Il condominio degli edifici trae origine dalla comunione, regolata dagli articoli 1100 e seguenti del Codice Civile.
La
comunione è un diritto di proprietà su di un bene
spettante a più persone per cui ogni partecipante ad essa ha il
diritto di servirsi della cosa comune purché non ne alteri la
destinazione. Sempre però che anche gli altri possano fare
altrettanto.
La caratteristica essenziale della comunione è
rappresentata dal fatto che ogni partecipante ha pieno diritto di
godere di tutta la cosa comune e non soltanto in ragione della sua
percentuale di proprietà.
In altre parole se tre comunisti
(termine giuridico utilizzato per definire i comproprietari) sono
comproprietari di un bene come, per esempio, un cortile, e hanno
rispettivamente il 50%, il 30% e il 20% di proprietà, ognuno di
loro può servirsi pienamente del cortile e non solo del 20 o del
30 o del 50% dell’intero cortile.
La divisione in quote che
viene operata serve esclusivamente per stabilire le percentuali di
spese gravanti su ognuno e le percentuali di vantaggi economici
derivanti.
Nel condominio degli edifici avviene la stessa cosa. Se
si deve rifare la facciata o riparare l’ascensore o pavimentare
un terrazzo condominiale, ognuno paga la sua quota in base alla
percentuale stabilita dalle tabelle millesimali (ripartizione degli
oneri). Quindi chi è proprietario di un appartamento grande (con
una quota di millesimi elevata) pagherà più degli altri
pur non avendo il diritto di usufruire della cosa comune in misura
superiore agli altri condomini.
Una definizione di condominio non
esiste, ma è possibile ricavarla dalla lettura delle norme del
Codice Civile. Nel nostro ordinamento giuridico il condominio è
inserito nel libro terzo "proprietà", titolo VII "Della
comunione", capo I - Della comunione in generale e capo II - Del
condominio negli edifici. Altre norme sono contenute nelle
"Disposizioni per l'attuazione e transitorie (artt. 61-72)" dello
stesso Codice Civile. Esistono altresì numerose leggi speciali
che disciplinano la sicurezza degli impianti e altri aspetti che
interessano la vita condominiale. Dato l'esiguo numero di norme
civilistiche, la complessità della materia e il fatto che il
nostro Codice Civile sia stato emanato nel 1942, in materia
condominiale assumono un’importanza decisiva le sentenze emesse
dalla magistratura.
Per condominio può intendersi un
edificio-fabbricato nel suo complesso (non solo comunione di parti
comuni) appartenente a soggetti diversi con contitolarità di
parti comuni. La cosa comune rappresenta lo strumento per rendere
possibile il godimento del bene esclusivo; essa è un accessorio
delle proprietà esclusive dei singoli. La comproprietà
caratterizza il condominio, sebbene in quest'ultimo sia da individuarsi
come insieme di singole proprietà prima che comproprietà;
si tratta in sostanza di diritto di proprietà esclusiva,
collegato ad un diritto di comproprietà sulle parti che, per
ragioni strutturali o utilitarie, sono destinate a restare in godimento
comune.
Tuttavia fra la comunione e il condominio, inteso come
parti comuni, pur essendovi analogie e norme comuni si possono
evidenziare talune sostanziali differenze che ne fanno due cose
decisamente distinte.
Nella comunione è possibile la
divisione delle parti; il bene appartiene in comune a più
persone e il comunista può vendere la sua quota; per le
decisioni le maggioranze sono rappresentate dalle quote.
Nel
condominio di regola vige l’indivisibilità delle parti
comuni; le proprietà comuni sono strumentali alle
proprietà esclusive; il condomino non può vendere la sua
quota comune se non vende contemporaneamente il bene esclusivo; vige la
doppia maggioranza (per quote e per teste).
La costituzione del
condominio è automatica; coincide con il frazionamento
dell'edificio in proprietà plurime (non è necessario un
contratto specifico per far nascere un condominio).
Dal momento della creazione del condominio nascono automaticamente anche le parti comuni.
Nelle
moderne città ci si imbatte nelle problematiche relative a
grossi edifici, con numerose unità abitative, poste o meno in
edifici separati ma aventi in comune alcune parti.
Il condomino
è proprietario anche delle cose comuni in proporzione alla quota
millesimale relativa agli immobili posseduti. È assolutamente
necessaria quindi l’esistenza di un insieme di norme tese a
disciplinare l'uso delle cose comuni e a regolare i rapporti
patrimoniali dei comproprietari. Come per una società esiste lo
statuto, così per il condominio esiste il regolamento di
condominio. Esso può essere assembleare, quando è
approvato dall'assemblea di condominio con maggioranza espressa
dall'art. 1136 C.C. Tale tipo di regolamento non può contenere
divieti di destinazione, esoneri di spesa, speciali vantaggi a carico
di alcuni condomini, perché occorrerebbe il consenso unanime e
non la maggioranza indicata nell'art. 1136 C.C. Tale regolamento
può prevedere divieti di destinazione, purché sia
approvato all'unanimità (1000/1000).
Il regolamento
già esistente può anche essere modificato, ricordando
che, qualunque norma riguardante divieti di destinazione o agevolazione
nei confronti di un condomino deve essere approvata dall'intero
condominio. È buona norma che tutti i condomini si dotino di una
serie di norme costituenti regolamento di condominio. La legge ne
prevede l'obbligatorietà quando il numero di condomini e
superiore a dieci (art. 1138 C.C.). Occorre sottolineare che non
c'è alcuna sanzione per quei condomini che, avendo più di
dieci proprietari, non si dotano del regolamento di condominio.
Però, nel momento in cui almeno un condomino ne fa richiesta, si
deve provvedere a redigerlo facendosi aiutare da un tecnico. L'assenza
del regolamento di condominio comporta anche l'assenza delle "tabelle
millesimali". In genere, così come il regolamento, esse vengono
redatte dal costruttore, che si servirà di un tecnico abilitato.
È obbligatorio dotarsi delle suddette tabelle quando il numero
dei condomini è superiore a dieci, proprio come per il
regolamento. Il valore espresso per ogni unità immobiliare
indica la quota di cui si è proprietari.
Le tabelle
millesimali vanno approvate all'unanimità proprio perché
espressione di un vero e proprio contratto fra tutti i condomini.
Pertanto, qualsiasi delibera in merito, approvata con almeno un
dissenziente o assente, è nulla e impugnabile in qualsiasi
momento davanti all'autorità giudiziaria. L'approvazione delle
tabelle millesimali può però anche essere desumibile da
fatti concludenti, come il pagamento delle quote condominiali che si
basano su di esse, quando non si riscontrano errori, nel qual caso la
corrispondente delibera può essere impugnata. Il condomino che
agisce per l'illegittimità delle tabelle deve dimostrare
l'erroneità delle quote millesimali e la lesione del proprio
diritto. Nel caso contrario si finirebbe con l'ammettere delle
opposizioni di tipo ostruzionistico.
Una figura molto importante
è quella dell’amministratore di condominio, soggetto
incaricato dai condomini della gestione degli affari condominiali.
L'amministratore è amministratore del condominio e non dei
singoli condomini. Egli deve pertanto mantenersi al di sopra dei
singoli, perseguendo esclusivamente l'interesse del condominio,
ponendosi come garante del rispetto delle regole e come mediatore fra
le opposte esigenze dei condomini. L'amministratore è legato al
condominio da un contratto di mandato collettivo, risponde
all'assemblea e non al singolo condomino. L'amministratore non è
espressamente tenuto a mostrare o consegnare documenti al singolo
condomino, salvo i casi in cui ciò sia necessario (motivi
fiscali ecc.). I condomini possono prendere visione dei documenti di
spesa alcuni giorni prima della data fissata per l'assemblea che
approverà il consuntivo. Una volta approvato il consuntivo il
condomino non può contestare le spese, fatti salvi i casi di
impugnazione delle delibere.
Con la Finanziaria 1998 il condominio
è diventato sostituto d'imposta, in tale veste dovrà,
quindi, effettuare la ritenuta d'acconto sui compensi corrisposti ai
professionisti, ai lavoratori dipendenti e all'amministratore.
A
differenza della comunione pura, il condominio degli edifici è
costituito da un sistema misto composto da proprietà esclusiva e
comunione e cioè dai singoli appartamenti di proprietà
esclusiva e dalle parti comuni che servono a tutto l’edificio e
che vanno a formare il condominio vero e proprio.
Proprio dalla
comproprietà, dalle modalità d’uso, dalla
contribuzione alle spese delle parti comuni nascono i più
disparati motivi di contrasto.
Vediamo in dettaglio quali sono le parti comuni dell’edificio.
Secondo
quanto è disposto dal Codice Civile (art. 1117) per parti comuni
si devono intendere: in generale, tutte le parti che servono
all’uso comune, e, in particolare, il suolo dove sorge
l’edificio, le fondamenta, i muri portanti o maestri, i muri
perimetrali, i tetti, le scale, i portoni d’ingresso, i
vestiboli, i portici, i cortili, i locali per la portineria, per la
lavanderia, per il riscaldamento centrale, le opere di qualunque genere
che servono all’uso comune come gli ascensori, i pozzi, le
cisterne, gli acquedotti, le fognature, i canali di scarico e tutti gli
impianti (gas, luce, acqua) fino al punto in cui si diramano nei vari
appartamenti e quindi diventano di proprietà esclusiva dei
singoli proprietari. Anche i lastrici solari, qualora non siano di uso
esclusivo risultante dal titolo di acquisto, sono da considerare parti
comuni.
Il lastrico solare, in quanto parte terminale
dell’edificio avendo funzione di copertura e protezione dello
stesso, anche se in uso esclusivo ad un solo condomino, in mancanza di
un titolo da cui risulta l’esclusiva proprietà di questi,
è da considerare proprietà comune.
I balconi non
sono da considerarsi parti comuni, mentre lo è il rivestimento
dei frontalini dei balconi, per la funzione ornamentale e decorativa
per l’intero edificio.
Il
diritto sulle cose comuni di ogni condomino è proporzionato al
valore del piano o porzione di piano che gli appartiene a meno che il
titolo non disponga diversamente. In altre parole, la legge dà
un’indicazione generale sulla suddivisione del diritto di ogni
partecipante alla comunione, ma dà anche la facoltà di
determinazione dei criteri di valutazione. Solitamente si considera
1000 il valore dell’intero edificio e si procede alla
suddivisione, tenendo conto della superficie, in millesimi dei singoli
appartamenti, dei box, dei garage, dei negozi ecc. Nulla vieta
però, nella suddivisione in millesimi di competenza di ognuno,
di adottare un criterio di valutazione che tenga conto di altri fattori
quali la cubatura, l’esposizione al sole, il piano o altri
vantaggi esclusivi.
La legge dispone che, anche rinunciando al
diritto sulle parti comuni, il condomino è tenuto a partecipare
comunque alle spese di manutenzione e conservazione delle suddette.
Per
esempio, un condomino che non possiede la macchina e quindi non
usufruisce dell’eventuale area destinata al parcheggio delle
auto, pur rinunciando ai suoi diritti su detta area, è tenuto
ugualmente a partecipare alle spese. Naturalmente, se tutti i condomini
sono d’accordo, chi rinuncia al diritto può essere
esonerato dalla contribuzione alle spese.
I diritti sulle cose
comuni non vanno confusi con l’uso che ognuno può farne
secondo la regola generale sulla comunione (art. 1102 C.C.). Non vi
può essere nessuna limitazione al godimento di una parte comune
derivante dalla misura della quota condominiale.
Le
parti comuni dell’edificio sono indivisibili a meno che la
divisione non renda più agevole il godimento della cosa a tutti
i condomini.
L’assemblea dei condomini può deliberare la suddivisione di parti comuni.
Un
terrazzo sopra il tetto, per esempio, può essere diviso se tutti
i condomini ottengono vantaggi dalla suddivisione. Se uno solo di loro
ne riceve uno svantaggio ed è stato dissenziente o assente alla
riunione che ha deciso la suddivisione, la delibera assembleare
può essere impugnata per l’annullamento.