Altri Acuti


   SETTIMANALE ‘OGGI’ – MILANO

“PERCHE’ SGANCIANO BOMBE E NON PANE?”

Risponde Nantas Salvalaggio

 Non è una semplice domanda, è l’uovo di Colombo. Chissà quanta povera gente se l’è già posta, soprattutto lungo le disastrate, accidentate strade del Kosovo: “Come mai i tecnocratici, umanitari generaloni della Nato e del Pentagono non hanno pensato ad un cristiano fifty-fifty? Per esempio, metà aerei da destinare ai bombardamenti contro il tiranno Milosevic, e l’altra metà per dirottare soccorsi sulle colonne dei profughi.” I quali profughi – ormai lo sanno anche le ultime tribù della Terra del Fuoco - camminano da settimane nel freddo dei boschi, lungo i viottoli infangati delle valli, mitragliati dalle truppe serbe e tormentati dalla fame.
 Posso immaginare quante volte quegli sventurati fuggiaschi avranno girato gli occhi al cielo, in attesa di un segnale di conforto, una manciata di piccoli paracadute con appesi dei sacchi di pane, salame e cioccolato, più qualche tubetto di aspirina per i vecchi e i bambini che marciano con la febbre addosso.
 Dopotutto questa idea di rifornire di viveri e medicinali le popolazioni in difficoltà non è neppure nuova: durante la seconda guerra mondiale, gli aerei inglesi e americani facevano dei lanci notturni di provviste (cibo e armi) sulle postazioni dei partigiani che lottavano contro i soldati tedeschi. Erano missioni insieme strategiche e umanitarie, compiute da piccoli aerei che non dovevano affatto bombardare, ma solo soccorrere le disperate e affamate formazioni dei guerriglieri alla macchia e le loro famiglie. Queste missioni erano annunciate da messaggi speciali, molto misteriosi in apparenza, sulla lunghezza d’onda di Radio Londra. Me ne ricordo ancora qualcuno, diceva press’a poco: “La neve è rossa”, oppure “I cammelli vanno lontano”.
 Non appena la radio britannica emetteva quel sospirato annuncio, i partigiani si ponevano di vedetta, e nelle notti senza luna aspettavano che scendessero quei bianchi cappucci di seta – i paracadute - che dondolavano nel vento e talvolta si impigliavano nel fitto di una boscaglia.
 Mentre finisco di scrivere queste righe, mi auguro che arrivi una telegrafica, risentita risposta da qualche portavoce di Bruxelles, nella quale si dica in buona sostanza: “Ma cosa dite mai, cari e disinformati chiacchieroni? I nostri lanci di viveri sulle colonne dei profughi kosovari sono in atto da molte ore, anzi da giorni. Come mai non ne avete ancora parlato sui vostri giornali?”