Altri Acuti



UN BRINDISI AL VELENO
di Nantas Salvalaggio

 Diffidate dei luoghi comuni. Non è vero che gli incontri politici sono sempre noiosi. Io ne ricordo uno insolitamente comico: fu una scena da vaudeville, casualmente sfuggita al protocollo delle cancellerie.
 La ‘colazione di gala’ italo-australiana era stata fissata per le tredici nella baia di Sydney, in una limpida giornata di sole, a bordo di una nave di proprietà dell’armatore Achille Lauro. Se i cronisti al seguito delle delegazioni avessero poi raccontato sui  giornali ciò che stava per accadere, i loro lettori ne avrebbero tratto un notevole divertimento. Ma a quei tempi le notizie sul Palazzo venivano filtrate, “decaffeinate”. Si aggiunga che i protagonisti della vicenda erano potenti e permalosissimi: dal presidente della Repubblica Giuseppe Saragat, socialdemocratico, al ministro degli esteri Amintore Fanfani, ‘cavallo di razza’ della Democrazia Cristiana. Correva l’anno 1967; quello che segue è inedito, rigorosamente documentato.
 Dunque il presidente Saragat era giunto in Australia da un paio di giorni, in una tappa di quel ‘giro del mondo della buona volontà’ che avrebbe dovuto diffondere, urbi et orbi, il suo pensiero illuminato. Al suo seguito si erano mossi ministri, ambasciatori, portaborse, suonatori di pifferi e giornalisti. Nel ventre del grosso aereo presidenziale era stato stivato ogni ben di Dio, dai filetti di manzo al caviale persiano, dal salmone affumicato allo champagne millesimato.
 Quella mattina salimmo dunque a bordo del transatlantico laurino, mi pare che si chiamasse Angelina, in onore della moglie dell’armatore. C’erano naturalmente Saragat, Fanfani, il premier australiano Robert Menzies, gli ambasciatori, le lor signore, più il consueto nugolo di attaché e imbucati di lusso. In tutto, un centinaio di persone.
 Il menù era eccellente, prelibati i vini. Tutto filò liscio fino alla terza o quarta portata, che era una sogliola alla mugnaia. Ma a questo punto si diffuse uno strano brusio nel vasto salone: chi ammiccava e chi si dava di gomito. Avevano sparso la voce che il brindisi sarebbe stato affidato a un senatore vanaglorioso e leggermente arteriosclerotico, di nome Fiorentino. Era amico personale di Lauro, e suo rappresentante ufficiale sulla nave.
 Ora tutti si rendevano conto del rischio che incombeva sulla cerimonia: Fiorentino amava lo champagne non meno del presidente Saragat, ma per sopra mercato soffriva spesso di vuoti di memoria. Per sua e nostra disgrazia, l’amnesia lo colpì proprio mentre alzava solennemente il calice. E fu una gaffe che nei circoli diplomatici australiani non si è ancora dimenticata.
 Ricordo perfettamente la scena: il grande tavolo delle autorità, le luci dei riflettori, il ronzio delle telecamere. Saragat era al centro, accigliato; alla sua destra il premier australiano Menzies e alla sua sinistra il ministro Fanfani. D’un tratto si staglia tra i commensali la figura alta ed elegante del vecchio senatore Fiorentino, noto leader monarchico. Dopo aver pronunciato le parole rituali, ‘ladies and gentlemen’, egli ha un attimo di esitazione, farfuglia. Infine alza il nappo a tutte le autorità che gli vengono in mente, dalla Regina Elisabetta d’Inghilterra, capo del Commonwealth, al premier Menzies, al ministro Fanfani, agli ambasciatori suoi amici. Cita perfino qualche bella signora. Ma dimentica il pezzo da novanta: proprio lui, l’ideatore del viaggio, il presidente della Repubblica, l’ombroso e suscettibile Peppino Saragat. Qualcuno se ne accorge, cerca di rimediare alla gaffe, e va a suggerire qualcosa all’orecchio di Fiorentino. Ma Fiorentino è anche sordo.
 Non basta. Uno dei giornalisti al seguito, lo scrittore e dirigente Rai Italo De Feo, è balzato dalla sedia e gatton gattoni è scivolato alle spalle di Saragat, suo amico di vecchia data:
 “Hai sentito, Peppino?” lo aizza: “Te l’hanno tirata bassa. Questo è un complotto monarchico!”
 Anche un bambino capirebbe che non c’è nessun complotto e che tutto dipende dal cervello ondivago e smemorato del senatore Fiorentino. Ma Saragat è di temperamento fumantino. E poi è arrivato al quarto o quinto bicchiere di Pommery. Breve, scoppia la scintilla. Non sembra vero a don Peppino di prendere cappello, di “difendere l’onore della patria repubblicana”. E senza dire né oh né boh, abbandona il salone e a balzelloni attraversa la passerella fino al molo, dove lo aspetta una Rolls-Roy lucente, con bandiera tricolore.
 Fanfani soppesa al volo la gravità della gaffe dell’esiziale  Fiorentino e le eventuali ripercussioni sui rapporti l’alleato australiano; perciò si leva di scatto e a passettini brevi e rapidi raggiunge Saragat, che sta seduto nell’automobile, nero come una maschera di carbone coke.
 Sentendo odore di bruciato, seguo a mia volta il Fanfani, insieme al collega Luca Goldoni; e da una certa distanza vediamo il nostro ministro degli esteri che disperatamente cerca di far desistere Saragat dai suoi propositi di vendetta.
 “Dai, su, Peppino.. ..” la brezza porta brandelli della voce accorata di Fanfani.
 Ma Saragat non batte ciglio, non sente ragioni. E qualche istante dopo la sua Rolls-Roy parte sgommando e sparisce dietro le gru del molo. A Fanfani non rimane che tornarsene mogio mogio a bordo della nave.
 Intanto i camerieri hanno continuato a servire i dolci, i liquori e i caffè, mentre gli invitati si andavano chiedendo: “E adesso, che succede? Come la prenderà il premier australiano?”
 Ebbene, a futura memoria occorre testimoniare che il primo ministro Robert Menzies si comportò con una classe ammirevole, che sottolineò ancora di più, se ce n’era bisogno, il livello miserabile delle nostre dispute.
 Quando un reporter dell’Agenzia Associated Press gli ha chiesto se avesse un’idea della improvvisa sparizione del presidente Saragat, lui ha risposto con il più serafico dei sorrisi:
 “Veramente non ne ho idea. Ricordo solo che il presidente Saragat, a un certo punto, mi ha invitato a bere un buon ‘espresso’ sul Ponte di Comando. Ma lei sa quanto sono grandi e labirintiche queste navi: a un certo punto ci si perde. Noi ci siamo perduti. Però il caffè era davvero squisito.