzione, immolando il Verbo Santissimo sul patibolo infame e glorioso della croce. E non ancora pago di tanto sacrificio, ti sei degnato, per suo mez­zo, di rimanere sempre a me vicino, sempre a me accessibile, nel sacramento eucaristico; ben più di me desideroso d'unione e d'amore, incontentabil­mente voglioso di accogliermi e di perdonarmi.

Tu lasci al mio libero arbitrio la facoltà d'usare il mezzo da te stesso offerto per riconciliarmi con la misericordia divina. Quanto sei buono e delicato, poiché non vuoi nemmeno impormi a forza il tuo affetto paterno. Attendi che io venga liberamente a te, e solo non ti stanchi di mostrarmene la conve­nienza e l 'utilità, onde io possa riavere pace al mio spirito.              

La tua bontà mi confonde. Nel meditarla, io sento il mio cuore intenerirsi, la mia mente umiliarsi, e dai miei occhi scaturire una vena di lacrime. Acco­gli, mio Dio, questo pianto: ogni sua stilla diventi preziosa al tuo cospetto, come gemma che mi ador­ni e renda omaggio alla tua sovranità, alla tua de­gnazione. O rogo di carità, se davvero non disprezzi chi piange e si umili dinanzi a te, ricevi ora il mio cuore prostrato: prendilo nelle tue mani santissime, riplasmalo secondo il tuo volere, rendilo puro e degno di te, affinché mai più abbia ad eclissarsi in me la luce della tua grazia.

Voglio essere tuo, solamente tuo, da oggi e per sempre. Benedici il mio proposito, santifica la mia promessa e fa che io non venga mai meno, finché potrò dirti quanto io ti ami nel paradiso.

Pensiero: << Volete un mezzo per giungere alla perfezione? Non ne conosco che uno: l’amore>

Giaculatoria: <<O Gesù, che io non cerchi e non trovi che te solo! Tutte le creature siano nulla per me, e io nulla per loro!>

Preghiera a S.Teresa come al primo giorno

Esempio – un tocco prodigioso

A Nardò la signorina Santa Aprile, affetta da erisipola flemmonica di carattere conceroso, è in punto di morte. A giudizio dei medici curanti non vi è più da sperare in una crisi risolutiva, perché il processo di necrosi già diffuso nella bocca, le ha orribilmente tumefatto il viso, e allo scopo di permettere almeno la respirazione si pensa di praticarle la tracheotomia.

Però l’inferma, disposta ormai a morire, nutre ancora una grande fiducia nell’intercessione di S.Teresa del Bambino Gesù e non si stanca di invocarla. Durante la notte, mentre i familiari predispongono le cose per la sua prossima sepoltura, ella, pienamente sveglia quantunque impossibilitata ad aprire gli occhi a causa del gonfiore dei viso, vede mentalmente una mano bianchissima avvicinarsi a lei e toccarle delicatamente il volto. Intuisce che sia la piccola Santa da lei supplicata con tanta fede, e da quell’istante comincia a sentirsi meglio.

L’indomani i medici, sorpresi, costatano l’inatteso inizio di risoluzione della necrosi, e presto ella guarisce interamente.

Settimo giorno – Giustizia di Dio

 

 

 

 

 

 

I – S.Teresa considera la giustizia di Dio e le sue inderogabili esigenze, costantemente in rapporto alla divina misericordia;  l’attuazione della quale nel confronto degli uomini equivale a opera di superiore  giustizia, e questa a quella contempera. Ma la sua dottrina è che le esigenze supreme della giustizia, saranno oltrepassate e vinte, almeno sulla terra, da altre esigenze non meno importanti, rappresentate dall’amore di Dio. Un padre punisce il figlio solo in quanto lo ama, perciò il suo rigore non deve e non può essere che un mezzo; il fine ultimo rimane sempre quello dettato dal sentimento, che gli suggerisce di rendere felice la sua creatura.

<<Il Signore è buono e le sue misericordie sono eterne>> (Cantico 8,7). Se ogni anima ricevesse siffatti favori, mi pare che Dio non sarebbe più temuto da nessuno, ma amato all’eccesso. Non un’anima commetterebbe la minima colpa volontaria, e questo non per timore, ma solo per amore.

Egli ha elargito a me la sua misericordia infinita, ed io attraverso questo specchio ineffabile, contemplo gli altri suoi attributi. Essi mi appaiono allora tutti sfavillanti d’amore, fino alla sua giustizia; e questa forse ancora più degli altri mi sembra rivestita d’amore. Quale gioia ineffabile è mai il pensare che il Signore è giusto, che tiene conto delle nostre debolezze, che conosce la fragilità della nostra natura! Di che mai potrò io dunque temere? Quel Dio infinitamente giusto, che si degna di perdonare con tanta misericordia le colpe del figliuol prodigo, non deve essere giusto anche verso di me, che sono sempre con lui? Pensavo un giorno alle anime che si offrono vittime alla divina giustizia, per stornare, attirandoli sopra di sé, i castighi riservati ai peccatori. Trovai questa offerta grande e generosa, ma ero assai lontana dal sentirmi la forza di farla.

<<O mio divino maestro, esclamai allora dal fondo del cuore, non vi sarà dunque che la tua giustizia a ricevere i suoi olocausti? Il tuo amore misericordioso non ne avrà esso pure bisogno? Esso è dunque sconosciuto, rigettato; quei cuori ai quali vorresti farne dono generoso, si volgono alle creature chiedendo la felicità al miserabile affetto di brevi istanti, invece di gettarsi fra le tue braccia ed accettare la deliziosa fiamma del tuo amore infinito? O mio Dio, quest’amore disprezzato rimarrà dunque chiuso nel tuo cuore? A me sembra che, se trovasti delle anime le quali si offrissero vittime al tuo amore, le consumeresti rapidamente, e saresti felice di non comprimere le fiamme di tenerezza infinita che in te sono racchiuse. Se la tua giustizia, che pur non si estende che sulla terra, ama di trovare il suo compimento assoluto, quanto più il tuo amore misericordioso desidererà di infiammare le anime, poiché la tua misericordia si innalza fino ai cieli. O Gesù, sia dato a me di essere questa vittima fortunata!

Questa giustizia che spaventa tante anime, è l’argomento della mia gioia e della mia confidenza. Si, io spero tanto dalla giustizia del buon Dio quanto dalla sua misericordia; perché egli è giusto, egli è anche compassionevole e pieno di dolcezza, lento a punire e abbondante nella misericordia>>.(Sal.102,8)

 II – Secondo la definizione dei santi e dei filosofi, giustizia è il rendere a ciascuno il debito suo, costante volontà di dare prontamente ad ognuno il suo per l’utilità comune. Non è la perfezione essenziale della natura di Dio, ma la legge che deriva da quella e che fa essere gli uomini giusti. Non è parte di virtù, ma tutta la virtù. Nelle opere, vale la loro morale rettitudine, così verso Dio come verso gli uomini. Consiste la giustizia non già nel verso degli uomini. Consiste la giustizia non già nel fare un gran numero di azioni a favore altrui, ma in non farne nessuna iniquamente. Nel senso cristiano, è adempimento perfetto dei doveri religiosi.

Nel discorso della montagna fu detto: <<Beati quelli che hanno fame e sete della giustizia, perché saranno saziati>>. (Matteo 5,6). Non basta volere la giustizia, ma bisogna soffrirne la fame; espressione figurata per dire che non saremo mai abbastanza giusti. Ogni bene che gli uomini non fanno per amore del bene, non ha valore agli occhi di Dio. Ora, si ha fame di giustizia, quando si desidera vivere secondo le regole della giustizia divina; nel che non procederemo mai a sufficienza su questa terra.

Gesù ci esorta ancora più chiaramente con un termine di paragone, quando dice: << Se la vostra giustizia non sarà maggiore di quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli>> (Matteo 5,20). E’ dunque un comandamento nuovo da aggiungere agli antichi; riunione di tutte le virtù per cui occorre il soccorso della grazia. Gli scribi e i farisei insegnavano, ma non praticavano le loro dottrine; la perfezione, invece, sta nel praticarle. E praticarle sul fondamento dell’amore:<<Amate i vostri nemici, fate del bene a quelli che vi odiano, e pregate per quelli che vi perseguitano e vi calunniano>> (Matteo 5,44).

Inoltre, bisogna cercare la giustizia con attrattiva, con amore, e praticarla non solo disprezzando il piacere, ma sopportando il dolore. Quello che purifica i peccati, è la penitenza per per la quale l’uomo sé medesimo giudica, e fa giustizia di sé, unendo i  mali commessi. I martiri hanno amato la giustizia d’amore perfetto, poiché l’amore della giustizia li fece camminare generosamente nelle loro sofferenze e li fece pervenire a Dio.

 III – Non tutti possiamo essere dei martiri, ma tutti possiamo ricevere lietamente le nostre pene per soddisfare le esigenze della giustizia di Dio verso di noi e verso il prossimo. Per convincersene, basta rileggere le surriportate parole e la domanda eroica di Santa Teresa, che col suo esempio ci offre un mirabile modello da imitare, e insieme una chiara via di riparazione, che adduce alla perfezione.

Già l’abbiamo detto, i nemici di Dio sono pure tuoi nemici, anima mia. E se egli vuole che tu faccia del bene ai tuoi nemici – a coloro che accecati dall’odio lo combattono, mentre egli non cessa tuttavia di desiderarne il rinsavimento e il ritorno alla casa del padre; e coloro che comunque fuorviati dal demonio, sono pecore smarrite sempre attese all’ovile, e ognuno di essi ha te pure forse atrocemente ferito – tu non esitare, poiché Gesù disse: <<Siate perfetti, come il Padre vostro celeste è perfetto>> (Matteo 5,48).

E poiché l’apostolo insegna: <<Il fine del precetto è la carità, con purità di cuore, netto di colpe e con fede sincera>> (1 Tim.1,5), quale miglior mezzo tu hai di osservare il comandamento, di quello che puoi ora generosamente eleggere? Il sole di giustizia, il Verbo Incarnato, è apparso sulla terra per la salute di tutti gli uomini, la pioggia vivificante della sua dottrina deve a tutti comunicarsi, e tutti beneficare dei frutti della Redenzione. Ricordando, per te e per il prossimo tuo, che <<la carità copre la moltitudine delle colpe>> (Prov. 10,12), attingi la tua ispirazione alla maniera aperta nel santo Vangelo e supplica il Signore di volerti adoperare non solo a riscattare i tuoi peccati, ma ancora quelli degli altri.

Sì, mio Dio, non come gli scribi e i farisei, che scrupolosamente pagavano le decime delle erbette e trasgredivano i più gravi comandamenti; che curavano la moda esteriore e non badavano all’interna; che erigevano sontuosi mausolei ai profeti defunti e perseguitavano il Giusto vivente – sepolcri imbiancati, sotto il manto dell’ipocrisia occulti di marciume – ma vivendo della più ardente carità, cercando per me e per i miei fratelli <<il regno di Dio e la sua giustizia>>. (Luca 12,31), umiliato sotto il peso del mio passato, implorerò il trionfo della tua giustizia d’amore su tutti, mi studierò di piacere solamente a te, di placarti con i miei sacrifici, meritando così la vera felicità in terra e nel cielo.

Pensiero: <<Bisogna vivere di sacrificio. Senza questo la vita non può essere meritoria. Non perdiamo mai una prova che il Signore ci manda, come l’occasione di esplorare una miniera d’oro>>.

Giaculatoria: <<O Gesù, prendimi, piuttosto che la mia anima sia insozzata quaggiù dalla più piccola colpa volontaria>>.

Preghiera a S.Teresa come al primo giorno. 

ESEMPIO – Rose di prodigio

  A Lisieux, un poveretto di 80 anni, un certo Ferdinando Aubry, da Prèteville, degente in un ospizio di vecchi, è affetto di gravi ulcerazioni alla lingua, di natura cancrenosa. Trasportato all’infermeria, per consiglio di una suora infermiera inizia una novena in onore di S.Teresa del Bambino Gesù, nel corso della quale sembra però aggravarsi maggiormente, poiché il tessuto della lingua comincia a disgregarsi e a cadere. Gli viene allora dato uno dei petali delle rose che la piccola santa usava sfogliare sul Crocifisso. Ne degluttisce appena una particella pregando fervidamente, e subito si sente migliorare. Dopo tre o quattro giorni dichiara: <<io sono guarito>> e richiesto da quanto tempo avesse notato il miglioramento, precisa: <<da tre o quattro giorni>>.

Da allora la sua lingua ha l’aspetto come di una piaga cicatrizzata di recente e di colore naturale; non solo, ma riprende anche il volume normale. Ciò che costituisce clinicamente un secondo prodigio.

 

Ottavo giorno – Presenza di Dio

 

 

 

 

 

 

I – Solo le anime superficiali, assorte unicamente delle cure mondane, e che nulla danno alla vita dello spirito, ignorano o dimenticano la presenza di Dio. Santa Teresa, invece, raccolta costantemente nella vita interiore pur fra le più svariate occupazioni, sentiva questa presenza ovunque, e amava rilevarla nelle manifestazioni della natura, nel  silenzio del cuore, nei colloqui amorosi col suo Diletto.

Un giorno il bel cielo azzurro della campagna si coprì tutto, e l’uragano cominciò ben presto a rumoreggiare con violenza, accompagnato da fulmini abbaglianti. Io mi voltavo a destra e a sinistra, per non perdere nulla di quel maestoso spettacolo, e finalmente vidi un fulmine cadere in un prato vicino; lungi, però, dall’impaurirmi, ne rimasi addirittura  ammirata, sembrandomi che il buon Dio fosse a me vicinissimo.

E’ proprio dei piccoli, anzi dei piccolissimi, il rimanere impassibili davanti ai fenomeni naturali. Non era mancanza di discernimento in lei, bensì sentimento precoce dell’esistenza di una forza ordinatrice e promotrice anche di quel fatto straordinario accaduto sotto i suoi occhi; il quale non le ispirava alcun timore di una presenza soprannaturale ma benevola.

Fatta più grande, e chiestole da una delle sue maestre quali fossero le sue occupazioni nelle giornate di vacanza, rispondeva candidamente: <<Vado spesso a nascondermi in un cantuccio della mia camera, che posso facilmente chiudere con le cortine del letto, e là penso……penso a Dio, alla rapidità della vita, all’eternità!>>.

Divenuta suora nel Carmelo di Lisieux, il suo pensiero si eleva, si affina, nutrito di riflessi meditativi, e parlando della brama di ricevere il suo Dio, esclama: <<Non già per starsene nel ciborio dorato egli scende dal cielo ogni giorno, ma per trovare un altro cielo, il cielo dell’anima nostra, dove trova le sue delizie!>>.

Tre confessioni apparentemente semplici e ingenue, rivelatrici di sicurezza morale calma e confidente.

Infine, ecco alcune righe da lei scritte con mano tremante sul letto che adunava tutte le sue sofferenze, alla vigilia del suo giorno estremo: <<O mio Dio, quanto sei buono per la piccola vittima del tuo amore misericordioso! Proprio in questo momento, nel quale tu unisci i patimenti esteriori alle mie interne prove, non posso dire che mi circondarono dolori di morte. Posso bensì esclamare nella mia riconoscenza: sono discesa in mezzo alle ombre di morte, ma non temo alcun male, poiché tu sei con me, o Signore!>>

Testimonianza ultima, le parole supreme con cui rese la sua bell’anima: <<Mio Dio, ti amo!>>.

II – Provate  a raccogliervi sopra questa grande verità della presenza di Dio. Tu sai che Dio esiste. Te lo dice tutto il creato, il quale non può essere opera del caso o delle forze occulte della natura, come asseriscono con termini difficili i materialisti, senza riuscire a provarlo. Poiché anche le loro teorie, indagando le origini del mondo, sono costrette a fermarsi davanti al mistero dei corpi semplici e degli elementi nucleari; mentre i fisici, intenti alla dissociazione dell’atomo, hanno recentemente rivelato la somma di spaventosa energia contenuta da questi invisibili corpuscoli e con ciò ravvolto di nuova oscurità il problema fondamentale dell’universo che Dio esiste, a te credente, lo dicono gli splendori e le meraviglie dell’ordine universale, stabilito da una causa originaria che non può aver causa, da un principio efficiente che non ha altro principio che se stesso; lo ripetono la ragione e la fede, la vista di tanti esseri intelligenti desiderosi di conoscere il bene, aspiranti ad una felicità che oltrepassa i confini raggiungibili. Te l’insegna la Chiesa, esponendoti le verità morali necessarie al tuo retto cammino, rinnegando le quali tu senti di errare; la legge primitiva e naturale di onestà impressa nel tuo cuore e nel cuore di tutti gli uomini, opera della creazione divina. Te lo affermano i grandi e migliori vissuti prima di te, i quali confermano che Dio, se non si vede con gli occhi, ben si vede nei suoi ordinamenti, nelle sue fatture, nelle sue leggi; e proclamano che il cielo a tutti parla, e parlando a tutti pubblica l’esistenza, cioè la presenza, del sovrano principe di tutte le cose. Te lo prova la tua venuta al mondo, dal nulla, come essere dotato di ragionevolezza e di libertà.

Paolo, nel suo discorso all’areopago ateniese – quel discorso di cui S.Agostino diceva dover essere stato uno dei più grandiosi e solenni avvenimenti che avrebbe voluto vedere nella sua vita – annunzia: <<Dio che ha fatto il mondo e tutto ciò che vi si trova, essendo il Signore del cielo e della terra…..egli che dà a tutti la vita, il respiro e tutte le cose; e ha derivato da uno solo la progenie tutta degli uomini……..quantunque non sia lontano da ciascuno di noi, poiché in lui abbiamo la vita, il movimento e l’essere…..>>. (Atti 17,24-28).

Ma anche in altri modi Dio è presente.

Nella più completa solitudine, sul mare o nel deserto, volando nei cieli o disceso nelle profondità terrestri e sottomarine, tu sai e senti benissimo la presenza, sopra e intorno a te, di una forza, di una entità superiore cui ti potrai sempre rivolgere, sicuro di ascolto, forse manifestando la tua trepidazione ed invocando nel pericolo.

E nell’occulto silenzio del cuore, quando il dolore muto e terribile ti strazia, quando il vuoto di ogni conforto umano ti circonda, quando la disperazione ti avvince, a chi, pur senza parole e anche solo con muto istintivo di liberazione, ti rivolgi? Un qualunque tuo fallo, una tua qualunque evasione alla legge moderatrice del bene, più forte della tua volontà inconsapevolmente stampata nel tuo spirito – cada o non cada codesto tuo fallo sotto l’impero delle sanzioni codificate dagli uomini – perché affaccia nel tuo animo la punta del rimorso, solo che tu vi ripensi rientrando in te stesso e con vane argomentazioni cerchi di attenuarlo?

Ecco Dio, presente, sempre presente, sopra di te, intorno a te, dentro di te. Inevitabilmente presente, qualsiasi cosa tu dica o faccia, sottomesso o ribelle, stante o in fuga, solitario o nei tumulti, dolorante o lieto, lodatore o bestemmiatore. Sì, anche bestemmiandolo, odiandolo e maledicendolo, a Dio si rende testimonianza.

III – Ma la temerai tu, questa presenza invisibile? Sfuggirai tu, come il primo maledetto fratricida, il tuo Dio? No, non fuggirlo, finché sarai sulla terra, dove egli ha voluto che all’antica legge del timore subentrasse la nuova legge dell’amore. Egli ti ama. Egli è misericordioso. Egli ti desidera. Egli non aspetta che tu vada a lui; ma ti viene incontro sorridente e benigno, e ti invita. Per dimostrarti il suo affetto, ti ha circondato di sollecitudini, di tenere attenzioni, di grazie piccole e grandi, molte volte incomprensibili a te, lungo tutta la tua vita. Egli vuole che l’opera delle sue mani, la creatura formata da lui come lui, non vada perduta. Anela, infine che il sacrificio del suo Figliuolo per te non sia stato invano: in altre parole, egli vuole salvarti.

Dio d’amore, non chiede da te che amore.

Ti chiama dalla croce, frammezzo ai tormenti e alle angosce, che unicamente per te ha affrontato. Ti chiama dal tabernacolo, dall’ostia santa, dal sacramento che, per rimanere vicino a te, ha istituito. Ti chiama dal cielo ove regna glorioso, per farti partecipe della sua gloria.

Si nasconde per non impressionarti con la sua magnificenza regale, che renderebbe evidente l’immenso abisso fra te e lui; si umilia, si fa piccolo e insignificante, per ispirarti confidenza; si riduce mendico, per chiederti l’elemosina di un solo moto affettuoso. Rimarrai tu insensibile a tante manifestazioni della sua onnipresente bontà?

No, mio Dio, io non resisto più. I miei occhi non ti vedono, ma il mio cuore ti vede. I miei sensi non ti percepiscono materialmente, ma la mia anima sintonizza con te, con la tua generosità, con la tua infinita degnazione. Nel profondo del mio spirito si agita la tua fiamma, e mi scuote, mi commuove, mi accende, mi esalta.

O mio Dio, fa che questa fiamma, fiamma del tuo amore inesausto, bruci in me quanto possa ancora avvincermi agli affetti e alle miserie della terra, alle cose e alle creature di quaggiù. Fa che per il pianto io mi redima alla tua presenza; che per l’amore io restauri le devastazioni compiute in me dalle passioni umane; che per desiderio di piacerti io intraprenda fedelmente in via di riparazione e di elevazione da te stesso additata.

Non più a te nemico, non più da te distante, a te interamente unito, io ti serva, ti contraccambi, ti ami.

Io voglio soltanto amarti, quanto tu vuoi e quanto tu meriti; e tanto ancora quanto non ti amano coloro di cui tuttavia tu aspetti pazientemente e ardentemente il ritorno. Questo sia ora il mio paradiso, in attesa, mio unico bene, di possederti e goderti eternamente.

Pensiero: <<Non c’è che una cosa da fare quaggiù: amare Gesù e salvargli delle anime perché egli sia amato>>.

Giaculatoria: <<Gesù, il tuo nome è come olio odoroso. Io voglio tuffarmi in questo profumo, lungi dagli occhi del mondo>>.

Preghiera a S.Teresa come nel primo giorno

ESEMPIO : Una bella rosa bianca

L’irlandese Laura Fitchett di anni 13, da Dublino, colpita da nefrite acuta il 10 gennaio 1921 e ridotta presto in fin di vita, viene misteriosamente risanata all’apparizione di S.Teresa del Bambino Gesù. L’avvenimento che precede la sua improvvisa guarigione è così narrato dalla madre: <<il medico curante era allarmatissimo ed io non speravo  più, quando, il 27 gennaio, mentre parenti e vicini affezionati insieme a me circondavano il letto della mia povera figliuola, assistemmo ad una scena sorprendente. Laura si trovava in stato comatoso e pareva più morta che viva, allorché di colpo la vedemmo sollevarsi, congiungere le mani in atto di preghiera e recitare tre Ave Maria. Eravamo sorpresi che uscisse dal suo torpore, quando ella mi disse: - mamma, il “piccolo Fiore di Gesù” è venuta e mi ha guarita. Mi ha chiamata per nome, mi ha ordinato di sedere e di recitare tre Ave Maria per salutare la SS.Vergine che era con lei a capo del letto. Poi mi ha presentato una bella rosa bianca, ma ha preso per mano dicendomi: “Arrivederci” e ha aggiunto sorridendo: “Sei guarita”- in così dire la fanciulla si è alzata raggiante, perfettamente sana, come le aveva assicurato la Santa>>.

Diversi testimoni, tra cui due autorevoli sacerdoti, confermano il fatto.

Nono giorno – Grandezza di Dio

 

 

 

 

 

 

 

I – Tutte le anime superiori, a cominciare da S.Agostino, hanno provato vaste e profonde commozioni mirando gli spettacoli grandiosi della natura, e vi hanno fatto seguire alte meditazioni sulla propria nullità in confronto alla grandezza dell’Essere Divino, traendone motivo per adorarlo.

Leggiamo quello che scrive la piccola Teresa: <<Quando vidi per la prima volta il mare, non avevo che sei o sette anni; quella vista mi colpì vivamente, tanto che non sapevo distaccarne la sguardo. La sua grandiosità e il muggito delle onde, tutto parlava alla mia anima della grandezza e della potenza di Dio……..La sera di quel medesimo giorno, nell’ora nella quale il sole pare tuffarsi nell’immensità delle onde lasciando sopra di esse un grandissimo solco luminoso, andai a sedermi con la mia Paolina (la sorella) sopra uno scoglio deserto. Contemplai lungamente quel solco d’oro, che ella mi diceva essere immagine della grazia che illumina quaggiù

il cammino delle anime fedeli, e in mezzo a quel solco immaginai di vedere il mio cuore sotto forma di una barchetta della graziosa vela bianca. Risolvetti allora di non mai allontanarlo dallo sguardo di Dio, perché rapido e tranquillo potesse navigare verso le rive del cielo.

Stupefatta e compresa di riverenza, per la generosità come il Signore opera in lei, ella non trova di meglio che riconoscersi essere trascurabile, e attribuire all’immensa grandezza di Dio, la grazia di cui diviene oggetto: Sono troppo piccola per potermi insuperbire; sono troppo piccola per saper comporre delle belle frasi, mediante le quali far credere che sono dotata di molta umiltà. Preferisco perciò convenire semplicemente che l’Onnipotente ha operato in me grandi cose; e la più grande è quella di avermi mostrato la mia piccolezza e la mia impotenza a qualsiasi bene.>>.

Infatti, contrapposto della grandezza è la piccolezza, della potenza l’umiltà: riconoscersi piccoli davanti alla grandezza e alla potenza di Dio, è vera umiltà; virtù misconosciuta dalla ribellione degli angeli e dalla superbia del primo uomo.

II – La misura della grandezza di Dio si ha tanto dalle sue perfezioni quanto dalle sue opere, frutto della sua spontanea magnanimità. Grande nell’opera della creazione di un universo invisibile o sensibile, egli lo è altrettanto nell’opera di conservarlo e migliorarlo con sempre nuovi progressi nel quadro delle sue sapienti leggi. Grande nell’opera della creazione dell’uomo immeritevole per i suoi peccati e perduto, egli lo è altrettanto nell’opera della Redenzione. Se è grande nella potenza, dunque ancora più grande lo è nell’amore; in quanto l’amore ha reso più evidente e meravigliosa l’affermazione delle infinite possibilità divine.

<<Dio ha così tanto amato il mondo, che ha dato il suo Figliuolo unigenito, affinché chiunque in lui crede non perisca, ma abbia la vita eterna>> (Giov. 3,16). Non si poteva esprimere più fortemente la grandezza di questo amore, giacché i due termini Dio e il mondo sono separati da una distanza immensurabile. Colui che è immortale, la vera grandezza, ha amato coloro che sono nati dalla terra e dalla cenere e che sono pieni di infiniti peccati. Dare una creatura ad un’altra creatura, è testimonianza d’amore: tuttavia il dono di una cosa di così poca importanza, che noi dobbiamo perdere in breve, non ha gran merito. I doni di gran prezzo attestano una carità più estesa e i grandi doni sono la prova di un grande amore. Ora, quale è più grande testimonianza di amore e di carità che l’aver dato per la salvezza del mondo un Figlio, il proprio Figlio, l’unico Figlio?

Grande nell’opera della Redenzione, egli ha quest’opera mirabilmente ordinata, sembra quasi si indugiasse in accurate raffinatezze, così come l’artista nel suo capolavoro.

La mediazione dell’Uomo-Dio non poteva redimere l’uomo se questi non l’avesse accettata liberamente: ed ecco Gesù stesso farsi modello a tutto il genere umano, e, dopo di lui, innumerevoli schiere di santi e di fedeli, produrre esempi di virtù.

A perseverare nel retto cammino poteva giovare un soccorso amico: ed ecco fondato il sacerdozio, trionfare l’Eucaristia, il cui ricevimento conserva e accresce la grazia.

A rendere più intima e fruttuosa la corrispondenza tra Dio e l’uomo erano opportuni nuovi sussidi; ed ecco sorgere, diffondersi, affermarsi, attirando nel loro solco riposante le turbe affascinate, tante nuove devozioni  che inteneriscono il cuore umano e lo sollevano in più spirabili aere.

Quali altre riflessioni occorrono, per considerare e adorare la grandezza infinita di Dio, nel mondo esterno dei sensi e nel mondo misterioso delle anime?

III – Vorrei ora, mio Dio, esprimerti la mia ammirazione per le opere grandi della tua divina potenza, e la mia gratitudine per la più grande opera prodotta dal tuo amore per me. Però il quadro solenne e sfolgorante della tua grandezza mi rende attonito; non timoroso o soggetto, ma incapace a trovare parole del mio scarno dizionario atte a celebrare il tuo inarrivabile splendore. E allora, dal mio cuore estasiato e giubilante, sale il cantico che già risuonò sulle montagne della Giudea in bocca alla Madre del Salvatore: <<Magnificat anima mea, Dominum>> (L’anima mia magnifica il Signore) (Luca 1,46).

Io ti glorificherò, o Signore, camminando costantemente alla tua ombra e portando il nome di cristiano con la dignità delle opere che tu mi comandi e vuoi da me.

Nelle tenebre della vita, tu mi scocchi a tratti lampi abbaglianti, i quali penetrano la mia anima e mi danno la subitanea tua visione, mi rischiarano così profondamente da portarmi ad amare te e disprezzare tutto il resto. Deh, prolunga tale miracolo, ancora troppo rapido per impressionare stabilmente la lastra sensibile della mia anima, perché possa apprendere compiutamente lo stato dei giusti nel cielo, ove essi trovano in te, una gioia sempre uguale e perseverante.

Io tutto ti debbo: la nascita e il riscatto, la vita, il perdono, i mezzi della salute, la promessa di un premio che i desideri avanza, e quell’amore che se non fosse di un Dio si direbbe di una madre verso il suo bambino.

A che l’indugio e l’incertezza? Avvelenato dal lungo intristire dei pantani con un colpo d’ala io sorgo oramai dalle nebbie e mi slancio nel sole, nella luce, nell’azzurro, nella magnificenza, a te, mio Dio, e canto l’inno della riconoscenza e dell’amore: Magnificat!…

Soprattutto dalle pene, ricolmo di miseria nel mio spirito, irretito fra gli intrighi umani, io spezzo i miei lacci, anelando alla libertà dei cieli dove trionfa la tua grandezza.

O sommo Dio, dominatore dell’immensità, accoglimi, ricevimi, custodiscimi, sii tu il mio eterno rifugio, uniscimi a te con perfetta unione di grazia, affinché io a te mi unisca con perfetta unione di carità. <<Chi sta nella carità, sta in Dio, e Dio in lui>>. (1 Giov. 4,16)

Pensiero: <<Pensando alla grandezza e alla potenza di Dio, non farò più caso dei miei piccoli interessi, non amerò che lui, e intravedendo ciò che egli riserva a coloro che lo amano, non avrò la disgrazia di attaccarmi alle vanità della terra>>.

Giaculatoria: <<Ti chiedo, mio Dio, che l’incenso delle lodi, così dolce alla natura umana, non inebri il mio spirito, facendomi credere di possedere virtù appena talvolta praticate>>.

Preghiera a S.Teresa come al primo giorno

ESEMPIO : Confidenza di un’anima pia.

Il venerando trappista francese P. Maria Raffaele, in data 10 marzo 1921, si professa affettuosamente grato della continua protezione di cui è oggetto da parte di S.Teresa del Bambino Gesù; dopo che avendo letto la <<storia di un’anima>> non ha mancato di rivolgersi a lei in tutte le circostanze della vita, votandole una speciale devozione.

Guarito in brevi giorni da un eczema che lo tormentava da molti anni, ha poi sentito spesso un misterioso “profumo di rose” mai prima avvertito, davanti alla sua immagine. Una notte, durante il sonno, ha ricevuto la confortante visita della piccola santa, seduta ai piedi del suo letto e trattenutasi diverse ore in pii discorsi.

<<Mi ricorderò fino alla morte di questa ineffabile conversazione sulla felicità della vita religiosa e sulla ricompensa che Iddio riserva in cielo a coloro che si sono a lui consacrati. Teresa mi diede consigli preziosi per la direzione di anime a me affidate, soprattutto per quelle esposte al soffio del corruttore del mondo. Poi tracciò a me stesso una linea di condotta da cui ricavo molto profitto… essa avrà cura di far passare le mie domande per le mani di Maria SS. Perché giungano più sicuramente e direttamente al Cuore di Dio….>>.

 

Decimo giorno – Riposo in Dio

 

 

 

 

 

I – Riposo vuol dire calma, sicurezza, abbandono, tranquillità, soddisfazione, oblio, elevazione. E dove potremmo noi trovarlo, altrimenti che nella sorgente, inesauribile e abbondante di tutti questi elementi, cioè in Dio? Santa Teresa l’ha gustato, lo gusta, vuol farcelo amare e desiderare, quando confessa: <<Come ringrazio il Signore di non avermi fatto incontrare che amarezze nelle amicizie terrene, perché con un cuore come il mio mi sarei lasciata prendere e tarpare le ali: e allora, come avrei potuto volare e riposarmi? Come può unirsi intimamente con Dio un cuore dato alle affezioni umane? Sento che è impossibile e ho visto tante anime, sedotte da questo falso lume, precipitarsi come povere farfalle, bruciarsi le ali….>>

<<Prima di riposarmi all’ombra di colui da me tanto bramato, avrei dovuto passare per mille prove; ma la chiamata divina si faceva tanto stringente che se anche mi fosse occorso di traversare le fiamme, in essere mi sarei lanciata pur di rispondere al mio Signore. Il mio cuore si è stabilito in Dio. Non avendo amato che lui, il  mio cuore è divenuto a poco a poco più grande, fino a mostrare verso coloro che mi sono cari, una tenerezza incomparabilmente più profonda, che se si fosse concentrato in una affezione egoista e infruttuosa. Ponendomi nelle braccia del buon Dio, imitai il fanciullino, che nelle grandi paure nasconde il capo sulla spalla del babbo. Mi studiai interamente di unirmi sempre più col mio Dio, sapendo che il resto mi sarebbe dato per giunta.

Questo consiglio mi sollevò: <<cercate con ardore i doni più perfetti, ma io vi indicherò una via ancora più eccellente>> (1 Cor. 12,31) – E l’apostolo spiega come tutti i doni più perfetti sono un nulla senza l’amore, e che la carità è la via migliore per giungere sicuramente a Dio. Alla fine avevo trovato il riposo.

L’amore racchiudeva in sé tutte le vocazioni, l’amore era tutto, ed abbraccia tutti i tempi e tutti i luoghi, perché esso è eterno. La pace divenne la mia eredità, la pace calma e serena del navigante, che scorge il faro indicandogli il porto.

II – Dove sono, anima mia, i compagni dei tuoi tripudi, coloro con cui assaporavi le delizie della terra e che ora non ti vedi più intorno? Alcuni innanzi al Supremo Giudice, altri dispersi, divenuti <<come la polvere, che il vento solleva alla superficie della terra>> (Sal. 1,4). E vuoi tu ancora rimanere tra i legami che ti tennero lungamente avvinta a questo mondo passeggero, o non piuttosto giovarti della conquistata solitudine e camminare finalmente nelle vie del Signore?

Mangiare, bere, cupidigie, parole inutili, leggerezze, noia delle opere buone, ricchezza, potenza, follie di un giorno, tutto è passato della tua vita inferiore, tutto t’impediva di avvicinarti a Dio, tutto deve nausearti, se vuoi rinnovarti e vivere la tua vita nuova al servizio dell’Eterno Bene.

Ogni gaudio che non viene da Dio, contamina e ferisce; ogni opera che non mira a Dio, appartiene al fango, fuori di Dio, ogni diletto è malvagio, ogni letizia effimera, qualunque abbondanza è miseria. Niente può saziare la fame dell’anima, fuori di Dio che la creò. Chiedi, perciò, il dolore per emendarti; chiedi la devozione per preservarti; chiedi l’amore per elevarti e godere la suprema gioia.

Se vuoi liberarti dai vizi, ricca nelle virtù, illuminata e paziente, trionfante dei tuoi nemici e consolata nelle avversità, umile nella preghiera, gustare nello spirito, regnare in cielo, cerca Dio: non fuori di te, ma dentro di te. Solo qui, separata dalla falsità del mondo, dalle seduzioni della carne, dalle insidie del demonio, lo troverai, sentirai la sua voce, ascolterai le sue parole e le sue promesse.

Egli vuole abbracciarti, colmarti di doni, comunicarti la sua carità, invitarti alla comprensione dell’inaccessibile amore, unirti a lui, trasformarti in lui, offrirti quella sublimazione riposante che è il suo possesso.Deciditi una buona volta! Presagio di beni maggiori, avrai non soltanto tranquillità e pace, stabilimento o fortezza, ma chiarezza di conoscenza per scegliere la vera via che a lui conduce, volontà di raggiungerlo, aiuto di mezzi per imitarlo.

Perché tardi? Il tuo destino è di ascendere. A Pietro, insonne e sconfortato nella barca, Gesù disse: <<Prendi il largo>>. (Luca 5,4). Cioè, lascia la riva insudiciata dei detriti della terra e delle acque, avanza nella solitudine, dove è ampio e libero il respiro dell’anima anelante all’infinito. Obbedisci anche tu all’invito, con l’obbedienza perfetta che si ha quando la volontà della creatura giunge a segno che riposa in Dio, come in un centro beato. Egli non è più per te una speranza, ma una visione: tronca gli indugi e va. Egli non è una promessa, ma un premio: che aspetti?

III – Dio si mostra a chi gli piace, cioè a coloro che rinnegano se stessi e aderiscono in ogni circostanza alla sua grazia, per agire o astenersi, e praticare ogni virtù. Ma il lavoro di Dio non lo possiamo noi capire e non lo penetra il nostro intelletto, poiché per capirlo innalzandoci fino a lui, tutte le nostre potenze, con le loro opere, devono annientarsi e sottomettersi alle influenze eccitanti della trasformazione in lui.

Risaliti alla nostra eterna sorgente, l’Eterna Verità, riceveremo allora una divina luce, e saremo posti sul culmine della beatitudine. Ivi, nel silenzio assoluto delle creature, rapiti dal prodigio nella regione superna dello spirito, mutati essenzialmente nel profondo di noi stessi, potremo godere e riposare nell’incommensurabile tesoro che è l’amore di Dio.

Che cos’è la beatitudine, il riposo in Dio? Figuratevi un oceano di pace, un torrente tumultuoso, un abisso infinito, dove gli eletti stanno con Dio nella gioia, e la gioia dice al limite: “non ti conosco”! E trasporta tutti coloro che la seguono entro un’immensità senza misura, deserta e sperduta, la quale non ha né via né traccia, né principio né fine, nulla di esprimibile e di comprensibile: l’estasi.

Per giungere a questo godimento sconfinato, come non cureremo la nostra preparazione, gli esercizi e le virtù; poiché i diversi gradi di adesione divina, di carità, di saggezza, di attività, produrranno altrettanti gradi di beatitudine?

Se vogliamo trasformarci e riposare in Dio, più su del dominio della natura, dobbiamo entrare in lui. Allora abiteremo in lui sollevati dall’amore, e riceveremo in pace  il suo indicibile abbraccio, che investe e confonde, placati e soddisfatti nel nostro infuocato desiderio di possesso.

Un’ineffabile propensione che freme in noi, ci trasporta, ci sospinge alle altezze, ci trae impetuosamente al nostro ultimo destino. Non resistere o mio cuore, sempre vacillante ed incerto. E’ Dio che ti chiama: <<Imparate da me che sono mansueto e umile di cuore, troverete riposo alle anime vostre>> (Matteo 9,29). E’ l’appello di Dio, che squilla imperioso e dolce. Taglia i tuoi legami, rinnega il mondo, disprezza le creature, supera tutte le brame terrene, lànciati nella corsa e non ti voltare più indietro, dimentica di avere un passato, precipita verso la luce. Ivi è Dio col suo riposo, ivi sarai tu, felice per sempre.

Tacete voci delle tenebre! Tacete richiami umani! Silenzio e oblio, effimere gioie della natura! La sorgente divina è aperta, le acque eterne della misericordia scorrono a flotti e mi inondano. O Dio adorabile, io vengo a te, con pienezza d’affetto; a te, mio refrigerio e conforto, mio caro bene, mio alto e sereno riposo, mio diletto, tutta la mia speranza.

Pensiero:<<La vita passa, l’eternità s’avanza. Ben presto vivremo della vita stessa di Dio. Dopo esserci abbeverati alla sorgente delle amarezze, saremo dissetati alla sorgente di tutte le dolcezze>>

Giaculatoria: << O faro luminoso dell’amore, io so come giungere fino a te, ho trovato il mezzo di far mie le tue fiamme>>.

Preghiera a S.Teresa come al primo giorno.

Esempio - La reliquia che guarisce

Nel 1921, all’età di sei anni, la piccola Emilia Pellon, da Frèjius, è già una speciale protetta di S.Teresa del Bambino Gesù. Allettata da qualche giorno per un accesso febbrile, aggravandosi il male, viene chiamato al suo capezzale un medico militare, che è pure fervente cattolico, il quale diagnostica la forma di tifo, confermata da esami batteriologici. In breve la fanciulla ha sintomi di recrudescenza allarmante, e il 13 ottobre il suo stato fa prevedere prossima la catastrofe; tanto che una suora assistente, pratica di moribondi, suggerisce di preparare la veste bianca destinata alla sepoltura.

Qui è lo stesso ufficiale medico curante, dott. Vallet che narra: <<il padre, reduce dal fronte singhiozzava; tentai invano di prodigargli le consolazioni di simile casi, poi mi allontanai. Alle 9, mia moglie espresse il desiderio di rivedere un’ultima volta la graziosa piccina che aveva così spesso ammirata. Bisognava affrettarsi.  La morente era sempre in coma; il polso impercettibile…..mia moglie allora staccò dal collo un reliquiario contenente un pezzo di veste di S.Teresina, lo appuntò con una spilla sul petto della sua piccola amica; quindi ci recammo alla messa. Al nostro ritorno, Emilia, uscita dallo stato comatoso dormiva placidamente. La respirazione normale come le pulsazioni; alla tinta cadaverica era subentrata una dolce tinta rosata. Nella mia visita dell’indomani, costatai la cessazione della febbre; la piccola protetta di S.Teresa giocava con la sua bambola….Suppongo che tale guarigione sia unicamente dovuta alla miracolosa influenza della Santa. Dal punto di vista medico posso affermare che la malata, in coma da lunghe ore, era virtualmente morta, e che simile resurrezione debba attribuirsi soltanto ad un miracolo>>.

 

Undicesimo giorno – la preghiera

 

 

 

 

 

 

I – I dottori della Chiesa, tra cui S.Agostino,  S.Basilio,  S.Giovanni Damasceno e S. Tommaso d’Aquino, hanno dato della  preghiera una definizione pressoché concorde, dicendola una domanda che noi facciamo a Dio delle cose convenevoli e che possono servire alla sua gloria e alla nostra salute.

I grandi mistici, almeno una ventina, hanno considerato la preghiera come un’elevazione della mente e del cuore a Dio, la più atta a farci giungere alla sua conoscenza, nell’unione e nell’amore, affinando e perfezionando a tale scopo la facoltà del nostro spirito.

La semplicità, la sensibilità, la natura ardente della Serafina di Lisieux sono andate oltre, quando, con poetica immagine, hanno paragonato la preghiera a <<una regina che ha sempre libero accesso alla presenza del re, e può ottenere tutto quello che chiede>>, specificando altresì che <<per essere esauditi non è necessario leggere in un libro <<una bella formula di preghiera composta per la circostanza>> e ancora indicando la <<confidenza>> come la caratteristica << più accetta ed efficace dell’orazione>>.

Che intuito ella afferma: <<Il creatore dell’universo aspetta la preghiera di una piccola anima, per salvare una moltitudine di anime>>. Sull’efficacia della preghiera, intesa quale arma di pacifiche conquiste, pone l’ardito quesito: <<l’apostolato della preghiera non è più elevato di quello della parola?>>.

Calde e insistenti esortazioni alla preghiera, Teresa disseminò nella sua <<Storia di un’anima>>, nelle lettere, nei consigli, ripetendone brani dal tocco possente sul resto dei sacri libri; mentre le sue poesie sono tutte pervase dal più elevato e commosso lirismo orante.

Infine, delusa dalla vana ricerca di formule di preghiera, che potessero appagare pienamente il suo desiderio di fervore, conclude stupendamente: <<Non ho il coraggio di affannarmi a cercare delle belle preghiere; questa ricerca mi fa venire il mal di capo, perché ve ne sono tante, e tutte una più belle delle altre! Non potendo dunque recitarle tutte, né sapendo quale scegliere, faccio come fanno i bambini che non sanno leggere: dico con tutta semplicità a Dio ciò che gli voglio dire, ed egli sempre m' intende>>.

 

II – La preghiera può essere mentale, vocale, particolare, pubblica, non tralasciando mai di essere umile, ardente, costante, fiduciosa.

Mentale, come atto interiore, cioè nei pensieri dello spirito e nei moti del cuore; vocale, come esterna espressione rivestita di parole, per mezzo di essa noi rendiamo a Dio l’omaggio dovutogli, sottomettendoci a lui e protestando il bisogno che di lui abbiamo quale autore di ogni bene.

Particolare o pubblica, è sempre accetta a Dio, qualora si accompagni ai requisiti che ne fanno una solida scala fra la terra e il cielo, stabilendo intimi colloqui fra la creatura e il creatore.

Se il sentimento principale di chi prega è di essere ascoltato, e di sapere che l’orecchio di colui che s’invoca in aiuto, non è lontano, accompagnandosi con l’umiltà e con i gemiti la preghiera penetra il paradiso, e presentandosi al trono di Dio, di là non si parla senza che il Signore la riceva e l’esaudisca: secondo quanto egli promise nel Vangelo:<<Qualunque cosa domanderete nella preghiera, credendo, l’otterrete>>. (Matteo 21,22).

Principio e fine di ogni bene, la preghiera è un gettare l’àncora della nostra anima, nell’eterno per unirci a Dio, innamorarci di lui, uniformarci al suo volere.

Tributo spirituale che l’uomo trae dal più profondo della sua anima per offrirlo a Dio, è più conveniente per noi il pregare in raccoglimento, tenendoci in disparte, lontano dagli sguardi degli uomini, separati da tutte le preoccupazioni del mondo; così come Gesù, per trattare le cose di alta importanza della sua missione, si distanziava dalle moltitudini, scegliendo la barca, la montagna, il deserto, il Getsemani, il Calvario.

Diviene più utile ed efficace la preghiera con la perseveranza, poiché ci si raccomanda di <<pregare sempre e non stancarsene mai>> (Luca 18,1) conformandoci all’esortazione dell’apostolo: <<incessantemente pregate>> (1 Tess. 5,17) e all’ammonizione cristiana: <<vegliate e pregate, per non cadere in tentazione>> (Matteo 24,41).

Paragonando, diremo anche che la preghiera è come il salvagente dell’anima; di essa muniti, non temeremo il mare tempestoso della vita. Ma, siccome il naufrago, pur affidato alla cintura di salvataggio, urla di terrore alla vista di ogni onda minacciosa che lo assale, e si stringe addosso il prezioso ausilio, così noi, nelle ore più gravi e difficili, alzeremo maggiormente le nostre grida al cielo, quasi a sollecitarne gli echi benigni, e assicurandoci che l’arra di salvezza è sempre con noi.

In analisi e in sintesi, la preghiera è rifugio e fonte di salvezza, tesoro di confidenza, lume nelle tenebre, porto nella tempesta, conforto nell’infermità, difesa nelle tentazioni, scudo nella battaglia, custodia di temperanza, freno d’ira, repressione di superbia, richiamo alla modestia, medicina all’odio, incitamento alla carità, presidio agli aviatori, salute ai naviganti, consolazione agli afflitti.

Che più, mio Dio? Oh, <<s’innalzi la mia preghiera come incenso al tuo cospetto>>. (Sal. 140,2).

III – M’infiammino le tue parole, o piccola Santa che ho eletto mio modello di virtù: <<La preghiera non è che uno slancio del cuore, un semplice sguardo al cielo, un grido di riconoscenza e di amore in mezzo al dolore, come in seno alla gioia! E’ qualcosa di elevato e di soprannaturale, che dilata l’anima e la unisce al Signore>>.

E mi soccorra il tuo esempio: <<Quando il mio spirito si trova in una grande aridità da non poter concepire neppure un buon pensiero, recito molto lentamente un Pater e un’Ave Maria e queste preghiere sole nutrono divinamente l’anima mia, la rapiscono, e le bastano>>.

O preghiera di pietà e di potestà, preghiera di riverenza e di amore, preghiera breve ed infinita, preghiera delle preghiere, composta dallo stesso Verbo Divino, o Pater Noster, con quale affettuosa confidenza, con quale attaccamento filiale e fiducioso non ti reciterò io? Sulla mia bocca e nella mia mente sempre, o Pater Noster, che comprendi ammirabilmente tutti i doveri e tutte le necessità! Orazione sublime sgorgata dal cuore amoroso del Cristo, ponte di congiungimento fra l’abisso inferiore dell’umanità e l’abisso eccelso della Divinità!

O Pater Noster, arca di contemplazione e di misericordia, io ti saluto e mi abbandono alla tua potenza taumaturgica! Alle tue parole sovrumane io affido i bisogni del mio spirito soggetto ad oscurità profonde e i bisogni del mio cuore debole, inquieto, incostante, leggero; le mie passioni sregolate, i miei sensi volubili, la mia carne che scuote ad ogni istante il giogo della ragione; l’obbrobrio del male commesso, il pericolo del male che potrei ancora commettere, e la difesa dei miei nemici occulti e palesi.

E a te pure, dolce Ave Maria, iniziata dalle labbra di un angelo, continuata teneramente alla Madre Divina dal cuore degli uomini; preghiera suadente e conquistatrice, che ha debellato l’inferno e compiuto la promessa del paradiso terrestre.

O preghiere della mia infanzia e della mia giovinezza, le prime apprese a balbettare con la voce dell’innocenza, le prime ripetute col sentimento del dolore… intrecciate ora nella mistica corona del Rosario, io non vi lascerò mai più. Siatemi voi forza e speranza, arma di combattimento e stendardo di vittoria, in vita e in morte, preghiera di Dio, preghiera soave della Madre di Dio!

Pensiero: <<Fate ogni sforzo per distaccare il vostro cuore dai pensieri del mondo, soprattutto dalle creature: Gesù farà il resto>>.

Giaculatoria: <<O Gesù, se per debolezza io cado, che subito il tuo sguardo divino purifichi l’anima mia, distruggendo le mie imperfezioni; come il fuoco che trasforma tutto ciò che riceve>>.

Preghiera a S.Teresa come al primo giorno

ESEMPIO: Quando il Gesù della piccola Teresa verrà da noi, io guarirò…..

Stanislao Szalay, un piccolo polacco di 7 anni, resi­dente con la famiglia a Monaco di Baviera, nel 1921 cade gravemente ammalato di infiammazione polmonare. Il medico trova il suo stato così pericoloso che non vuole assumere la responsabilità di curarlo, e consiglia il rico­vero immediato in ospedale, dove potrà essere meglio assistito.

La madre desolata s'illumina allora improvvisamente di speranza al ricordo di S. Teresa del Bambino Gesù, e, ponendone l’immagine sotto il capezzale dell'infermo, comincia a supplicarla. Ad un tratto il piccino, preso da ispirazione soprannaturale, esclama: <<Mamma, va a confessarti e a ricevere il buon Dio per portarmelo; quando il Gesù della piccola Teresa verrà da noi, io guarirò>>.

La donna obbedisce all'ingenuo invito. Al ritorno il viso del bimbo sorride; egli l'abbraccia teneramente, credendo di partecipare così alla sua comunione; poi, dopo qualche istante, si leva dal letto e grida gioioso: <<Sono guarito>>.                      .

Informato telefonicamente, il medico non vuol credere all’avvenimento. Accorre di persona a verificare e appare sorpreso di trovare ristabilito cosi inaspettatamente il suo malato. Dichiara: <<E' un caso straordinario>>, e co­munque raccomanda le maggiori precauzioni per evitare probabili ricadute. Ma Stanislao intende diversamente, e bisogna subito vestirlo, mandandolo in giardino a gio­care con la sorella. Il male è completamente scomparso.

Dodicesimo giorno – la penitenza

 

 

 

 

 

 

 

I - Attributo indispensabile della santità, la penitenza,  o meglio lo spirito di penitenza, alimentava tutti gli atti di Santa Teresa, la quale elabo­rava assiduamente la sua perfezione spirituale se­condo la norma dettata da un grande maestro di vita interiore; cioè, è più da stimare la mortificazione della propria volontà, che il dar vita ai morti.

Ella narra.: <<Feci proponimento di darmi più che mai ad una vita seria e mortificata. Quando dico  mortificata, non intendo alludere alle vere penitenze dei santi. Ben lontana dal somigliare alle anime belle, che fino dalla loro infanzia praticano, ogni specie di mortificazione, io facevo unicamente consistere le mie nel contrastare alla mia volontà, trattenere una parola di risposta, prestare a quelli che mi stavano intorno piccoli servizi senza farli valere, e mille altre cose di questo genere. Con la pratica di questi nonnulla, mi pre­paravo a divenire la fidanzata di Gesù, e non posso dire quanto questa aspettativa, mi facesse progredire nell'abbandono, nell’umiltà e in ogni altra virtù>>. Non mostrava, per ciò un aspetto esteriore triste, che rivelasse la sua intima, rinunzia, insegnando: <<Gesù ama i cuori allegri, ama l'anima sempre sorridente. Il viso è il riflesso dell'anima; dovete avere la fisionomia costantemente calma e serena,  come un fanciullo sempre contento>>.

Altrove spiegava: << Mi dedicavo ai più modesti atti di virtù….Anche l'amore della penitenza ebbi in grazia da Dio, ma non mi fu mai consentito di soddisfarlo: le sole mortificazioni che mi era permesso esercitare, erano quelle che riguardavano il mio amor proprio, e questa, invero, mi faceva bene allo spirito assai più che non le penitenze corporali. Molto mi costavano certe morti­ficazioni esterne in uso nei nostri monasteri, ma non ho mai ceduto alle mie ripugnanze, perchè mi pareva che il Crocifisso del chiostro mi guar­dasse con occhio supplichevole, e mi chiedesse quei sacrifici.   

Nel mondo, svegliandomi al mattino, pensavo a ciò che durante la giornata avrebbe potuto accadermi di bello o spiacevole; se non prevedevo che dei fastidi, mi alzavo triste. Adesso è il contrario; riflettendo alle pene e alle sofferenze che mi aspettano, sono tanto più lieta e coraggiosa quanto prevedo più occasioni di testimoniare il  mio amore a Gesù.

E cosi confortava al sacrificio un’anima dubbiosa, incerta a decidere eroicamente in una speciale circostanza: Che cos'è questo piccolo atto di virtù, in confronto di ciò che Gesù ha il diritto di attendere dalla tua fedeltà?

Tu devi piuttosto umiliarti, che lasciar sfuggire l'occasione di provare a lui il tuo amore.

II - Per uniformarmi alla vita semplice di Santa Teresina, non il sacramento della penitenza farò qui oggetto della mia meditazione, e nemmeno la pena temporale che la pietà divina generosamente scambia con la pena eterna a chi si pente del male commesso, ma a penitenza intesa quale esercizio di virtù.

Questa è un dolore dei propri peccati, unito al proposito di emendare la vita trascorsa e di soddisfare alla giustizia di Dio per l’offesa a lei recata. Comprende il pentimento, la conversione, la pena: <<Convertitevi a me con tutto il cuore vostro, col digiuno, l’umiltà, il pianto>>. (Gioele 2,13).

Se penitenza è una vendetta d'animo contro di sé, e vendica l'offesa di Dio della quale si duole; se penitenza è il sentimento accompagnato dalla volontà di espiare, e degli atti con cui l'uomo castiga in sé il male commesso; se penitenza sono le mortificazioni, le preghiere, i digiuni, impostici volontariamente in soddisfazione dei nostri peccati; quanto sono io lontano dal possedere tale virtù. E quanto io debbo mutare la mia vita per adornarmene!

Pronto e facile alla confessione, perché il tribu­nale amoroso di Dio è sempre pronto ad accogliermi, perché mille sacerdoti in tutte le chiese sono sempre là disposti ad ascoltarmi, quante volte la mia accusa non si accompagna a sincero dolore? E se anche le mie lacrime si uniscono alla mia umile accusa delle colpe, quante volte i1 mio proposito di emendarmi vacilla e vien meno alla prima raffica della tentazione? E, pure deciso a rinnovare la mia vita, quale offerta di riparazione io compio, quale soddisfazione di riscatto io adempio?

Ingrato alla bontà divina, dimentico del mio fugace dolore, oblioso del mio impegno e del mio dovere, io sono sempre pronto a ricominciare, anzi ricomincio subito, non appena l'apparato esteriore del giudizio e del perdono si dilegua, e forse nella stessa casa di Dio dove un momento innanzi ero entrato trepidante.

Quale uso io faccio, dunque, del beneficio della grazia sacramentale concessami? Sfiderò ancora il Signore, abusando dei suoi doni? E fino a quando, se egli, affettuosamente sollecito, non si stanca di esortarmi dalle pagine evangeliche: <<Fate penitenza, perché il regno dei cieli è vicino?>> (Matteo 4,17)

Non trarrò io alcun vantaggio dall'ammaestra­mento della piccola Teresa, che, a detta del suo confessore, non commise mai nessun peccato mor­tale, eppure tanto amava mortificarsi e vivere nello spirito di penitenza?

III  - No, mio Dio! Lo so finalmente che il mio peccato capitale, causa di tutte le mie sciagure, è la mia mancanza d'amore, di vero amore, per te o per la tua santa volontà; è la ripulsa del sacrificio, essenza della legge cristiana che solo può libe­rarmi dal male.

Mancando d'amore e di sacrificio, invece di progredire come tu vuoi, io retrocedo, mi abbasso, mi smarrisco, mi assoggetto al dominio delle facoltà inferiori, da cui sono degradato ed oppresso.

Solo accrescendo in me l'amor tuo, ed il suo frutto che è il sacrificio; solo offrendoti questo sacrificio come pratica instancabile nel mio spirito, nel mio corpo, in tutte le mie azioni, in tutto il mio essere, ho speranza di migliorarmi e di ascendere a te.

 Perdendo te ho perduto tutto. Per riacquistarti, per meritare la riapertura delle porte celesti, i miei desideri e i miei disegni devono tutti convergere a tale scopo, lavorando in me, nel mio germe, senza divagare; cosi come il seme gettato nel terreno vi si fissa e macera, prima di diventare e pianta e fiore e frutto.

Questo seme che è la mia volontà di riforma, è ora su terra arida, o Signore, e attende la rugiada del pianto per germinare. Il dono delle lacrime, dolce grazia d'intenerirsi nel ripensare la bontà divina e i propri falli, è ignoto alle anime distratte tra i tumulti del mondo. Rientrato, perciò, nella solitudine della mia coscienza, io supplichevole te lo domando. Fa, che per effetto della mia aspirazione penitente, io possa esclamare: <<Le mie lacrime sono divenute il pane di cui mi nutro giorno e notte>>(Sal 41,4) e allora io confiderò nella salvezza.

Ecco: il pianto di Pietro dopo la triplice negazione, e la virtù penitente di Teresa; questo io chiedo a te, mio Dio. Pentimento memore e mortificazione costante, di ogni giorno, di ogni ora, delle grandi e delle  piccole cose, rinunzia intima e gioiosa, adesione perfetta alla tua santa volontà, specialmente quando, il mio amor proprio, ferito ricalcitra e combatte.

Per tua benignità e sotto la tua disciplina, con assiduo esercizio, io acquisti come frutto di penitenza, l’impassibilità di fronte al male nell’anima mia, per cui riuscirà vano qualunque morso di passione

Pensiero: <<Dappertutto noi troviamo il sapore amaro del fiele, ma le spine ci aiutano a staccarci dalla terra e guardare più in alto del mondo passeggero>>

Giaculatoria: <<Dio mio, toglimi la libertà di dispiacerti>>

Preghiera a S.Teresa come il primo giorno

ESEMPIO – Santa Teresa infermiere

La stessa signora polacca rammentata nel precedente esempio, Stefana Szalay, aveva un’altra bimba di 5 anni che soffriva da alcuni giorni di mal di gola. Chiamato il medico, questi osservò che le ghiandole gonfie smisuratamente, rischiavano di soffocare la piccina. Occorreva l’intervento chirurgico per evitare gravi complicazioni. Preoccupata di dover affidare la figliuola a medici stranieri, in una clinica sconosciuta, alfine la povera madre vi si indusse, invocando l’assistenza di S.Teresa del Bambino Gesù. La giornata decisiva trascorse in preghiere. Venuta la sera, ella apprese per telefono che l’operazione era riuscita e che la malata stava bene. Domandò allora: <<Chi assiste la bambina?>>.

Le fu risposto distintamente: <<Suor Teresa>>.

L’indomani, nella visita alla clinica, chiese di conoscere codesta suor Teresa per ringraziarla. Ma le dissero con stupore che nessuna suora di tal nome apparteneva alla casa. Sicchè ella rimase vivamente impressionata, riscontrando nel fatto singolare una prova di eccezionale benevolenza da parte di colei che appunto era stata invocata protettrice. E venne confermata nel pensiero del racconto della piccola convalescente, che le asserì come durante il sonno era stata sempre in compagnia di suor Teresa, aggiungendo: <<Essa mi è apparsa vicina al trono di Nostro Signore>>.

  Tredicesimo giorno – la sofferenza

 

 

 

 

 

 

I - La dottrina della piccola Santa intorno alla sofferenza <<croce preziosa>>, è contenuta esatta­mente nei suoi pensieri, i quali, pur essendo vicini a quelli di grandi maestri dello spirito, se ne diffe­renziano per una spiccata caratteristica di raffina­tezza. e di originale semplicità, emanando uno spe­ciale profumo. Ella visse con incanto nuovo l'in­fanzia del Vangelo, ma fu anche l'eletta di colui che presentò il volto sfigurato dal pianto e dal do­lore. Ecco tali pensieri, tratti da suoi scritti.

<<Per farsi santi, è necessario soffrir molto, cercar sempre il più perfetto, e dimenticare sè  stessi>>.

<<Era necessario che soffrissi fin dall'infanzia, e come i fiori di primavera sbocciano ai primi raggi del sole, ma cominciano a germogliare sotto la neve, così il piccolo fiore di cui scrivo le memorie, dovette passare in mezzo all’inverno della prova>>. Quanto maggiori erano le croci che incontravo, tanto più si faceva viva in me la brama dei pa­timenti.

L'offrirsi qual vittima all’amore, non vuol dire offrirsi alle dolcezze, alle consolazioni; è offrirsi, invece, a tutte le angosce e a tutte le amarezze, perché l'amore non vive che di sacrifici; quanto più vogliamo abbandonarci all'amore, tanto più dobbiamo abbandonarci al dolore.

Mio Dio, dammi il martirio del cuore o quello del corpo: meglio, anzi, concedimeli tutti e due.

 Il martirio del cuore, non è  meno fecondo dell’effusione del sangue.

Inappagata nel suo desiderio di martirio, l'eroica giovane supplicava infìne l'essenza del soffrire, mutando in gioia il suo dolore. Bruciata dalla febbre, estenuata dalla fatica, angustiata dall'oppressione, passava intere notti seduta sul suo povero letto; e quando veniva richiesta in quelle interminabili ore di pena se le occorresse qualche soccorso, rispondeva: <<Oh, no: io, al contrario, mi stimo felicissima di trovarmi in una cella abbastanza appartata dalle mie consorelle. Sono con­tenta di soffrir sola, perché appena mi sento compatita e colmata di attenzioni, non godo più>>.

Conosco una sorgente “dove, avendo bevuto, si ha più sete di prima" (Eccl. 34,20), ma di una sete dolcissima che si può sempre appa­gare: questa sorgente è la sofferenza conosciuta da Gesù solo.

Gli costa a Dio l'abbeverarci d'amarezza: ma egli sa che questo è l'unico modo per disporci a conoscerlo come egli conosce se stesso.

Egli solo dispone gli eventi della nostra vita di esilio, e talora, ci presenta il calice amaro. Se vuole che le gioie più pure si convertano per noi in dolori, ciò è perché il nostro cuore si rivolga unicamente a lui.

 

II - Ma la sofferenza è in Teresa come un cro­giuolo: il lavorio incessante del fuoco la terge dalle scorie, distrugge quanto vi possa essere ancora di “traccia terrena" la fa librare, rivestita di bellezza incandescente nei cieli dello spirito. Un desiderio più intenso di soffrire la pervade, poiché essa intravede il vero paradiso del godimento, che consiste nel tramutare ogni dolore in gioia, fino ad avvi­cinarla alla fonte suprema di ogni gioia, che è Dio,

La mia brama di soffrire non fu paga; ma, pure appagata, non scemò, ed anche l'anima partecipò ben presto all'angoscia del cuore. Sì, la felicità non la trovo che nel dolore senza mescolanza di consolazione.

l pensieri di Gesù non sono come i nostri, nè le sue vie come le nostre, Egli ci presenta un calice tanto amaro quanto può sopportarlo la nostra debole natura. Non ritiriamo le labbra da questo calice che ci ha preparato con la sua mano divina: soffriamo con pace. Niente vale a procurarmi le piccole gioie, quanto le piccole pene. Quando soffro molto, quando mi accadono cose penose o tristi, invece di affliggermi rispondo con un sorriso. Una giornata senza dolore, è come una giornata perduta.

Pensieri che sono ricca miniera di tesori, e che offrono all'anima svariati soggetti di meditazione, insieme a conforto indicibile e alla indicazione del come trarre dalla sofferenza insegnamenti, suggerimenti e guida, per la vita perfetta.

Amore e dolore sono due termini correlativi, poiché più si ama quanto più si soffre, e più si soffre quanto più si ama. L’amore richiede la prova del sacrificio, la passione; e quando la passione tocca altezze vertiginose, 1'amore diviene contemplazione ed estasi, allora il sacrificio si chiama eroismo.

Perché non potremmo mai meritare a tal punto l'amore di Dio, con l'offrirgli la nostra sofferenza in grado eroico?

Il dolore è un grande fattore della riabilitazione umana. Riabilitiamoci nel dolore, impreziosendo di gemme questo compagno indivisibile del nostro cammino, e perverremo agevolmente alta meta. La meta segnata dal Maestro: <<Chi vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua>>. (Matteo 16,24)

III - La sofferenza è un valido mezzo di santificazione, perché ci aiuta a distaccare i dai beni caduchi delta terra, facendoci trovare amaro e manchevole quanto non viene da Dio, il quale, solo, può appagare la nostra aspirazione alla felicità. Se proviene dalla perdita della salute, ci giova con l'impedirci di assaporare piaceri peccaminosi; se dalla perdita delle sostanze o della lieta fortuna, ci è utile per tenerci lontani dal lusso e dalla prodigalità; se dalla perdita della stima, fiacca in noi la superbia e l’ambizione; e non trovando più accanto a noi il conforto delle cose create, siamo costretti necessariamente a rivolgerci a Dio.

Uniti a lui, e adoperati più intensamente al suo servizio, dopo avere sperimentato fallaci le consolazioni umane, non potremo mancare delle grazie ineffabili dovute alla sua vicinanza e alla sua promessa: << Beati quelli che piangono perché questi saranno consolati>> (Matteo 5,4) .

Nell'ordinamento dell'economia divina la tribolazione è l'ultimo eccitamento di perfezione verso la virtù e la santità, l'ultimo tocco maestro alla sua immagine rappresentata dall'uomo. Quando Dio vuole innalzare qualcuno al più alto grado spirituale, lo prende dapprima nella maniera più blanda, poi lo sottomette a rigide prove, infine lo abbandona a furiose persecuzioni.

La sofferenza serve a purificare e a renderci degni di un premio: perciò i virtuosi, che patiscono più degli altri, hanno certezza di essere ricompensati più abbondantemente. Nessun padre vorrebbe veder patire i suoi figliuoli senza alcun vantaggio quanto più Dio, sapendo che i suoi figli, per la loro costanza e pazienza, giungeranno a maggior gloria e letizia!

Quando nel mio cuore romba la tempesta o si scava l’abisso, e urge l'anelito a un sollievo celeste alla mente si presenta il ricordo del Getsemani. Chi di noi non ha avuto una di quelle notti senza luce e senza conforto, allorché, lungi dalla gioia e dalla fortuna, provammo l'inutilità degli sforzi, la meschinità dei tentativi, la caducità di ogni opera, o sentimmo in noi spezzarsi qualche fibra sensibile, senza nemmeno ottenere lo sfogo del pianto?

Riandando il mio passato, trepidando per l'avvenire, io vado ora in cerca di rifugio, e lo trovo nel divino modello ai sofferenti, nell'orante solitario che, sopraffatto dal dolore, generosamente piegava il suo spirito alla volontà del Padre, accettando il sacrificio che doveva portarlo dall'Orto degli ulivi al Golgota.

Perciò eccomi davanti te, o Dio Crocifisso, io, essere privilegiato cui hai impresso sulla fronte la maestà del pensiero e nel cuore la primavera del sentimento: davanti, a te, per apprendere il tuo estremo insegnamento d'amore. l labari (stendardi) delle nazioni si circoscrivono nei confini particolari delle loro conquiste, e poi ritraggono dai limiti raggiunti, fatti campi sconsolati di rovine. Soltanto la tua insegna, la Croce, compendio insuperato e vittorioso di quanti libri diedero leggi ai popoli, rimane imbattibile e luminosa nella storia, mentre venti secoli di generazioni s'inchinano a lei.

Come non mi commuoverò io al sublime e tenero spettacolo? Tu hai divinizzato la sofferenza, o Cristo, e dal Calvario ne hai fatto l'essenza del futuro. Deh, spogliami delle ombre che ancora aduggiano (adombrano) la mia vita, affinché io voli, imitandoti, libero e purificato, alla tua altezza, al tuo amore doloroso, con singhiozzi e cantici dal fremito divino. 

PENSIERO: <<Consola il pensiero che anche Gesù, il Divino Forte, ha conosciuto i nostri sgomenti, che anch'egli ha tremato alla vista del calice amaro, prima desiderato ardentemente>>.

GIACULATORIA: <<Ti ringrazio, mio Dio, di tutte le grazie che mi hai concesse, in particolare di avermi fatto passare attraverso il crogiuolo del­la sofferenza>>.

Preghiera a S. Teresa. come al primo giorno

ESEMPIO. - Ella è discesa dal quadro.

Questa testimonianza    del 30 giugno 1921, da Cette (Francia). Giulietta Sompayrac, di tre anni e mezzo, è colpita da meningite. I suoi genitori, l’11 gennaio, scrivono al Carmelo di Lisieux chiedendo preghiere. Aggravatosi rapi­damente il male, il 12 gennaio, il medico curante dichiara che non c'è più nulla da fare suggerisce la puntura lombare come ultima risorsa, ma dubita del successo. La madre si oppone, volendo prima attendere la risposta di S. Teresa. Intanto la piccola peggiora ed emette grida strazianti. Il 13 gennaio, d'un tratto balza a sedere sul letto e dice alla nonna: << il piccolo Gesù di S. Teresa mi guarirà domani>>. Tali parole impressionano tutti, poiché dal principio della malattia, ella non ha mai pronunziato una sillaba.  

La notte seguente è spaventosa, a causa delle sue ter­ribili convulsioni: la madre stessa non resiste allo spettacolo. Il 14 gennaio, verso le 4 pomeridiane, mentre la fami­glia è riunita presso la piccina di cui si attende la morte, questa si raddrizza di nuovo da sola ed esclama sorridente: <<mamma, Suor Teresa mi ha guarita.  L’ho vista come là, e indica il ritratto della santa ai piedi del letto. Inutilmente si tenta di calmarla, spiegando che quella è soltanto l’immagine, poiché protesta: <<No, non è questa; essa è scesa dal quadro, mi ha abbracciata, poi è risalita>>.

Alla visita del giorno appresso, il medico stupito dichiara: <<E’ successo qualcosa di miracoloso>>. Infatti Giulietta è già in convalescenza.

Quattordicesimo giorno – la confidenza

 

 

 

 

   

I - Nel proclamare l'eroicità delle virtù teresiane, Benedetto XV così concludeva il suo indimenticabile discorso: <<Auspichiamo che il segreto della santità di Suor Teresa del Bambino Gesù non rimanga celato ad alcuno dei nostri figliuoli, e che in tutti produca gli ammirevoli effetti da lei conseguiti>>.

In questa e nelle prossime meditazioni scrutiamo appunto tale segreto, che è come un prezioso soli­tario meravigliosamente sfaccettato e da ogni parte brillante di vivi splendori.   

Ecco come la Santa ci parla della confidenza, che fu un lato tutto delicato, particolarmente e caratteristico in sommo grado, della sua vita. E' la mancanza di fiducia che offende Gesù e ferisce il suo Cuore. Gesù non farà uso della sua giustizia per coloro che lo amano>>.

Il Cuor di Gesù è molto più afflitto delle mille piccole imperfezioni dei suoi amici, che non delle colpe anche gravi commesse dai suoi nemici. Ma a me pare solamente che quando essi fanno della loro indelicatezza un' abitudine e non gliene chiedono perdono, che egli possa dire: <<Queste piaghe che ora scorgete nelle mie mani, le ho ricevute nella casa di quelli che mi amano>> (Zacc 13,6). Quanto a coloro che l'amano e che vengono dopo ogni leggera colpa a gettarsi nelle sue braccia, chiedendogli perdono, Gesù  trasale di gioia. Non faccio alcun assegnamento sopra i meriti miei, perché non ne ho, ma spero in colui che è la santità, e sarà lui che, contentandosi dei miei deboli sforzi, mi coprirà dei suoi meriti e mi farà santa.

Non sempre sono stata fedele; ma non mi perdo di coraggio; mi getto con pieno abbandono nelle braccia del mio Signore, quel che riguarda me, è di darmi a lui interamente.

Colui che abbiamo scelto per sposo (dell'anima nostra), possiede tutte le perfezioni immaginabili; il suo amore per noi lo rende cieco. Ma per renderlo cieco davvero e impedirgli di fare il minimo calcolo, bisogna saperlo prendere dalla parte del cuore; è il suo lato debole.      

Se cadiamo, tutto è riparato con un atto d’amore. Egli dimentica tutte le nostre iniquità, per mai più ricordarsene; farà anche di più; ci amerà più ancora che non innanzi la nostra colpa.

E' la confidenza, e niente altro che la confidenza, che può guidarci all'amore. L'amore può far tutto: le cose più impossibili gli sembrano dolci e facili.

Se il più grande peccatore della terra si pente in punto di morte e spira in un atto d'amore, immediatamente, senza calcolare da una parte le numerose grazie di cui  l'infelice ha abusato e  dall’altra tutti i suoi delitti, egli (Gesù) non vede e non tiene più conto che dell'ultima preghiera, e lo accoglie subito nelle braccia della sua mise­ricordia.

 

II - E' fatale che intorno a Dio si commuova tutta l'umanità, s'e non d'amore, di odio; se non di fede, di ribellione. Di fronte a lui scoppiarono gli uragani della storia, le orde barbare travolsero segni venerati da un millennio, ma egli non si scom­pose; trionfarono in orge di sangue lo rivoluzioni, proclamando oppio delle genti la sua verità, ma egli sorrise. Nessuna offesa, se vuole, può turbare la sua olimpica calma. Quello che solo pare offenderlo, è l'indifferenza, e non la tollera. O con me, o contro di me. Non via di mezzo: o l'amore, o l'odio. Ignorato non vuole essere.

Tra Dio e l'uomo, come fra la testa e le membra, deve stabilirsi una corrispondenza attiva, un'onda vitale di confidenza, di rassegnazione, di perdono, di sentimento, di f1usso ricorrente, che è fervore di vita cristiana. Non si può dichiarare la neutralità o il non intervento; bisogna seguire o combattere, avendo il coraggio di dichiararsi per l'uno o per l'altro partito.

Ma perché combatterlo? Si combatte un nemico, si assale un avversario. Ora, qual'è migliore amico di chi ci ha dato tante prove d'affetto, e non domanda altro che di darcene ancora? E dall'ori­gine verginale del mondo, non ha fatto che molti­plicare le testimonianze della sua predilezione per noi? E da Betlem al Calvario; in trentatrè anni di missione terrena, non ci ha professato che amore; e ogni giorno questo amore ci ripete misteriosa­mente dalle ostie consacrate?

Il cuore umano ha sete di vastità. Gonfio della potenza del sentimento, è come una grande nave che procede a stento nel corso di un fiume, e solo può dispiegare le sue vele al navigare nell'immen­sità del mare. E' come un abisso, che può colmare soltanto un 'inondazione; una solitudine, che può vincere soltanto una musica. Questo mare, questa inondazione, questa musica, sono Dio, cosa immensa, come a dire lo stesso amore, che vuole comunicarsi  a noi per mezzo di un'altra cosa immensa, come a dire la fiducia, la confidenza.

In ogni tempo, quasi argini potenti contro l’onda tumultuosa dei nemici di Dio, o quali sommovitori delle paludi di silenzio, sorsero tra noi i santi, e ridissero le sue parole dimenticate, e riagitarono il suo vessillo con un ardore che parve follia. Questo vessillo riappare ora all’orizzonte dello spirito, sventolato dalla mano della fragile vergine di Lisieux, e chiama, chiama ...

Chi ripresenterà efficacemente oggi - a noi, aridi egoisti del ventesimo secolo - la passione amorosa di Maria Maddalena? Chi ci farà com­prendere il  misterioso e riposante abbandono, la cieca confidenza della piccola Santa?

III - Ancora una volta, per scrutare i misteri dell'amore, ricorriamo al libro dei libri, al Santo Vangelo.            

Istituita l'Eucaristia, ultimo retaggio di benevo­lenza, dette le parole del commiato supremo, il silenzio adorante era nel Cenacolo, quando fu rotto dall’annunzio del tradimento. Ma <<uno dei discepoli posava sul petto di Gesù, e Gesù l'amava>> (Giov.13,23). Questi fu il primo confidente del Redentore, e meritò di seguirlo, mentre gli altri o lo rinnegarono o si dispersero, nella via dolorosa fino alla consumazione della croce.

Giovanni meritò anche un altro privilegio. <<Ge­sù allora, vedendo la Madre e lì presente il discepolo amato da lui, disse alla Madre sua: Donna, ecco il tuo figliuolo. Poi disse al discepolo: Ecco la Madre tua. E da quel momento il discepolo la prese con sè (Giov. 19,26-27).

Ora comprendo, mio Dio, il tuo linguaggio. Due volte ci hai parlato d'amore, quelle pagine immortali dell'amore che molto perdona a chi molto ha amato nella figura penitente di Maria Maddalena: e dell’amore privilegiato per chi, come Giovanni, aveva serbato ai tuoi occhi il candore dell'innocenza.

Ambedue affetti d'un ordine superiore, espressi con una tenerezza tutta particolare, essi mi ammaestrano per le loro circostanze e per i soggetti che li determinarono. La mia vita di peccato è ben lontana e diversa dalla vita dell'apostolo prediletto, eppure io, fatto audace dalla tua bontà, oso chiederti una grazia: “fammi riposare non un istante, ma quanto durerà il mio esilio, sul tuo petto”.

Accanto al tuo cuore benigno, quante cose mira­bili io apprenderò. Sentirò i tuoi palpiti, i tuoi in­viti, il tuo perdono, la tua ansia per la mia salute, il tuo amore. Sprofondato nella dolcezza, gusterò gioie indicibili, che mi faranno sembrare spregevoli e disgustose tutte le delizie della terra. Abbeverato alla tua sorgente perenne, non avrò più sete del mondo e delle sue tristi lusinghe. Abbandonato in­teramente in te, non avrò confidenze che in te, e da te solo trarrò forza per continuare il mio cam­mino d'esule fino alla patria sempiterna.

Il mio passato assomiglia tanto al passato di Maria Maddalena: eppure, dopo il perdono, ella entrò come nessun’altra nella confidenza amorosa del tuo cuore! Dopo il prodigio della rinascita, ella tornò trasformata alla sua casa, e tu riprendesti la via di stenti della tua missione per le contrade palesti­nesi. Ma essa recava ormai nel suo spirito, indelebilmente, il tuo suggello, la tua ferita, e languiva. E di lontano tu udisti il suo lamento, e accorresti al suo richiamo. Infatti: << Marta chiamò Maria sua sorella, di nascosto, dicendole: il Maestro è qui, e ti chiama>> (Giov 11,28). Oh, che dolce annunzio fu questa visita, quella chiamata, e poi ancora tutte le tue premure verso di lei, fino al tuo ritorno in seno al Padre!

Chiama anche me, Gesù, e fa che io ti ascolti. Siano finiti per me la mestizia, la tristezza, il dolore, il pianto, la solitudine, poiché il mio Diletto è venuto nella mia casa e mi desidera. Tu sei venuto per consolarmi e confortarmi, sei venuto per recarmi la gioia, l'allegrezza; il gaudio, la verità e la vita. Grazie, o Gesù, dei tuoi doni, che io ricambio abbandonandomi interamente a te!

Pensiero: <<Non si può mai abbastanza confi­dare in Dio, che è tanto potente e misericordioso: si ottiene sempre da lui quanto si spera>>

Giaculatoria: <<Mio Dio, io non rifuggo dal soffrire per te: tremo una cosa sola, ed è di serbare la mia volontà. Prendila, perché io brama tutto ciò che tu pure vuoi>>.

Preghiera a S Teresa, come al primo giorno

ESEMPIO. Un' ulcera allo stomaco guarita dopo 6 anni.

E' la volta del Vescovo di Evreux Mons. Chauvin, che il 22 novembre 1921, sulla scorta di relazioni autorizzate, dichiara miracolosa la guarigione ottenuta dalla vedova Bianca Labbè.

Durante sei anni, costei, ha accusato dolori acuti intermittenti alla regione addominale, poi trasferiti allo stomaco e al lato appendicolare, con manifestazioni susseguenti di flebite. l continui vomiti fanno finalmente diagnosticare la malattia in ulcera stomacale, e il dottor Poussin, curante, esperimenta a lungo tutti i rimedi della scienza medica; finche rinunzia a trattamenti dolorosi che estenuano di più l'infelice, contentandosi di praticarle iniezioni di morfina atto a lenire le atroci soffe­renze.

Oramai l'estrema salvezza è nella preghiera, su proposta del curato si dà principio ad una novena a S. Teresa. del Bambino Gesù il 23 settembre. Passano due giorni. Il tumore si è ingrossato quanto due mani, l'aspetto della malata è già cadaverico. Il 29 settembre le viene applicata una reliquia della piccola Santa. Temendo di perdere conoscenza, ella chiede una nuova iniezione di morfina, la terza della giornata. Verso le 4 di sera, al sacerdote che viene a visitarla come di consueto, Bianca Labbè rivolge la parola all'improvviso: <<Non soffro più: sono guarita>>. Poi ottiene di mangiare. Si alza da  sé, cammina liberamente.

Non rintracciando subito il medico per la constatazione di controllo, senza indugio il giorno appresso si reca a Lisieux in automobile per ringraziare la celeste bene­fattrice. Al bravo Dott. Poussin, al ritorno, non resta che dichiarare il fatto inesplicabile.

Quindicesimo giorno – l’umiltà

 

 

 

 

 

 

 

I -  La confidenza, che abbiamo considerato nella precedente meditazione, sorgeva in Teresa dalla pratica attenta dell'umiltà, dal riconoscimento della propria nullità e miseria, della propria piccolezza e inettitudine, con cui ottenne il compiacimento divino e le grazie più segnalate, fino a essere prescelta maestra di una nuova via di santità. Leg­giamo che cosa ella dice di questa virtù dell'umiltà, parte essenziale della sua vita spirituale.

Paragonandomi ai santi, ho sempre dovuto riconoscere che fra essi e me corre la medesima differenza che scorgiamo in natura, tra una montagna la cui cima si perde nelle nubi e l'oscuro granello di sabbia calpestato dal passeggero.

L 'unica cosa non invidiata è l'ultimo posto, e solamente in esso non è vanità e afflizione di spirito. Ma pure spesso sorprendiamo noi stessi a desiderare ciò che più splende. Schieriamoci allora tra gl'imperfetti, che Dio deve sostenere a ogni istante: appena ci vede convinti del nostro nulla, egli ci tende la mano. Basta dunque che ci  umiliamo e che sopportiamo volentieri le nostre imperfezioni: ecco in che consiste per noi la vera, santità.

Non è verso il primo posto, ma verso l'ultimo, che io mi slancio. Lascio salire il fariseo, e ripeto, piena di confidenza, la preghiera del pubblicano; ma soprattutto imito la condotta della Maddalena, la sua stupefacente o piuttosto amorosa audacia che rapisce il cuore di Gesù. Riconobbi per esperienza che l'unica felicità terrena consiste nel celarsi e nel mantenersi in perfetta ignoranza d'ogni cosa di questo mondo. Compresi meglio che mai cosa sia la vera gloria; e colui il cui regno non è di questo mondo, mi mostrò che la sola regalità invidiabile sta nel volere essere ignorati e contati per niente, e nel porre la propria gioia nel disprezzo di sè medesimi.

Oh, come bramai allora, che il mio volto fosse, al pari di quello di Gesù, celato a tutti gli sguardi, tanto che nessuno quaggiù mi riconoscesse. Avevo sete di soffrire e di essere dimenticata.           

Oh, restiamo lontani da tutto ciò che brilla, amiamo la nostra umiltà, e Gesù verrà in cerca di noi, dovunque siamo.

Là dove il Vangelo narra della pesca miracolosa, Teresa commenta: Forse se gli apostoli avessero preso qualche pesce, il divino Maestro non avrebbe operato il miracolo; ma essi confessarono di non aver preso niente, e le loro reti si riempirono subito di grossi pesci. Ecco il carattere di Nostro Signore: per mostrarsi generoso, egli attende l'umiltà del cuore.

II - Sopportiamoci scambievolmente con tutta pazienza e carità, trattandoci gli uni gli altri con deferenza, fuggendo ogni vanagloria e ostentazione; anche quella dell'umiltà affettata; che talvolta dà luogo a vive contestazioni, più grave segno d’orgoglio che il volersi sedere al primo posto.

L'umiltà è la custode delle virtù, perché c'ispira la vigilanza e la diffidenza di noi stessi, e così ci impedisce di esporci temerariamente al pericolo di peccare. La stessa verginità, che agli occhi convenzionali del mondo può apparire pregio eccellentissimo, agli occhi di Dio è stimato molto minore dell'umiltà. Il Vangelo non si limita a  comandarci l'umiltà, ma ce ne mostra i motivi, gli effetti, la ri­compensa, il divino modello in Gesù Cristo. Della prima è detto:<< Quelli che possono arrivarci vi arrivino>> (Matteo 19,12); mentre della seconda è precisato: <<Se voi non diverrete come fanciulli, non entrerete nel regno dei cieli>>(Matteo 18,3). Gesù ama l'infanzia, maestra d'umiltà, regola d’innocenza, espressione di mansuetudine, e invita al suo esempio coloro che destina all'eterno regno>>.

La verginità è oggetto d'alto premio, l'umiltà di comandamento. Salvarsi senza l'una è possibile, senza l'altra no. La stessa Vergine Santissima afferma per quale motivo è stata prescelta al mistero dell’incarnazione del Verbo: <<Dio ha  guardato con favore 1'umiltà della sua ancella>> (Luca l, 48).

Mentre gli orgogliosi non cessano d'essere abbattuti, agli umili è serbata la ricompensa dell'esaltazione: <<Chi si esalta sarà umiliato; e chi si umilia sarà esaltato>> (Luca 18,14). Parole che debbono intendersi della regola seguita dalla giustizia di Dio, e non della condotta ordinaria degli uomini, i quali accordano spesso onori a quelli che lo desiderano, e lasciano gli umili nell'oscurità. In­tanto, colui che si spinge da sè agli onori, non gode di stima durevole e generale: gli uni sembrano onorarlo, gli altri lo deridono, e spesso proprio chi affetta di trattarlo con più distinzione. Bisogna intendere in senso più elevato: colui che s'inorgo­glisce dei suoi meriti, sarà certamente umiliato dal Signore, e colui che si umilia per i benefici ricevuti da Dio, sarà elevato dalla sua mano potente.

Parole, però, che ci fanno anche altrimenti riflettere. La maggiore delle umiliazioni è il cadere nel peccato, che rende l'anima ignominiosa e vile .

In questa umiliazione cadono coloro che non si vo­gliono umiliare: anzi, una triste esperienza dimostra, a dire di S. Paolo e di S. Gregorio Magno, che il superbo cade più facilmente in peccati impuri, tanto che la superbia è chiamata seme d'impudicizia. Perciò, custode migliore della purità è l’umiltà.

<<O peccato originale della superbia, il primo ap­parso sulla terra, come sei ancora il peso ben grave sopra di me>> (Sal. 37,5), poiché mi togliesti l'eredità di grazia, di virtù, di paradiso e come debbo tuttora curare le tue ferite!

III - Un santo dottore afferma che l'orgoglio delle anime arroganti si manifesta sotto quattro for­me differenti: o s'immaginano che il bene che in esse è, viene da loro e lo attribuiscono ai loro meriti personali di averlo ricevuto da Dio, o si vantano di virtù che non hanno e, infine, non si occupano del bene che possono fare, e non professano che disprezzo per gli altri.

E' così che il fariseo del Vangelo non attribuisce se non a se stesso un merito delle sue buone opere: nelle sue parole non ve n'è alcuna che sia preghiera: <<Il pubblicano, invece, stava lontano, non voleva nemmeno alzare gli occhi al cielo; ma si batteva il petto, dicendo: Dio, abbi misericordia di me peccatore>> (Luca 18,13). Che meraviglia che Dio perdoni al pubblicano, quando costui si giudica da sè?

La coscienza l'opprime, la speranza lo rialza; il Signore sta attento alle sue parole, perché Iddio abbassa lo sguardo sugli umili.

Non si vincono i vizi e non si acquistano le virtù con la sola meditazione, se questa non è accompagnata da gagliardi esercizi di mortificazione. Ora nessuna cosa è più facile a chi vuol vincere la superbia e acquistare l’umiltà, che l’umiliare se stesso: perché se vuoi ingrandire molti ti contrasteranno, ma se vuoi umiliarti nessuno ti avverserà.

Umìliati dunque in tutte le cose, e troverai grazia davanti a Dio; come la trovò Maria Santissima, innalzata a Madre del Redentore per la sua grande umiltà. Lo stesso Figliuolo di Dio si fece uomo per distruggere la superbia, e dare esempio di umiltà; e perché si umiliò più di tutti gli uomini, fu esaltato sopra tutti i cieli.

O virtù eccelsa dell'umiltà, maestra di tutte le virtù, tu m’insegni ad amare e confidare in Dio, e non disprezzare nessuno, assoggettandomi a tutti. Quanto potente, quanto accetta al Signore! Tu sei, oso dire, l'antipeccato per eccellenza. La superbia perdette le prime creature dell'Eterno, gli angeli Ribelli. L'orgoglio, tentato dalla suggestione diabolica: <<gustate e sarete come Dei>> (Gen.3,5), perdette i nostri progenitori nel paradiso terrestre, e condannò la specie umana al servaggio e alla morte. Solo l'umiltà perfetta, riscontrata nella Vergine di Nazaret, apri la via alla Redenzione.

I giudei, ribelli e misconoscenti, urlarono il grido della rivolta contro Cristo: <<Non vogliamo che costui regni sopra di noi>>(Luc. 19,14). Io ripu­dio la follia di quei deliranti, che è costata al popolo, eletto la distruzione, mi umilio innanzi a te, Signore, e ti chiedo: Regna sulla mia anima e su tutte le mie potenze; regna col tuo amore e con la tua croce, regna in me con la tua grazia e il tuo perdono, o pacifico e magnifico Re.

Umiltà, virtù sovrana che hai riguadagnato i cieli, sii sempre con me nelle opere e nelle inten­zioni esteriori e interiori, praticata costantemente anche nelle minime cose con lo spirito della piccola Teresa.

Pensiero: <<Non dimentichiamo mai che Nostro Signore è un tesoro nascosto; poche anime sanno scoprirlo. Per trovarlo bisogna nascondere sè stessi, umiliarsi, riconoscere il proprio nulla, e questo appunto è ciò che molte anime non vogliono fare>>.

Giaculatoria: <<Ti supplico, mio Divino Gesù, d'inviarmi un’umiliazione, ogni volta che tenterò di elevarmi al di sopra degli altri>>.

  Preghiera a S. Teresa, come al primo giorno.

  Esempio -  Pregate sempre bene

La parte essenziale della narrazione di Edmondo Cht­ry, da Nancy, è quasi lapidaria. Dice che alla moglie Anna, in seguito a una violenta bronchite essendosi sviluppata la peritonite acuta, il 13 maggio furono amministrati gli ultimi sacramenti. Il medico, che aveva abbandonato ogni speranza, non credeva più al suoi occhi quando il giorno di Pentecoste, cioè 48 ore dopo la precedente visita, trovò l'ammalata seduta in mezzo al letto e tutta sorridente.

Ma il racconto della figliuola Giulia, di 19 anni, è commovente nella sua semplicità: << La notte fra il 14 e il 15 maggio 1921, insieme allo persone che circondavano la povera mamma, finivo di recitare le preghiere degli ago­nizzanti, quando, sentendomi assai stanca, mi stesi sulla sedia a sdraio a tre metri dal letto. Dopo 10 minuti di silenzio, formulai lentamente questa invocazione: - O piccola Suor Teresa, tu che hai promesso di far cadere dal cielo una pioggia di rose, sfogliane un petalo soltanto sulla nostra famiglia! - Poi feci interiormente voto che se in appresso fossi divenuta madre, avrei offerto il mio primo figlio al Signore, come missionario. In tal momento ebbi l'impressione che qualcuno mi sollevasse, e mi trovai di fianco al letto della mamma, trasportata in ginocchio. Allora scorsi S.Teresa, vestita d'un manto bianco.

Ella stendeva sopra di me le mani in atto di protezione, e da ciascuna mano cadeva un petalo di ro­sa ... Il suo sguardo si portava sulla mamma e su me, con un sorriso ineffabile ... Prima di sparire, la piccola Santa mi disse: - Pregate sempre bene... Tutti i presenti piangevano di emozione ... ".       In quell'istante la malata risentì un gran benessere e l'addome si sgonfiò totalmente, tornando normale. Nello stesso momento diverse persone amiche della città fu­rono svegliate e si domandarono che cosa stava succedendo nella famiglia Chéry.

Sedicesimo giorno – la carità

 

 

 

 

 

 

 I - Quale abbondante tema di meditazione, e sorgente inesauribile di affetti, è la carità; giustamente definita la prima e la regina delle virtù, poiché è la sola che sopravvive all'uomo mentre tutte le altre muoiono con lui. Nei riguardi di Dio esprime la sua essenza e perfezione: << Dio è carità>> (I Giov 4,8). Nei nostri riguardi si rende attiva col precetto paolino: << La carità di Cristo ci strin­ge>> (Il Cor. 5,14). E si definisce con la proclamazione: << La pienezza della legge è l'amore>> (Rom.13, l0).    

La nostra piccola Santa intese in pieno il grande insegnamento, come ce ne fa fede la sua pratica ardentissima di carità, verso Dio, verso il prossimo, ­verso se stessa, e le parole con che essa l'attesta.

Fra le innumerevoli grazie ricevute, non considero come la minore quella d'avermi fatto comprendere in tutta la sua estensione, il precetto del­la carità. Non avevo mai approfondito queste pa­role di Nostro Signore: << Il secondo comandamento è simile al primo: amerai il prossimo tuo come le stesso>> (Matteo 22,30). Mi consacrai sopratutto ad amare Dio, e, lui amando, scoprii il segreto di quest’altre parole:<<Non coloro che mi dicono: Signore, Signore entreranno nel regno dei cieli, ma colui che fa la volontà del Padre mio>> (Matteo 7,21) 

Gesù mi ha rivelato questa sua volontà, quando nell'ultima cena lasciò il comandamento nuovo, dicendo che si amassero scambievolmente, come egli stesso li aveva amati, Studiando, pertanto, come Gesù avesse amato i suoi discepoli, ho veduto che non li ha amati per la loro qualità natu­rali, perché erano ignoranti e pieni di pensieri  terreni.

Ora intendo bene che la vera carità consiste  nel sopportare i difetti del prossimo, nel non meravigliarsi delle sue debolezze, e nell'edificarsi dei minimi suoi atti di virtù.  Ma soprattutto ho compreso che la carità non deve starsene chiusa nel fondo del cuore.

Chi mi giudica è il Signore; e per rendermi favorevole il suo giudizio, o piuttosto per non es­sere giudicata - poiché egli ha detto: <<Non giudicate, e non sarete giudicati>> (Luca 6,37), voglio nutrire sempre pensieri indulgenti.

Ricordandomi che “la carità copre la moltitudine dei peccati”(Prov. 10,12) attingo a quella miniera feconda aperta da Nostro Signore nel Santo Vangelo, investigo nella profondità delle sue parole adorabili, ed esclamo con Davide: <<Dal momento che hai dilatato il mio cuore, ho corso nella via dei tuoi comandamenti>>(Sal. 118,32). E solamente la carità può dilatare il mio il cuore. O Gesù mio, dall'istante in cui questa dolce fiamma lo consuma, corro deliziosamente nella via del tuo comandamento nuovo, e voglio corrervi fino al giorno beato nel quale, unendomi al verginale corteggio, ti seguirò per gli spazi infiniti, cantando il cantico nuovo, che dev'essere il cantico dell'amore.

II - Amare chi ci ama, è un sentimento ispirato dalla natura; mentre è atto di pura carità l'amare il nemico, il fare del bene a chi d odia, il pregare per coloro che ci perseguitano e che ci calunniano. Ma non si sfugge: il comandamento evangelico è tassativo, dobbiamo obbedire, o rinnegare Cristo.

La carità è come un lievito nascosto, che deve sviluppare il suo fermento e la sua forza nell'opera di perfezionamento della nostra anima; opera che si comincia in questa vita o si termina nell'altra.

Dalla carità nascono tutti i beni possibili, e senza di lei tutte le virtù non sono ritenute virtù, come tutte le doti di cui si può apparire arricchiti, sono fumo che il vento disperde. Nulla vi è al disopra della carità, e perciò l'Apostolo la preferisce a tutto il resto, in questi termini incisivi: << Quando io parlassi le lingue degli uomini e degli angeli, se non ho la carità sono come un bronzo risonante e come un cembalo squillante. E quando avessi la profezia e intendessi tutti i misteri, e quando avessi tutta fede, sicché trasportassi le montagne, se non ho la carità, sono  niente>> (l Cor.13,2).

A rendere più veemente la sua protesta, S. Paolo si domanda:<< Chi ci dividerà dalla carità di Cristo? Forse la tribolazione, l'angoscia, la persecuzione, la fame, la nudità, il pericolo, la spada? (Rom. 8,35). E conclude con l'energica professione:<<No, nè la vita, nè la morte, nè il presente, nè il futuro, nè l'altezza, nè la profondità, nè alcun'altra cosa creata, potrà dividerci dalla carità di Dio, la quale è nel Cristo Gesù Signor Nostro>> (Rom. 8,38-39).

Un cuore che sia tutto amore di Dio e amore del prossimo, e nel quale perciò non abbiano luogo af­fetti volontari opposti all'amore, è sempre tran­quillo. Qualunque siano le amarezze della sua vita, esse rimarranno superficiali, perché nel fondo regnerà il gaudio della pace. Anzi, le tribolazioni, entrando nell'orbita di questo cuore che ama, subiranno per forza dell’amore una meravigliosa trasformazione, e diventeranno alimento delle fiamme della carità, la quale si ravviva e splende più bella nel sacrificio.

Per lo più, nel fare la carità, il Signore ci fa sen­tire una soave dolcezza, una elevazione del cuore e lui, come sorriso della divina bontà, per mostrarci quasi sensibilmente il suo gradimento.

L'amore di Dio e l’amore del prossimo, sono co­me due corde armoniche d'un solo strumento: toccando l'una vibra anche l'altra. Ma la carità verso il prossimo è forse il punto più difficile nel cammino della virtù. Si sarà vinta la ribellione dei sensi, si faranno orazioni e penitenze, ma quanto spesso si manca contro la carità, o in pensieri, o in parole, o in opere. Chi è perfetto nella carità verso il pros­simo è santo, poiché il Signore ha fatto di questo il distintivo dei suoi fedeli seguaci.

III - Piccoli consigli di carità.

Sii buono e benevolo, mantenendo il sorriso sulle labbra, anche da solo.

Non rilevare la grossolanità e certe maniere ma­leducate delle persone; lasciale passare inosser­vate.

Se ti si chiede qualcosa, cedi senza mostrare corruccio, nè contrarietà: contenterai e sarai con­tento.

E' così dolce far piacere, consolare, rallegrare, offrire, ringraziare, aiutare.

Fa del bene alle anime di coloro che ti vivono intorno, anche soltanto con una parola di compas­sione, un incoraggiamento, una breve preghiera.

Supera la tua avversione e la tua antipatia per quella persona che ti si avvicina. Non sfuggirla, anzi valle incontro: forse Iddio ti precede.

Ricevi amabilmente quell'importuno che ti cerca: forse è Dio che te lo manda.

Perdona subito. Se ritieni che ti abbiano voluto offendere e fare del male, non ne avrai maggior merito?

Non rifiutare l'elemosina: soltanto, mettendola nelle mani del povero, abbi l'intenzione di darla a Dio.

Non pensar male di quella persona colpevole: compiangi e prega.

Perché supponi facilmente delle intenzioni cattive contro di te? Non capisci che questo pensiero ti turba, t'inquieta, ti guasta?

Trattieni quel sorriso canzonatorio che è sul pun­to di sfiorarti le labbra: addoloreresti chi lo ha provocato. Perché recar pena?

Adoperati per tutti quelli che ne hanno bisogno, o che te ne richiedono, senza farti troppo pregare. Dio non permetterà che si abusi di te, se ti presti con spirito di carità.

Quando la carità ha messo radici profonde in un'anima, si manifesta anche all'esterno.

Compi tutte le tue azioni nella carità (I Cor. 16,14).

Né dimenticare, infine, che la forma più perfetta di carità fraterna consiste nella sollecitudine per la salvezza delle anime, in quanto mira al loro supre­mo e sicuro bene. Così fece Gesù, che tu proponi di seguire: così fecero i santi, che tu desideri imitare: così insegnò Teresa, che la sua vita ardente d'amore e di zelo ti offre ad esempio.

Pratica dunque la carità, e accendine chi n'è privo; sii illuminato sulle verità eterne, e illumina a tua volta chi le ignora; cammina nella via spirituale che conduce al cielo, e attrai alla divina méta chi ne è lontano.

  Pensiero:<< Basta spesso una parola e un amabile sorriso per dilatare un’anima triste e ferita. Debbo cercare la compagnia delle persone che non mi piacciono per naturale inclinazione, e compiere a loro riguardo l'ufficio del buon samaritano>>

  Giaculatoria: <<O Gesù, so che tu non co­mandi nulla d'impossibile: tu conosci meglio di me la mia debolezza e la mia imperfezione. Tu sai bene che non giungerei mai ad amare il mio prossimo come tu l'ami, se tu stesso, o mio Divin Salvatore, non l'ami ancora in me>>.

 

Preghiera a S. Teresa, come al primo giorno.

ESEMPIO. -  Una piccola elemosina per poveri 

La sera del 21 febbraio 1922, Luisa Baray, da Auberville-la-Manuel, affetta da vari mesi di tubercolosi spirale al polmone sinistro, era moribonda. Di sentimenti religiosissimi, malgrado il marito fosse miscredente, devota a S. Teresa del Bambino Gesù, cui si era raccomandata con più novene fino allora inutilmente rassegnata alla sua sorte, aveva quel giorno ricevuta quattro volte la visita del suo curato, l'abate Bénard il quale, prima di lasciarla, le pose tra le mani un crocifisso benedetto dopo averle amministrato l'estrema unzione.

In quel momento si svolse una scena toccante, di cui furono testimoni i presenti, senza peraltro scorgere la celeste interlocutrice. All'inferma apparve S. Teresa del Bambino Gesù, tenendo abbracciato un crocifisso che le offri a baciare, poi disse: <<Tu hai molto sofferto, ed eccoti malata, ma la tua fede è grande; vorrei un sacrificio da parte tua, una piccola elemosina per i poveri ... >>. Quindi l'apparizione si chinò a baciare a sua volta il crocifisso che le ostendeva Luisa. Un istante  appresso la piccola Santa s’avanzò e toccò due volte la fronte alla moribonda, annunziandole la guarigione. Effettivamente Luisa Baray era guarita!

L’avvenimento prodigioso produsse nella regione una sorpresa e un’emozione straordinaria. Il primo effetto fu la conversione del marito della graziata e di un altro parente incredulo.

Diciassettesimo giorno – la semplicità

 

 

 

 

 

 

 

I. - All'inizio della vita spirituale tutti siamo portati facilmente, per fervoroso trasporto, a desiderare di compiere qualcosa di grande, per provare a Dio la sincerità del nostro sentimento; e quasi nessuno pensa che può farsi santo mediante l'esercizio di virtù nascoste e ordinarie, il cui modello è spesso a portata di mano. Basterebbe. per questo, fermarsi a meditare sulla vita della Madonna, vita di semplicità e di nascondimento, in tutto imitabile.

Anche Teresa ne fu tentata, ma il celeste lume la trasse ben presto da tale illusione, conducendola progressivamente ad apprezzare il valore dello spirito di semplicità, del quale la sua vita fu poi distinta, fino a divenire esempio per legioni di  piccole anime che attinsero alla sua dottrina.

A un suo fratello spirituale ella scriveva: <<So che un gran numero di santi passarono la loro vita a fare sorprendenti macerazioni per espiare  i loro peccati; ma che volete? Nella casa del Padre celeste vi sono molti posti>>(Giov 14,2). L' ha detto Gesù, e io seguo la via da lui tracciatami: procuro di non più occuparmi di me, e  gli abbandono senza riserve ciò che egli si degna  di operare nell'anima mia.

Non posso nutrirmi che della verità, perciò non ho mai desiderato visioni, non si può vedere sulla terra il cielo, gli angeli, come sono. Preferisco attendere la visione eterna.

Nella mia piccola via non vi sono che cose ordinarissime; bisogna che tutto ciò ch 'io faccio, possano farlo le piccole anime. Com’è facile piacere a Gesù, rapire il suo cuo­re. Non v'è che amarlo, senza guardare se stessi, senza troppo analizzare i propri difetti.

Quando m'accade di cadere in qualche colpa, subito mi rialzo. Uno sguardo a Gesù e il riconoscimento della propria miseria riparano a tutto.

Scrivere dei libri di pietà, comporre le più su­blimi poesie, non vale quanto il più piccolo atto di rinunzia.          

La santità non consiste a dire delle belle cose, non consiste nemmeno a pensarle, ma a sentirle.

Dio non ha bisogno nè delle nostre splendide opere, nè dei nostri nobili pensieri. Se vuole delle concezioni sublimi, non ha i suoi angeli, la cui scienza sorpassa infinitamente quella dei più gran­di geni del mondo? Non è dunque nè lo spirito, nè i talenti, che Gesù è venuto a cercare quaggiù... Egli non s'è chiamato il fiore dei campi (Cant. 2,1) che per mostrarci quanto predilige la semplicità.

  II - La semplicità è virtù cristiana che può chiamarsi anche candore e ingenuità, cioè l'opposto della doppiezza, dell'astuzia, del carattere sospet­toso e della malizia. Un'anima semplice dice sinceramente ciò che pensa, crede facilmente quel che le si dice, non diffida, presume piuttosto il bene che il male, insomma possiede la caratteristica dell'innocenza.

Essa è raccomandata nel Vangelo da una chiara similitudine: <<Siate prudenti come serpenti e semplici come colombe>> (Matteo 10,17). La prudenza fa evitare le insidie, la semplicità garantisce dal male. Se con la prudenza del serpente evitiamo di essere feriti in ciò che abbiamo di più caro, con la semplicità della colomba non si oppone la vendetta all'ingiustizia che ci è usata, e non si rendono insidie agli altri.

Queste due virtù vanno unite, perché la sempli­cità senza la prudenza può essere ingannata, e la prudenza ha i suoi pericoli quando non è temperata dalla semplicità. La semplicità poi delle colombe è rivelata dalla forma sotto cui lo Spirito Santo - ­amore - è apparso; e facendo allusione evidente a questa virtù, l'Apostolo ha insegnato:<< Siate pargoletti nella malizia>> (I Cor.14,20). Non solo bisogna soffrire il male, ma non è permesso nemmeno di turbarsi, ciò che è proprio della colomba; perché la collera non calma la collera, e solo la dolcezza può estinguerla.        

Si legge nel secondo libro dell'Imitazione: <<L 'uo­mo si solleva con due ali sopra le cose terrene: cioè con  la semplicità e con la purità>> (IV, 1-2). Un commento di San Bernardo spiega che la sem­plicità è propriamente una volontà convertita a Dio, la quale chiede una cosa al Signore, e questa va cercando, che abbraccia piuttosto la virtù che la fa­ma, cioè d'essere prima virtuosa che famosa. 

Ma la semplicità, quale espressione d'innocenza, è ancora indicata nell'ammaestramento divino come dote o virtù indispensabile all’acquisto dell’eterno premio: << In verità vi dico, che chiunque non accoglierà il regno di Dio come un fanciullo, non vi entrerà>> (Marco 10,15; Luca18,17). L’anima del bambino è monda da passioni, però noi possia­mo fare col lavoro della volontà ciò che egli fa se­guendo l'impulso della natura: dobbiamo giungere all'innocenza e alla semplicità dei fanciulli, i quali non hanno odio e agiscono senza malizia. Il fanciullo che apprende a scuola, non contrad­dice l'insegnamento dei suoi maestri, non cerca ragioni e né parole per disputare, ma riceve le lezioni con docilità, fiducia, sommissione, rispetto: così dobbiamo noi accogliere la parola divina, con sem­plicità e  senza resistenze. Se i fanciulli sono confi­denti, ignorano il vizio. non ambiscono ricchezze e onori; e se la virtù non consiste nell'ignorare il peccato, ma nella volontà di fuggirlo, non è l'età dell'infanzia che ci viene raccomandata, ma la virtù che imita e i costumi e l'innocenza e la semplicità dell'infanzia. Imitiamo i fanciulli, torniamo fanciulli, se vogliamo essere accetti a Dio. 

  III  - La semplicità genera la confidenza, e la confidenza l'abbandono a Dio. Sii semplice e con­fidente verso Dio, abbandonati a lui. Abbi, soltanto cura di non dispiacergli, e vedrai come egli si occuperà di te, dei tuoi interessi, delle tue amicizie, dei tuoi affari, della tua anima. <<I semplici posse­deranno ogni bene>> (Prov. 27, 10); e tra i beni, il più prezioso, la pace.

L'inquietudine è il maggior male che possa venire all'anima, dopo il peccato. Quindi non fare tante riflessioni e tante dispute: cammina con sem­plicità alla presenza di Dio, senza riguardi e rispetti umani, e vedrai lui sempre favorevole e propizio alla tua miseria.

Egli ti ama più di tua madre: perciò le prove delle malattie, delle ingiustizie, delle privazioni, che ti manderà, pensa che serviranno al tuo bene; così come tua madre non ti avrebbe dato da bambino una bevanda amara solo per farti soffrire.

Se il dovere quotidiano ti è penoso per la sua dif­ficoltà e per il disgusto che ne risenti, rivolgiti a Dio e chiedigli: “Aiutami”! Se qualche cosa ti colpisce o ti devasta l'anima, e t'immerge nella notte profonda dello spirito, grida semplicemente: “Dio mio”.

Se hai commesso una colpa, non aver paura di Dio, ma con gli occhi pieni di lacrime, digli: “Perdonami”!

E se non hai una madre per amarti, pensa che Dio vuole essere tua madre; e se non hai un fratello per venirti in aiuto, pensa che Dio vuol essere tuo fratello; e se non hai un amico per consolarti, pensa che Dio vuole essere tuo amico!

Conserva dunque la tua ingenua semplicità per andare a lui e parlargli come se tu parlassi alla mamma. Conserva la tua candida confidenza per raccomandargli le tue pene, i tuoi progetti, le tue gioie, come se le raccontassi a tuo fratello. Usa le parole più affettuose per dirgli la felicità che provi nel vivere alla sua dipendenza e nella sua amicizia, come se parlassi al tuo più caro amico; poiché Dio corrisponde sempre a <<chi cerca nella semplicità del suo cuore>> (Sap. 1,1)

Dimostra infine la generosità di un cuore infantile, col dare a Dio tutto ciò che possiedi, col lasciargli prendere in te e attorno a te ciò che a lui piace, col volere quel che egli vuole e col non trovare mai nulla di impossibile in ciò che egli ti comanda.

No, nessuno ti farà del male, se Dio non lo permette. Ma se egli lo consente, sii paziente, piangi pure, continuando ad amarlo. La prova passerà, e Dio ti resterà sempre.

  Pensiero: << alle anime semplici non occorrono mezzi complicati>>

  Giaculatoria: << O Gesù Bambino, mio unico tesoro, mi abbandono ai tuoi divini capricci, e non voglio altra gioia che quella di farti sorridere>>.

  Preghiera a Santa Teresa come al primo giorno

  ESEMPIO: il profumo misterioso

Firenze, 16 giugno 1922 -  il M.R. Onorio Pugi, canonico della Basilica di S. Lorenzo, racconta che una giovane donna, madre di tre bambini, era stata colpita da grave malattia interna e ridotta a completa immobilità. Gli specialisti consultati non vedevano altro rimedio che un’operazione chirurgica dolorosissima, col solo probabile risultato si conservarla in vita penosamente.

Ricevuto un opuscolo relativo a S.Teresa del Bambino Gesù e una sua reliquia, l’ammalata cominciò a invocarla fervidamente, e ogni volta che la supplicava sentiva la presenza di un essere invisibile insieme ad un profumo di rose. Divenuta più urgente la necessità dell’intervento operatorio a seguito di diagnosi decisiva, ella raddoppiò di confidenza e scongiurò la piccola Santa di venirle in soccorso.

Una notte, verso l’alba, l’inferma s’accorse della presenza soprannaturale della sua celeste protettrice, e vide in mezzo ad una luce splendente S.Teresa recante delle rose, che le disse: << Io sono regina in cielo>>. Nello stesso tempo il dolce profumo dei fiori che aveva tra le mani riempiva tutta la stanza.

Immediatamente le sofferenze della malata scomparvero, e al mattino ella riprese le sue occupazioni, tra la sorpresa di quanti la conoscevano, non serbando alcuna traccia dei dolori patiti.

 

Diciottesimo giorno – la purità

 

 

 

 

 

 

 

  I - La purità è una delle due ali con cui l'uo­mo si solleva sopra le cose terrene. L'Imitazione di Cristo afferma che un cuore puro penetra il cielo e l'inferno, e che se nel mondo c 'è allegrezza, la possiede certamente l'uomo che ha il cuore puro; poiché è puro il cuore che non ha macchia di colpa, che la colpa fugge, e che si sforza di combattere sin dal nascere le voglie.

La nostra Santina, che, ormai rifugiata per la vita al Carmelo di Lisieux, poteva chiedere: <<O Gesù, sposo mio divino, fa che il candore della mia ve­ste battesimale non si appanni giammai>>; praticò la virtù della purità perfetta fin dall'infanzia, e la mantenne, sublimandola al grado più assoluto, nelle intenzioni, nelle opere, nell'amore.

Durante il suo pellegrinaggio a Roma, annotava: <<Ancora non avevo sperimentato che tutto è puro per i puri>> (Tito I,15), è che l'anima semplice e retta, in niente vede il male, poiché il male non esiste negli oggetti sensibili, ma solamente nei cuori impuri.

Istintivamente portata ad amare tutto ciò che le rammentava questa preziosa virtù, fin da piccolina era rapita dalla candidezza della neve, considerandola non semplicemente come un ornamento della natura abbellita; e il Signore si piacque esaudire perfino l'ingenuo desiderio da lei espresso in occasione della sua vestizione religiosa: << Appena posi piede in clausura, il mio sguardo si portò subito al mio bel Gesù Bambino, che mi sorrideva tra i fiori e i lumi, e voltandomi verso il cortile del chiostro lo vidi tutto coperto di neve. Quale delicato pensiero da parte del mio Gesù! Appagando i voti della sua fidanzata, le mandava la neve in quel giorno! Con quella temperatura affatto contraria, tutti se ne meravigliavano come di un av­venimento, trovando che era una passione un po' originale quella che io avevo per la neve >>.

A mostrare quanto ella stimava la purità del cuo­re, scriveva: <<Facciamo del nostro cuore un giardino di delizie, nel quale il nostro dolce Salvatore venga a riposarsi. Essendo vergini, non vi piantiamo che bei gigli di purezza ...e poi non dimentichiamo che: la verginità è un silenzio di ogni cura terrena; non solo delle inutili, ma di tutto. Non voglio che le creature abbiano neppure un atomo del mio cuore; voglio darlo tutto a Gesù, che mi fa comprendere essere egli solo la perfetta felicità.

Se sapeste a qual punto voglio essere indifferente alle cose della terra: Che m'importano tutte le bellezze create! Quanto sarei infelice se le possedessi ... Come il mio cuore mi sembra vasto in  relazione ai beni del mondo, perché tutti riuniti non potrebbero appagarlo, ma quando lo consi­dero in rapporto a Gesù, come mi sembra piccolo ... Vorrei tanto amarlo!.>>.

  II - Nel discorso della montagna, quel medesimo Gesù che si pasce tra i gigli (Cant. 1, 16), ammaestrava:<< Beati coloro che hanno il cuore puro, perché questi vedranno Dio >> (Matteo 5,8); intendendo, a chiarire la precedente beatitudine, che colui il quale fa misericordia perde i diritti alla misericordia divina se non ha agito con cuore puro, giacché se ha cercato la vanagloria nelle opere misericordiose, non già ne viene alcun frutto.

I cuori puri, di cui parlava il Redentore, sono coloro che hanno tutte le virtù e non devono rimpro­verarsi alcun male, coloro nei quali la temperanza reprime i desideri sensuali; ed è questa la virtù assolutamente necessaria per vedere Dio. Molti sono misericordiosi, ma si abbandonano all'impurità, e il Salvatore, per mostrar loro che la misericordia non basta, esige in più la purità del cuore.

Dio che è puro, non può esser veduto che da un cuore puro, perché il tempio di Dio deve essere senza macchia. Chi vuole e compie ogni giustizia, vedo Dio con gli occhi dell'anima, essendo che la giustizia è l'immagine di Dio. Colui che si separa dal male e fa il bene, in virtù di questo sforzo vede Dio più o meno, sempre o ad intervalli, per quanto possibile alla natura umana. Ma nell'altra vita, coloro che hanno puro il cuore, vedranno Dio faccia a faccia, e non come quaggiù in uno specchio e sotto immagini oscure.

La vista di Dio è ricompensa della fede, ed è per la fede che Dio ci prepara, purificando i nostri cuori. Nessuno di coloro che aspirano a vedere Dio deve vivere la vita mortale dei sensi: e nessuno potrà mai levarsi a tale visione se egli non muore radicalmente a questa vita, diventando talmente estraneo alla carne, che non sappia più se è o no col pro­prio corpo.

La nostra anima cammina verso la verità servita da due ordini di potenze: i sensi che forniscono le immagini delle cose esterne, e l'intelligenza che spiritualizza tali immagini, traendone le idee necessarie al suo nutrimento. Nell'ignoranza di tutto, in seno ad un corpo fatto di materia, l'anima si eleva gradualmente al1'essenza spirituale, e da questa all'essenza divina. Più sarà grande la potenza d’a­strazione dalle cose sensibili, e più sarà rapido e sicuro, con l’operazione intellettuale, il nostro cammino verso la verità.

Ora, questo cammino è intralciato specialmente dall'impurità, che avvince alla materia l’uomo, creato da Dio con la testa diritta e altera perché i suoi occhi potessero fissare il cielo. Nel commercio incessante con gli elementi inferiori della natura, l'occhio dell'intelligenza, cui è alimento la luce, si abbassa, s'indebolisce, si spegne; immerso nelle tenebre, diviene incapace a guardare gli astri e a sostenerne lo splendore, e non potendo aprirsi che nell'oscurità, finisce col soccombere e perire.            

Anche Gesù ammonisce: <<Lume del tuo corpo è il tuo occhio. Se il tuo occhio è puro, tutto il tuo corpo sarà illuminato. Ma se il tuo occhio è viziato, tutto il corpo sarà ottenebrato >> (Matteo 6,22·23). Ciò che l'occhio è al corpo, l'intelligenza è all’anima. Come la privazione della vista toglie alle altre membra gran parte della loro azione, così l’intelligenza e il sentimento, luce dell'anima, sono oscurati dal vizio e avviluppati di tenebre.

Non solo l'impurità oscura l'intelligenza, ma la deprava. L'anima impura si pasce di corruzione, similmente al corvo che corre ai cadaveri per saziarsene. Fornita di ali d'aquila per fissare arditamente il sole, affrontare le tempeste, superare le immensità, vincere le lotte dello spirito, eccola ri­dotta a trascinarsi miserabilmente fra le miserie di una carne oppressa, rinunziando al volo e alla li­bertà.

Quando la purezza si manifesta radiosa in fronte all'uomo, questi può salire fino all’altezza del genio. L'esempio di S.Tommaso d'Aquino è il più eloquente al riguardo. Se egli non avesse resistito alle più violente tentazioni sensuali, e ottenuto con la perfetta castità quella lucidezza di mente che gli consenti elevatissime indagini del pensiero, chi ricorderebbe oggi il suo nome? Invece, il mondo intero  è stupefatto d'ammirazione dinanzi al prodigio della sua conoscenza e delle sue opere, che rappre­sentano una delle più vertiginose altezze raggiunte dallo spirito umano.

Liberiamoci dalla schiavitù dei sensi, camminia­mo come figli della luce, se vogliamo pervenire anche noi al nostro sublime destino.

III - O Dio di purità, tu che <<non sei il Dio dei morti, ma dei vivi>> (Matteo 22,32), tu che ti sei degnato di mostrarci nel tuo unico Figlio il re dei cuori puri e lo sposo delle anime caste, tu che hai scelto come Madre del Verbo una Vergine purissima fra tutte le creature, presta benigno orecchio alla mia preghiera.

Fa che i miei occhi non servano che la tua glo­ria, e che per mezzo di essi la morte del peccato non entri giammai nella mia anima. Chiudi le mie orecchie alle conversazioni cattive, alle parole troppo libere, alla musica disonesta. Preserva il mio intelletto da tutto ciò che le tue leggi e la mia coscienza mi vietano, in modo che le mie intenzioni e le mie opere siano sante. Purifica la mia bocca e le mie labbra, perché le mie parole siano sempre caste ed edificanti. Trattieni i miei passi sull'orlo dell'abisso, dove la mia virtù è in pericolo. Conducimi per mano, affinché non rimanga esposto a quel­le cadute che ora deploro, e non frequenti luoghi dove tu sei offeso.

lo voglio vivere con gli angeli nel cielo, o con le anime pure sulla terra, e se devo trattare col prossimo per necessità, che io rifugga da compagnie dubbie e pericolose, da riunioni dove si provoca la virtù e si oltraggia la purità. Che il mio cuore sia libero da qualunque inclinazione colpevole e dalle amicizie che inducano a pensieri perversi. La mia intelligenza sia disciplinata dalla ragione, governando saggiamente l'impeto dei miei pensieri, perché l'immaginazione non si attardi su fantasmi impuri e la volontà domini gli appetiti carnali.  

S. Paolo ammonisce: <<Fuggite l'impudicizia. Ogni peccato, qualunque ne commetta l’uomo, è fuori del corpo; ma l'impudico contro il proprio corpo pecca. O non sapete che il corpo vostro è tempio dello Spirito Santo che è in voi, di quello Spirito che avete da Dio; e non siete vostri? Perché foste comprati a gran prezzo. Glorificate dunque Iddio nel corpo vostro>> (l Cor. 6,18-20).

O divino specchio di purezza, malgrado le mie proteste di fedeltà, io conosco la mia debolezza. Quando la natura mi trascina, la violenza della pas­sione mi conturba, il demonio impuro è per sopraffarmi, sapendo che solo la tua grazia può salvarmi, ti supplico di essere il custode dei miei sensi e con­cedermi di perseverare, glorificandoti in me.

 Pensiero:<< I cuori più puri sono spesso i più provati dalla tentazione e immersi nelle tenebre; essi credono di avere perduto il loro candore, e pensano che le spine che li circondano lacerino la propria corolla. Ma invece no: i gigli tra le spine sono più preservati, e in essi Gesù prende le sue delizie>>.

 Giaculatoria: <<Mio Dio, te ne supplico, ri­spondimi quanto ti domando: Che cosa è la ve­rità? - Fa che io veda le cose come sono, e non resti sedotta dalla menzogna>>.

  Preghiera a S. Teresa come alla prima pagina

 Esempio – una conversione in punta di morte

In Belgio, sul finire dell'anno 1922. Un vecchio di 72 anni, mostratosi sempre ostile alla religione manteneva la sua ostinazione anche nell’ultima mortale malattia. Inutilmente il parroco, sollecito di salvargli l'anima, reiterava visite ed esortazioni; chè, anzi, sorretto da un fratello come egli miscredente, l'infermo manifestò di non aver nulla in contrario che continuasse la presenza del sacerdote, purché questi si recasse da lui soltanto in qualità di amico.

Ormai chiuse le strade umane, il buon prete si rivolse a S. Teresa del Bambino Gesù e le confidò quell'anima in pericolo di perdizione. Un giorno che stava per iniziare la celebrazione della messa, essendogli stato riferito che l'infelice era stato colpito da nuovo attacco apoplettico, chiese alla piccola Santa di sostituirlo spiritualmente accanto al malato ripetendogli questo avvertimento: << Emilio, la tua anima non è in condizioni di comparire davanti al supremo giudice: tu devi confessarti>>.

Recatosi l'indomani dal vecchio, e vistolo sempre ostinato, gli domandò se il giorno prima, a tale ora, non avesse sentito tali parole. Al che il moribondo rispose stupefatto che effettivamente una voce misteriosa glielo aveva ripetute con insistenza; indi scoppiò  in pianto.Annientato nella sua resistenza dal prodigio, si confessò lietamente, ricevette l'estrema unzione e la sera stessa spirò in grazia di Dio.

 

Diciannovesimo giorno – uniformità

 

 

 

 

 

I – Il desiderio di uniformarsi alla volontà divina si concreta in aspirazioni ed elevazioni dell’anima orante come in atti di rinunzia perfetta, ossia di abnegazione.

Eccone una formula completa, scritta su di un biglietto che Santa Teresa portava sul cuore: <<O Gesù, sposo mio divino, prendimi, piuttosto che permettere all’anima mia di macchiarsi quaggiù della minima  colpa volontaria. Fa che non cerchi e né trovi mai altri che te; che le creature siano un nulla per me, e io un nulla per loro; che nessuna cosa terrena turbi la mia pace. O Gesù, non ti chiedo che la pace! La pace, e più di tutto, l’amore; un amore senza limiti e senza misura. Gesù, fa che io muoia martire per te; dammi il martirio del cuore e quello del corpo; meglio, dammeli tutti e due. Fa che io soddisfi i miei obblighi in tutta la loro pienezza; che nessuno si occupi di me, e che io sia dimenticata, calpestata come un granello di sabbia.

Inoltrando nella via di perfezione, ella confessa: <<Adesso non ho più che una brama unica; amare Gesù alla follia! L’amore solo mi attrae! Non desidero più né il soffrire, né la morte; eppure li amo entrambi. Lungo tempo ho invocato la morte e le pene, quali messaggere di gioia. Ho sofferto ed ho creduto di toccare le soglie del cielo. Nella mia più tenera infanzia pensai che “il piccolo fiore” verrebbe raccolto nella sua primavera; ma ora il solo abbandono nel mio Signore, mi guida, e non conosco altra bussola. Non so chiedere più nulla con ardore, all’infuori del compimento perfetto della volontà di Dio nell’anima mia>>.

Nel corso della sua ultima malattia, disse un giorno: <<il mio cuore è pieno della volontà di Dio; anche quando qualcosa viene dall’esterno, ciò non penetra nell’interiore: è un piccolo nulla che sfugge, come l’olio che non può fondersi nell’acqua. Io resto sempre in una pace profonda, che nulla può turbare. Cominciò poi a declinare questa strofa di un suo cantico: <<la volontà tua santa e divina – è l’unico riposo del mio cuore – mi affido e dormo come una bambina – fra le tue braccia, o dolce Signore>>.

  II – Sinteticamente e bellamente è stato detto che il fare la volontà di Dio, cioè fare quel che Dio vuole da noi, è lo stesso che fare della terra un cielo anticipato; poiché, a parte tutte le idee comuni di rassegnata umiltà che questa espressione significa, la volontà divina ha il suo completo trionfo nella destinazione delle cose eterne da lui create, quindi nel cielo, mentre le cose passeggere come la terra non ne ricevono che un modesto riflesso.

Il fare la volontà di Dio, è uguale che uniformarsi pienamente a tale volontà, qualunque cosa importi.

Volontà di Dio è la salvezza dell’uomo, e dobbiamo riconoscere che per non avere ubbidito a questa santa volontà ci eravamo resi schiavi del demonio, eseguendo contro noi stessi i di lui perfidi disegni. Ora, con l’ubbidire e uniformarci alla volontà di Dio, scompariranno tutti gli affetti disordinati dell’anima.

La temperanza e la modestia trionferanno di ogni contrario desiderio dello spirito; l’umiltà vincerà l’orgoglio; la carità farà sparire tutti i vizi opposti: l’odio, l’invidia, la dissimulazione, la collera nei suoi trasporti e con le sue vendette, la perfidia con i suoi agguati, la passione del denaro, che altro non è se non idolatria mascherata.

Imploriamola, questa grazia dell’uniformità con l’eloquente preghiera che si legge nel terzo libro dell’Imitazione di Cristo (15, 15-21): <<Concedimi, o benigno Gesù, la tua grazia, affinché ella sia con me, e  con me fatichi e perseveri con me fino alla fine. Fa che io sempre desideri e voglia ciò che è più accetto a te, e più caramente ti piace. La tua volontà sia la mia, e con lei s’accordi perfettamente. Abbia io con te un solo volere; né possa io volere o non volere, che quello che tu vuoi o non vuoi. Dammi di morire a tutte le cose del mondo, e di amare l’essere disprezzato e sconosciuto in questo mondo per amor tuo. Dammi di riposare in te sopra ogni cosa desiderata, e di acquietare il mio cuore in te. Tu sei la vera pace del cuore, tu il solo riposo; fuori di te, tutte le cose sono dure e inquiete. In questa pace medesima, cioè in te, unico, sommo ed eterno bene, prenderò sonno e riposo>>.


III - <<Signore, insegnami a fare la tua volontà>> (Sal. 142, 10); siano in me l’amore, la sottomissione, la rinuncia, specialmente oggi. Voglio che tu t’impadronisca delle mie facoltà, in maniera che io non faccia più azioni umane e personali, ma tutte divine, ispirate e dirette dallo spirito d’amore. Mi abbandono a te, come un fanciullo che non si preoccupa di ciò che altri farà di lui; e non preferisco alcuna cosa, ma soltanto quello che a te piace.

Il mio cuore è il tuo regno; règnaci dunque da sovrano. Obbedirò ai tuoi comandamenti e ai miei doveri, che sono tuoi ordini diretti. Di più, obbedirò a coloro che in qualunque modo hai costituito miei superiori in tua rappresentanza e non m’importerà se useranno con me forse modi inopportuni e rudi.

Il cuore dei miei fratelli è anche il tuo regno: pure là io voglio farti regnare. A chi potrò oggi parlare di te? Quale momento dovrò scegliere, per dire una parola pietosa in tuo nome? Dio mio, offrimi oggi l'occasione di farti amare da qualcuno.

E sia fatta la tua santa, adorabile volontà! Mi manderai oggi un avvilimento, delle contrarietà, delle sofferenze, una notizia penosa, e inattesa, uno strazio del cuore, un insuccesso, un disprezzo? Accetto fin d'ora tutto ciò che vorrai ... E se piango per debolezza, non rimproverarmi se mormoro per impazienza, fermami; se mi scoraggio per viltà, rialzami. Se per la tua gloria è necessaria la mia umiliazione e il mio abbandono, fa pure ciò che a te piace, Signore!

Per amor tuo, per amore di perfezione, mi sacri­fico al dovere, al lavoro, all'amicizia; mi sacrifico e respingo energicamente tutto che può sedurre nel mio cuore il sentimento affettuoso, e che nell'intelletto e nella fantasia può offendere il tuo purissimo sguardo.

Ma tale sacrificarmi è per me sorgente di gioia, e questa gioia io voglio comunicarla. Mandami oggi un povero, perché io possa fargli l'elemosina in tuo nome. Mandami un cuore ferito, perché io possa asciugare le sue lacrime. Mandami uno spirito inquieto e agitato, perché, ripetendogli le tue parole soavi, io possa sollevarlo fino a te.

  Pensiero: <<Quando si cessa di consultare la bussola dell'ubbidienza, l'anima si smarrisce per le aride vie, dove l'acqua viene ben presto a mancare>>.

  Giaculatoria: <<Mi offro a te  mio Diletto, perché tu compia perfettamente in me la tua santa volontà>>.

  Preghiera come al primo giorno

  Esempio: Non temere: guarirai

Riassunto di un miracolo relazionato dal gesuita olan­dese Padre Caenen, il 15 settembre 1922.

Suor X, era malata di tubercolosi polmonare. Il medico aveva dichiarato che ormai uno del due organi respiratori si trovava interamente corroso, e l'altro talmente intaccato da non poter durare che ancora un giorno o due: poi sarebbe stata la fine.

La superiora del monastero faceva intanto pregare Teresa del Bambino Gesù per la sua guarigione; quantunque si fosse perduta ogni speranza, tanto che la di­rettrice del coro prendeva già le disposizioni per la messa di requiem e il cappellano rimandava un viaggio in attesa del decesso.

Il giovedì santo, verso le 9, l'ammalata entrava in agonia. Lucida di mente, sebbene prostrata di forze, ella sentiva intorno al suo letto l'andirivieni delle consorelle e taluna di esse lamentarsi che la piccola Teresa non le avesse esaudite; allorché, dirigendo gli occhi verso una immagine della Santa, intese queste parole:<< Non temere: guarirai>>, e immediatamente provò l'impressione di un benessere inesplicabile. Poi la stessa voce misteriosa le disse: <<Sei guarita>>, ed ella istantaneamente  risanata poté parlare ed alzarsi.

Più tardi seppe che nello stesso momento della guarigione la superiora, in ginocchio davanti al tabernacolo in cappella, aveva pregato il Signore di provare se veramente S. Teresa era potente presso il Cuore Divino.

Il medico curante, che era protestante materialista, chiamato e credendo di venire per la regolare constatazione di morte, rimase interdetto. Non vi era più traccia di etisia e i polmoni del tutto sani.

 

Ventesimo giorno – Normalità

 

 

 

 

 

 

I - Con l'eroico esercizio delle virtù nascoste e ordinarie, Santa Teresa si accomunava inosservata alle altre suore. L'umiltà e la semplicità le davano tale uno stile di normalità, un fare così scarsamente eccezionale, che poche delle sue consorelle riuscivano a comprendere il tesoro di cui era ricco il monastero. Si sarebbe detto che non si sentiva neppure la sua presenza.

- Che diremo di lei, quando morrà?- si chiedevano alcune religiose, prevedendo forse prossima la sua fine. Secondo l'uso carmelitano, seguito da varie congregazioni, al trapasso d'una suora se ne dirama l'annunzio alle altre comunità della provincia regolare, tessendo l'elogio delle virtù più spiccatamente da essa praticate. La vita così semplice e comune di suor Teresa, la quale celava a tutti, e anche a se stessa, la copia mirabile dei doni celesti di cui il Signore la colmava, metteva in imba­razzo le sue consorelle, che confessavano a tal riguardo di non saper che cosa dire.

La piccola Santa ricopri tutti gli uffici domestici, eccetto quello d'infermiera: tenne il guardaroba, il refettorio, la sacrestia, fu maestra delle novizie, senza mai apparentemente distinguersi, ma trovando sempre modo di impreziosire la sua giornata agli occhi divini, divorata, com'era, dal fuoco riboccante di una carità industriosa e generosa, appigliandosi a tutto per consumare ancora qualcosa delle sue ripugnanze e delle sue ritrosie naturali. Non ebbe estasi, visioni, stimmate prodigiose, doni di profezia e non praticò speciali penitenze; dissimile in ciò dai grandi santi, pur essendo - al dire di - Pio X:  ­<< la più gran santa moderna>>. Tutto fu in lei piano, semplice, ordinario, normale, costantemente eguale e imitabile.           

Potrebbe dirsi che la sua vita si ispirò a queste sue regole.

<<Siamo troppo piccoli per metterci al di sopra delle difficoltà; ebbene, passiamoci semplicemente di sotto. Le grandi anime stanno al disopra delle nubi quando infuria la tempesta; a noi non rimane che sopportare pazientemente gli acquazzoni. Se ci bagniamo un poco, ci asciugheremo dopo al sole dell'amore>>.

La santità non è in questa o quella pratica;  essa consiste in una disposizione del cuore, che ci ren­de umili e piccoli tra le mani di Dio, consapevoli della nostra debolezza, e confidenti fino all'audacia nella bontà del Padre

Ed ecco una sua preziosa confessione : <<Io non sono che una piccolissima anima, la quale non può, offrire a Dio se non tantissime cose; anzi, mi accade spesso di lasciarmi sfuggire quei cari nonnulla, che pur danno tanta pace al cuore. Ma per questo non mi scoraggio: mi adatto ad avere li un po' meno di pace, e mi sforzo di essere più guardinga un'altra volta>>.

Rifuggendo da esibizioni, e incurante di umani giudizi, che aveva sperimentato fallaci, in circostanze sintomatiche, compiangeva:<< Oh, quale tossico di lodi è giornalmente servito a coloro che occupano i primi posti! Che funesto incenso! E come occorre che un'anima sia distaccata da se stessa per non riceverne danno>>.

  II - <<Spera in Dio, e opera il bene>> (Sal.34,3). Fondato nella speranza in Dio, intendi al bene operare, ossia a compiere bene tutte le tue azioni. E compierle bene significa estendere a tutta la tua attività, a quelli che sono gli obblighi del tuo stato, osservanza perfetta. Puoi ornarti di pregi maggiori, se riuscirai a ottenere di passare sulla terra senza che si faccia attenzione a te, e allora sarai veramente eroico da meritare un premio speciale nell'eternità; poiché mentre le piccole virtù hanno bisogno della lode altrui per sostenersi, le grandi virtù vanno sole per il mondo, seminando il bene ma senza nemmeno supporre nella loro azione alcunché di eccezionale.

Devi combattere in te l'ambizione, l'orgoglio, l'egoismo: cioè contrastare in te l'inclinazione che porta ognuno di noi al fastidio del prossimo, alla noia del proprio stato, al desiderio di cambiamento, al pensiero fisso di arricchirsi per dominare, alla malignità, al malcontento abituale, alla mormorazione continua. Scegli due armi sicure per tale com­battimento: la preghiera e il lavoro. Il lavoro ti tiene occupato, la preghiera ti conforta e riposa.

Non pretendere di volare senz'ali appropriate: devi curare la tua vita spirituale non a modo tuo, ma come piace al Signore: se sei religioso, da religioso; se sei secolare, da secolare. I desideri di perfezione sono ottima cosa, ma se non ben regolati producono turbamenti e pericoli; perciò con­viene eseguire quelli che riguardano il proprio stato.         

Cioè: farsi santo con l'adempiere i suoi obblighi, guidare la propria famiglia senza pretendere vita straordinaria dalla medesima, procurare in tutti un gran fondo d'amor di Dio, l'osservanza della divina legge, la frequenza devota dei sacramenti e dell'orazione secondo il momento e lo spirito di ciascuno, vestire conforme alla condizione sociale, evitare boria e vanità, rifuggire dalle correnti mondane. Di tutto questo, offrire specialmente esempio di noi stessi, con umiltà di cuore, pazienza; mansuetudine, carità illuminata. Mostrarsi giustamente solleciti del futuro, ma con pace e serenità di animo, esercitando la virtù a seconda delle occasioni, pre­parati sempre, con alta confidenza in Dio e prudente diffidenza degli uomini.

Vedi, dunque, che anche conducendo una vita normale si può farsi santi. E non è poi tanto difficile, come sembra a prima vista: basta ubbidire alla voce di Dio che ti parla nel cuore in ogni momento, e seguire le sue paterne esortazioni.

III - Vuoi un esempio più alto di normalità, l'esempio maggiore nel quale specchiarti, imitandolo? Guarda il Maestro, guarda Gesù. Forse in passato ti sei raffigurato la Sacra Famiglia come un quadro invariabile, in cui, Gesù, Maria e Giuseppe, con la testa circondata d'aureola e gli occhi sempre rivolti al cielo, non abbandonavano tale atteggiamento se non nei loro rapporti col mondo esterno. Ciò era bello, ma non era umano. Invece, meditando attentamente il Vangelo, ci si presenta uno spettacolo molto diverso, non meno vicino a Dio e più vicino a noi; non meno sublime e più attraente.

Che cosa fece Gesù prima di iniziare la sua straordinaria missione, e volle a noi insegnare? Da dodici anni ai trenta, egli fu prodigio di normalità e di nascondimento: <<E se  ne andò con loro e tornò a Nazaret, e stava soggetto ad essi... E Gesù avanzava in sapienza, in età e in grazia innanzi a Dio e agli uomini>> (Luca 2, 51-52). Gli evangelisti, così abbondanti e fedeli storici di Gesù, nel suo apostolato, non ci dicono di più, perché egli non ha voluto farci sapere di più.

Ma dove la cronaca della sua epopea viene meno, supplisce la visione amorosa e reverente dei nostri cuori. Egli amava Dio, onorava i genitori, attendeva al suo lavoro, Non si tratta qui di solo lavoro manuale, poiché egli <<avanzava in sapienza>>, ossia dava segni manifesti di perfezione. Con tutto ciò la sua storia di ben diciotto anni è stata narrata nel giro di soli due versetti scritturali.

Osserviamolo un poco. Gesù si separava dalla società e dalla conversazione degli uomini. Frequentava la sinagoga, vi restava lungamente in orazione al posto meno evidente, tornava poi a casa, rimaneva con la madre, aiutava il padre putativo. Passava, andando e tornando, fra i suoi simili, come se non avesse visto nessuno. I bagliori divini che avevano circondato la sua nascita, i prodigi che avevano reso attoniti i poveri pastori e i sapienti orientali, erano cessati d'un tratto. Tutti ne erano meravigliati. Come va che colui il quale prometteva tanto, non facesse più nulla per svelare il mistero della sua elezione alle grandezze? Però egli teneva a quel genere di vita, e vi perseverava con tanta costanza da annientarsi completamente, e a farsi dimenticare al punto che, quando egli poi diede principio alla predicazione, traendosi dietro le folle ammirate, la gente del suo paese andava esclamando, disdegnosa e sorpresa: <<Non è costui il figlio del falegname? (Matteo 13, 55).

Il vecchio Giuseppe, l'intemerata sua sposa Maria, il predestinato alla gloria Gesù, vivevano nella povertà e nell'umiltà. E Gesù aiutava nella quotidiana fatica, ordinava la parca mensa, coadiuvava nel preparare i giacigli notturni e nelle cose più comuni che esige l'andamento della casa. E ciò per lunghi anni, senza mai accendere un lampo di potenza che rivelasse la sua origine celeste. Ecco il modello di normalità, quasi ventennale che tu, anima mia, devi contemplare, meditare, possibilmente imitare, come hanno imitato i santi e specialmente la più moderna e attuale fra i santi.

O Dio nascosto fra le pareti abiette di Nazaret, non poteva bastare una sola delle tue notti fervorose e sofferenti a salvare il mondo? No; perché allora, forse, la nostra mente ottenebrata e il nostro misero gretto cuore, non ti avrebbe compreso. Occorreva ancora il tuo esempio, il tuo modello, la tua norma, per soccorrere alla nostra debolezza.

O maestro di vita, e di vita nascosta, salve! Fa che io pure apprenda da te il segreto di tanto amore e di tanta abnegazione, per imparare docilmente a praticare questa virtù di normalità.

  Pensiero: <<Come sono poche le anime che in tutte le loro azioni non operino a caso, o quasi; e come sono rare quelle che fanno tutto nel miglior modo possibile!>>.

  Giaculatoria: <<O Gesù, perdonami e guarisci l’anima mia, dandole ciò che essa spera!>>.

  Preghiera a Santa Teresa come al primo giorno

  Esempio – Sulla tomba gloriosa di Lisieux

Il sindaco di Prèaux, signor E. Lainè e la consorte, narrano distesamente, il 15 ottobre 1922, un prodigio avvenuto in persona della loro nipotina Eugenia Lapsilleur, sulla tomba di S.Teresa del Bambino Gesù. Ecco il riassunto.

Ancora lattante, la piccina fu presa da un male che nessun medico riusciva a diagnosticare; il capo ricoperto di croste inguaribili, ella gridava di continuo in forma di abbaiamento canile, e faceva pensare ad ossessioni diaboliche, poiché mostrava speciale orrore verso preti, monache, immagini sacre. Se si tentava di portarla in chiesa, si dibatteva con violenza, e una volta che si volle avvicinarla ad una statua prodigiosa della SS.Vergine, la respinse calciandola.

In tale stato lamentevole i parenti risolvettero di portarla sulla sepoltura di S.Teresa a Lisiuex, nutrendo grande fiducia nella protezione della santina delle rose. All’entrare del cimitero la bimba urlava:<<No, là no! Là no!>>. Ciò malgrado, giunti presso la tomba benedetta, essi scartarono fiori e corone ivi accumulati e la fecero sedere quasi per forza. All’istante, come per incanto, la bambina si calmò: S.Teresa aveva vinto il demonio.

Nella notte seguente si produsse alla testa malata una fuoriuscita abbondante di pus e sangue. L’indomani mattina Eugenia Lapailleur era completamente guarita; divenuta non solo perfettamente sana, ma di carattere amabile e dolce, portata istintivamente a desiderare la vicinanza di simboli religiosi che accoglieva con gran gioia.

Ventunesimo giorno – distacco terreno

 

 

 

 

 

 

I - Anelando continuamente alla patria beata, la piccola Santa sentiva vivamente il distacco da tutte le cose terrene; sia le materiali - come <<l'ombra di un gran nome>> e le altre vanità e delicatezze umane - sia quelle dell'intelletto, le cui conquiste le parevano accessorie e transitorie di fronte al fine supremo di Dio.

Ella rileva: << Gesù m'insegna: Dà a chi ti chiede, e non ridomandare il tuo a chi te lo toglie>> (Luca 6,30). Dare a tutti coloro che chiedono, è meno difficile che offrire se stessi per un moto spontaneo del cuore. Inoltre, se ci viene chiesto con dolcezza, il dare non costa ma se è difficile il dare a chiunque chiede, è ancora più difficile il lasciarsi prendere ciò che è nostro sen­za richiederlo. Dico che è difficile, ma dovrei dire piuttosto che sembra difficile, poiché <<il giogo del Signore è soave e leggero>>· (Matteo 11,30), e appena accettato da noi, ne gustiamo la dolcezza. Gesù non vuole che ridomandi quello che mi appartiene: ciò dovrebbe sembrarmi naturalissimo, poiché nulla è realmente mio; devo dunque rallegrarmi quando mi accade di sentire gli effetti della povertà, di cui ho fatto voto solenne. Altre volte credevo di non essere attaccata a niente; ma da che le parole di Gesù sono diventate a me luminose, mi vedo molto imperfetta.

Oh, quanta pace inonda l'anima che si rende superiore ai sentimenti della natura! Non vi è  gioia paragonabile a quella del povero di spirito. Se chiede con distacco una cosa necessaria, e non solamente questa cosa gli viene negata, ma si tenta anzi di portargli via ciò che possiede, egli segue il consiglio dr Nostro Signore: << Cedete il vostro mantello a chi vuole muovervi lite per togliervi anche la veste>> (Matteo 5,40). Cedere il proprio mantello, mi pare, equivale a rinunziare ai suoi estremi diritti, considerarsi serva e schiava degli altri. Quando si è ceduto il mantello, è più facile di camminare, di correre ... Ma non basta che dia a chi mi chiede; devo prevenirne i desideri, e mostrarmi molto obbligata ed onorata di render servizio altrui, e se mi viene tolta una cosa di mio uso, debbo mostrarmi felicissima di esserne liberata.

A me sembra che le prove siano un grande aiuto per distaccarsi dalla terra; esse ci fanno sollevare lo sguardo al di sopra di questo povero mondo.

Come ha dunque potuto fare Gesù, per distaccare le anime nostre da tutto il creato? Oh, egli l' ha vibrato contro di noi un gran colpo: ma è un colpo d'amore….Dio è mirabile, ma è soprattutto amabile ... 

Niente trovo quaggiù che mi renda felice; il mio cuore è troppo grande, e niente di quanto in questo mondo si chiama felicità può appagarlo. Il mio pensiero vola verso l'eternità, il tempo finisce! Il mio cuore è come un lago tranquillo, o come un cielo sereno: non rimpiango la vita di quaggiù, perché ho sete delle acque di vita  eterna. Si sbaglia dando il nome di vita a ciò che deve finire. Questo bel nome è per le cose celesti, per quel che mai morrà.

  II - Quando si parla di distacco terreno, ci si riferisce tanto ai beni materiali quanto ai beni immateriali; purché relativi alla nostra vita su questa terra, i quali dovremo necessariamente lasciare con la morte. Gli uni e gli altri ci sono dati in uso temporaneo, cioè in prestito, e di essi dovremo ren­der conto a un padrone che se oggi appare buono e misericordioso, perché ci ama e adopera tutti i mezzi adatti alla nostra salvezza, nell'ora da lui stabilita sarà rigoroso ed esigentissimo. Come possiamo dunque attaccarci a cose che non sono nostre, che ci appartengono solo apparentemente? Se possediamo la ricchezza del denaro, e mediante il suo impiego ci riesce facile appagare desideri di piacere e di potenza, quanto tempo durerà tale uso? Nel più favorevole dei casi, ammesso che una improvvisa disgrazia non ci tolga tutto, si tratta di anni, forse di qualche decennio. Ma abbiamo ancora pensato al nostro destino nel tempo successivo, chiedendoci se per così poco valeva la pena di bramare e possedere quelle effimere ricchezze, esponendoci per esse a dolori di ben più lunga durata?       

Se possediamo la ricchezza intellettuale, e con essa produciamo opere d'ingegno e di arte, non dovremo un giorno lasciare anche questa?

Ancora: che cosa sono la bellezza, la gioia, il piacere? Un delicato poeta concepì questi soggetti in tre figure che abitano il tempi della malinconia, e disse: che la bellezza deve presto fatalmente morire, che la gioia è sempre protesa nel gesto dell'addio, che il piacere già duole perché mutato in veleno all'atto stesso del godimento.

In considerazione della fugacità umana e di tutte le sue cose relative, nostro Signore, per farci in­tendere alla felicità eterna, sentenziò nel discorso della montagna: <<Beati i poveri di spirito, perché di questi è il regno dei cieli >> (Matteo 5,3); volendo con ciò elogiare coloro che sono veramente poveri, affettivamente e spiritualmente, lontani dall'amore delle ricchezze, sia che queste posseggano per fortuna naturale o per acquisto, o che essendone privi le bramino per i gaudi della vita.

Se questa beatitudine fosse così difficile come pare, Cristo non l'avrebbe annunziata alla terra. Torna a noi comodo farla difficile. Molto acutamente S. Caterina da Siena traduce  <<poveri per spirito>> al luogo della traduzione comunemente accettata; poiché tale diversità riflette meglio la libera scelta, e la spirituale radice, senza la quale la povertà è apparenza arida, ostentazione, forse grettezza o inerzia o sudiceria.

Infatti, la sentenza divina: <<Guai a voi, o ricchi>> (Luca 6,24), non è per quelli che hanno le ricchezze, ma per quelli che non ne sanno fare buon uso, e condanna il colpevole attaccamento ad esse, non solo per ciò che ha di idolatria tale affetto, ma perché le dovizie terrene, se pure intenzionali, sono fomite ed incentivo a malfare, di cui offrono frequente occasione.

<<Vanità delle vanità, e ogni cosa è vanità>> (Qoelet l, 2), fuorché l’amare Dio e il servire a lui solo. Vanità è il cercare e lo sperare ricchezze transitorie, ambire gli onori, soddisfare i sensi, bramare lunga vita, amare cose passeggere. Vera sapienza è lo staccare il cuore dalle cose visibili, elevandosi alle cose invisibili ed eterne: sprezzare il mondo e in­camminarsi in cielo. Però, << l'uomo terreno non comprende le cose dello spirito, ai suoi occhi non sono che follia>> (I Cor 2, 14).

 

III - Il vero distacco si opera con la separazione. Se vogliamo distaccarci dalla terra dobbiamo separarcene. E nessuna separazione. può meglio realizzarsi, di quella che possiamo ottenere trasferendo ad altri in perpetuo possesso tutto quanto è, o appare, come nostro. Facciamo dunque proprietario di tutte le cose nostre Iddio, ossia colui che lo è davvero, in quanto, con la stessa liberalità con cui ce le ha date, potrebbe anche togliercele da un mo­mento all'altro. E' un semplice riconoscimento del­lo stato di diritto, il quale diviene stato di fatto per elezione spontanea della nostra volontà, che ha facoltà libera di casi manifestarsi. Tutto ciò che era nostro, ora non è più nostro. Benessere o povertà, intelligenza, bellezza, sorriso, dominio, volontà, nulla più ci appartiene; l'abbiamo rinunciato e offerto a Dio, a dimostrargli il nostro amore delle cose celesti e il nostro desiderio di giungervi.

Siamo ben certi, che egli ricambierà il dono, perché ha assicurato che nessuno vi è il quale, abbandonando le cose terrene per quelle divine,  <<non riceve il centuplo adesso in questo tempo ... e nel mondo avvenire la vita eterna>> (Marco 10,29-30); non volendo però dire che il nostro dono, di povera materialità, sarà ricambiato con beni temporali moltiplicati. Una tale supposizione equivarrebbe ad of­fendere l'autore stesso del bene, in grado più d 'ogni altro di valutare la graduale preziosità delle sue fatture.

Può anche darsi che altri beni della vita il Signore voglia largire poi, per ricompensare subito il nostro sentimento di distacco; ma di ciò non dovremmo godere, perché nei riguardi spirituali sarebbero per noi aumentate le difficoltà di perfezione. E' invece sicuro che codesto centuplo promesso; significa abbondanza di grazia e di invisibili tesori nella ricchezza dell'anima; ornamenti segreti, delicate carezze, confidenze occulte e tenere, che tutte giungono allo spirito e ne confortano trepidi momenti, ne corroborano le forze, ne rianimano il vigore, questo attendiamo, che riempirà come una promessa di paradiso tutta la nostra esistenza, se avremo realmente offerto di noi tutto quel che possedevamo.

Ma è stata completa la nostra offerta, sincero e totale il nostro distacco? Ecco: guardiamo assieme. In un angolino, che pare dimenticato, del nostro piccolo cuore, è ancora tenacemente attaccato un rimasuglio d'amor proprio, rifugiato ivi come quella spazzatura che è difficile portar via senza una punta di ferro ... Mio Dio, tu che vuoi << salvi ed esaltati gli umili di spirito>> (Sal. 33,18), se accetti la mia volontà di distacco, mandami oggi una piccola acuta mortificazione d'amor proprio, una punta acu­minata che faccia in me pulizia completa d'ogni de­siderio terreno, il vuoto assoluto delle creature, che tu devi supplire.

<<Che gioverà mai all’uomo guadagnare tutto il mondo, se poi perde l’anima sua?>> (Matteo 16,26). Solo riflettendo su questa verità, io potrò risol­vere di staccarmi dalla terra, come fecero i santi, e intendere il significato del cielo, dove il Signore tergerà tutte le nostre lacrime>> (Apoc.11, 4).

  Pensiero: << Sulla terra non bisogna attaccarsi a nulla, nemmeno alle cose più innocenti, perché esse ci vengono a mancare quando meno noi ce lo aspettiamo>>.

  Giaculatoria: <<Tu hai superato, o Dio, la mia aspettazione, ed io voglio cantare le tue misericordie>>

  Preghiera a S. Teresa, come al primo giorno

  Esempio – un missionario brasiliano

Nella notte dal  2 al 3 dicembre 1917, un sacerdote brasiliano, il Padre Josè Benedicio Alves Monteiro, è prossimo a morire per una gravissima crisi cardiaca.

Sfinito dalle lunghe insonnie, stanco pure delle lunghe e fino allora inascoltate preghiere, ha un moto vivace e fa appello alla sua diletta protettrice: <<Piccola Teresa – egli esclama – tu che sei stata sempre così buona con me, mi rifiuterai un’ora di sonno>>?

Nel medesimo istante – egli stesso riferisce – la santa mi apparve raggiante di bellezza celeste, e toccandomi un braccio mi disse: <<Dammi la tua prima messa, sei guarito>>.

Fuori di me, chiamai quelli che mi assistevano e che rimasero con me stupefatti di vedermi all’improvviso perfettamente sano. La mattina dopo, il medico non poté che constatare la perfetta regolarità che aveva ripreso il mio cuore.

Egli concluse: <<Con  quale riconoscenza offrii la prima messa alla dolce benefattrice! L’ho posta alla testa della mia parrocchia e non sono ora che il suo umile coadiutore. E il suo valido braccio non si stanca di fare il bene!

Ventiduesimo giorno – vita interiore

 

 

 

 

 

 

 

  I - Nella pagina autobiografica che segue, si scorge il solco della vita interiore fecondamente vissuta dalla nostra Santa; quella vita interiore che si conduce soltanto in presenza di Dio e nella intima unione con Dio; quella vita interiore che abituata a guardare il cuore quale tempio di Dio. Il volto glorioso come nel cielo, a volte nascosto come nell'Eucaristia, mentre è alla presenza continua di Dio che l'anima pensa, parla, agisce, adempie al suoi doveri.

Ciò che soprattutto mi preoccupa nelle mie meditazioni, è il Vangelo; a quello attingo tutto ciò che è necessario per la mia povera anima. Vi scopro sempre nuovi lumi, sensi misteriosi e nascosti; e comprendo, e so per esperienza, <<che il regno dei cieli è dentro di noi>> (Luca 17,21). Gesù non ha bisogno di libri né di dottori per istruire le anime. Egli, il dottore dei dottori, insegna senza strepito di parole: non l'ho mai udito parlare; ma so che è in me, che è lui che mi guida e m'ispira ad ogni istante, e proprio al momento nel quale mi occorrano; io scopro lucidi orizzonti fino allora a me sconosciuti. Il più delle volte, essi non si manifestano agli occhi miei nelle ore di preghiera, ma fra le occupazioni della giornata.

Che m'importa se il buon Dio si serva di me piuttosto che di un’altra, per procurare la sua gloria? Purché il suo regno si stabilisca nelle  anime, poco importa lo strumento. D’altronde,  egli non ha bisogno dì nessuno.

Fate al Signore il sacrificio di non mai cogliere i frutti. Se egli vuole che in tutta la vostra vita sentiate ripugnanza a soffrire e ad essere umiliati, se egli permette che tutti i fiori dei vostri desideri e della vostra buona volontà cadano a terra, senza nulla produrre, non inquietatevi. In un batter d'occhio, al momento della vostra morte, il Signore saprà bene far maturare bei frutti sull'albero della vostra anima.

Niente più mi reca meraviglia, e non mi affliggo per nulla nel vedere, che io, sono la debolezza medesima. Al contrario, di questa debolezza mi glo­rio, e ogni giorno mi aspetto di scoprire dentro di me nuove imperfezioni.

Io non desidero di morire, più che di vivere. Se il Signore m'offrisse di scegliere, non sceglierei nulla: io non voglio se non ciò che egli vuole, e non amo se non quello che egli fa. Lo confesso, ce n’è voluto un pezzo per riposarmi in questo grado di abbandono; ma ora che ci sono, il Signore  mi ha presa e mi ci ha adagiata.

Al momento di comparire davanti a Dio, comprendo più che mai come una sola cosa è necessaria: lavorare unicamente per lui, e non  fare nulla per sè o per le creature.

  II - La vita interiore ha per scopo la fuga del peccato e il distacco dai beni materiali, per lo spirito di povertà: dai piaceri del sensi, per la purezza o la mortificazione; dall'orgoglio, per l'umiltà, dai vantaggi naturali, per la purità dell'intenzione, dalla dissipazione, per il raccoglimento.

In generale, si è molto prevenuti a  questo ri­guardo: alcuni temono con essa di giungere ad una vita schiava, di sacrifici e di aridità; altri la disprezzano come un miscuglio di pratiche minuziose sufficienti solo agli spiriti limitati, e che rendono inutili nel mondo. Si vuole servire a Dio, ma non si vuole assoggettarsi a questa dipendenza continua dal movimento dello Spirito di Dio.

Essa è veramente il regno di Dio nelle anime; è la vita di cui parla S. Paolo, quando dice: <<Vivo non già più io, ma vive in me Cristo>>(Gal. 2, 20). Tutti i santi vivono di questa vita, si compiacciono della legge divina, e il grado della loro santità è in rapporto alla perfezione della loro unione con Dio. Essi hanno Gesù per maestro, per consigliere, per direttore, per sostegno, per rifugio, per difensore. Sono alla sua dipendenza come quella di un padre, di un protettore, di un re; si lasciano guidare da lui come un cieco dal suo conduttore: soffrono tutto per lui, come un malato che vuol guarire sopporta tutto dal medico; riposano in lui come un bambino sul seno della madre.

Così si levano a poco a poco al disopra delle mi­serie e delle pene della vita. Che tutto l'universo sia calmo di sventure; che essi stessi siano privati dei beni, dall'ingiustizia o da un avvenimento ca­suale; dei loro amici, per il tradimento e l'oblio della loro reputazione e del loro onore, per la calunnia, della sanità, per la più crudele malattia. Ebbene, essi sentiranno tali prove, ne piangeranno, ma anche resteranno calmi e tranquilli, e volgendosi a Dio nel loro cuore, a Dio che ha permesso tutto ciò, gli diranno con trasporto: Ci resti tu, e tanto basta.

Gli atti di vita interiore sono: vedere Dio, intendere Dio, parlare a Dio, pensare a Dio, amare Dio. Tutti i mezzi per giungere alla vita interiore devono eccellere: grande purità di coscienza, grande purità di cuore grande purità di spirito, grande purità di azione, grande raccoglimento e mortificazione dei sensi, grande esattezza in ogni cosa, grande familiarità con Dio, grande carità verso il prossimo.

Ostacolano l'acquisto del1a vita interiore: l'attività normale precipitata e disordinata, che appare nei nostri progetti, nelle nostre azioni, nei nostri discorsi, nelle nostre preghiere; la curiosità, che apre la via alla dissipazione, con gli studi, le letture, gli svaghi e una folla di altre azioni; la pusil­lanimità, che si mostra nelle prove della vita, nella noia provocata dalle cose religiose e nelle tentazioni.       

Se non possiamo subito praticare la vita interiore vissuta dai santi, perché richiede lungo studio e attenzione, esercitazione, cerchiamo almeno di vivere insieme con Dio come si vive in una cara famiglia, lasciando a lui di guidare interamente la nostra condotta, comportandoci come un buon figliuolo che si affida pienamente al babbo per il proprio avvenire. Basta per questo obbedire, attendere fiduciosamente, pregare, amare.

  III - San Paolo scrisse: <<Mi diletto della legge di Dio secondo l'uomo interiore>>(Rom. 7,22); cioè approvo con l'intelletto e abbraccio con amore la legge divina, secondo l'uomo interiore, secondo la mente e la ragione illuminata dalla grazia e fortificata dallo Spirito Santo.

Sostenuti dalla speranza della gloria futura, non soccombiamo al mali onde siamo circondati, e qualunque la parte esterna di noi per tante avversità deperisca ogni giorno: la parte interiore, cioè lo spirito, si rinnova continuamente, avanzando ogni giorno nella cognizione di Dio, nella purezza della coscienza e nell'amore della verità e della giustizia.

E' uomo interiore colui che medita spesso sulle grandi verità della religione, che non si lascia sviare da alcune pratiche di pietà, dalle distrazioni, dai piaceri e dalle frivole occupazioni di questo mondo. E' vita interiore la condotta del cristiano intento a santificarsi, e si stabilisce per mezzo delle opera­zioni di Dio nell'anima e pur la cooperazione  dell'anima con Dio.

Dunque, vita interiore vuol dire, in sostanza, vita d'amore operoso, instancabile, fedele. L'amore si manifesta con un seguito di atti. lo ve ne propongo uno: un atto d'amor di Dio, per darvi un'idea, della sua potenza, la quale, nell’ordine mistico e interiore, può paragonarsi alla potenza in grado di sprigionare, nell'ordine fisico, della dissociazione degli atomi.

Seguitemi attentamente. Ripetiamo le parole della formula; - “Mio Dio, ti amo con tutto il cuore, con tutta l’anima, con tutte le forze e sopra tutte le cose, perché sei infinitamente buono!” - Se pronunziate queste parole lentamente e attentamente, cercando di farle penetrare una a una in fondo all'anima vo­stra, non sentite la vostra sensibilità commuoversi e innalzarsi?

Immaginate che un bambino il quale vi abbia poco prima colpito con un sasso, è, senza stimolo di timore o d'interesse, ma solo perché il suo cuore pentito glielo suggerisce, ora s'inginocchia davanti a voi e vi dica quelle stesse parole….Che fareste voi? Certo gli stendereste le braccia; e, perdonando, gli direste; - lo pure ti voglio bene!

Ora ponetevi al posto di quel bambino e con gli stessi sentimenti recatevi a ripetere quella breve formula davanti al Crocifisso o davanti al Tabernacolo. Non sorridete ... ma provate, provate!... E ditemi sinceramente che cosa è successo. Non avete sentito a commozione di Gesù, e la sua risposta consolatrice? 

Un atto d’amore richiede appena pochi secondi. Si può ripetere molte volte in una giornata, e ogni volta le meraviglie!

A quell'atto, il Cuore di Gesù Cristo prova realmente e senso di dolce sollievo, e ricambia con grazie abbondanti; la Madonna Santissima ne sorride compiaciuta, e ringrazia; l'Angelo Custode più ci si avvicina; gli angeli e i santi raddoppiano in cielo i canti di gioia; il demonio maledice; tutte le anime della terra ricevono come un'onda sconosciuta e improvvisa di echi divini. Un atto d'amore scaturito dal cuore di una povera malata, ignorata e dispersa chissà dove, è capace di scuotere e fremere il mondo.

Chi di noi, non riuscendo subito e facilmente a vivere la vita interiore nella sua interezza, non vorrà rinnovare continuamente i suoi tentativi di raggiungerla, ripetendo e moltiplicando ogni giorno atti d'amore verso Dio?       

Oh, chiudiamo finalmente gli occhi esterni del corpo al flusso stanco o agitato delle cose che pas­sano, alla fantasmagoria del mondo visibile e delle futili inezie, che tentano attrarci col loro fallace scintillìo e tramontano come le ombre della sera. Fissiamo le pupille dello spirito sulle grandi verità, che splendono quali fari luminosi all'intelligenza e sono guida infallibile nella vita morale, negli inte­ressi eterni, nel sublime destino delle anime.

Viviamo la vita interiore, tanto più bella e riposante della nostra vita mortale!

  Pensiero:<< Leviamoci al disopra di ciò che è  passeggero, teniamoci a distanza dalla terra; più in alto l'aria è così pura ... Le cose liete e le cose  tristi, tutti i fatti del mondo, non ci sembreranno che vaghi rumori lontani>>.

  Giaculatoria: « Sento nel mio cuore desideri  infiniti, ond'io ti chiedo, o Gesù, di venire a pren­dere possesso dell'anima mia>>.

  Preghiera a S. Teresa, come al primo giorno.

  ESEMPIO. - Dalla morte alla vita.

 Il Sac. Don Francesco Mascoll, curato di San Biagio a Catania, è stato guarito dalla piccola Santa con una grazia commovente, che egli narra così: <<Nel maggio del 1918 una grave ricaduta di polmonite mi condusse alle porte della tomba. L'organismo lottò per qualche giorno, poi, il male essendo diventato irrimediabile, ricevetti gli ultimi sacramenti. Non mi spaventava la morte, solo mi affliggeva il dolore di mia madre.

Il sacerdote che mi assisteva, mio buon amico, mi suggerì di chiedere la guarigione alla Madonna, per intercessione di S. Teresa del Bambino Gesù, di cui mi consegnò una reliquia.

Obbedii. La notte seguente (fu sogno o fu visione?) mi parve di essere improvvisamente trasportato in un campo di fiori, dove mi addormentai. A un tratto, per­vaso da una dolce impressione di benessere, aprii gli occhi e vidi accanto a me due figure celesti, che tocca­vano dolcemente il mio petto malato. Li guardai con una gioia inesprimibile: erano la SS. Vergine e S. Teresa del Bambino Gesù. All'istante mi svegliai e mi sentii guarito..      

All'indomani il medico, visitandomi come al solito, dovette arrivare alla stessa stupefacente conclusione!

 

Ventitreesimo giorno – l’apostolato

 

 

 

 

 

 

I - Teresa del Bambin Gesù era apostolo nato; senti sempre questa sua missione, e non potendo appagarla nella maniera usuale, cioè con fatiche e sacrifici in terre lontane oltremare, rivestì tale desiderio delle più cocenti aspirazioni e si adoperò ad acquistarne i meriti con l'offerta delle sue intime sofferenze. La Chiesa le ha conferito il più solenne dei riconoscimenti, proclamandola protettrice delle missioni - cioè dì tutto il campo mondiale dove per la diffusione del Vangelo lottano e muoiono legioni di apostoli di ogni lingua - questa piccola vergine carmelitana, che, all'infuori di un ristretto dipartimento francese, conobbe soltanto il pio itinerario di un pellegrinaggio a Roma.

Il cuore apostolico di Teresa divampa: <<Vorrei  percorrere la terra predicando il tuo nome, e piantando sul suolo infedele la tua croce gloriosa, o Diletto! Ma una sola missione non mi basterebbe: vorrei ad un tempo annunziare il Vangelo in tutte le parti del mondo, fino alle isole più remote. Vorrei essere missionario, non solamente per il corso di qualche anno, ma vorrei esserlo stato fin dalla creazione del mondo, e continuare ad  esserlo fino alla consumazione dei secoli>>.

Ma il fascino quasi romantico delle terre e dei popoli primitivi a conquistare alla vera fede, non le fa perdere di vista altri campi di apostolato, più vicini, dove la missione del redimere è non meno necessaria e urgente: << O Signore, la figlia tua chiede perdono per i fratelli suoi increduli; accetta di mangiare il pane del dolore fino a tanto che tu vorrai, e per amor tuo si siede  a quella mensa piena d'amarezza, a cui si nutrono i peccatori, e dalla quale non vuole levarsi prima di riceverne il segno dalla tua mano. Ma non può ella dire in nome suo e in nome dei suoi fratelli colpevoli: <<Signore, abbi pietà di noi, perché siamo peccatori>>? (Luca 18,3). Rimandaci giustificati. Che tutti coloro i quali non sono illuminati dal lume della fede, lo vedano finalmente risplendere! Mio Dio, se è necessario che la mensa da essi profanata venga purificata da un'anima che ti ama, accetto di mangiare ivi il pane delle lacrime, fino a che non ti piaccia introdurmi nel tuo regno: l'unica grazia che ti chiedo. è quella di non offenderti mai.

Sul declinare della vita si riaccende in lei l'antica fiamma, quasi nostalgico rimpianto per non aver potuto portare in Estremo Oriente il fuoco divo­rante della sua passione, e raccomanda accoratamente: <<Coi nostri piccoli atti di carità, praticati nell'ombra, convertiamo da lontano le anime; aiutiamo i missionari, procuriamo loro abbondanti elemosine; e così edificheremo delle vere dimore spirituali e materiali a Gesù ... Aiutiamo i missionari, e quelle anime che essi salveranno, saranno nostre>>.

Nella sua ultima malattia, quando l'infermiera le suggerisce di fare tutti i giorni una breve passeggiata nel giardino, Teresa accetta il consiglio come un comando. Ma un pomeriggio la suora, vedendola camminare con grande fatica, le dice: - In tali condizioni farebbe meglio a riposarsi; lei si esaurisce. - Ella risponde: << E' vero; ma sa lei chi me ne dà la forza? Ebbene, io cammino per un missionario. Penso che laggiù, lontano lontano, uno di loro forse si è esaurito nei suoi viaggi apostolici, ed io offro le mie fatiche al buon Dio per diminuire le sue>>.

O poesia luminosa delle missioni, come palpiti di bellezza nel gesto eroico della piccola Santa! O solitario e ignorato apostolo di Cristo, che all'atto e alle parole di Teresa fosti misteriosamente e all'improvviso rinvigorito e spinto di nuovo nella tua marcia di conquista, sii tu pure benedetto!

  II - E tu pavida anima mia, che tremi di fronte a questa infiammata visione, abbagliata dalla fulgida luce che essa promana, non senti fremere in te insieme alla commozione, la brama di condividere almeno un poco della santa passione di Teresa?

Non tutti possiamo abbandonare una casa, una famiglia, degli interessi e degli affetti per farci banditori della legge di Cristo. Però tutti, non già pos­siamo ma dobbiamo, lavorare per la “messe divina”, e attrarre le anime sperdute, estinguere con la nostra opera la sete che il Redentore spasimava dalla croce. Tutti dobbiamo essere apostoli, se non vo­gliamo meritare e subire la condanna dei rinnegati.

C'è per te, scevro dal pericoli che ti sgomentano, l'apostolato della preghiera, con cui fiancheggiare l'apostolato sacerdotale. Nella tua parrocchia, nel cerchio delle tue amicizie e conoscenze, quante anime hanno dimenticato Dio e il loro fine supremo? Prega per loro, implora per le loro debolezze, supplica per il loro ravvedimento, ripara i loro scandali, ottieni ad esse il lume della fede e della grazia santificante. Scegline particolarmente una e dedica a lei i tuoi piccoli sacrifici, le tue orazioni. Sei sicura di non riuscire a vedere anche tu un prodigio?

Sono tutti santi nella tua famiglia e fra i tuoi pa­renti? Non c'è, a te caro, un ingrato che trascuri ogni giorno di elevare la sua mente a Dio nel ringraziarlo della vita che egli gli dà? Non c'è un ribelle, che ha rinnegato le promesse battesimali e non osserva le leggi cristiane? Non c'è un pusillanime, che rifugge dalla difesa di Dio, quando altri offen­dono il Signore in sua presenza e oltraggiano i ministri della Chiesa? Non c'è un ipocrita, che si sde­gnerebbe delle tue letture se fossero pericolose e dei tuoi svaghi se fossero immorali, mentre egli segue le une e frequenta gli altri? Abbi tu il santo coraggio di richiamarlo e di mostrargli la sua incoerenza.

Che ti dirò poi del prodigioso apostolato della sofferenza, il quale tu puoi svolgere in segreto o palesemente, solo che tu voglia? S. Teresa rammen­tava: <<Gesù vuole che iniziate la vostra missione, e che gli salviate le anime con la sofferenza ...>>. Gesù affermò il suo regno sulla terra più con le sofferenze e le persecuzioni, che con le brillanti predicazioni. Rinunzia, dunque, alla tua parte di gioia, di felicità, di tenerezza, di godimento - ne hai tante di occasioni nella vita - per ripagare e riparare innumerevoli peccati; forse rispondendo all'attesa di Dio, il quale non aspetta che la tua offerta, per discendere con la sua misericordia su qualche anima che egli vuole salvare. Il tuo merito sarà grande, e Dio te ne compenserà con abbondanza centuplicata.

Il campo di apostolato aperto davanti a te è immenso, quanto è insaziabile l'amore divino. Ci sono tanti altri mezzi, nel mondo moderno, per partecipare alle fatiche, alla gloria, ai benefici dell'apostolato!

Tu, che vivi in seno alla società, e hai avuto dal Signore doni d’intelligenza, di coltura, forse anche di fortuna, quale uso ne fai al suo servizio? Conosci l'Azione Cattolica, militi tra le sue file con zelo e obbedienza? Non credere di avere assolto il tuo obbligo caritatevole lasciando un'elemosina distratta nelle cassette parrocchiali, o alle questue per le no­vene dei santi. Destina una somma fissa dei tuoi beni, sia pure modesta, e versala con puntualità agli enti religiosi che hanno tante opere da soste­nere e tanti programmi sociali da attuare.

Perché dai il tuo denaro alla stampa che combatte o ignora la Chiesa? Lo spirito delle tue letture quo­tidiane non fa che dissiparti. Acquista e diffondi giornali ispirati alla tua fede e sarai al corrente degli avvenimenti e imparerai a riferirli alla Provvidenza e a glorificarla nei suoi giusti decreti. Come ti com­porti agli spettacoli che dileggiano la morale, al teatro e al cinema? Meglio sarebbe che non li frequen­tassi; ma se talvolta esigenze cosiddette sociali ti ci conducono, perché non protesti? Quando la radio ef­fettua trasmissioni che ledono la dignità umana, non ti limitare a chiudere l'apparecchio e manifesta il tuo dissenso ai compilatori dei programmi, poiché, infi­ne, sei anche tu che paghi le tasse. Ricorda che se i buoni tacciono, i cattivi aumentano d'impudenza.

Sappi che nella lotta tra il bene e il male, la quale nella fervida  e tumultuosa vita odierna si svolge serrata, con sistemi finora mai raggiunti di propaganda, tutti hanno il dovere di collaborare, schierandosi apertamente. Gli assenti hanno sempre torto, e vanamente poi si lamentano all’avvicinarsi delle catastrofi. L'esistenza attuale non è una clau­sura. E limitarsi alla preghiera, trascurando l'azio­ne, mentre tutti agiscono combattendo, e Satana sembra trionfare, è oggi una vera diserzione. Per i disertori, la condanna è terribile: sulla terra come in cielo.

 

III - Essere chiamati all’apostolato, alla missione d'apostoli, è privilegio che il Signore. largisce a chi vuole. Egli non ha alcun obbligo. Quando fondò la sua Chiesa, ne scelse dodici, e non li scelse nè fra i nobili e ricchi, nè tra i savi e letterati, e nemmeno tra i sacerdoti del suo tempo. Uomini poveri, ignoranti, dediti a bassi mestieri, furono i suoi primi cooperatori; però spiriti umili e, semplici, che egli seppe trasformare in sapienti e ardimentosi.

Li volle tali: prima, perché egli si compiaceva di stare con gli umili; poi perché essi non potessero insuperbire riferendo a se stessi i grandi doni che ricevettero e né le gloriose imprese che generosamente compirono; poi ancora, perché non potesse at­tribuirsi a forza umana la conversione di un mondo superbo, interessato, dissoluto, verso una fede così nuova, una dottrina così alta, una legge così pura, una vita così rigorosa, come l'evangelica.

Uno ne chiamò, che era stato alla scuola del Bat­tista; altri che erano già applicati al faticoso e paziente lavoro di pescatori, e già vivevano in fraterna concordia; altri che erano vincolati nel peccato e sulla via di perdizione; tutti gli andarono dietro, per imitarlo e per attrarre al suo seguito nuovi discepoli. Gli obbedirono prontamente, sottomettendogli l'intelletto e il giudizio, senza replicare e differire; assoggettandogli la propria volontà e spogliandosi dell'attaccamento che potevano avere a parenti e sostanze, eseguendo il suo comando alla perfezione e con lieto animo, senza ripugnanze e tristezza.

Quelli che avevano le reti sul lago, le trassero immediatamente, quelli che le stavano rassettando a riva, le abbandonarono, quello che teneva aperti i libri contabili e il denaro sul banco, lasciò ogni cosa come stava; colui, che spronato dal furore della persecuzione meditava arresti e supplizi, si placò e ravvide istantaneamente. Dall'oscurità e dall'ignoranza, balzarono alla celebrità, divenendo artefici fondamentali della civiltà cristiana. Ad essi si poteva ben dire: <<Vi chiamò dalle tenebre al suo mirabile splendore>> (1 Pietro 2, 9).

In premio dell'obbedienza furono investiti della più alta dignità nella nascente Chiesa, ed ebbero direttamente l'autorità e il mandato divino della predicazione; furono ammessi alla familiarità più stretta del Redentore:

<< Non vi chiamerò servi, perché non sa il servo ciò che fa il suo padrone, ma bensì amici, perché tutte le cose udite dal Padre mio le ho manifestate a voi>> (Giov 15, 15); ricevettero le primizie dello Spirito Santo e ottennero la solenne promessa di esercitare la potestà giudicante insieme al Figlio di Dio << sul trono della sua maestà>> (Matteo 19, 28) nel giorno ultimo.

Nel modo come Gesù chiamò gli apostoli al suo fianco, associandoli alla gigantesca impresa che scosse il mondo e da duemila anni domina tutti gli eventi umani, egli volle indicarci il metodo tutto proprio della Provvidenza nella libera scelta degli elementi che essa intende impiegare ai suoi fini, perché la nostra abiezione non escludesse anche noi da un compito di bene. Nella dovizia regale del compenso, che poi accolsero, di illustri  doni e di privilegiata dignità, in terra, con impegno formale di più eccelsa prerogativa futura, volle mostrarci che un premio ricchissimo è a noi tutti riservato, se docilmente e prontamente corrisponderemo alla vocazione cui ciascuno è chiamato, sullo specchio degli apostoli che tanto operarono per la gloria di Dio e per la redenzione delle anime.

La missione apostolica fu un continuo combatti­mento; tale deve essere la nostra, ricordando che il mondo passa con sua concupiscenza>> (l Giov 2, 17). Se nella nostra miseria e nel nostro senso di avvilimento non osiamo muoverci, chiediamo fiduciosamente, come Paolo prostrato dalla folgore divina sulla via di Damasco:  <<Signore, che vuoi che io faccia?>> (Atti 9,6). E la risposta non tarda nella parola augusta di Gesù: <<Alzate i vostri occhi, e guardate le campagne che già biondeggiano per la messe>> (Giov. 4,35)

E’ una risposta, ma anche un invito.

  Pensiero: <<lavoriamo insieme per la salute delle anime; non abbiamo che l’unico giorno della vita per salvarle, e così dare al Signore la prova del nostro amore. L’indomani di questo giorno sarà l’eternità: allora Gesù vi renderà il centuplo delle gioie così dolci che gli avete sacrificato>>.

  Giaculatoria:<<Apri, o Gesù, il tuo libro di vita, nel quale sono registrate le azioni di tutti i santi; queste azioni io avrei voluto compierle tutte per te>>.

  Preghiera a S. Teresa, come al primo giorno.

  Esempio – il primo miracolo per la beatificazione

Fra le guarigioni umanamente inspiegabile attribuite a S. Teresa del Bambino Gesù fino al 1922, sei furono oggetto di particolari indagini formali allo scopo voluto dal processi apostolici. La presente è quella narrata al termine del prossimo capitolo che vennero riconosciute <<miracoli>> dalla Sacra Congregazione dei Riti, e servirono ad ottenere, il  29 aprile 1923, il decreto papale con cui la piccola Suora di Lisieux è solennemente proclamata <<Beata>> e proposta al mondo cattolico come il tipo ideale della figliuola prediletta da Dio.

Risale all'anno 1906. Beneficiario ne fu un seminarista della diocesi di Bayeux, originario di Lisieux, di cui  S. Teresa salvò così la vocazione sacerdotale.

Carlo Anne, di anni 23, era affetto da tubercolosi pol­monare che lo metteva in pericolo di morte. Dopo una novena alla Madonna di Lourdes per intercessione di Teresa del Bambino Gesù, novena rimasta senza alcun risultato, il giovane seminarista ne fece una seconda, che egli indirizzò unicamente alla santa carmelitana, affinché il  suo intervento apparisse più chiaro. La confidenza del malato si appoggiava con incrollabile speranza alla promessa consolatrice della  sua celeste avvocata:<< Voglio passare il mio Cielo a fare del bene sulla terra>>.

Tale fiducia non venne delusa e il medico, che aveva previsto una prossima fine, constatò con sua inesprimibile sorpresa, un ristabilimento completo. Quindici anni dopo, l'esame radiografico confermò la stabilità della guarigione.

 

Ventiquattresimo giorno – sete di anime

 

 

 

 

 

 

I – E’ qualcosa di molto vicino all'apostolato, ma alquanto diverso: se ne direbbe la fase preparatoria e insieme l'idea stimolante. Teresa ne fu potentemente pervasa fino a struggersene, e quasi smaniosa di non poterla appagare quanto avrebbe voluto, per soddisfare la sua insaziata e insaziabile carità. Espressioni e pensieri che richiamano questa sua ardente sete di anime, simile in tanto alla divina sete di Gesù sulla croce, si riscontrano di frequente nei suoi scritti, come un lamentoso ritornello. Spigoliamone qua e là.

Una domenica, quando alla fine della Messa chiusi il mio libro di preghiere, una fotografia che rappresentava Gesù Crocifisso sporse un po' fuori dalle pagine, lasciandomi vedere solamente una delle mani ferite e sanguinose del Redentore. Provai allora un senso nuovo ed ineffabile; il mio cuore parve spezzarsi dal dolore alla vista di quel Sangue prezioso, che cadeva per terra senza che  nessuno si desse premura di raccogliere la divina  rugiada di salute, e spargerla poi sulle anime. Da quel giorno, il grido di Gesù morente: << Ho sete !>> non fece che risuonare al mio cuore, per accendervi un vivissimo fuoco. Volevo dissetare il mio Diletto e, sentendomi divorata nel medesimo tempo dalla sete delle anime, volevo strappare ad ogni costo i peccatori alle fiamme dell'inferno. Il mio buon Maestro, per stimolare il mio zelo, ben presto mi mostrò che i miei desideri gli erano accetti.

Infatti, la notizia di un infelice omicida, condannato alla pena capitale, o che pur trascina sin presso alla morte la sua impenitenza, riempie lo spirito di Teresa di tale compassione o interesse, che  essa si appiglia al mezzo infallibile di assaltare con successo il cuore di Dio: “la preghiera”. E questa preghiera è per lei tanto calma e fiduciosa che osa domandare persino un segno esteriore della conversione avvenuta. E quando apprende i particolari della morte dell'assassino, ringrazia il Signore nel conoscere che egli sul patibolo ha chiesto e ottenuto di baciare il Crocifisso: e da quel giorno chiama suo primo figlio spirituale quel poveretto.

Diffida però della sua pochezza ed esclama: Da lontano sembra agevole il far del bene alle anime, di far loro amare maggiormente il Signore, di modellarle secondo le sue vedute e le sue intenzioni; da vicino, al contrario, si capisce che fare del bene senza il divino soccorso, è cosa tanto impossibile, quanto il ricondurre durante la notte il sole sul nostro emisfero.

In seguito osserva: <<Gesù ha per noi un amore così incomprensibile e delicato, che non vuole far niente senza associarci all’opera sua>>. II creatore dell'universo aspetta la preghiera di una povera anima per salvare una moltitudine di anime, redente come lei al prezzo del Sangue suo.

E invoca: << Delle anime, Signore, ci abbisognano delle anime! Sopratutto anime di apostoli e di martiri, affinché per loro mezzo possiamo infiammare del tuo amore la moltitudine dei peccatori!>>.

Infine, sospira: <<Quel che mi attira verso la patria celeste, è la chiamata del Signore, e la  speranza di amarlo finalmente come ho tanto bra­mato di fare, ed il pensiero che potrò farlo amare da una moltitudine di anime che lo benediranno in eterno>>.

Conto di non starmene inattiva in cielo; il mio desiderio è di lavorare ancora per la Chiesa e per le anime: lo domando a Dio, e sono sicura che egli mi esaudirà.

 II - Come non ti sentirai anche tu, anima mia, invasa e trascinata da questa brama che nessun desiderio d'amore e di possesso, se profondamente radicato, potrà mai appagare sulla terra?

O divina quinta parola, che discendesti dal Calvario sull'umanità, e che suscitasti il manipolo degli apostoli, la folla dei martiri; lo stuolo delle vergini, le schiere dei santi, le turbe dei credenti! Tu irradi ancora oggi il tuo potere affascinante da quel colle fatale, e, scossi dal tuo pungolo misterioso, gli eroici legionari della fede sciamano da tutti i punti cardinali verso le frontiere del mondo, per la conquista che vuole sazio il Divino Assetato.

Quel grido del Golgota fu un grido d'amore lanciato da Gesù ai secoli avvenire, grido raccolto da duecentosessantadue pontefici, santificato dal sudore e dal sangue di cento generazioni, echeggiato da tutte le terre, germinatore di eroismi e di santità finché la Chiesa militante trarrà dal suo seno materno le reclute dell'amore.

<<Ho sete!>>. Sete delle anime, hai tu, o Cristo; di tutte le anime viventi sotto il cielo, create per la patria superna, affondate nei pantani dell'ignoranza e del peccato, brancolanti nel buio dell’infedeltà, sperdute nei deserti dell’indifferenza, avvelenate dal tossico del piacere, fuorviate dalle dottrine dell'odio. Di tutte hai sete, o Gesù, e della mia in particolare.   

Che cosa ho fatto sinora, per portare un piccolo sollievo al tuo respiro anelante, per sopire la tua ansia, per offrire una sosta al tuo palpito? Nulla, lo so; anzi ho tentato tante volte di chiudere il mio orecchio e il mio cuore per sottrarmi al tuo lamento amoroso, che si è fatto allora più insistente e più vivo. Ho fatto di peggio, quando ho voluto unirmi a coloro che ti beffeggiavano sotto la croce, e insieme a quei sconsigliati ti ho presentato io pure l'amaro del fiele ingrato e l'aceto della mia detestazione.

Ma ora non sarà più così, o Redentore: te lo prometto. Continua a diffondere il tuo doloroso cla­more. D'oggi innanzi: io sarò il medico attento di codesta tua passione. Lancia pure negli spazi e sulle tenebre del mondo il tuo appello: io lo raccoglierò, mentre giunge dal colle silente della Giudea, mentre promana da tutte le tue immagini di Crocifisso, mentre scaturisce e lampeggia dai cibori di tutti gli altari. .. Non la mia anima soltanto io ti porto, compunta e prosternata, ma anche le anime dl coloro che mi circondano e che i frastuoni della vita rendono sorde alla tua chiamata. E' un dovere, di giustizia, è un dovere di riparazione, è un dovere d 'amore.

O sublime incendiario della Croce, da oggi io mi destino al tuo servizio, per propagare le tue fia­mme e spargere il tuo incendio dovunque la misericordia divina vorrà!

 III - Non voglio usare con te, Signore, la voce e le parole già dette per tradirti. Userò le espres­sioni sante di colei che ci insegna dal Carmelo di  Lisieux un modo novello e perfetto di amarti.

Come un torrente, trascina con sè nella profondità del mare tutto ciò che incontra nel suo corso, così  mio Gesù, l'anima mia che si profonda nell'oceano senza rive del tuo amore, attira dietro di sè tutti i suoi tesori, Signore, per me questi tesori sono le anime che ti è piaciuto di unire alla  mia; questi tesori me li hai affidati tu, fin dal l'ultima sera che ti vide quaggiù viandante e mortale.

Gesù diletto, ignoro in qual giorno il mio esilio terminerà; forse più d'una sera mi udrà cantare le tue misericordie, ma finalmente verrà anche l'ultima, e allora io voglio poterti dire: <<Ti ho glorificato in terra, dove ho compiuto l'opera affidatami. Ho manifestato il tuo nome a coloro che mi desti in terra; erano tuoi e li desti a me. Conosco ora come tutto quel che mi desti veniva da te ... lo prego per questi che mi affidasti, perché sono tuoi. Custodiscili nel nome tuo. Non chiedo che li tolga dal mondo, ma che li guardi dal male >>(Giov.17, 15) 

Pieno d'abbandono, di riconoscenza, di fiducia e di buona volontà, io rifletterò con la piccola Santa: <<Gesù non ha bisogno delle opere nostre, ma solamente del nostro amore. Quello stesso Dio che ci dichiara di non avere alcuna necessità di dirci che ha fame, non ha temuto di chiedere un po' d'acqua alla Samaritana! Aveva sete! Ma dicendo: "Dammi da bere" (Giov.4,17) era l'amore della povera creatura che il creatore chiedeva. Aveva sete d'amore…. Oh, sì veramente! E oggi il mio Gesù è maggiormente assetato! Egli non incontra che ingrati e indifferenti fra i discepoli del mondo; e fra i suoi propri discepoli  egli trova, ahimè, pochissimi cuori che si abbandonano senza riserva alla tenerezza del suo amore infinito.

Umiliato e dolente per la lunga ingratitudine, ti prometto, Signore buono, di non essere più fra questi, di concorrere con la mia volontà e con ogni mio potere ad acquistare al tuo amore le anime che non ti hanno conosciuto o che si sono smarrite lungi da te. Solo chiedo la tua santa grazia e il tuo aiuto per mantenere la mia promessa, l'impegno che in questo istante assumo al tuo cospetto con tutta sincerità.

Pensiero: <<Nei brevi istanti che ci rimangono, non perdiamo il nostro tempo: salviamo le anime. Sento che Gesù ci domanda di dissetarlo dandogli delle anime, sopratutto anime di sacerdoti. SI, preghiamo per i sacerdoti>>.

Giaculatoria: <<Mio Dio, Trinità beata, desi­dero amarti e farti amare, lavorare alla glorifica­zione della Santa Chiesa, salvando le anime che sono sulla terra, e liberando quelle che soffrono nel Purgatorio>>

  Preghiera a S. Teresa come al primo giorno.

  ESEMPIO. Il secondo miracolo per la Beatificazione.

Il secondo miracolo fu ottenuto in favore di una religiosa delle Figlie della Croce, a Ustarriz nei Pirenei.

Suor Luisa di San Germano era stata colpita, durante  i suoi anni di noviziato (1911-1912), da una affezione allo stomaco che degenerò nettamente in ulcera all'inizio del 1913. Ridotta agli estremi, munita degli ultimi sacramenti, la malata cominciò una novena S. Teresa del Bambino Gesù nel corso del 1915; ma non ottenne allora che forza e coraggio nella prova. Insieme a celesti profumi che rivelavano la presenza di colei che essa invocava. 

In settembre del 1916, la suora si decise a rinnovare le suppliche e, nella notte del 10, Teresa apparve e le disse: <<Sii generosa;  presto guarirai, te lo prometto>>. Al mattino diverse religiose. trovarono petali di rose di ogni colore sparsi intorno al letto della malata. Chi aveva recato quelle rose? Nessuno seppe spiegarlo, ma il 22 settembre seguente Suor Luisa si svegliò perfettamente guarita.

 

Venticinquesimo giorno – l’ascensore divino

 

 

 

 

 

 

I - Dalla profonda convinzione della propria nullità, e dalla certezza intuitiva che la sua corsa terrena sarebbe stata molto breve, Teresa argomentava la necessità di trovare un mezzo sicuro o incomparabilmente rapido per salire a Dio. La sua felice chiaroveggenza, illuminata dalla grazia, glielo mostrò. Ora essa lo addita e suggerisce a noi.

Iddio non potrebbe ispirarmi desideri ineffettuabili; nonostante la mia piccolezza io posso dunque aspirare alla santità. Crescere non mi è possibile. Dovrò di necessità sopportarmi quale sono; con le miei innumerevoli imperfezioni; ma voglio cercarle il mezzo d’andarmene in paradiso per una piccola via molto diritta e molto breve, piccola via assolutamente nuova. Vorrei trovare un ascen­sore che mi sollevasse fino a Gesù, perché io sono troppo piccina per salire l'aspra e difficile scala  della perfezione. lo chiedo allora ai sacri libri che mi indichino l'ascensore, oggetto del miei desideri, e leggo queste parole uscite dalla bocca stessa dell’Eterna Sapienza: <<Se qualcuno è  piccolissimo venga a me>> (Prov.9, 4). Mi sono dunque avvicinata a Dio, sicura di avere scoperto quanto cercavo; e volendo ancora sapere ciò che farebbe al piccolissimo, ho continuato le mie ricerche ed ecco quel che ho trovato: <<Come una madre accarezza il suo fanciullo, così io vi consolerò, vi porterò sul mio seno e vi cullerò sulle mie ginocchia>> (Isaia 66,13). Giammai parole più tenere e melodiose di queste scesero a rallegrare l'anima mia. L'ascensore che deve sollevarmi al cieli, sono le tue braccia o Gesù! Non ho bisogno di crescere per salirvi; al contrario, conviene ch'io rimanga piccina, e che, anzi, divenga tale sempre più.

Teresa ci mostra pure con un'altra immagine attraente il divino ascensore. Rispondendo a una novizia scoraggiata alla vista delle proprie imperfezioni, dice: <<Voi mi fate pensare a un bambino che comincia a tenersi ritto, ma non sa ancora camminare. Volendo egli assolutamente raggiungere il sommo d'una scala per ritrovare la mamma, alza il suo piedino per superare il primo gra­dino: inutilmente, perché cade sempre, senza poter avanzare. Ebbene, siate come quel bambino. Con la pratica di tutte le virtù, alzato il piede per salire alla santità, non presumendo di riuscirvi. Dio non vi chiede che la buona volontà. Dall'alto della scalinata, egli vi guarda amorosamente. Un giorno,vinto dai vostri inutili sforzi, scenderà lui stesso, e prendendovi fra le sue braccia vi por­terà per sempre nel suo regno, dove non lo lucerete mai più>>.

Chiama poi sua anima sorella un'anima eletta a innalzarsi verso Dio con l'ascensore dell'amore, e non salire l'aspra scalinata del timore.

 II - Così la dolce Santina, stimolata dalla bra­ma di rassomigliare al modello divino, ascendeva costante e serena i gradini della santità, anelando di correre per una strada più corta, come presaga del breve tempo rimastole su questa terra d'esilio.

Gesù aveva promesso: <<Quando sarò innalzato da terra tutto trarrò a me>> (Giov. 12,32) e subito la grande sua promessa cominciò ad avere compimento. Attrasse per primo il buon ladrone, poi il centurione, poi tutta la moltitudine convenuta a siffatto spettacolo, la quale <<poiché vide quel che era successo, tornava battendosi il petto>> (Luca 23,48). Indi le turbe di coloro che credettero a lui nei tempi e furono santi fino ai nostri giorni.

La croce d'amore, ecco l'ascensore divina della salvezza, abbracciato con spirito d'infanzia da Teresa; e la piccola carmelitana, nell'espressione amorosa del suo desiderio, sembra ripetere il languido lamento della Sposa dei Cantici: <<Mi baci egli col bacio della sua bocca>> (Cant. l, 1).

Ma tu anima mia, tu che pure hai intrapreso la devozione di questo mese di meditazioni e raccoglimento per inoltrare nella via di Dio, facendo oggi sincero esame del tuo bilancio spirituale, quali progressi puoi affermare d'aver conseguito finora? Giunta a tal punto del salutare esercizio, quale profitto ne hai ricavato?

Quanti miasmi intorno a te, quante tenebre den­tro di te, quante nubi nel tuo cielo! Quanti legami ancora ti avviluppano, come maglie di una rete occulta, e ti impediscono il libero volo, il libero respiro, la libera luce!

Ti restano ancora pochi giorni al termine proposto sul tuo cammino: Sei sicura che il Signore te li concederà? Non vorrai accelerare il tuo passo, superare gli indugi delle soste, bruciare le tappe che ti separano dalla meta? Imitare Santa Teresina per abbracciarti all'ascensore divino, il quale, appena toccato il pulsante dello scatto, t'innalzerà rapidamente e sicuramente al livello stabilito della tua santità? 

O anima mia, entra nella cabina mistica del rac­coglimento, dove Gesù ti aspetta, per assumere egli la direzione e il comando della marcia. Siedi accanto a lui, abbandonati fra le sue braccia e sul suo Cuore adorabile, lasciati portare da lui dove egli solo sa e conosce, nel modo che egli vuole. Chiudi gli occhi; egli ti preserverà dagli ostacoli e dai pericoli, egli ti farà da pilota e da faro; egli sarà per te energia che sospinge e forza che sorregge; poiché egli solo è addentro ai segreti della partenza, del movimento, dell'arrivo.

Abbi, fiducia in lui, affidati a lui, riposa in lui. Promessa e premio, speranza e corona, viatico e alimento eterno, egli sarà con te dal primo all'ultimo minuto, per riceverti alfine ai piedi del suo trono di gloria, vicino a quello a te destinato. Coraggio, anima mia! Sorgi dal letargo, prendi lo slancio deciso che ti condurrà al suo amplesso amoroso per sempre.

 

III - Prima di muovermi, quale previdente viaggiatore devo assicurarmi di avere ancora delle provviste nel mio sacco da viaggio, da consumare lungo il mio cammino. Lo ispeziono, dunque; e mi accorgo che lo zaino è quasi vuoto: sicché provvedo al rifornimento di buoni e utili pensieri, che prelevo dal sacro ammasso della riserva cristiana.

In quest'ora d'attesa, in cui mi sembra d'aver più bisogno che mai, solo, scoraggiato, mentre tutti mi abbandonano, e forse hanno ragione di lasciar­mi, c'è un solo cuore che mi ama, del quale sono sicuro, sul quale posso contare. E’ il tuo Cuore, o Gesù. E a questo pensiero io riprendo animo, confortato dalle parole di Teresa: <<Su questa terra, dove tutto è mutevole, una sola cosa sta salda: la condotta del Re dei Cieli verso i suoi amici. Da quando egli ha innalzato lo stendardo della Croce, all'ombra di esso tutti devono combattere e riportare vittoria>>.

Non t 'accasciare mio povero cuore! Quella man­canza di successo che ti umilia, quella parola acre che ti è stata detta, quello sguardo sdegnoso a te rivolto, quello sbaglio commesso che fa nascere di te una opinione sfavorevole, quella ingratitudine che non hai meritato…. Tutto ciò te lo monda il Signore, come rimedio a un tuo male nascosto; sopporta, pazienta, lascia fare. E' una piccola croce, prendila sulle spalle e portala felice: ti gioverà.

La perfezione non consiste in parlare, nè in pensare molto a Dio, ma in amarlo assai. Acquista questo amore per mezzo della rassegnazione e del silenzio. L'amor di Dio ha poche parole. Rassegnandoti e tacendo, lo acquisterai nel modo più vero ed efficace. Guarda S. Pietro: protesta al Signore, con grande affetto, che per amor suo avrebbe volentieri perduto la vita, ma al confronto con una donnicciuola lo rinnega: E guarda invece la Maddalena: non dice una parola, e il medesimo Signore, inna­morato del suo amore si compiace diventare, il suo cronista, narrando che ella <<molto ha amato>> (Luca 7, 47).

Perciò: taci, ama, soffri, spera.

Soffri per amore, e la croce sia la tua compagna. E’ inutile cercare di sfuggirla. Sei ad un bivio, e devi decidere la tua preferenza fra due strade. O quella che si conclude nella condanna dell'universale giudizio: <<Via da me maledetti, al fuoco eterno>> (Matteo 26,4l), o quella che si apre con l'invito perentorio: << Chi vuol venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce e mi segua>> (Matteo 16,24). Una per la dannazione, l'altra per la salvezza. Non c'è via di scampo. E tu preferirai di prendere la croce, perché nella croce è salute, vita, soavità, vigore, gaudio, virtù, santità.

Qualunque cosa farai, e dovunque la farai, non ti mancherà la croce, che dovrai portare volente o nolente, poiché il soffrire è nel destino di tutti gli uomini. Prendila dunque lietamente, e ti parrà più leggera, anzi un dolce peso, perché ti avvicinerà alla somiglianza di Cristo.

  Pensiero: <<Quando siamo incompresi e giu­dicati sfavorevolmente, a che pro difendersi e chiarire? Lasciamo correre, non diciamo nulla. O silenzio beato, che dai tanta pace all'anima! >>

 Giaculatoria:<< Desidero, mio Dio, di essere santa, ma sento la mia impotenza e ti domando di essere tu stesso la mia santità>>.

Preghiera a S. Teresa, come al primo giorno

  ESEMPIO. Il primo miracolo per la Canonizzazione.

Dal 29 aprile 1923 la << pioggia di rose non ha più sosta>>. A Teresa del Bambino Gesù, proclamata <<Beata>>, tutti i fedeli possono ormai liberamente manifestare la loro devozione. Gli “Annali di Lisieux” registrano in due anni la sola nomenclatura delle grazie ottenute per intercessione della nuova Taumaturga, tanto sono copiosi i celesti favori. Malati, afflitti, peccatori, si rivolgono a lei dal mondo intero, specialmente dai paesi di missione.

Due miracoli insigni sono presentati alla discussione della S. Congregazione dei Riti il 12 agosto 1924 e approvati il 19 marzo 1925; e con essi la piccola Carmelitana è annoverata da Pio XI nel catalogo del Santi il 17 maggio 1925.

Ecco il primo.

Pochi giorni dopo l'approvazione del Decreto del “Tutto” per la Beatificazione, il 22 marzo 1923, la signorina belga Maria Pellemans, malata di tubercolosi polmonare e intestinale che porta da più anni, quasi moribonda, si reca in pellegrinaggio a Lisieux. L'ultima speranza è là, a quella sacra tomba gloriosa cui convergono in una folla immensa ansie e preghiere umane. I medici l’hanno abbandonata, ogni risorsa della scienza è fallita: rimane, solo una fede invincibile, alimento al voto di consacrarsi al servizio di Dio tra le religiose carmelitane.

Moria Pellemans arriva, si inginocchia, prega…..; e all'improvviso il suo male sparisce, come se non fosse mai esistito. I testimoni entusiasti o ammutoliti non si contano!

Ventiseiesimo giorno – l’infanzia spirituale

 

 

 

 

 

 

I - <<Gloria a te, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascoste queste cose ai savi e prudenti, e le hai rivelate ai piccoli>> (Luca 10, 21). Così, con le stesse parole di Gesù, rendiamo grazie all'Onnipotente, che scelse la piccola Teresa perché fosse rivelata a noi pure la via nuova per ascendere alla cristiana perfezione.

Ecco una breve, splendida collana di pensieri teresiani, che riassumono lo spirito della via d'infan­zia spirituale.

Per appartenere a Gesù, bisogna essere piccoli, piccoli come una goccia di rugiada. Siamo costantemente la sua goccia di rugiada, qui c’è la  felicità, la perfezione. E' anche un grande privilegio, ma per corrispondervi occorre essere semplici. Oh, come sono poche le anime che aspirano a restare piccole e sconosciute!

Per me trovo ben facile praticare la perfezione. Ho capito che basta prendere Gesù dalla parte del cuore. Osserviamo un bambino che fa stizzire la mamma disobbedendole. Se egli si ritira imbronciato in un angolo, certo la mamma non gli perdonerà. Ma se egli invece corre da lei con le braccine alzate, dicendole: <<Perdonami, non lo farò più! Forse sua madre non lo stringerà teneramente al cuore, dimenticando le malefatte?>>.

Approfittiamo dei brevi momenti della vita, facciamo piacere a Gesù, salvandogli le anime per mezzo dei nostri sacrifici, ma sopratutto siamo piccole, tanto piccole che tutti ci possano calpestare, senza che neppure abbiamo l'aria di accorgercene e di soffrire. L'unico mezzo per progredire nella via dell'amore, è di restare sempre assai piccoli.

Restare piccoli, consiste nel non attribuire a se stessi le virtù che si praticano; ma a riconoscere che il buon Dio pone quel tesoro nelle mani del suo bambino, per servirsene quando ne avrà bisogno. Poiché vogliamo essere piccoli fanciulli, essi non sanno quello che è meglio, trovano  tutto buono, cerchiamo semplicemente di imitarli.

Esser piccoli vuol dire non scoraggiarsi delle proprie colpe, perché anche i fanciulli cadono spesso, ma sono troppo piccoli per prodursi molto male.

Senza offendere il Signore, potrò fare delle sciocchezze fino alla morte, se resto umile e piccolina. Guardate i bambini: non tralasciano, di rompere, di strappare, di cadere, continuando ad amare molto i genitori e ad essere molto amati da loro.

E' possibile restare piccoli anche nelle cariche più temibili e fino all'estrema vecchiaia. Sta  scritto, che “alla fine il Signore si leverà per salvare tutti i miti e gli umili della terra"· (Sal. 75, 9). Egli non dico giudicare, ma salvare…. I piccoli non si dannano.

  II - Non è difficile da queste parole intravedere quello che vorremmo chiamare il sistema ascensionale di Teresa, la sua infanzia spirituale, il segreto della sua santità, l'impronta tutta personale che ella ha dato alla scienza sublime della  mistica.

Sostanzialmente identica, specie per l'ultimo scopo ai sistemi di tutti i maestri d’ascetica e di mistica, si differenzia da essi nel metodo e nei mezzi che lei chiama <<la scienza dell’amore>>; e questa scienza l'ha attinta direttamente, trasvolando su tutti, i canoni conosciuti e sperimentati dai santi alla stessa sorgente. Essa ha trascurato tutti i libri, presagendo dalla brevità della sua esistenza che non le sarebbe permesso di studiarla nei particolari, aprendo il Vangelo e trovandovi le parole che cercava il suo spirito.    

L'infanzia spirituale è indicata da nostro Signore come condizione essenziale per acquistare la vita eterna: <<In verità vi dico che se non vi convertirete e non diverrete come pargoli, non entrerete nel regno dei cieli>>. (Matteo 18, 3). Dunque, la via di confidenza e di totale abbandono, fissata dall'infanzia spirituale, non è riservata alle anime cui la malizia non ha ancora privato della primitiva semplicità, poiché Gesù, con le sue parole: <<Se non vi convertirete>>, indica la necessità di un cambiamento e di un lavoro da parte di ciascuno, per diventare quel che non si è mai stati, o quel che non si è più: in altre parole l'obbligo di adoperarsi a riacquistare le prerogative infantili. E per meglio stabilire che la preminenza nel paradiso sarà privilegio di tale virtù caratteristica, egli aggiunge: << chiunque pertanto si farà piccolo come questo pargolo, quello sarà il più grande nel regno dei cieli>> (Matteo 18, 4). Ma il Salvatore, per maggiormente far comprendere ai discepoli ciò che egli desidera, rinforza il suo linguaggio, inculcando decisamente: << In verità vi dico: chi non accoglie il regno di Dio come un fanciullo, non vi entrerà>> (Marco 10, 15).

Esprime perciò una positiva dottrina, in quanto non solo afferma che chi si farà piccolo come un pargolo sarà il più grande nell'eterno regno, ma annunzia esplicitamente l'esclusione dal suo regno di coloro che non diverranno simili a fanciulli. Per l’indicazione specifica e per la generosità della forma egli vuole definire la via di confidenza e di abbandono come linea obbligatoria di condotta anche per quelli che hanno perduto l'ingenuità infantile e poiché non è possibile riprendere l'aspetto e i doni della prima età, il precetto cristiano è ugualmente diretto a tutti di qualunque età, i quali siano invitati e vivere della vita d'infanzia spirituale.

Mezzo antico quanto il Vangelo, riesumato dalla piccola Santa, che vi ha applicato l'impronta del nostro tempo, la rapidità, esso appare una dottrina nuova perché presentato e praticato da Teresa in forma per i più inconsueta, facile, semplice, fervorosa, sorridente, comunicativa, attraente. Uno studio superficiale non basta per gustarlo, tanto è profondo e vasto. Man mano che lo spirito lo penetra, prova efficacemente la sua verità, comprende il segreto del suo successo.

Oh, come viene riposante all’anima la pace e la gioia lasciata da Gesù in eredità agli apostoli. Viene l'umiltà, la dolce e sincera umiltà di cuore e la fedeltà completa al dovere del proprio stato, qualunque esso sia, in qualunque sfera e grado della gerarchia umana siamo noi posti a lavorare da Dio e la disposizione a tutti i sacrifici, l'abbandono confidente nelle mani del Signore, sopratutto la carità vera, il reale tenerissimo amore divino, corrispondente alla sua infinita tenerezza: carità benevole, paziente, attiva, tollerante, pronta a tutte le devozioni e a tutte le immolazioni.

La via dell'infanzia spirituale è non soltanto pos­sibile, ma facile a tutti. C'è forse qualcuno incapace di pregare, di unirsi, d'amare?

 

III - Facciamoci piccoli, anzi piccolissimi, con la piccola suora carmelitana, avvicinandoci al Salvatore, di cui venne profetato: <<Egli fu il protettore dei  piccoli del suo popolo>> (1Macc. 14,14).

Se dobbiamo progredire in qualche cosa, è appunto in questo desiderio di piccolezza; il che vuol dire umiliamoci, annientandoci quasi consideriamoci un nulla nel senso di qualsiasi valore, per valorizzarci davanti a Dio e nei suoi rapporti. Mettiamo in tali rapporti l'atteggiamento che a lui piace di più: la fiducia, la tenerezza, l'abbandono di un bambino, agendo verso di lui con semplicità e con rettitudine, senza doppiezza e senza furberia, ad esempio dei pargoli: <<Come bambini di fresco nati, bramate il latte spirituale sincero>>.(1 Pietro 2, 2).

E' arduo che anime superbe del secolo possano comprendere questa necessità e questa utilità. Tron­fie di sapienza, orgogliose del conoscere e delle doti di eminenza acquisite con lunghi anni di astuti accorgimenti, presso gli uomini, il tornare ai pensieri e ai sentimenti dell'infanzia ad esse sembrerà un ridi­colo bamboleggiarsi, un trastullo insignificante, un abbassamento di dignità.

Si sono visti uomini grandi, nella loro intimità, condursi simili a fanciulli, vezzeggiando persone amate con termini infantili, talvolta persino grotteschi, allo scopo di conquistarne l'affetto e le grazie, o facendosi vezzeggiare con nomignoli e gesti che mai avrebbero permessi in presenza altrui, nella convinzione che ciò costituisse prova di suprema dedizione. Eppure nessuno di costoro avrebbe mai supposto, senza diminuirsi, di poter impiegare tali mezzi nel commercio con Dio. Un padre, che ama e vuol divertire il suo bambino, ricorre a tante graziose minuzie; un figlioletto, che vuole ammansire e veder sorridere il genitore, non si sbraccia nelle moine? Nè l'uno e nè l'altro trova ciò fuori luogo: anzi, non ne farebbe mai abbastanza per raggiungere un fine come quello ineffabile di ottenere una carezza. Comportiamoci così con Dio, ecco quanto ci suggerisce Santa Teresina, dando l’esempio di queste manifestazioni nella forma più tenera.

Del resto, allorché nel ricevere la santa Comu­nione noi ci abbandoniamo interamente all'effusione del cuore, e diciamo a Dio nascosto nel nostro cuore tante dolci parole, che cosa facciamo se non pargoleggiarlo e pargoleggiare noi stessi? Nessuno di noi vede allora un Dio terribile, che metterebbe in noi il terrore dell’Eucaristia. Ora, perché non possiamo spostare in tutte le fasi del nostro tempo e della nostra giornata simili attitudine? Non è lo stesso Dio che ci è vicino, Dio amoroso delle nostre confidenze, delle nostre preghiere, del nostro raccoglimento, sempre uguale?

Trattiamo con lui allo stesso modo, poniamo da parte il cosiddetto timore reverenziale, usiamo nell'economia dei rapporti tra noi e Dio il metro infallibile sperimentato da Santa Teresa, e ripetiamo con lei: << O Diletta, non ho altro mezzo di attestarti il mio amore, che spargere dei fiori, e ciò vuol dire non lasciarsi sfuggire nessun sacrificio, per quanto piccolo, uno sguardo, una parola; approfittare delle minime occasioni e compierle per amore. Voglio soffrire per amore, ed anche per amore gioire; e così spargere dei fiori. Non un solo ne troverò senza sfogliarlo per te … e poi canterò, canterò sempre, anche se io debba cogliere le mie rose in mezzo alle spine! Il mio canto sarà tanto più, melodioso, quanto più queste spine saranno lunghe e pungenti>>.

Ma a che ti serviranno, o Gesù, i miei fiori e i miei canti? Ah, ben lo so: quella pioggia profumata, quei petali delicati e senza valore, quei cantici d'amore di un sì piccolo cuore, ti allieteranno ugualmente.

Si, quei cari nonnulla ti faranno piacere; faranno sorridere la Chiesa trionfante, che per scherzare col suo piccolo fanciullo, raccoglierà quelle rose sfogliate, e facendole passare dalle tue mani divine per rivestirle di un valore infinito, le spargerà sulla Chiesa sofferente a estinguerne le fiamme, e sulla Chiesa militante per assicurarle la vittoria.

Tutti possiamo percorrere la via dell’infanzia spi­rituale, a qualunque età, checché appaia; poiché tutti possiamo tornare ai sentimenti e alle pratiche del periodo più bello e ingenuo della nostra vita. Il Dio tonante e lampeggiante del Sinai appartiene all'antica legge. Nella legge nuova c'è il Dio di Betania e dei tabernacoli, il Dio del presepe e della croce.

 Pensiero:<< Quel che piace a Dio, è di vedermi amare la mia piccolezza e povertà, è la speranza e la cieca fiducia che sento nella sua misericordia. Ecco il mio tesoro: perché questo tesoro non sarà anche vostro? >>.

  Giaculatoria: << O Gesù, chi potrà mai dire con quale dolcezza e con quale tenerezza tu guidi la mia piccola anima!>>.

  Preghiera  a S Teresa come al primo giorno

  ESEMPIO -  Il secondo miracolo per la Canonizzazione.

Due sono i miracoli che la rigida norma della Chiesa esige, prima di emettere il suo infallibile giudizio nella ultima fase degli atti solenni che precedono la canonizzazione del Santi. Ma anche Dio, che pure misura il tempo della prospettiva del secoli, qualche volta ha fretta.

Egli voleva presto glorificata sulla terra la piccola Suora; egli aveva stabilito che il 17 maggio 1925 Papa Pio XI, in tutta la maestà pontificale, discendesse nella Basilica Vaticana a venerare l'immagine di S. Teresa del Bambino Gesù collocata ai sommo fastoso della gloria.

Ed ecco il secondo miracolo necessario.

Una religiosa delle "Chieppine” di Parma, Suor Gabriella Trimusi, sofferente d'artrite il ginocchio e di tubercolosi alle vertebre della colonna dorsale, era costretta a portare un busto di ferro per sostenersi. Ella fece nel giugno 1923 una novena a Teresa del Bambino Gesù, che coincideva col triduo solenne delle religiose consorelle. Si recò alla cerimonia di chiusura e tornando in monastero una voce misteriosa la spinse a togliersi il busto. Essa ubbidì: ogni dolore era scomparso, la devastazione della colonna vertebrale aveva ripreso la  linea normale: era guarita! Le provo radiografiche attestavano ancora la preesistenza del male dopo la prodigiosa guarigione. L'Intervento di Dio sospinge e precorre le decisioni degli uomini.

Ventisettesimo giorno – la santa comunione

 

 

 

 

 

  I - Due sono i modi di levarsi in Dio; uno intellettuale, o per speculazione; l’altro affettivo, o per amore. Col primo, l'anima si solleva a Dio per mezzo della ricerca: è però via lunga, faticosa e non a tutti consentita. Il secondo, “via dell'amore" è comune a tutti, ai dotti come agli ignoranti, facile, breve, utilissimo. In questo, l'affetto precede la conoscenza. Si comprende meglio con una similitudine: si conoscono certe cose piacevoli  a gustarsi, anche solo vedendole, ma se ne ha conoscenza di fatto appena si assaporano e accendono il desiderio di gustarle nuovamente. 

Ciò è proprio della S. Comunione, e Teresa ce lo prova. Privilegiata per grazia divina fin dalla sua infanzia, non ebbe necessità di sperimentare il primo, ma del secondo trasse e gustò ampi benefici, donata di speciali trasporti affettivi che hanno trovato sfogo nei suoi scritti. Della sua prima Comunione, cui giunse dopo una lunga vigilia di struggenti sospiri e di non comuni amorosi episodi, ella scrive: <<Oh, quanto fu soave il primo bacio di Gesù all'anima mia! Fu un bacio d'amore, e sentendomi amata, ripetevo a mia volta: Ti amo, Signore, mi do a te per sempre>>.

Gesù non mi fece domande nè mi chiese sacrifici, perché già da un pezzo egli e la sua piccola Teresa si erano guardati e compresi; ma il nostro incontro di quel giorno, piuttosto che un semplice sguardo poté dirsi una vera fusione.

Non eravamo più due. Teresa era scomparsa co­me una goccia d'acqua che si perde in seno all'oceano; e Gesù era rimasto solo, era il padrone, era il re. Non era forse stata Teresa che gli aveva chiesto di toglierle la sua libertà? Quella libertà le metteva paura; ella si sentiva così debole, così fragile, che voleva unirsi per sempre alla forza divina. E la sua gioia si fece così intensa e profonda, che più, non poté contenerle, e le lacrime più deliziose le inondarono il volto; e nessuno capiva che, quando la felicità del cielo scende in un cuore, questo cuore esiliato, debole e mortale, non la può sopportare senza piangere.

L'indomani mi apparve come ravvolto in un velo di tristezza, e piansi anche quel giorno di dolcezza ineffabile, ripetendo continuamente quello parole di S. Paolo: <<Non sono più io che vivo, è Gesù che vive in me>> (Gal. 2,20). Dopo quella seconda visita del mio Signore, non aspiravo più che a riceverlo.

L'unione di Teresa a Gesù Eucaristico diveniva intima ogni volta di più o il suo amore si effondeva in espressioni di estrema finezza e delicatezza: <<Spesso nei miei ringraziamento solevo ripetere questo passo dell'imitazione: O Gesù, dolcezza ineffabile, cambia per me in amarezza tutte le consolazioni della terra! - E queste parole mi uscivano spontanee dalle labbra, e le pronunziavo come fa un bambino che ripete, senza troppo comprenderlo, ciò che gli suggerisce una persona amica.

Ma che dire dei miei ringraziamenti di allora o di sempre? Mi rappresento l'anima mia come un  terreno libero, dal quale prego la SS. Vergine di  voler togliere  tutti gli ostacoli che sono le imperfezioni; la prego poi a voler piantare essa stessa un'ampia tenda degna del cielo,ed abbellirla con i suoi propri ornamenti. Invito quindi tutti gli angeli e i santi a venire a cantare dei cantici d'amore. Mi sembra allora che Gesù sia contento di vedersi così magnificamente ricevuto, e io partecipo alla sua gioia>>.

 II - La Comunione è santificante: <<Noi siamo santificati per l'oblazione del corpo di nostro Signore >>. (Ebr. 10,10). Essa porta nell'anima Gesù Cristo che, sempre operando, spande la grazia intorno a sè, come il sole diffonde la luce, e il fuoco il suo calore. E' impossibile che anche il semplice passaggio di Gesù in un 'anima non lasci nell 'anima qualcosa di lui. Ma allora, come si spiega lo scarso effetto prodotto in noi dalle frequenti comunioni?

Gli è che l'anima non sempre possiede le volute disposizioni. E' vero che il fuoco è riscaldante per sua natura, ma è anche vero che non produce esso alcun effetto, se il corpo presso cui è collocato non può venir facilmente penetrato dal calore: si tratta di legge fisica.

Vuoi tu, anima mia, ricevere ad ogni Comunione qualcosa che irradia dal tuo Signore, e che a poco a poco farà di te una creatura di cielo? Vuoi tu ri­cevendo il Dio della pace, apprendere le parole da ripetere ad altri, per ridonare calma e rassegnazione? Vuoi tu, ricevendo il Dio d'amore, sentire accrescere in te l'affetto, la dedizione, la tenerezza, e spingerti a comunicare questi tesori al tuo prossimo? Vuoi tu, ricevendo il Dio buono, divenir buona per sopportare, buona per compatire, buona per perdonare?

Risolvi di osservare i comandamenti di Dio in tutta la loro estensione: <<Se mi amate, osservate i miei comandamenti>>. (Giov 15,15). Non esi­tare a compiere il tuo dovere, anche difficile: dovere di perdono e d'oblio dopo un 'ingiustizia o una umiliazione immeritata: dovere di accettazione in ciò che contraria i tuoi gusti e le tue attitudini; dovere di applicazione al lavoro, che interrompe le tue abitudini e sembra superiore alle tue forze. Sii generosa nel privarti, nei giorni di Comunione, di quei piaceri che non hanno niente di male, ma che per esperienza conosci come affievoliscono il tuo fervore di pietà e ti rendono meno forte. Sii franca e retta per non cercare minutamente se ciò che ti si proibisce sia veramente un peccato, e tu possa transigere con la tua coscienza. Sii umile e modesta, anima mia vivendo senza inquietudini, facendo poco rumore, evitando la gente e le lodi, lavorando per necessità se tale è la tua condizione, beneficando senza attendere plausi, lasciando vivere tranquillamente gli altri più onorati e stimati, non avendo che un'ambizione: amare, amare molto Iddio ed essere amata da. lui.

Anima mia, se sei cosi disposta, vedrai che ogni Comunione ti renderà migliore, ti farà provare maggiore attrazione per le cose divine, ti conterà per un nuovo grado di gloria in paradiso. E rammenta che perseverare non vale non cadere, ma sopratutto rialzarsi.        

 

III - Quale nuovo e diverso significato ora sco­pro nel versetto evangelico: << Dov'è il tuo tesoro, ivi è il tuo cuore>>. (Matteo 6,21); poiché Gesù diventa il mio tesoro nella Santa Comunione, e il mio cuore è tutto con Gesù. Come si è ricchi, quando si porta il proprio tesoro nel fondo del cuore, e che  non se ne vuole altri! Come si è felici anche nelle croci, avendo con sè il Consolatore come si è potenti e invincibili, pur con le proprie sensibilità e debolezze, quando si possiede Gesù Cri­sto dentro di sè.

Mio Dio e mio amore, so che te ricevo nel sacramento: Tu mi nutri con la tua carne che dà vita al mondo, e con la tua sostanza divina, che è verità eterna. Ti stringo, ti assaporo, ti conservo riposante nel mio petto, come il discepolo amato riposava sul tuo nel Cenacolo. Avendoti, non posseggo io già tutto? Di che cosa ho bisogno ancora? Che cosa mi può mancare?

Pietro ti amava per naturale simpatia d'affetto umano, era in fragile disposizione di spirito per il caso di pericolo e di prova, presumeva troppo delle sue forze. Si cacciò temerariamente nella tentazione non munito della preghiera, e ti rinnegò nel pretorio di Pilato, fidando nel suo effimero coraggio. lo pure, quante volte, ho dovuto riconoscere di non avere in me stesso che la facoltà di perderti, dimenticando che tu solo, mio Dio, sei forza, sostegno, aiuto, salvezza.

Ma ora il mio cuore trabocca di pentimento, di gratitudine, d'amore. Deh, sazia o Dio generoso, ogni mio desiderio. Sono pieno e sento di non poter aprirmi a nessun altro bene, avendo il bene infinito.  Di che temerò con colui che ci ama e che è onnipotente? Non soffrirò io per amore di chi, dopo aver sofferto la morte per me, viene ancora a soffrire nella mia anima, così da vicino, tutte le mie miserie? Chi mi darà una bocca per lodare, e un cuore per corrispondere nelle sue misericordie? O sacramento, in cui si cela l'amore, per essere cercato più puramente!

Mi abbandono, mio Dio, nelle tue mani. Rivolgi questo fango, dàgli una forma e spezzalo poi: è tuo, non ha nulla da ridire. Mi basta che serva ad ogni tuo disegno, e che nulla della mia volontà resista alla volontà tua, per la quale sono fatto.

Chiedi, ordina, proibisci. Che devo fare? Che devo non fare? Sollevato. abbassato, consolato, sofferente; applicato alle opere tue inutile in tutto ti adorerò c ti amerò sempre lo stesso, sacrificando ogni mia potenza al tuo potere. Non mi resta a dire altro se non ripetere le parole con cui la Vergine Santissima diede il via alla Redenzione nell'umile casetta nazarena: << si faccia di me secondo la tua parola>> (Luca 1, 38).

Dio mio, mi rimetto senza riserva nelle tue mani.

Ricchezza o povertà, tristezza o gioia, amicizia o isolamento, onori o umiliazioni, reputazione buona o cattiva, vita dolce o difficile, la tua presenza o la tua assenza, tutto andrà bene se viene da te. Che c'è per me nel cielo, e fuori di te che c'è per me sulla terra che io possa ancora desiderare? Sii tu, o Signore, il sovrano del mio cuore e la mia parte per sempre!

Pensiero:<< Non desidero di ricevere la visita di nostro Signore per mia soddisfazione, ma unicamente per far piacere a lui>>. 

Giaculatoria: << O Signore, rimani in me come nel tabernacolo, non ti allontanare mai da dalla tua piccola ostia>>.

Preghiera a S. Teresa, come al primo giorno.

  ESEMPIO. Una guarigione con l'immagine di S Teresa.

Giuseppina Parussa, da Asti, il 31 gennaio 1940, scrive: <<Preoccupata dello stato spirituale di alcune persone della mia famiglia, pregai con viva fede Santa Teresina e ottenni la loro conversione.

Apparsami nel novembre 1938 in sogno, tutta splen­dente di luce e di bellezza, la Santa, appoggiando il capo sulla mia spalla, mi assicurò di essere contenta dello stato spirituale di mio marito, e mi ordinò di fare la S. Comunione ogni venerdì. Una grave infermità veniva intanto ad aggravare le mie già malferme condizioni di salute. Per un deviamento della colonna vertebrale, la spalla mi si abbassò ed incurvò, rendendo necessario l’uso di un torturante busto correttivo, la cui confezione riusciva sempre imperfetta e inadeguata allo scopo.

Più fervorose si innalzarono alla Santa le mie pre­ghiere, perché fossero alleviare le mie sofferenze, e con viva fede applicai sul male la sua immagine.

Il 2 settembre, improvvisamente, gli atroci dolori scomparvero, la spalla ritornò allo stato normale e tale è tutt’oggi, tra la meraviglia dei conoscenti. Questa miracolosa liberazione ben merita di essere conosciuta a conforto di quanti confidano nella Santa Taumaturga>>.

Ventottesimo giorno  - La Madonna

 

 

 

 

 

 

 

I - Le auree pagine della sua autobiografia mostrano Teresa fin dai  primi anni intenta a manifestare verso la Madonna una devozione filiale, ricambiata dalla SS. Vergine con materna predilezione.

Spigoliamo alcuni tratti delle sue lettere espressioni, cominciando da quelle in cui narra la miracolosa guarigione ottenuta, d'una malattia che nella fanciullezza la condusse presso a morire.

Quando i miei dolori erano meno vivi, l'intrecciare ghirlande per la Madonna formava tutta la mia delizia. Eravamo al bel mese di maggio, e la  natura si rivestiva del suoi ornamenti primaverili: solamente il piccolo fiore languiva e pareva appassito per sempre. Ma presso a questo fiore spandeva i suoi raggi benefici un sole, e questo sole era la statua della Regina dei Cieli, verso cui molto spesso ci volgeva la sua delicata corolla .. 

La mia amata sorella Maria, fallito un' ulti­mo tentativo, s'inginocchiò piangendo a piedi del mio letto, e volgendosi alla Vergine benedetta la implorò col fervore d'una madre che chiede, che vuole, la vita del figlio .. (Leonia e Celina, le altre  sorelle), l’imitarono, e fu un grido di fede che forzò le porte del cielo. Io pure, che non trovavo quag­giù giù soccorso alcuno e mi sentivo vicina a morire di dolore, mi rivolsi alla Madre celeste, chiedendole con tutto il cuore che avesse finalmente pietà di me. Ad un tratto, la statua si animò e la Vergine  divenne bella, tanto bella che non troverò mai espressioni atte a rendere tale bellezza tutta divina. Quanta soavità, bontà e tenerezza ineffabile spirava mai da quel volto! Ma quello che mi penetrò fino in fondo dell'anima fu il suo sorriso incantevole. Tutte le mie pene sparirono allora, e dai miei occhi due grosse lacrime caddero silenziose. Erano lacrime di pura gioia celeste. Pensai: << La Vergine si è avvicinata verso di me; mi ha sorriso; come sono felice! La SS. Ver­gine mi è parsa bellissima, l'ho veduta avanzarsi verso di me e sorridermi>>.

Piena di gratitudine e d'amore, Teresa non dimenticò più quanto doveva a una Madre così, buona, e maggiormente strinse con lei, legami di devoti sentimenti e di opere, iscrivendosi solennemente tra le Figlie di Maria, commentando poi tale atto così: <<Nel pomeriggio (della prima Comunione) pronunziai a nome delle mie compagne l'atto di consacrazione alla SS. Vergine, e se le maestre mi scelsero a questo, fu certo perché ero rimasta si presto quaggiù senza la mamma. Nel consacrarmi alla Vergine, nel chiederle di vegliare sopra di  me, posi tutto l'affetto del mio cuore, e mi parve crederla guardare e sorridere ancora al suo piccolo fiore. Ricordavo quel suo sorriso che mi aveva altra volta guarita e liberata, e sapevo bene ciò che le dovevo>>!

Nella pratica di questa tenera devozione ella esclama: <<Come l'amo la Vergine Maria! Se fossi stata sacerdote, come avrei parlato bene di essa! La mostrano quasi inaccessibile, e bisogna invece presentarla come imitabile. Essa è più madre che regina! Ho sentito dire che il suo splendore eclissa tutti i santi, come il sole, quando sorge, fa sparire le stelle. Mio Dio, come è strano tutto ciò. Una madre che fa sparire la gloria dei figli suoi>>!

Io penso tutto il contrario, e credo che essa ac­crescerà di molto lo splendore degli eletti. La Vergine Maria! Come mi pare che fosse semplice la sua vita!…Ci mostrino i sacerdoti virtù praticabili … E' cosa buona il parlare di prerogative, ma è più necessaria l'imitazione, Maria ama me­glio essere imitata che ammirata.

Non è la stessa cosa il domandare a Dio e il  domandare alla Vergine. Maria sa bene che cosa farne dei miei piccoli desideri, e se bisogna riferirli o no a Gesù; insomma spetta a lei di non forzare la mano di Dio per esaudirmi, ma di lasciar fare in tutto la sua santa volontà.

<<O Maria, se io fossi la Regina del cielo e tu fossi Teresa, io vorrei esser Teresa affinché tu fossi la Regina del cielo>>.

  II - La Madre di Gesù poco appare nel ciclo evangelico dei tre anni di predicazione del Messia: quasi preoccupata di occultarsi, perché la gloria di Dio splendesse intorno alla missione del suo Fi­gliuolo, emerge dal silenzio due volte. Una con le parole: << Fate tutto ciò che egli vi dirà>> (Giov 2, 5), sia per indurre gli sposi di Cana ad obbedirgli, e sia ancora per rammentare a noi tutti il dovere di seguire il Redentore negli ammaestramenti o nei precetti che egli annunzia. L'altra, all’inizio della passione, per associarsi alla tragedia del Calvario, prendere il suo posto di Madre Dolorosa, suggellare con la sua presenza l'agonia del Martire e riceverne in nostro nome e per noi il supremo testamento. Allora, come già per gli Apostoli e per i primi discepoli, diviene non soltanto la Maestra ma anche la Madre amorosa dell'umanità. In quale miglior modo possiamo noi onorarla, se non rivolgendole la preghiera più indulgente e più tenera che sia fio­rita sulla terra. dopo il Pater Noster?

Ave Maria! E’ la parola che da bambino, aiutato dalla mamma, io balbettavo davanti alla tua immagine, amandoti con trasporto senza ancora conoscerti, o Maria.    

Ave Maria! E’ la parola che dopo i primi giorni dell'infanzia ho detto tanto spesso, e oggi pure ripeto. O Maria, la mia anima non ha più il candore d'una volta; ma più avanzo nella vita e più sento la tua potenza, il tuo amore, la tua misericordia circondarmi, rendermi felice; e oppresso, provo già un sollievo rivolgendoti questo saluto.

Ave Maria! E’ la parola che richiama al tuo cuore i più dolci ricordi. Ricordi del tuo ingenuo timore alla voce dell’angelo: ricordi della tua purezza e della tua umiltà, che ti facevano bella agli occhi divini; ricordi dell'emozione che dovesti provare quando pure Gesù Bambino, forse in ginocchio, a te la rivolse.

Ave Maria! E’ la parola che il povero, prima di stendere la mano, pronunzia per impietosire un cuore. lo sono quel povero, e questa parola ti dice che quaggiù, sulla terra del pianto, un'anima t'implora e innalza a te le braccia supplici per intenerire il tuo cuore.

Gratia plena! La grazia è il tesoro di Dio abbon­dantemente profuso in te. Ricchezze dell'intelligenza, con la luce e la saggezza divina a te donata. Ricchezze del cuore, perché Dio ti ha ornata di tanta bontà che non v'è amarezza al mondo che tu non possa addolcire, non un dolore che tu non possa lenire, non una malattia che tu non possa guarire. Ricchezze dell'anima, cioè le virtù  che alle creature umane sono date una per volta e poco per volta, mentre a te sono state largite tutte insieme. Le virtù formano il tuo diadema, la tua veste, il tuo intero essere. lo conto le stelle del cielo e le gocce di rugiada al mattino, ma trovo che le tue virtù sono ancora più numerose.

Dominus tecum! Ecco il segreto della tua attrattiva, sempre nuova e sempre irresistibile, che si fa sentire al giusto e al peccatore. Nel tuo sguardo e nelle tue mani e nel tuo cuore è Dio che si manifesta. Dio che è la grazia, la misericordia, la pace. Dàllo anche a me questo Dio, affinché io pure lo porti in me nella santa Comunione, come tu lo portasti.

Benedicta tu in mulieribus! Benedetta dagli angeli e dai santi; benedetta da Dio Padre, come la creatura più bella e più santa benedetta dallo Spirito Santo, che ti prescelse a suo tempio vivente; benedetta da Dio Figlio, che rimase sempre per te Gesù amoroso e sottomesso, Gesù che ti chiama ancora la sua mamma, Gesù il cui cuore trasalisce quando sente invocarti. Benedetta sulla terra, nella preghiera che a tutte le ore del giorno e della notte sorge dalle labbra di coloro che tu assisti, conforti, fortifichi: dai poveri, dagli afflitti, dagli infelici: dai figli e dalle madri; dalle anime pie e dai sacerdoti; da ciascuna delle ostie consacrate nascoste nei tabernacoli.

Et benedictus fructus ventris tui, Jesus! O Gesù, figlio di Maria, sii benedetto per averci dato Maria qual Madre, qual rifugio, qual modello! Sii benedetto per averla fatta così grande, così alta, e so­pratutto così buona!

  III - Sancta Maria, Mater Dei! E' il tuo titolo per eccellenza, il fondamento della tua gloria, il fine per cui Dio ti ha creato immacolata, colma dei doni che ti fanno la più tenera, la più forte, la più amante delle madri; la ragione di tutti gli omaggi che, dopo la nascita del Figlio Divino, tutti i cuori ti rendono, e della confidenza che i secoli non potran­no diminuire. Se non fossi la Madre di Dio, potrei stimarti per i tuoi meriti, amarti per la tua bontà, ma non sarei ora in ginocchio ai tuoi piedi con la certezza di essere esaudito.       

Ora pro nobis peccatoribus! So che mentre parlo a te, Maria, tu mi ascolti e se mi ascolti, come fa­rai a non esaudirmi? Che ti costa? Non ha Gesù riposto nelle tue mani tutti i tesori delle sue grazie e delle sue misericordie? Vedi quanti pericoli dell'anima e del corpo mi circondano, quante afflizioni mi fanno lacrimare. ... Se nella tua vita terrena un povero ti chiamava, passavi oltre senza fermarti? Se ti confessava di aver fame, gli rifiutavi l'elemosina? Se ti mostrava una piaga, non lo curavi? Ebbene, dal cielo saresti ora divenuta meno buona? O Madre, io ho fame, la mia anima è affamata di purezza e di pietà: prega per me. Ha fame un' anima a cui penso e che non ti conosce: un 'altra che ti ha conosciuta e poi dimenticata: da loro almeno le briciole della grazia, quei benefici rimorsi che Gesù ti ha confidati per ricondurgli le anime. O Maria, prega per noi, poveri peccatori.

Nunc!  Adesso, subito: preme la mia domanda, a Maria! Non vedi la sensualità e l'orgoglio che mi attendono con le loro insidie? Non vedi che la mia anima, appena diminuisce la vigilanza e il lavoro, sta per soccombere alle tentazioni della vanità, dell'antipatia, della vendetta; al disgusto del suo dovere, al fastidio della preghiera? Non vedi quell'anima, per cui or ora ti pregavo, che versa in pericolo? Prega adesso, o Maria!

Et in hora mortis nostre! Quante anime, men­tre pronunzio queste parole, entrano nel1'eternità e vanno al cospetto di Dio! E se esse li hanno invocato, quali canti di gioia nel cielo! Ma verrà anche il mio turno: forse fra dieci o venti anni, forse domani, forse stanotte! ... In quell'ora, o Maria, stammi vicina, come vi sarebbe mia madre se lo potesse; e se la lingua mia paralizzata non potrà allora pronunziare il tuo nome, questo nome lo sospirerà il mio cuore. In quell'ora estrema io ti aspetto, o Madre: il tuo apparire sarà il segnale della mia salvezza. lo t'invoco adesso per l'ora della mia morte, e l'appello devoto che ti rivolgo, mi dà tanta calma e tanta pace. Anche solo e abbandonato, lungi da ogni umano soccorso, senza una mano pietosa che mi chiuda gli occhi, morrò sorridendo perché ci sarai tu, fin d'ora convenuta all'e­stremo appuntamento. Tu ci sarai, lo spero, lo credo, così sia.         

E concedimi una grazia, mentre ti prego. Fa' che io passi dalla vita terrena alla vita eterna stringendo fra le mani la tua corona, palladio di fortezza e promessa di vittoria nell'ultimo momento.

<<O Rosario benedetto di Maria, catena dolce che ci rannodi a Dio, vincolo di amore che ci unisci agli angeli, torre di salvezza negli assalti dell'in­ferno, porto sicuro nel comune naufragio, noi non ti lasceremo mai più.

 Tu ci sarai conforto nell'ora di agonia, a te l’ultimo bacio della vita che si spe­gne. E l'ultimo accento delle smorte labbra sarà il nome tuo soave, o Regina del Rosario, o Madre nostra cara, o Sovrana consolatrice dei mesti. Sii ovunque benedetta oggi e sempre, in terra e in cielo>>.

(Dalla Supplica alla Madonna di Pompei del Beato Bartolo Longo).   

  Pensiero: <<Rivolgendoci ai santi, questi si fanno alquanto aspettare: si sente che essi devono presentare la loro domanda. Ma quando si chiede una grazia alla SS. Vergine la risposta è quasi immediata. Non l'avete ancora provato? Fatene l’esperimento e vedrete!>>.

 Giaculatoria:<<O madre diletta, voglio vivere con te in questo triste esilio. Il tuo sguardo materno fuga ogni apprensione dall'anima mia, mi insegna a piangere e a gioire. Ho sofferto insieme a te, e voglio dirti ora perché ti amo; perché anch’io sono tuo figlio>>.

  Preghiera a S. Teresa come al primo giorno

 ESEMPIO. Cerca di essere sempre più buona

Anna Donetti, da Suno, il 9 maggio 1946 scrive: dal novembre 1943 ero colpita da sinovite al ginocchio destro, che mi ha torturato a lungo, refrattaria a qualsiasi cura. Nel settembre 1945 si aggiunse una dolorosissima flebite, che mi immobilizzò fra strazi indicibili per due mesi, finche tentai come ultima cura i bagni di luce e le scosse elettriche presso l'ospedale di Novara, senza risultati. Nell’inutilità di tutte le cure, però avevo in cuore la certezza che solo S. Teresa del Bambino Gesù, di cui da anni ero devota, mi avrebbe liberata.

La notte dal 12 al 13 novembre è avvenuto questo fatto. Mi apparve la Santa: aveva il suo solito crocifisso sul braccio con le rose bianche. Mi rivolse la parola: <<La tua gamba si muove: presto starai meglio e fra due mesi sarai completamente guarita>>. Meravigliata e quasi incredula, guardai la gamba, tentai di muoverla; essa rispondeva ai comandi. Lasciai otto giorni dopo l'ospedale e tornata a casa notai il continuo miglioramento.

Nella notte tra il 12 e il 13 gennaio mi parve di rivedere la Santa, che mi disse: << Cerca di essere sempre più buona per accontentare di più il Signore>>. E scom­parve lasciando un profumo di rose.

Ero completamente guarita.

 

           Ventinovesimo giorno – il cielo

 

 

 

 

 

 

 

I  - Fondati sull'autorità della fede e sugli in­segnamenti dei Padri, poiché << noi siamo cittadini del cielo>> (Fil. 3,20), meditiamo un poco questa avventurata eternità, ultimo beneficio della religione, ricompensa alle nostre brevi sofferenze e alle nostre leggere fatiche, termine all'opera della Redenzione, spiegazione a tutti gli enigmi della vita, riposo eterno nell'ordine turbato dal peccato, rista­bilito dalla grazia, coronato dalla gloria.

Soltanto nel cielo tutte le cose saranno perfette.

Per Dio, il cielo è l'adempimento di tutti i suoi disegni, il godimento pieno ed intero di tutte le sue opere, la completa manifestazione del suo trionfo, il regno beato di un padre amoroso sul docili figli, l'espansione immensa ed eterna del suo amore per essi, e l'espansione ugualmente immensa ed eterna del loro amore per lui. Per l'uomo, il cielo è la soddisfazione di tutti i suoi legittimi desideri, ri­spetto al corpo e rispetto all'anima, e corrispondenti al suo stato futuro.

Il cielo è per l'uomo ciò che la luce è per il cieco, che forse l' ha intravista e arde della brama di goderla in tutto il suo splendore; ciò che la sanità è per l'infermo, che soffre atroci dolori: ciò che la pace è per lo sventurato, il quale, esposto alle insidie, ha dovuto soffrire una vita intera fra timori angosciosi; ciò che per un re decaduto è il risalire sul trono;  ciò che per l'esule è il ritorno nella patria e nella famiglia; ciò che per un pellegrino riarso dalla sete è una limpida e fresca sorgente; ciò che per i mortali, affranti da travagli e da dolori, divorati da insaziabili desideri sempre rinascenti, condannati al pianto e alla morte, è il possesso pieno e sicuro di tutti i beni, il riposo totale e l'immortalità della gioia.

Talvolta, nella prima infanzia, noi riceviamo l'im­pronta, una specie di marchio istintivo, che imprime del suo contrassegno della la nostra vita. Ascoltate Teresa: Ricordo che la parola “cieli” fu la prima che seppi leggere da me. Non vi è nella gentile confessione già l'indice del suo destino?

A lei parve anche applicarsi con evidenza misteriosa il detto evangelico di Gesù: << Rallegratevi, perché i vostri nomi sono scritti nel cieli>> (Lc 10, 20), se ella può narrare: Io guardavo le stelle con ammirazione indicibile. Notavo con particolare predilezione nelle profondità del firmamento un gruppo di perle d'oro (la costellazione d'Orio­ne) che trovavo avere la forma di una << T >>, e cammin facendo dicevo a mio padre: <<Guarda, babbo, nel cielo sta scritto il mio nome! - Poi gli chiedevo che mi guidasse lui, perché non volendo più nulla vedere di quanto mi circondava quaggiù, sollevavo in alto, molto in alto, il mio sguardo, e non mi stancavo di contemplare il cielo stellato>>.

  II - Più tardi, quello che per la fanciulla ingenua era un'ardente istintiva aspirazione, diviene nella suora infiammato anelito e insofferente brama.

La terra non mi pareva che un luogo d'esilio, ed io non sognavo che il cielo, stanca di pellegrinaggi terreni, non desideravo più che le bellezze del cielo, per farne dono alle anime.

Che sarà mai dunque la nostra eterna comunione nella dimora del Re dei cieli? Allora la nostra gioia non avrà più fine, e la tristezza della  partenza non verrà più ad oscurarla, poiché la sua casa sarà nostra per il corso di tutti i secoli. Quello che egli ci riserva è il suo palazzo di gloria dove non lo vedremo più velato sotto le sembianze di fanciullo, o sotto le specie di poco pane, ma tale e quale è nello splendore della sua bellezza infinita.

Nostro Signore mi fece pensare con dolcezza ineffabile a quelle carezze che presto egli mi avrebbe prodigate dinanzi all'assemblea dei santi, e tale consolazione mi fu come un saggio della  gloria celeste.

Ero intimamente persuasa che il mio Diletto, nel giorno anniversario della sua morte (venerdì santo) mi facesse udire una prima chiamata, come un lontano e dolce mormorìo che mi annunziasse il suo arrivo felice... La speranza di andarmene in cielo mi faceva delirar d'allegrezza .. La sera di quel giorno tornai piena di gioia nella mia cella, e stavo per addormentarmi placida­mente, quando Gesù mi dette, come la sera precedente, lo stesso segno del mio prossimo ingresso nell’eternità (il secondo sbocco di sangue). La mia fede era allora così viva, così chiara, che il pen­siero del paradiso formava tutto il mio bene.

Ancora un poco, e l'anima mia lascerà la terra, finirà il suo esilio, terminerà il combattimento. Io salgo al cielo. Entrerò in quel soggiorno degli eletti, e vedrò bellezze che occhio umano non vide mai, udrò armonie che orecchio creato mai non udì, proverò gioie che il cuore non ha gustate giammai... Eccomi giunta a quell'ora che ciascuno di noi ha tanto bramato! E' propriamente vero che il Signore sceglie i piccoli per confondere i grandi di questo mondo. Non faccio assegnamento sulle mie forze, sebbene mi affido alla forza di colui che sulla croce vinse le potenze infernali ... Sono un fiore primaverile, che il padrone del giardino coglie per suo diletto. Tutti siamo fiori piantati su questa terra, che Dio coglie a suo tempo; ma quale più presto e quale più tardi ... lo, però piccola effimera, me ne vado la prima! Un giorno ci ritroveremo in paradiso, e godremo della  vera felicità.

Quanto ho bisogno di vedere le meraviglie del cielo. Nulla mi commuove più sulla terra. Sì, io desidero il cielo Mio Dio, strappa il velo che mi separa da le!. .. L'aria della terra mi manca: quand'è che il buon Dio mi darà l'aria del cielo? 

  III - Chi di noi, esseri umani appesantiti dalla nostra fattura materiale, che fatalmente ci trascina nelle bassure terrestri, non ha sentito qualche volta il desiderio di possedere delle ali, per evadere dalle sabbie mobili del mondo, per sottrarsi alla viscida fanghiglia dei pantani, lasciando sfuggire dalla sua anima un grido di tristezza, di speranza, d’amore? Chi di noi, creati per il regno dei cieli, non ha talvolta invidiato gli uccelli dell'aria e i volatili degli spazi, perché non poteva come essi assaporare una parte dell'infinito? Sospirava il salmista: <<Chi mi darà le ali come di colomba, ed io volerò e mi riposerò?>> (Sal.54, 6), Notate, il volare, l’innalzarsi, non arreca fatica, poiché conduce al riposo.

Oh, l'infinito non è per noi credenti, qualcosa di vago o di indeterminato, come per i sognatori. L'infinito sei tu, mio Dio; tu, rifugio d'ogni pena, forza nell'impotenza, amore e fiamma nell'aridità. Il mio cuore vuole ascendere al suo nobile destino. So bene che tu mi hai legato al dovere, e che io devo, fino al momento supremo della chiamata, curvarmi sotto il fardello del lavoro, della sofferenza, della separazione, del disprezzo; ma domando le ali per ritemprare la mia energia e la mia volontà accanto a te, mio Dio! La stessa Chiesa mi stimola e m'incoraggia ogni giorno, ogni  ora, quando dai suoi sacerdoti fa cantare l'invito: Sursum corda; in alto i cuori!>>

O Dio onnipotente e Signore dell'universo, o <<Padre nostro che sei nei cieli>> (Matteo 6,9) concedimi le ali per salire alla dimora degli angeli nel cielo azzurro senza confini: per abbandonare questo mondo invischiato; per volare agli orizzonti dello spirito e del celeste amore e per ascendere lungi dalla terra del lutto, della morte e delle tempeste, per recare a te le mie lacrime e le mie preghiere.

Dammi le ali, o Dio, per sorgere dalla miseria, al di là degli astri, dove il dolore finisce e il cuore riposa per giungere dove tanti altri miei cari sono pervenuti prima di me, nel seno della speranza; per attingere il porto beato che ripara per sempre degli uragani, oltre la vita e oltre la morte: per la mia anima prigioniera che anela impaziente la liberazione  e l'estasi dell'eternità.     

Mi invita al cielo la voce della vera patria. Ab­brevia, o Salvatore, il tempo che ancora mi separa dal possesso del tuo regno dall'infinita beatitudine. Comunica anche a me il divino spasimo della tua serva Teresa per il paradiso, a compimento di questo mese sacro che ho voluto dedicare alla mia perfezione.

  Pensiero: <<Oh, il cielo, il cielo! Come lo desidero per vedere il volto di Gesù, contemplare eternamente la sua bellezza meravigliosa! Ma, in attesa, bramo assai il soffrire e l'essere disprezzata sulla terra>>.

  Giaculatoria: <<Che io divenga martire del tuo amore, mio Dio! Questo martirio, dopo avermi preparato a comparire davanti a te, mi faccia alla fine morire, e l'anima mia si slanci senza tardare nell'eterno amplesso del tuo amore misericordioso>>.

  Preghiera a S. Teresa come al primo giorno

 ESEMPIO - Temuta nemica del nemico di Dio.

P. Francesco Saverio di S. Teresa, carmelitano scalzo, nel suo libro: Storia di S. Teresa del Bambino Gesù, riporta: Il P.Anatolio Armando Flamerion della Compagnia di Gesù, che spende il suo ministero per la santificazione dei sacerdoti, attesta di aver udito dal labbro di alcuni ossessi, che egli esorcizzava, queste parole: <<da ogni tempo ti fu destinata Teresa. E' lei che dirige il  tuo braccio. Te l'ha data la Vergine….Teresa è l'angelo del tuo ministero presso i sacerdoti….Teresa è stata data, è tua…ella t’assiste sempre a motivo della tua missione sacerdotale.

Ed altre volle dichiarò che Teresa gli rapisce molte anime sacerdotali ... eccola la piccola Carmelitana, Teresa del Bambino Gesù, la rapitrice di sacerdoti….. Oh, quanti ne ha rapiti!

In riguardo poi della piccola via d'infanzia spirituale di Teresa, il demonio, costretto a dire il suo parere, l' ha detta <<suprema stoltezza>>! Il motivo che attirò il cuore di Dio verso la piccola Teresa: << fu perché Teresa era un'anima che si umiliava ... Un'anima annientata! Gesù viene e dimora in essa ... Un sacerdote che avesse  l’anima annientata salverebbe il mondo ... sarebbe un Cristo vivente!. .. Teresa ha raggiunto il sommo della stoltezza…perché?.. ella era piccola!>>.

 

Trentesimo giorno -  Cantico d’amore

 

 

 

 

 

 

 

I - Pervenuto all'ultimo giorno di questo pio esercizio, devo soffermarmi a riconoscere umilmente col santo Profeta <<che il Signore è buono e che eterne sono le sue misericordie>> (Sal. 112,l); perché egli si è degnato condurmi soavemente per mano dall'inizio al termine della pratica devota tutta indirizzata a vantaggio dell'anima mia.

Alieno da freddi  bilanci, mentre è tuttora in corso l'opera della grazia, non posso ancora stabilire quanti dei beni spirituali a lui domandati egli mi abbia generosamente concessi per sua bontà;  ma so di certo che molte di queste esortazioni e meditazioni fruttificheranno nel mio spirito col loro benefico seme, anche se il granello di senapa rimane momentaneamente a germogliare in segreto.

Ho seguito per tappe graduali lo svolgimento del­la dottrina teresiana, svariata nelle forme e negli accenti, ispirata e dominata incessantemente dal motivo dell'amore, della confidenza, dell'abbandono in Dio, e dal proposito di attuare questi tre sentimenti sull’unica direttrice della  piccola via d'infanzia spirituale. Oggi il serto profumato intessuto dalla serafina carmelitana, si chiude, e salda il suo breve giro con la trentesima rosa: lirica che compendia i palpiti teneri e sublimi d'un estasiato cuore verginale, e sale verso l'oggetto invisibile eppur presente della passione, come il canto dell'usignolo innamorato.

Un insegnamento condotto sul tema costante dell’amore sintetizzato l'ultima volta da Teresa del Bambino Gesù morente a 23 anni col supremo anelito delle parole <<Mio Dio, ti amo!>>, non può conchiudersi altrimenti che così. E' una professione di fede, uno stimolo d'opera, una mèta di vittoria, un testamento e una norma di vita.

Gesù mio, ti amo! Amo la Chiesa mia madre, e ricordo che il più piccolo moto di puro amore le è più utile di tutte le altre opere messe insieme. Ma il puro amore si trova egli veramente nel mio cuore? Questi desideri miei così sconfinati, non sono forse sogni e follia? Oh, se è così illuminami: io cerco, tu lo sai, la verità, Se i miei desideri sono temerari annientali in me, poiché essi sarebbero per l'anima mia il maggiore dei martìri. Eppure, lo confesso, se io non pervengo a quelle più elevate regioni verso le quali aspira il mio cuore, avrò sperimentato più dolcezza nel mio martirio e nella mia follia, di quella che godrò in seno alle gioie immortali; a meno che tu, per miracolo, non mi privi del ricordo delle mie ter­rene speranze. Gesù, Gesù, se è così delizioso il desiderio dell'amore, che mai sarà il possederlo e fruirne per sempre?

Come può un'anima così imperfetta al pari della mia, aspirare alla pienezza dell’amore? Che mistero è mai questo? E perché, mio unico Amico, non riservi questi desideri immensi alle grandi anime, alle aquile che si librano alle altezze supreme? lo non sono che un povero uccellino, e dell'aquila non ha che l'occhio e il cuore. Si, nonostante la mia estrema debolezza, oso fissare il Sole Divino dell'Amore, e bramo ardentemente di lanciarmi lassù fino a lui! Vorrei volare, vorrei imitare le aquile; ma l'unica cosa che io posso fare è di sollevare le mie piccole ali, non già di  spiegare il mio volo e di salire dove il desiderio  mi sprona.

Che sarà mai di me? Morirò forse di dolore alla vista dello mia impotenza? Oh, no, non me ne affliggo, e con audace abbandono, voglio restarmene qui fissando fino alla morte il mio Sole Divino. Niente potrà spaventarmi, nè il vento, nè la pioggia;  e se grosse nubi verranno a celarmi l'Astro d'Amore, se mi sembri che non esista altra cosa all'infuori della notte di questa vita, sarà allora il momento della gioia perfetta, il momento di spingere la mia confidenza fino ai limiti estre­mi, guardandomi bene dal mutar posto, sapendo  che al di là di queste nubi continua a brillare il mio dolce Sole.

Mio Dio! Ben comprendo così il tuo amore per me; ma tu lo sai, molto spesso io mi lascio distrarre dalla mia unica occupazione, m'allontano da te, bagno le mie piccole ali, appena formate, nelle misere pozze d’acqua che incontro su questa terra. <<Io gemo allora come la rondinella>> (Is. 38, 14), ed il mio gemito ti dice tutto, e tu ricordi, o misericordia infinita <<che non sei venuto a chiamare i giusti, ma i peccatori>> (Matteo 9,13).

 

II - Sul mondo sconvolto dalle rovine della guerra, sui lutti che ancora stendono il diaframma del dolore fra i nostri occhi stanchi di lacrime e il cielo delle divine promesse, echeggia tuttora l'esasperato clamore dell'odio. Le stimmate di Caino sono su tutte le nostre fronti, e invano qua e là tentano levarsi timidi appelli di pace, a ricordare per tutti i popoli grondanti sangue la comune ori­gine della stirpe umana.

Oh, non dimentichiamo le vie del Signore, se vogliamo che il Signore si ricordi di noi e abbia di  noi  pietà. Solo il ritorno all’amore può salvarci; solo sforzandoci di superare l’universale miseria con opere fraterne, e levando lo sguardo e le speranze a lui, potremo riconoscerci formati di unica sostanza, tutti oggetto dell’unica Redenzione.

Perciò, attuale sempre con la sua dottrina, Teresa del Bambino Gesù riprende con rinnovato ar­dore il suo insegnamento e mai come oggi la sua parola riassume il sentimento di coloro che sono disposti a  riavvicinarsi a Dio, per vincere la tragedia di quest'ora nel nome benedetto del Salva­tore, per riaffratellarsi nella solidale carità del cristianesimo.

Ascoltiamo l'apostola dell'amore. Dal deserto del pianto torniamo alla semplicità di Nazaret; dai tumulti dei conflitti torniamo alla confidenza di Betania; dall'errare sitibonda di vendette, dalle armi e dalle stragi, torniamo nel sereno cammino di Emmaus! ... Rinfràncati nella dimestichezza di colui che è mite e umile, presto ripeteremo: << Non ci ardeva forse in petto il cuore, mentre per strada egli ci parlava?>> (Luca 14, 32).

O Verbo, o mio Salvatore! Tu sei quell'aquila  che io amo e che m'attira. Sei tu che, lanciandoti verso la terra d'esilio, volesti soffrire e morire, per rapire tutte le anime, ed immergerle proprio nel centro della SS. Trinità, eterno focolare dell’amore. Sei tu che, risalendo verso la luce inaccessibile, te ne rimani in questa valle di lacrime celato sotto le apparenze d'una candida ostia, per nutrirci della tua sostanza. Gesù, lasciami dire che il tuo amore si spinge fino alla follia ... E co­me vuoi che il mio cuore, dinanzi a questa follia, non si slanci verso di te ? Come potrebbe la confidenza avere un limite?

Oh, per te anche i santi hanno commesso follie,  ed operato cose grandi, perché erano aquile! Ma io sono troppo piccina per farne, e la mia follia consiste nello sperare che il tuo amore voglia accettarmi quale vittima; la mia follia, consiste nel contare sugli angeli e i santi per volare fino a te, con le tue medesime ali, o mia Aquila adorata! Me ne starò quanto vorrai con l'occhio fisso su di te, poiché voglio essere affascinata dal tuo sguardo divino, e fatta preda del tuo amore. Un giorno, lo spero, tu piomberai sopra di me, trasportandomi nel focolare, dell’amore, e m'immergerai finalmente in quella ardente voragine, per rendermi vittima fortunata in eterno.

Perché non m'è dato narrare, o Gesù, a tutte le piccole anime la tua condiscendenza ineffabile? lo lo sento che, se per un caso impossibile tu non  trovassi una più debole della mia, ti compiaceresti di colmarla di grazie più grandi ancora, purché  ella si abbandonasse con piena fiducia alla tua misericordia infinita!

Ma perché queste brame di comunicare i tuoi segreti d'amore, o mio Diletto? Non sei stato forse tu solo che li hai a me insegnati, e non puoi tu forse rivelarli anche ad altri? Oh, sì che lo puoi, e ti scongiuro di farlo: abbassa, te ne supplico, lo sguardo tuo divino sopra un gran numero di umili anime; e voglia tu scegliere quaggiù una legione di piccole vittime, degne dell'amor tuo!

 

III - O Dio onnipotente, o eterno Re, di tutti i prodigi, o Sovrano inarrivabile di tutte le bontà, o Signore generoso di tutte le grazie, il cantico d'a­more della tua serafina è terminato, la sua tenera voce si è spenta; e nel vasto silenzio, mentre la melodia dell'angelo carmelitano da te eletto svanisce, è rimasta sulla terra quest'ultima, che tenta inutilmente di raccogliere e vivificare gli echi della sua musica celeste.

Nel pieno del suo giovane fiorire, la piccola Santa è partita verso il cielo rapita sopra il carro di fuoco dell'amore; ma nel separarsi dal mondo ha lasciato a noi il suo mantello pieno di verginali dolcezze e di sapienti indirizzi. Ha lasciato il suo esempio, la sua parola, la testimonianza della sua vita e della sua norma, da cui si alimentano sorgenti incomparabili di fecondità. Ella raccolse il tuo motto: <<Son venuto a portare il fuoco sulla terra e che voglio io se non che s'accenda?>> (Luca 12, 49), e ne fece una splendente bandiera, dietro il cui sventolare di fiamma inquadrò l'esercito adorante dei tuoi nuovi seguaci. Il suo insegnamento raggiunse e raggiunge innumerevoli anime, comunicando loro la divina favilla e attraendole nel magico cerchio d'una felicità prima sconosciuta.

lo pure, la mia anima, ultima sopraggiunta tra la folla: affascinata delle piccole anime, sono accorsa all'ardente richiamo della Sua voce, al misterioso messaggio che rivelava novellamente una verità dimenticata. Giorno per giorno, penetrando il segreto di quel suo immutabile sorriso, che celava le agonie del quotidiano martirio, ho volto la mente e il cuore allo studio e alla comprensione, delle sue virtù da imitare, meditandole sulla traccia delle sue preziose confessioni. Paziente e volenterosa, ho meditato per un mese, un poco alla volta indugiandomi nel lavoro interiore della mio riforma, senza peraltro ritornare tutto quel miglioramento di me stessa che avrei dovuto.

Tu vedi, mio Dio, affiorare ancora in me le scorie più ripugnanti, che inutilmente tento nascondere al­la tua indagine. E se ascoltassi solo la tua esigenza, distoglieresti da me i tuoi occhi per sempre. Però tu conosci anche che il mio desiderio di emendarmi è sincero, pur se la mia volontà si mostra cedevole e imperfetta. Sovvieni dunque tu, con la tua mise­ricordia e con la tua grazia, alle mie deficienze; rettifica le mie intenzioni, rafforza i miei propositi, correggi il mio metodo.

Fa che io rifugga dalle transazioni e dai mezzi termini; dammi la risolutezza necessaria ad otte­nere la mia totale trasformazione in te, elevandomi alla conoscenza privilegiata dal tuo amore e infiam­mandomi dello spirito di vittima che eccelse in Santa Teresa del Bambino Gesù, immolatasi a te per continuare meglio dal paradiso la sua missione.

E tu, piccolo fiore del giardino di Dio, che profumasti di tanta virtù il tuo rapido transito terreno, fa che possa imitarti, confortami col tuo stellante sorriso, concedimi le tue rose, mantieni anche a me le tue dolci promesse; affinché camminando per la tua <<piccola via>> io giunga alla perfezione e sia fatta degna dello stesso premio che tu godi in eterno.

Seguendo il tuo esempio, io scelgo e determino da oggi quello che sarà lo scopo generale della mia vita: santificarmi e santificare. Santificarmi con la pratica più assoluta e più confidente e più abban­donata dell'amore di Dio: santificare il mio prossimo con l'apostolato dell'azione caritatevole e col modello d'ogni mia giornata. Assistimi, piccola Teresa, col tuo patrocinio, e sollevami alla comprensione perfetta della tua dottrina d'amore, di rinunzia, di normalità, per apprendere io e diffondere a tutti la conoscenza del tuo mirabile segreto: <<l'infanzia dello spirito>>.

 Pensiero: <<L'amore può far tutto; le cose più impossibili sembrano facili e dolci. Nostro Signore non guarda tanto alla grandezza delle nostre opere, né alla loro difficoltà quanto all’amore con cui noi le facciamo>>.

  Giaculatoria: <<Mio Gesù, combatterò per amor tuo fino al tramonto della mia vita. Non avendo tu goduto alcun riposo sulla terra, voglio seguire il tuo esempio: io ardo di lavorare per la tua gloria>>.

  Preghiera a S.Teresa come al primo giorno.

  Esempio – la stella del Pontificato

Tutto il pontificato di Pio XI fu come irradiato da una bianca fulgidissima stella: S. Teresa del Bambino Gesù. Egli aveva proclamato: "La dottrina insegnata e vis­suta dalla Santa di Lisieux sarebbe sufficiente a realizzare quella riforma della società umana che abbiamo auspicato agli inizi del Nostro pontificato”. Al novello Papa la nuova eroina apparve sorridente e piena di grazia, dolce consolatrice, potente avvocata, guida devota. Egli ne fu il più grande glorificatore, e le affidò gli affari più spinosi, le angustie più gravi. E quando la sofferenza picchiò anche alla sua porta, e tentò di stroncare la sua immensa attività, il mondo intero ne fu sgomento.

Al Vaticano, dove tutti conoscevano la tenera devozione di Pio XI per S. Teresa del Bambino Gesù, si incominciò subito una novena, e il Carmelo di Lisieux vi si associò con un ardore che si può solo immaginare. Frequenti i telegrammi tra Roma e il lontano monastero: il Papa implorava preghiere, ringraziava delle grazie ottenute; il Carmelo faceva voti, assicurava di continuare nelle suppliche ... Il reliquiario della piccola Santa era accanto al letto dell'augusto infermo, e il Papa vi appoggiava confidente una mano nel momenti più dolorosi ...

Tutto sembrava perduto, la radio aveva già annunziato che la vita de1 Padre Comune sarebbe durata appena poche ore ancora ... quando una “rosa" cadde dal cielo, smentendo i medici, mutando l'ansia generale in gioia profonda. Due anni ancora il vecchio Padre doveva vivere, per intercessione di S. Teresa del Bambino Gesù; che poi lo accompagnò come  <<secondo Angelo Custode>> fino all’estremo trapasso, compiuto volgendo lo sguardo morente alla statua della piccola Santa.

La <<stella del Pontificato>>continua a irradiare la sua luce benefica su Roma e sul mondo, dopo aver prodigiosamente preservato il Carmelo di Lisieux dal grande tormento dello guerra, e Papa Pio XII - Eugenio Pacelli - scrive il 10 settembre 1945: << La sua missione però non è compiuta. Deve, anzi, prendere nuovo slancio col lavoro sovrumano che a tutti oggi s'impone, per dare ai nostri paesi devastati e rovinati, sia moralmente che materialmente, un'era di pace e di prosperità nell'ordine cristiano>>.

 

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