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HO DECISO, SCAPPO NEI MARI DEL SUD

di Nantas Salvalaggio

Aprile 1999

In principio fu il sogno. Una notte mi apparve lo scrittore Emilio Salgari, che insieme al suo eroe Sandokan stava pescando in riva a un isola dell' Oceano, tutta inghirlandata di palme, bananeti e alberi di cocco.
Caro Maestro lo salutatai con un doveroso inchino, Cosa fa lì, in esilio? Torni in Italia a ritirare i suoi cocpicui diritti d' autore! Il timido, scontroso Salgari fissò prima Sandokan, poi me. Infine disse:
 “Fossi matto. L’Italia è un paese di squali: se non ti spolpa l’editore, ci pensa il ministro delle Finanze. Beati i popoli dove i burocrati sono uccisi nella culla.”
 Salgari continuò a pescare in silenzio. Ma prima che la nave su cui viaggiavo si allontanasse (forse era il Titanic II) mi gridò facendo megafono con le mani:
 “Vieni qui tu, piuttosto. Finché sei in tempo!”
 Mi svegliai che era ancora buio. L’invito di Salgari era così spontaneo e caloroso, che prima ancora di farmi il caffè con la macchinetta andai a cercare sulle Pagine Gialle le agenzie di Turismo. Fra le tante a disposizione, mi colpì la foto a colori di un isolotto, del tutto simile a quello che avevo appena sognato. Lo slogan era stuzzicante: “Hai sentito parlare del Paradiso? Noi ti offriamo di meglio: l’atollo Moufushi, Oceano Indiano.”
 Telefonai al giornale che non mi sentivo troppo bene e andavo fare un check-up in clinica; ma intanto il mio pensiero galoppava mille miglia lontano dall’Italia, dal mio condominio, dalle infinite beghe della politica, delle tasse e della violenza metropolitana.
 All’agenzia turistica di Roma, che esoticamente si definisce Best Tours, una ragazza bionda mi sventagliò sotto il naso una serie di dépliant lussuosi e policromi e poi disse:
 “Lei vuole scappare da questo clima infame, suppongo.”
 “No” replicai. “Io non scappo dal clima, ma dalla persecuzione ambientale. Mi potrebbe trovare una capanna, un bungalow su quell'atollo che si chiama col nome di un sultano, Moufushi?”
 La ragazza consultò il computer, e dopo aver digitato per qualche istante, disse:
 “Abbiamo uno spazio libero dal 26 di questo mese, un venerdì. Vuole restarci una settimana o due?”
 “Se non disturbo, dissi, preferirei restarci per sempre.”
 La ragazza non fece una piega:
 “D’accordo, le farò un biglietto ‘one way’, solo andata. Non so ancora darmene una ragione, ma lei non è il primo che progetta questo tipo di vacanza senza ritorno.”
 Fece una pausa. Poi domandò:
 “Parte solo, o in compagnia?”
 “Se non ci sono ostacoli, viaggio con mia moglie” risposi: “A meno che lei non mi proponga un package tour alternativo e assolutamente irresistibile.”
 Sorrise: “Se l’occasione si dovesse presentare, le farò sapere. Per adesso scriva qui sopra il suo numero di telefono.”
 Tornato a casa, mi lasciai cadere sul divano del salotto a riflettere sulle conseguenze pratiche della mia drastica scelta. E mentre immaginavo la mia vita nel mezzo dell’Oceano Indiano, con la canna da pesca e un pareo attorno ai fianchi, provavo una sorta di piacere strano, il gusto sadico della vendetta. “Finalmente alzerò i tacchi e scapperò sotto il naso dell’esoso ministro del Fisco, il molto onorevole dottor Visco” borbottavo tra me e me. “Pianterò in asso un ambiente che ormai mi va stretto, dove la vita sociale è diventata quella che in America chiamano la “rat’s race’, la corsa del topo. Tutti a correre dentro scatole di plastica, fra nuvole di smog e piogge acide, verso la razione quotidiana della sbobba precotta e cellofanata.
 Ebbene, non mi vergogno di metterlo nero su bianco: sono sazio di questa corsa del sorcio, di questa Cayenna che non offre spazi alla ‘dolcezza del vivere’. Sono stufo di fare lo slalom fra la denuncia dei redditi a maggio, la rata dell’Ici a giugno, il conguaglio a ottobre, e le stramaledette gabelle sull’acqua, sull’immondizia e sul diavolo che li piglia. Senza contare le multe, le ganasce applicate proditoriamente da alcuni ‘bravi’ del Comune alle ruote della mia macchina per una sosta notturna davanti a un teatro o a una trattoria.
 Ne ho abbastanza, per dirla in sintesi, di lavorare sei mesi all’anno per questo Stato-Sanguisuga; non ne posso più di dover scrivere metà dei miei articoli, saggi o romanzi per mantenere una pletora di burocrati pigri e rapaci. Non era così ai tempi di Maupassant, di Carletto Dickens e di Gabriele d’Annunzio. I tempi cominciarono a farsi neri con il compianto Giovannino Guareschi, che fece più di un anno di carcere per un articolo.
 Dunque, è deciso, mormoravo dentro di me: scomparirò per tutti, a cominciare dai funzionari del ministero delle Finanze. Mi resterà solo un ultimo ostacolo: persuadere mia moglie Giò, detta confidenzialmente la Dogaressa, che è tempo di fare i bauli e migrare verso Est.
 Verso il crepuscolo sentii il rumore della chiave nella toppa: era lei, Giò, che tornava dallo shopping pomeridiano con un carico di buste di plastica color malva, verde foglia e rubino.
 Poiché era tutta pimpante, le domandai la ragione di un così sfrenato ottimismo. Disse, anzi cinguettò:
 “Ho comprato un abitino da sera che è un bijou. Lo metterò per la festa dei Ghiringhelli.”
 La mia faccia era dura, incapace di sorridere. Allora lei disse:
 “Ma caro, che significa questo muso da funerale?”
 “Penso a questa vita da gallinacei in gabbia, ci si chiede solo di produrre uova d’oro, per poi finire nel pentolone di Natale.”
 “Dio mio, quando sei cupo, tesoro. Cos’hai mangiato a pranzo che ti è rimasto sullo stomaco?”
 A questo punto giocai la scena-madre: mi inginocchiai sul tappeto finto-Bukara, le presi la mano quasi violacea per il gelo, e con un tono drammatico improvvisai una perorazione ultimativa:
 “Giò, tesoro mio: ho il sospetto che stiamo bruciando gli anni migliori della nostra vita. Le città sono diventate giungle d’asfalto, camere a gas; tra poco dovremo uscire di casa con il mitra sotto il cappotto, per difenderci dalle cosche dei malviventi multietnici. Che senso ha tutto questo?”
 Mia moglie mi scrutò con un misto di stupore e preoccupazione:
 “Caro, ti senti bene? Come mai ti lasci prendere dalla depressione tutto d’un tratto?”
 “Gutta cavat lapidem” mi scappò di declamare. “Dai e dai, anche il marmo si rompe. Volevo solo proporti un mutamento di clima, un ricambio di abitudini: per esempio, una lunga vacanza dove non ci siano più problemi di ordine pubblico, di smog, di elezioni a ondate successive, di timbri lacci e lacciuoli.
 “Lo sai che alle vacanze non dico mai di no. Ma per quanto tempo, caro?”
 “Pensavo alle Maldive, un trasferimento di due, tre anni. Tanto lo sai che laggiù la vita costa pochissimo; e lì sarò in grado di produrre le mie novelle o favolette. Vorrà dire che tenterò di riprendere l’avventurosa saga di Salgari. Invece dei ‘Tigrotti della Malesia’, scriverò ‘Le Tigrotte delle Maldive.”
 Lo pupille di Giò diventavano torbide e fosche, perdendo quel colore ambrato dei suoi momenti migliori:
 “Tesoro, tre anni alle Maldive! Sarai mica matto? E io, che cosa ci faccio, la domenica pomeriggio? Lo sai quanto tenga ai miei tornei di bridge.”
 “Se è per questo, formeremo un club di bridgisti indigeni” provai a consolarla: “Gireremo con i nostri mazzi di carte da un atollo all’altro. Mi dicono che i locali sono assai svegli, abili, e più che disposti a imparare i giochi dell’Occidente”.
 Giò lasciò cadere la borsa di coccodrillo sul tappeto, portò le mani alla fronte e sibilò:
 “Caro, dimmi la verità: c’è qualcosa che non so, che non vuoi dirmi? Ti sei messo in qualche pasticcio con la legge?”
 “Ma no, ma cosa ti viene in mente.. .. Io voglio solo un po’ di pace, un cambiamento di clima e di paese. E poi non sono l’unico che va in cerca di tranquillità in luoghi incontaminati. Pensa a Gauguin, per esempio, che scappò a Tahiti: pensa a Rimbaud, a Lawrence d’Arabia. E poi è scappato anche il mio vecchio amico, Arnoldo Foà.”
 “Ecco, ti manca solo il turbante di Lawrence. E il cavallo berbero per attraversare il deserto. Caro, dimmi che stai solo scherzando!”
 “No, tesoro, io non scherzo. Sono anzi andato in un’agenzia di viaggio e ho prenotato due biglietti per l’isola di Moufushi, si parte il 26 di questo mese, un venerdì notte.”
 Con uno scatto d’ira che non prometteva niente di buono, mia moglie raccolse la borsa da terra e disse:
 “Vuoi sapere come la penso, davvero ti interessa conoscere il mio parere? Intanto parti tu, caro: poi vediamo come ti trovi in questa Moufushi, o come diavolo si chiama l’isola. Se non ti stanchi dopo due settimane, come temo, allora farò le valigie pure io e proverò a seguirti in questa tua strampalata avventura.”
 Detto questo, Giò si ritirò nella sua stanza; e allora capii il prezzo che paga ogni uomo libero quando fa una scelta radicale e coraggiosa. D’altra parte - non presumo certo di fare paragoni –questo medesimo struggimento l’hanno già provato i grandi viaggiatori come Cristoforo Colombo, prima di cercare l’America; o Charles Augustus Lindbergh, detto ‘Aquila Solitaria’, quando volò senza scalo da New York a Parigi sul suo piccolo monomotore. Non si erano certo portata la moglie appresso. Le donne sono come i gatti, sospettose e sedentarie: non amano abbandonare la propria tana.
 Così l’indomani mi recai di nuovo all’agenzia e pagai la caparra, confermando alla ragazza la mia decisione di partire in volontario  esilio: lei mi mostrò la foto di un bungalow in riva al mare, con bagno, doccia e angolo cucina. E mi donò, come talismano, un santino di Padre Pio.
 Le dissi, a titolo di pura curiosità:
 “Ma è vero quello che mi accennava l’altro giorno? Voglio dire, quanto sono numerosi quei miei concittadini che hanno deciso di togliere le tende e di fuggire in qualche isola remota?”
 “Più di quelli che lei immagina” sorrise enigmatica la ragazza: “E se il trend prosegue a questi ritmi, gli atolli delle Maldive rischiano di essere affollati, anche se ben frequentati.”
 La cosa mi intrigava parecchio, anche dal punto di vista della pura cronaca.
 “Non che voglia mettere il naso nei suoi segreti d’ufficio” dissi, “ma mi può almeno descrivere il tipo di aspiranti esuli che danno un taglio agli affari e volano via?”
 “Lei troverà laggiù la gente più varia e insospettabile” disse: “Per esempio, il proprietario di una catena di negozi di dischi: dice che ne ha abbastanza della musica che suonano i pifferai dei partiti, e vuole silenzio, tanto silenzio. Poi c’è un attore del Piccolo Teatro (ma non mi chieda il nome); c’è una famosa sarta, o stilista, come oggi si dice. E, dulcis in fundo, le confesserò che è venuto a prendere informazioni anche un politico, sottosegretario dell’attuale governo. M’ha confessato che prevede burrasca, le istituzioni cigolano, e allora lui prende le opportune misure per una vecchiaia sotto cieli miti."
 Ci salutammo. Sulla via di casa mi fermai in una libreria, volevo acquistare i famosi dieci libri da portare nel bauletto. Il primo che m’è capitato sotto gli occhi è “Amleto”, di Guglielmo Scuotilancia (traduzione letterale di Shakespeare): ho scoperto che è lui il mio vero eroe, il pallido e indeciso bipede che più mi somiglia.