Nicla Niero
La Modificabilità Cognitiva

conseguenze per l'apprendimento

Tesi di Laurea
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CAPITOLO III

LA TEORIA

3.1 LA MODIFICABILITA’ COGNITIVA STRUTTURALE

MODIFICABILITA’

STRUTTURALITA’

COGNITIVITA’

3.2 LA MEDIAZIONE COGNITIVA

3.3 BASE TEORICA DELLA MODIFICABILITÀ COGNITIVA STRUTTURALE

3.4 IL DOCENTE MEDIATORE

3.5 I CRITERI DELLA MEDIAZIONE

3.6 FUNZIONI COGNITIVE

3.7 LA PRASSI

3.8 VALUTAZIONE DINAMICA DEL POTENZIALE DI    APPRENDIMENTO - LPAD

3.9 IL PROGRAMMA DI ARRICCHIMENTO STRUMENTALE - PAS o Instrumental Enrichment Program

3.10 CREAZIONE DI AMBIENTI MODIFICANTI ME Modifing Enrironments

3.11 LA REALIZZAZIONE DELLA MODIFICABILITA’ COGNITIVA

La professionalità del docente

Scuola - famiglia - territorio - rete di sostegni

 

 

 

3.1 LA MODIFICABILITA’ COGNITIVA STRUTTURALE

Il movimento dell’educazione cognitiva si è affacciato al panorama pedagogico della seconda metà del nostro secolo una ventina di anni fa, anche se le prime sperimentazioni risalgono all’immediato dopoguerra.

Attualmente i metodi e i programmi che si riconoscono nei presupposti essenziali di questo movimento si sono diffusi un po’ ovunque: in ambito scolastico, nella didattica rivolta ai portatori di handicap, negli interventi di recupero, nella formazione professionale, all’interno delle aziende, nei centri di alfabetizzazione, nelle carceri e anche in alcuni centri di prevenzione dei decadimenti cognitivi in età avanzata. Gli autori che si riconducono all’area dell’educazione cognitiva considerano possibile modificare e migliorare i processi di pensiero attraverso il potenziamento delle funzioni cognitive ad essi sottese.

Uno degli obiettivi comuni a tutti i programmi di questo tipo è apprendere a pensare, imparare ad imparare.

Obiettivo che già Platone[45] ascriveva all’educazione[46] il compito di formare lo spirito, abituare cioè il discente ad intendere non semplicemente a sapere[47]. Autori a noi vicini come Itard, Seguin, Montessori, condividevano la convinzione che l’intelligenza fosse educabile.

E’ Feuerstein nel 1990 che conia l’espressione Modificabilità Cognitiva Strutturale e fa di questo concetto il perno teorico del suo programma.

La convinzione di fondo è che l’organismo umano, in particolare le strutture neuronali, siano plastiche, dotate cioè di naturale flessibilità, il che rende possibile, in certe condizioni, una loro modificazione e un conseguente potenziamento del comportamento cognitivo di cui non possiamo prevedere a priori entità e sviluppo.

Feuerstein ha una base teorica molto solida poiché essendo stato allievo di Piaget e conoscitore di Vygotskij, ha operato una sintesi coerente per presentare il percorso verso l’apprendimento significativo, facendo da ponte ai suoi maestri e le figure attuali tra cui J. Bruner[48]

In questa prospettiva l’intelligenza non si configura come una serie di tratti ereditati geneticamente immutabili e responsabili del comportamento caratteristico di ogni persona.

MODIFICABILITA’

L’intelligenza è definita piuttosto come propensione dell’organismo a modificarsi, nella sua struttura cognitiva, in risposta al bisogno di adattarsi a nuovi stimoli, sia che questi siano di origine esterna o interna. Ciò non significa negare la componente genetica che caratterizza le intelligenze individuali, ma negarne il carattere di  staticità, di fissità.

L’approccio con cui si avvicina allo studio dell’uomo è di tipo dinamico: il comportamento umano è inteso come la risultante di diversi “stati”, in cui viene a trovarsi di volta in volta l’organismo sollecitato da vari stimoli, e non come un prodotto prevedibile di “tratti” determinati dalla sua costituzione.

In questi “stati” la dotazione genetica è una delle componenti sulla quale però si sovrappongono molte altre variabili che rendono diverso uno stato dall’altro e differente la qualità della risposta cognitiva individuale.

Secondo Feuerstein modificare l’intelligenza è necessario e possibile.

Necessario poiché i cambiamenti che si producono nel mondo sono tali che anche un individuo molto intelligente deve adattarsi, deve utilizzare il proprio pensiero per apprendere cose nuove;  possibile, in quanto è sperimentalmente provato che in base all’elemento cognitivo, l’individuo è capace di modificarsi e modificandosi di cambiare anche il fattore motivazionale, energetico, affettivo che costituisce aspetti essenziali ed unitari della stessa persona.

Per capire come sia possibile agire per ottenere tale modificabilità, bisogna affermare come le caratteristiche di plasticità e di flessibilità dell’essere umano derivino da S. Freud, J. B. Watson, B. Skinner e J. Piaget.

Sigmund Freud ha cercato di studiare il sistema di difesa  di un essere umano in situazioni di pericolo, proponendo due modalità: quella alloplastica e quella autoplastica.

La modalità alloplastica è una difesa aggressiva  quando ad esempio l’individuo è attaccato da un agente esterno e cerca di neutralizzarlo (ad esempio riscaldando l’ambiente contro il freddo).

Questa modalità ha modificato il mondo intero, rispondendo al bisogno dell’uomo di difendersi dai pericoli che lo circondano.

La modalità autoplastica è illustrata ampiamente negli studi degli insetti che, se minacciati da un pericolo che non possono vincere, fingono ad esempio di essere morti.

Questa capacità, utilizzata a livello intellettuale, produce la modificabilità cognitiva  strutturale, poiché l’autoplasticità dell’essere umano è il fattore di adattamento con cui si è difeso quando non ha potuto attaccare il nemico o eliminare il pericolo, e che lo ha costretto a diventare plantigrado, liberando le mani, con cui ha vinto la forza di gravità ad esempio.

STRUTTURALITA’

Il concetto di strutturalità è il secondo punto su cui si basa il concetto di Modificabilità Cognitiva Strutturale poiché non è sufficiente indurre un cambiamento: affinché vi sia apprendimento occorre che la modificazione sia strutturale, cioè profonda.

Le caratteristiche di un tale processo sono: la presa di coscienza, l’interiorizzazione delle relazioni tra “parte” ed “intero” dove per parte si intende il meccanismo che consente di gestire l’intero.

Autoregolazione ed automantenimento del processo possibile mediante ancoraggio a funzioni e a processi preesistenti che vengono espanse dalla nova acquisizione mediante i suddetti collegamenti a doppia via, fornendo contestualmente l’appiglio necessario perché la nuova funzione si radichi.

La modificabilità degli individui è possibile anche per altri motivi  ad esempio dal fatto che solo l’uomo ha due tipi di apprendimento, due modalità di interazione  con il mondo degli stimoli.

La prima è sostenuta dalla teoria comportamentista, esemplificata nel modo più radicale dallo psicologo statunitense Watson[49] (1878-1958) secondo il quale, i cambiamenti che si producono nell’individuo sono dovuti alla relazione stimolo-risposta (S-R).

L’organismo sente uno stimolo, reagisce, c’è una dipendenza tra gli stimoli e le risposte che condizionano, orientandolo, l’apprendimento.

Il soggetto impara che ad un determinato stimolo bisogna rispondere ad un certo modo e a loro volta determinate risposte creano altri stimoli.

Gli stimoli esigono una risposta: in questo modo si spiega lo sviluppo della mente umana.

Il modello comportamentistico originario, nella sua classica formulazione   watsoniana, ha dato luogo ad una profonda revisione teorica e concettuale approdata al neocomportamentismo, che introduce tra lo stimolo e la risposta l’insieme dei determinanti fisiologici e biologici espressi dall’organismo come afferma B. Skinner[50].

Si passa quindi dallo schema S-R allo schema S-O-R, dove O è appunto l’organismo.

Non bisogna quindi considerare solo gli stimoli, le risposte e la loro relazione, ma anche l’attività dell’organismo.

Queste due scuole di pensiero, però secondo Feuerstein non considerano il fatto che l’essere umano ha bisogno di più di questo.

Non è sufficiente prendere l’individuo, metterlo davanti ad una serie di stimoli ricchi e variati e farlo apprendere dalla semplice esposizione a tali stimoli.

Piaget[51] ha sostenuto che il bambino può interagire  direttamente e attivamente con l’ambiente, ma per Feuerstein questo non è sufficiente: tra lo stimolo e l’organismo, così come tra questo e la risposta, egli inserisce un mediatore, un uomo che con la sua  affettività, emotività ed impegno verso il bambino faccia in modo di selezionare gli stimoli, catturare l’attenzione, mantenere vivo l’interesse e la motivazione, creare situazioni in cui egli sia portato a richiedere la mediazione. 

Allo schema S-O-R Feuerstein aggiunge quindi una variante sostanziale, quella del mediatore, trasformandolo in S-M-O-M-R.

Il mediatore interponendosi tra lo studente e gli stimoli che lo colpiscono e modificandoli, creerà in esso caratteristiche e condizioni che gli permetteranno, in seguito, di comprendere meglio gli stimoli che lo colpiranno direttamente, innescando processi cognitivi.

In quest’ottica, l’interesse dell’educatore non si rivolge tanto a ciò che l’allievo sa fare, alla valutazione qualitativa della sua intelligenza, ma a tutte quelle condizioni che possono indurre un’evoluzione: è il processo di cambiamento e di apprendimento che balza in primo piano: in quali aree si realizza maggiormente, quali i fattori che lo stimolano o lo rallentano, come promuovere l’espansione ad altri ambiti, a quali condizioni il progresso rilevato si consolida e si autoimplementa.

E’ evidente la portata euristica di questo approccio, rispetto a quello di tipo psicometrico in particolare quando si tratta di prevedere le possibilità future del soggetto sulla base del comportamento cognitivo osservabile nel presente.

COGNITIVITA’

La terza caratteristica  della teoria della modificabilità cognitiva strutturale è la cognitività intesa secondo il concetto olistico, globale, in cui un individuo viene visto come un insieme, includendo anche gli aspetti affettivi e neuromotori, quindi l’intento non è un intervento isolato sulle funzioni cognitive ma, essendo queste per Feuerstein fondamentali per tutte le altre funzioni, utilizzare l’accesso cognitivo come semplice punto d’ingresso per poi coinvolgere gli altri versanti.

Secondo questo approccio olistico per esempio, anche un problema neuromotorio risente fortemente della componente cognitiva e pertanto il recupero di uno schema motorio o la sua ottimizzazione non possono essere gestiti meccanicamente, passivamente, ma vanno inseriti  in un contesto di cognitivizzazione, attenzione, concentrazione, motivazione.

Nonostante sia stato possibile dimostrare scientificamente lo sviluppo di anastromizzazioni neuronali nel cervello di  soggetti esposti a determinate condizioni, Feuerstein continua a presentare la teoria della modificabilità cognitiva come si trattasse di un postulato perché vuole sottolineare al di là di ogni prova razionale che solo chi è fermamente convinto che ogni individuo può oltrepassare lo stato in cui si trova al presente e camminare nella direzione dello sviluppo del suo potenziale, saprà creare le condizioni perché ciò avvenga realmente, realizzando nel contempo l’essenza del suo ruolo di educatore (e-ducere: portare fuori, portare oltre ...).

E’ evidente come questa convinzione giochi un ruolo fondamentale nel portare a compimento la profezia in essa implicita.

Per questo nell’enunciare il postulato che sta alla base della teoria di Feuerstein, è da sottolineare l’importanza determinante del sistema di convinzioni dell’educatore.

1° postulato

L’essere umano, qualsiasi sia la sua condizione di base, è modificabile strutturalmente

La modificabilità strutturale è considerata una caratteristica attinente alla natura stessa dell’uomo e tale da potersi realizzare anche in presenza di ostacoli normalmente ritenuti insormontabili quali:

a) l’eziologia della carenza

b) l’età del soggetto

c) l’entità della deprivazione

a) Per quanto riguarda il primo punto, la dotazione genetica non è ritenuta determinante nello sviluppo cognitivo. Anomalie cromosomiche, lesioni organiche peri e post natali, ambienti di vita particolarmente deprivati affettivamente e culturalmente incidono pesantemente sull’evoluzione mentale del soggetto, ma non tanto da bloccarne la propensione a modificarsi quando gli vengono offerte le condizioni ottimali per il suo sviluppo.

Feuerstein[52] ha ampiamente documentato in Israele come decine di giovani adulti affetti da sindrome di Down e insufficienza mentale, connessa ad altre patologie organiche, si siano arruolati come volontari nell’esercito per l’espletamento di funzioni di supporto.

La loro situazione di partenza era caratterizzata da tutte quelle difficoltà che normalmente si associano a determinate condizioni cromosomiche che comportano ipotonia, bradilalia, bradipschia, ma Feuerstein sostiene che “queste difficoltà non hanno avuto l’ultima parola”.

b) Il secondo ostacolo che di solito si oppone all’ipotesi della modificabilità cognitiva è l’età e la teoria dei periodi critici[53], che indica alcune fasi privilegiate nel corso dello sviluppo umano, al di là delle quali certi apprendimenti non possono realizzarsi.

Nella prospettiva della pedagogia cognitiva si parla invece di periodi ottimali, non critici, durante i quali gli apprendimenti sono effettivamente facilitati da un’adeguata maturazione del Sistema Nervoso Centrale e da una notevole plasticità delle sue strutture.

Tuttavia se è vero che l’avanzare dell’età riduce la flessibilità dell’individuo e tende a cristallizzare il comportamento, è altrettanto vero che in questa fase possono intervenire fattori che giocano un ruolo compensativo sulle possibilità di apprendimento, quali per esempio: la maggiore esperienza accumulata, una forte consapevolezza dei propri bisogni formativi, un conseguente aumento della motivazione e dell’atteggiamento di collaborazione con l’insegnante; elementi che mancano nelle fasi precedenti e che controbilanciano gli effetti dell’età sulle strutture neuronali, ritenuti comunemente determinanti.

c) per quanto riguarda l’entità della deprivazione del soggetto il livello del suo  deficit, di qualsiasi natura esso sia, è opinione comune che in presenza di carenze molto profonde l’individuo sia incapace di modificarsi, perché si associa all’idea di modificazione quella di cambiamento di grande portata, ignorando che anche un microcambiamento può essere di natura strutturale.

Gli elementi che distinguono e caratterizzano una modificazione strutturale sono:

1) Una forte relazione fra la parte ed il tutto;

2) Una maggiore propensione dell’individuo ad essere coinvolto in processi di cambiamento;  

3) La natura autoperpetuativa e autoregolatrice del cambiamento stesso.

 

1) Un cambiamento non è strutturale quando investe solo un settore senza contagiare di sé altre funzioni o sistemi.

Un bambino che ha imparato la tecnica della lettura ha sicuramente realizzato un cambiamento evidente; ma questo non può considerarsi strutturale se si limita alla capacità di collegare lettere e sillabe, senza portare allo sviluppo di funzioni vicine, che a loro volta possono diventare i prerequisiti per altre operazioni mentali, come per esempio il bisogno di confrontare, di cercare relazioni fra elementi, l’uso dell’analisi e della sintesi, una maggiore motivazione nei confronti della lettura ecc.

Non stimola la modificazione strutturale, in sostanza, l’intervento che si limita all’addestramento di alcune funzioni-bersaglio senza curarsi di rendere più plastiche, più disponibili alla modificazione anche le strutture limitrofe, per prepararle ad altri apprendimenti.

2) Parallelamente l’individuo che sta mobilitando con profitto le sue funzioni cognitive, appare più disponibile di quanto non lo fosse in precedenza ad essere implicato in processi di apprendimento, oppone minori resistenze nei confronti della novità, del cambiamento.

E’ ovvio che tale valutazione va fatta in rapporto alla situazione precedente dell’individuo e non agli standard prevedibili per la sua età.

 3) L’autoperpetuazione del cambiamento è la tendenza a conservare nel tempo l’acquisizione realizzata, anzi, ad implementarla autoregolandone l’estensione a tutti quei contesti in cui è possibile trasferirla, al di là del campo specifico in cui l’acquisizione è avvenuta.

Quando dunque un cambiamento, anche di piccole dimensioni soddisfa in gran parte le condizioni sopra descritte abbiamo buone probabilità che si tratti di una modificazione strutturale.

Se per esempio un soggetto cerebroleso e fortemente autistico, incapace di riservare attenzione a stimoli esterni, comincia a seguire fugacemente con lo sguardo il movimento intenzionale della mano di un educatore, ci si trova di fronte ad un microcambiamento; se poi questo si ripete più frequentemente e si estende ad altri oggetti manipolati dall’educatore, ad altre figure presenti nell’ambiente, il microcambiamento osservato ha buone probabilità di diventare strutturale, riflettendo in questo modo una modificazione nel soggetto delle modalità di interazione con il mondo.

La modificazione strutturale riguarda non tanto la quantità dei contenuti appresi, quanto la modalità con cui si affrontano gli apprendimenti.

Dal 1° fondamentale postulato sopra enunciato ne derivano altri che offrono, a chi si trova a far conti con la difficile arte di insegnare, altrettanti spunti utili di riflessione.

2° Postulato

Non solo l’essere umano nella sua definizione astratta è modificabile, ma anche l’individuo con cui io (genitore, educatore, insegnante) mi trovo ad interagire lo è.

Non si ammettono eccezioni al principio della modificabilità umana. Un educatore, nonostante l’entità dello sforzo che la sua azione richiede, nonostante la natura delle difficoltà del discente e le resistenze che questi oppone al cambiamento, non è legittimato a pensare che un particolare soggetto non sia modificabile.

3° Postulato

Io (genitore, educatore, insegnante) sono in grado di realizzare le condizioni perché questa persona si modifichi.

L’educatore non può scoraggiarsi, escludersi dall’essere agente del cambiamento, perché deve essere ben consapevole delle metodologie di cui può disporre per stimolare la modificazione.

L’educatore può delegare ad altri esperti dotati di uno stile più consono un soggetto in difficoltà, ma occorre considerare gli effetti psichici in individui già problematici.

4° Postulato

Posso modificare il mio approccio caratteristico per rivolgermi ad individui diversi.

Questo enunciato è una diretta conseguenza del 3° e rende evidente come la modificabilità dei soggetti in formazione passi attraverso la capacità di modificarsi degli stessi educatori.

5° e ultimo postulato

L’ambiente, l’opinione pubblica, la società sono anch’essi modificabili

Occorre separarsi dall’idea che sistemi così complessi siano inaccessibili al cambiamento, qualsiasi intervento educativo si realizza in un ambiente sociale ed è influenzato dai valori che lo permeano.

Se questi sono fortemente in contrasto con i postulati su cui si basa l’azione educativa, il suo esito potrebbe essere fallimentare o scarsamente duraturo.

E’ necessario allora procedere a piccoli passi, ma non rinunciare alla possibilità di cambiare, anche in modo limitato, il contesto in cui si opera.

Feuerstein da anni studia con la sua equipe la costruzione degli ambienti modificanti.   

3.2 LA MEDIAZIONE COGNITIVA

Nella prospettiva di Feuerstein e della pedagogia cognitiva in generale, la modificabilità cognitiva strutturale si realizza a condizione che l’individuo possa fruire di Esperienze di Apprendimento Mediato E.A.M. Mediated Learning Experience MLE.

La mediazione come viene proposta da Feuerstein è la relazione tra un sapere e colui che apprende.

Secondo questa teoria, non è la dotazione cromosomica di cui la persona dispone né la maturazione delle sue strutture nervose a determinare il livello di apprendimento che essa può realizzare, ma è la qualità della mediazione che viene offerta durante le E.A.M. ad avere un ruolo prevalente, tale da stimolare il potenziamento delle strutture neuronali e di conseguenza lo sviluppo delle capacità di apprendimento, qualsiasi sia la situazione iniziale del soggetto.

Nonostante Feuerstein sia stato un allievo diretto di Piaget, l’importanza fondamentale che attribuisce alla qualità della mediazione, rispetto a quanta possa averne la maturazione neuronale, lo allontana nettamente dalle posizioni del maestro e lo accosta piuttosto al pensiero di Vygotskij, nel cui lavoro è già individuabile la ricerca degli elementi e delle condizioni in grado di promuovere l’espressione del potenziale di apprendimento degli allievi.

La mediazione è l’azione consapevole ed intenzionale dell’educatore genitore, o insegnante, che si fa carico di far acquisire all’educando una strumentazione che gli consenta in futuro di affrontare i problemi e di apprendere con efficacia e in modo autonomo.

Non è dal contatto diretto con gli stimoli ambientali variegati e complessi, come sostiene Piaget, che l’individuo può affinare gli strumenti cognitivi necessari e sviluppare il pensiero.

Anzi, l’esposizione non mediata ad un ambiente rutilante di stimolazioni può essere tanto destrutturante da costringere l’individuo ad un comportamento cognitivo stereotipato e carente.

L’acquisizione di efficaci paradigmi mentali che consentano di strutturare l’esperienza si realizza invece a contatto con un mediatore “sapiente” che funzioni da filtro iniziale fra le stimolazioni ambientali e la persona da educare.

Il mediatore agisce in modo che tutte le informazioni divengano conoscenze, offre la capacità di interpretare, organizzare e interpretare le informazioni ricevute dall’ambiente e di conseguenza, di rendersi autonomi nell’apprendimento e di adattarsi con flessibilità a tutte le situazioni nuove.

Il mediatore seleziona i dati su cui vuole attirare l’attenzione lasciando gli altri sullo sfondo, li ripete con una frequenza maggiore rispetto a quella che avrebbero naturalmente, ne regola la durata, l’intensità, l’ordine di presentazione, per assicurarsi che vengano recepiti.

Così facendo altera le condizioni naturali di apparizione degli stimoli, che in genere sono casuali, per creare artificialmente condizioni più favorevoli alla ricezione di informazioni.

Abitua inoltre il discente a mettere a confronto i dati su cui opera, ad individuarne le connessioni temporali, causali, finali di identità, somiglianza, differenza, esclusività; stimola in lui il bisogno di cercare relazioni fra ciò che viene recependo e le conoscenze che già possiede e contrasta in questo modo la tendenza ad una concentrazione episodica e frammentaria della realtà, caratteristica del comportamento cognitivo di basso livello.

Abitua alla necessità di definire con precisione i problemi e di prefigurarsi mentalmente il percorso necessario per risolverli, anticipando le conseguenze delle mosse ipotizzate, prima di passare all’azione; aiuta così l’educando a controllare la propria impulsività e a ricorrere il meno possibile al procedimento per prove ed errori.

L’intervento del mediatore non si limita alla fase della raccolta e della elaborazione delle informazioni, ma affianca il discente anche durante la produzione dei cosiddetti output, ossia delle risposte, sia di tipo verbale, che scritto, che comportamentale, per fare in modo che esse siano comprensibili, non egocentriche, precise, coerenti con i problemi e con gli obiettivi individuati.

Questo andamento cognitivo è nutrito di affettività.

La componente emotiva costituisce la sostanza della relazione fra il mediatore e l’educando. L’attenzione per la persona, la promozione del sentimento di autostima e di fiducia nelle sue possibilità, la condivisione dei sentimenti, fra i quali anche il piacere della scoperta e la realizzazione di nuove acquisizioni, la ricerca del senso e del significato delle cose, la curiosità per ciò che si intravede e ancora non si conosce, la determinazione nel portare a termine ciò che si è intrapreso: tutte queste dimensioni si sperimentano e si consolidano nella relazione educativa.

L’obiettivo del mediatore è quello di allontanarsi gradualmente dall’educando lasciandolo equipaggiato della strumentazione cognitiva ed emotiva necessaria ad affrontare in modo attivo e personale la complessità degli stimoli ambientali e a continuare autonomamente quel processo di espansione del proprio potenziale che ha iniziato insieme.

L’efficacia della mediazione varia da persona a persona, anche in relazione alle caratteristiche dell’ambiente di vita dei soggetti.

L’esperienza Feuerstein suggerisce che una buona mediazione può determinare modifiche strutturali nel comportamento cognitivo anche di persone fortemente compromesse, la cui portata non è prefigurabile a priori.

Il mediatore non può appiattire il livello di richieste in considerazione dei limiti che il discente manifesta, ma dovrà continuare a proporgli compiti che si collocano nella sua area di sviluppo prossimale, facendogli capire che attende con fiducia i suoi progressi e gratificandolo con entusiasmo per ogni nuova acquisizione.   

Caratteristiche peculiari della mediazione, da ricerche condotte dall’equipe di Feuerstein hanno portato ad una definizione in termini più operativi che filosofici.

Sono stati individuati dodici criteri e cinquanta categorie che costituiscono un sistema metodologico-didattico attraverso cui si esercita l’azione del mediatore.

Fra tutti, tre fattori sembrano essenziali in ogni cultura ed in ogni condizione per garantire la qualità e l’efficacia della mediazione: l’intenzionalità/reciprocità dell’interazione, la trascendenza, la mediazione del significato.

L’intenzionalità esprime la consapevolezza, da parte del mediatore, della sua intenzione di entrare in relazione con il soggetto e dell’importanza che questa relazione riveste; il concetto include inoltre la capacità di rendere trasparente questa sua convinzione all’allievo, la necessità, da parte del mediatore di mettere a fuoco gli elementi essenziali di ciò che vuol comunicargli e di prefigurarsi il modo più efficace per trasmetterli in modo che vengano recepiti come tali.

L’educatore cerca innanzitutto l’attenzione del soggetto, per esempio, attraverso lo sguardo. Se ciò non gli è possibile, modifica il suo modo di porsi, in relazione alla persona che ha davanti, ne recepisce con attenzione i feed-back, abbassa o alza il proprio tono di voce, ne accelera o ne rallenta il ritmo, per esempio, cambia le caratteristiche del lavoro che intende fare se questo si dimostra inaccessibile.

Ciò che interessa è agganciare il soggetto al livello in cui si trova, indurlo a modificare gradualmente il suo stato mentale affinchè diventi più sensibile agli stimoli cognitivi, attivi uno stato di vigilanza e recettività idoneo all’apprendimento, cominci a provare curiosità e motivazione, per chiamarlo poi, ad affrontare compiti di livello superiore.

Anche la prossemica dell’aula può essere cambiata per agevolare l’ascolto reciproco e promuovere l’apprendimento.

Homines dum docent discunt[54] perché in questo processo, il cambiamento dei discenti si realizza attraverso il cambiamento del mediatore e attraverso l’adattamento dell’ambiente e degli stimoli che questo presenta, in una relazione attenta, reciproca e partecipe.

Con la trascendenza il mediatore non si limita a soddisfare i bisogni immediati alla base di una certa interazione con l’educando, ma guarda lontano e approfitta di ogni occasione per ampliare la sfera delle conoscenze, relazioni, bisogni e possibilità del soggetto.

L’apprendimento in questo modo trascende i limiti di un’acquisizione particolare legata ad un’occasione specifica e si inserisce invece in una cornice più ampia di conoscenze, relazioni, valori[55].

Anche a scuola la mediazione di trascendenza dovrebbe essere fra le più significative e ricorrenti.

Si realizza ad esempio quando l’insegnante incoraggia gli allievi a mettere in relazione l’argomento del giorno con quelli precedenti e anticipa le connessioni con quelli futuri; quando si evidenziano gli obiettivi di un’attività in rapporto a quelli con le altre discipline o dell’intero programma; quando si abituano i ragazzi ad individuare, all’interno di compiti specifici, procedure, considerazioni, regole  che possono essere espresse in termini generali, in modo che esse perdano il legame diretto con il compito particolare da cui sono scaturite e siano applicabili anche agli altri campi di esperienza.

Quando il ragazzo si chiede quale processo gli ha consentito di risolvere  un problema, che cosa è stato importante cercare in primo luogo e poi in seguito e in quali situazioni potrebbe essere usata la stessa procedura sta facendo un’operazione che trascendendo l’ambito di quel problema, gli fornisce criteri per affrontare situazioni diverse, che hanno in comune con quella precedente solo certi aspetti strutturali.

Si può cogliere come questa operazione di generalizzazione di ciò che si è acquisito e di successiva trasposizione in ambiti diversi, ma compatibili, sia alla base della creatività intellettuale e della capacità di adattarsi flessibilmente a situazioni e compiti nuovi.

Il terzo fattore essenziale perché una relazione possa considerarsi autenticamente educativa ed innescare il cambiamento è la mediazione del significato.

Essa attiva la componente energetica-motivazionale dell’apprendimento, anche attraverso una presentazione in forma problematica degli argomenti e delle questioni. “Perché è importante leggere questo romanzo; conoscere la storia di questo periodo; a cosa servono queste conoscenze?”.

Un altro modo per esprimere la mediazione del significato è sensibilizzare i discenti all’esigenza di cercare con chiarezza gli obiettivi delle attività in cui si trovano impegnati, fin dall’inizio: essi possono così orientare subito le loro energie intellettuali in modo finalizzato, evitando distrazioni e cali di interesse. Il concetto di mediazione del significato assomiglia molto in questo caso, ad un progetto. Se uno studente ad esempio si propone di ripetere all’insegnante la lezione assegnata per compito, cioè il progetto, mentre studia terrà sotto controllo tutti gli elementi che gli consentono di riuscire nel suo intento, aver chiari i concetti, ripetere ad alta voce, avrà minori probabilità di disperdere le proprie energie rispetto ad un alunno che si accinge a studiare in modo generico e senza alcuna finalizzazione.

La mediazione del significato si realizza anche quando il mediatore fa trasparire i suoi interessi per gli argomenti che insegna, quando spiega agli alunni il motivo di certe sue scelte e chiede di argomentare le loro; quando li abitua a cogliere il nucleo principale delle questioni, a sentire l’esigenza di comprendere e differenziare ciò che è essenziale da ciò che è accessorio, in un testo, in un problema, in una figura geometrica, in ambito grammaticale, quando durante le discussioni li richiama al tema centrale del dibattito, limitando la tendenza alla digressione.

E’ naturale che, realizzando questo tipo di mediazione, l’educatore finisca per trasmettere agli allievi ciò che è significativo per sé, ma incoraggia e accoglie con rispetto anche l’espressione del loro punto di vista, dei loro sentimenti e alimenta il bisogno di porsi domande circa il significato e il valore delle esperienze che vanno facendo, delle regole che essi sono chiamati a rispettare, delle scelte che intendono fare.

L’educazione cognitiva consente al discente, in modo intenzionale, di accedere alla storia e alle culture passate offrendogli la possibilità formidabile e caratteristica della specie umana di dilatare enormemente i confini della propria conoscenza al di là di quanto l’esperienza personale potrebbe consentirgli.

In questa teoria l’interdipendenza dinamica tra passato e futuro, fra la mediazione ed il progresso che l’individuo può realizzare è espressa magistralmente.

3.3 BASE TEORICA DELLA MODIFICABILITÀ COGNITIVA STRUTTURALE

Uno dei pilastri del metodo Feuerstein è l’ipotesi che il linguaggio influisca fortemente sulla qualità del pensiero dell’individuo.

Questo fenomeno può avere conseguenze interessanti in quanto popolazioni che parlano una determinata lingua possono essere portate mediamente a formulare con maggiore facilità certi tipi di ragionamento.

Ma al di là di queste considerazioni, per quanto riguarda la relazione parola e pensiero, vi è concordanza quindi di Feuerstein con le tesi di Freud, Piaget, e la scuola di Pavlov[56].

Freud nel suo “Progetto per una psicologia scientifica” concepisce la primitiva espressione verbale come una scarica incoordinata incentrata sull’affettività e non collegata ad alcuna esigenza sociale comunicativa.

Solo più tardi la parola acquisterebbe questo carattere che riflette la possibilità che ha il soggetto di regolare le pulsioni.

La stessa tesi è sostenuta dallo psicologo sovietico Vygotskij e Lurja che segue l’impostazione Vygotskij: il linguaggio regola il comportamento in quanto mobilita i processi di astrazione e generalizzazione in quanto riflette i meccanismi fisiologici dell’attività nervosa superiore e cioè eccitazione-inibizione, irradiazione-concentrazione, l’induzione e la regolazione degli impulsi nervosi.

Pavlov aveva concepito il linguaggio come “il secondo sistema di segnalazione” per opporlo al primo che comprende il semplice segnale operante egli animali e già nel 1924 affermava che la parola umana “non regge alcun confronto qualitativo e quantitativo con le eccitazioni condizionate degli animali”.

Nel 1932 affermava che le parole sono “segnali di segnali “ e che pertanto implicano processi i astrazione e di generalizzazione, caratteristici dell’uomo.

Appare scientificamente evidente lo stretto legame tra parola e pensiero per poter difendere una posizione dicotomica.

Ecco come si spiega l’importanza che viene assegnata alla verbalizzazione nel metodo Feuerstein.

La verbalizzazione attuata dal mediatore favorisce il formarsi del pensiero e ne facilita quindi  la memorizzazione ed è presente in quasi tutte le fasi della lezione.

 3.4 IL DOCENTE MEDIATORE

E’ evidente il cambio di ruolo e di funzione, da docente istituzionale, da cui dipende a trasmissione della conoscenza e il grado di apprendimento dei discenti, a docente mediatore che nella prassi didattica applica la Pedagogia della mediazione che ha individuato una serie di interazioni che favoriscono l’apprendimento anche negli adulti.

Il mediatore agisce in modo che tutte le informazioni divengano conoscenze cioè deve offrire ai discenti la possibilità di imparare ad interpretare, organizzare le informazioni ricevute dall’ambiente e, di conseguenza, anche la possibilità di adattarsi a tutte le situazioni nuove.

Poiché la crescita cognitiva è legata all’intervento consapevole dei mediatori, sia in famiglia, sia nell’ambiente sociale, quanta più mediazione ha ricevuto un individuo tanto maggiore sarà il suo sviluppo cognitivo.

La mancanza di mediazione è da considerarsi un fattore di ritardo.

Il ruolo del mediatore (insegnante, genitore, terapeuta), è quello di decodificare le esperienze, favorirne l’interiorizzazione fino all’insight, indurre meccanismi associativi (bridging), che rinforzino la presa di coscienza di come, situazioni e contesti apparentemente estranei, possano sottendere regole e strategie comuni.

Allo stesso modo il mediatore dovrà cercare di rendere la risposta verso l’ambiente, frutto di procedure logico-deduttive, riducendo le strategie improntate sull’impulsività, sull’appartenenza, sul comportamento per prove ed errori.

Va sottolineato che il processo di apprendimento affinché sia attivo e quindi produttivo, non dev’essere forzato: devono essere indicate le porte, ad aprirle se sono chiuse, a comprendere le correlazioni tra porte diverse, ma mai spingere ad attraversarle.

L’obiettivo finale sarà quello di rendere il discente progressivamente in grado di apprendere attraverso l’esposizione diretta alle esperienze della vita, senza più bisogno di mediazione, acquisendo quindi crescente autonomia, diventando infine egli stesso capace di mediare gli altri.

Feuerstein basa tutto il suo metodo sull’importanza della mediazione; si comprende quindi come molti soggetti con ritardo mentale siano per Feuerstein soggetti con deficit di mediazione e poiché i processi di mediazione non sono irreversibili ne deriva che i deficit di mediazione sono recuperabili.  

Nella figura qui sopra si possono evidenziare le caratteristiche proprie dell’apprendimento mediato: S = stimolo, O=organismo, R= risposta ed infine H= essere umano.

L’essere umano H, è perciò il mediatore - docente, genitore, figura che produce un cambiamento attraverso stimoli, segmenti lineari che diventano ondulati, in entrata nell’organismo O non prevedendo al soggetto che apprende O di poter usufruire di un’esposizione diretta agli stimoli s diretti ed obliqui che congiungono S con O.

Nell’organismo si notano inoltre delle zone semicurve in cui c’è una maggiore densità derivata dall’unione dell’elaborazione personale e dell’attività di mediazione.

Sul versante della produzione R il mediatore opera con una rilettura della risposta e fornisce al soggetto la capacità di completare il grado di comprensione ed elaborazione della conoscenza.

E’ evidente che l’assenza del mediatore o dell’umano provoca un’esposizione diretta agli stimoli, con tutte le conseguenze cognitive, affettive e sociali che questo può comportare nella storia evolutiva del soggetto.

3.5 I CRITERI DELLA MEDIAZIONE

I criteri dell’E.A.M. sono 12 e sono costituiti da comportamenti che favoriscono le interazioni sviluppando la capacità di apprendimento della comunicazione:

Intenzionalità e reciprocità: l’insegnante esplicita o esercita, tendendo a far espliciti obiettivi e intenzioni cognitive di ogni momento di Insegnamento/apprendimento verso la comprensione e l’adesione degli allievi

Trascendenza: il lavoro cognitivo va oltre il momento contingente, collegandosi con i percorsi appresi precedentemente e prefigurando occasioni future in cui l’abilità acquisita potrà essere utilizzata.

Significato: l’attività deve avere un senso per l’allievo, sia come possibilità di comprendere che come sistemazione delle strutture cognitive possedute.

Competenza: insistendo sul lavoro metacognitivo si rende l’allievo consapevole del suo funzionamento mentale, dei suoi punti di forza e di debolezza si verifica come tutti abbiano potenzialità.

Regolazione e controllo del comportamento: creando un ambiente favorevole

all’apprendimento mediato, cioè un ambiente significativo di apprendimento, si aiuta a controllare l’impulsività il motto “un momento sto pensando”, e atteggiamenti non positivi per il singolo e per la classe.

Condivisione: include la capacità di relazione, il saper vivere in gruppo, il saper ascoltare ed il farsi ascoltare.

Cooperazione: finalizzata alla capacità di lavoro in gruppo per scopi precisi, con metodi e strumenti idonei.

Individualità e differenziazione psicologica: è finalizzato sia al riconoscimento delle caratteristiche positive e negative di ciascuno, sia al loro utilizzo come risorsa positiva per il gruppo, sia per il nascere e lo sviluppo del pensiero creativo e divergente.

Ricerca - pianificazione - conseguimento di uno scopo: è finalizzato alla necessità che ognuno individui il suo progetto personale ed impari a perseguirlo tenacemente, partendo dalle esperienze di lavoro scolastico.

Sfida a se stessi e ricerca della novità e della complessità: è finalizzato a far superare  la difficoltà cognitiva e ad incoraggiare la curiosità intellettuale e al non farsi scoraggiare dalle difficoltà reali.

Modificabilità-ottimismo-appartenenza: sono il compendio della pedagogia della mediazione dove il soggetto può pensarsi ed essere pensato come modificabile, può essere produttore di informazioni, può essere creativo.

3.6 FUNZIONI COGNITIVE

Per Feuerstein il cervello, come nella psicologia cognitiva, è visto come una specie di computer, se l’allievo non utilizza correttamente le funzioni cognitive, produce delle soluzioni errate.

Le funzioni cognitive si calano sulla suddivisione in tre fasi dell’atto mentale: input, elaborazione e Output, in ciascuna di esse, si possono  individuare le funzioni cognitive attraverso le quali realizzare l’atto mentale.

Tra tutti i modelli possibili quello proposto da Feuestein si rivela per la sua semplicità e immediatezza particolarmente agile; a scopo puramente didattico egli individua in ogni processo di pensiero tre momenti fondamentali, pur avvertendo che questa distinzione è artificiosa, in quanto nella realtà le tre fasi coesistono in una unità senza fratture o scissioni:

1) fase di ingresso (input) in cui il soggetto, di fronte al problema in atto, raccoglie i dati e le informazioni;

2) una fase centrale (elaborazione), in cui l’individuo elabora, seleziona, confronta i dati raccolti, elimina quelli non pertinenti: in altre parole utilizza le informazioni che possiede;

3) Una fase finale (output), in cui fornisce il risultato dell’elaborazione centrale e comunica la risposta.

Strettamente interagente con ciascuna delle fasi e in posizione centrale rispetto ad esse è un complesso di fattori emotivi e affettivi che giocano un ruolo ambivalente, nel senso che sono in grado di favorire un atto di pensiero, ma anche di ostacolarlo o addirittura di renderlo impossibile.

Ne deriva che fare mediazione significa diventare consapevoli degli aspetti relazionali e intellettivi del funzionamento mentale, ma anche delle emozioni che lo accompagnano e dei comportamenti in cui esso si esprime: chi riconosce, prima in se stesso e quindi nel suo allievo, le emozioni positive (curiosità interesse, motivazione, senso di competenza) e le emozioni negative (paura, insicurezze, ansie, senso di inadeguatezza) che sempre accompagnano l’apprendimento, è poi in grado di sfruttare le prime e compensare le altre.

Secondo il modello proposto in ciascuna delle fasi dell’atto mentale l’individuo fa entrare in gioco alcune funzioni cognitive che fanno la qualità dell’atto di pensiero scandendolo nelle sue tre fasi, per individuare all’interno di ognuna di esse le funzioni cognitive impegnate.

L’insegnante-mediatore ed il discente, sulla base della tabella seguente, possono così verificare l’errore, in quale punto del processo mentale si è interrotto o ha realizzato una procedura divergente. E’ interessante la concretizzazione in microcomportamenti che le funzioni cognitive operano in ogni fase dell'atto mentale, rendendo coscienti modalità, strategie e processi.

E’ evidente che una tale fase didattica tende a valorizzare l’aspetto metacognitivo dell’apprendimento, inteso come capacità personale e regolativa d’uso delle funzioni cognitive  selezione e pianificazione delle procedure adatte alla soluzione del compito.

Erroneamente a volte si è ritenuto che la metacognizione fosse inapplicabile nei casi di  ritardo mentale lieve o medio, o comunque nei casi di funzioni cognitive ridotte, invece il punto deve essere rovesciato e il docente di sostegno, come quello curricolare, deve formarsi al nuovo abitus di mediatore cognitivo, cognitivo come focus del suo intervento, ma altamente affettivo e nella sua modalità educativa, per adempiere al dettato professionale ed etico che lo contraddistingue nel mondo della scuola.

  

 

3.7 LA PRASSI

Nel proporre al soggetto il lavoro su ogni serie di prove di cui l’intera   batteria è composta, si distinguono tre momenti:

1) La fase di pre-test LPAS Learning Potential Assessment Device

2) La fase di apprendimento o mediazione PAS Programma Arricchimento Strumentale ovvero PEI Instrumental Enrichment Program;

3) La fase di post-test o re-test

Nella prima delle tre fasi, si pone il soggetto di fronte a semplici compiti, dopo avergli comunicato gli obiettivi e le modalità del lavoro che si sta intraprendendo e avergli chiarito le consegne. Lo si osserva mentre compie gli esercizi autonomamente, senza fornirgli alcun aiuto.

Il valutatore si limita ad annotare i risultati, il grado di efficienza e a porre domande sulle strategie utilizzate, per farsi una prima idea del livello di consapevolezza del discente, del suo stile cognitivo, delle operazioni mentali che utilizza adeguatamente e delle funzioni eventualmente carenti.

Si continuano a proporre esercizi, relativi alla serie già iniziata, che si allontanano progressivamente dai precedenti per il livello di complessità, per il grado di astrazione, o perché chiamano in causa diverse e più numerose funzioni cognitive, fino a quando il soggetto incontra delle difficoltà e non riesce più a procedere da solo.

Nel corso della seconda fase, inizia a questo punto la fase di mediazione. E’ l’unico momento in cui la figura del valutatore LPAD si sovrappone, senza distinzioni, a quella di un applicatore del PAS: diventa cioè in tutto e per tutto un mediatore ossia un bravo insegnante.

Questi fornisce al discente tutti i prerequisiti necessari ad affrontare il compito che è stato per lui causa di un blocco. I pre-requisiti si intendono in questo contesto non solo quelli cognitivi o metacognitivi, attinenti alla consapevolezza e alla gestione dei processi di pensiero, ma anche a quelli affettivi ed emozionali, perché il comportamento del soggetto si modifichi anche nelle sue componenti energetiche e motivazionali.

Quando il discente sembra aver acquisito gli elementi necessari per affrontare il compito, gli si presenta una serie di prove, simili per alcuni aspetti e diverse per altre per rafforzare alternativamente le diverse acquisizioni. Contemporaneamente si varia anche la qualità e la quantità della mediazione offerta, che tende a divenire sempre meno intensa e ad allungare progressivamente la distanza fra il valutatore e i compiti che il soggetto deve eseguire.

Nella terza fase quando si presentano al discente test attinenti ma mai del tutto simili a quelli precedenti, per valutare la resistenza e la trasferibilità di ciò che il soggetto ha appreso.

Ci si astiene dal fornire qualsiasi aiuto, se non nei momenti iniziali del post-test, per non evidenziare in modo brusco e repentino la differenza rispetto alla fase precedente.

Si registrano sistematicamente le risposte, i tempi, le modalità di esecuzione e gli interventi che eventualmente si rendessero necessari da parte del valutatore, non computando, in sede di valutazione, le risposte positive derivanti da sollecitazioni più forti e precise di un semplice richiamo alla focalizzazione dell’attenzione.

3.8 VALUTAZIONE DINAMICA DEL POTENZIALE DI    APPRENDIMENTO  - LPAD

LPAD è il piano per stabilire la propensione di apprendimento dell’individuo prendendo in considerazione i micro cambiamenti che avvengono nel soggetto mentre gli viene somministrato questo tipo di test.

Sulla base degli studi di Vygotskij, Feuerstein in un primo tempo lo definisce come la differenza fra il livello di prestazioni che un soggetto può raggiungere con un’efficace mediazione educativa e il livello che è in grado di esprimere lavorando da solo.

Feuestein propone una batteria di test dinamica che permette di valutare l’intelligenza diagnostica cioè il potenziale di sviluppo cognitivo, perché conoscerlo indica come esercitarvi un’influenza positiva.

Già Vygotskij parlava di processi mentali a zone di sviluppo prossimale e livello di sviluppo adulto.

Per Feuerstein le potenzialità dell’individuo sono infinite e le modalità di somministrazione del piano diagnostico servono ad eliminare i difetti presenti.

Il piano di valutazione del potenziale di apprendimento si distingue in due livelli di sviluppo: quello osservato e quello possibile.

Lo scarto tra l’uno e l’altro, ci dà la misura delle sue possibilità di cambiamento e i margini entro i quali può innestarsi un’azione incisiva pedagogica, per far sì che la qualità massima del prodotto ottenuto lavorando con un adulto diventi, per il soggetto, il livello consueto delle sue prestazioni autonome.

Questa definizione di potenziale richiama dunque alla mente l’idea di una capacità presente, ma non manifesta nel soggetto, che può essere esplicitata se il mediatore riesce a porlo  in condizioni ottimali di lavoro.

Una volta espressa la capacità deve consolidarsi, in modo da poter essere utilizzata dal soggetto in completa autonomia.

Il processo di consolidamento di un’abilità viene solo avviato con l’LPAD, essendo un compito peculiare del PAS.

Ultimamente Feuerstein propende per una concezione del potenziale di apprendimento ancora meno circoscritta e attribuisce ad un buon processo di mediazione la possibilità, non tanto di rendere manifesti ma addirittura di creare nel soggetto bisogni, comportamenti, competenze prima del tutto inesistenti.

Il test si articola in:

1) Test

2) Mediazione

3) Test

Gli strumenti sono 2:

a) Lista delle funzioni cognitive carenti

b) La mappa cognitiva

La lista è necessaria per comprendere le cause del basso rendimento dell’individuo.

La mappa cognitiva o carta cognitiva è lo strumento utilizzato dal formatore per preparare le lezioni, per registrare i risultati conseguiti e per valutare i progressi degli allievi.

Si tratta di uno strumento che permette di risolvere i problemi proposti e degli stati emotivi in cui il formatore deve porre il discente per favorire l’apprendimento.

La mappa cognitiva si divide in vari paragrafi:

1) Contenuto della lezione proposta.

2) Modalità di presentazione dei contenuti della lezione: scritto, orale, numerico, iconografico, simbolico, poiché lo stesso problema presentato in modo diverso possa essere risolto in modi diversi.

3) Tipi di mediazione: elenco dei tipi di mediazione che possono favorire l’apprendimento della lezione che possono influire sullo stato affettivo, emotivo e generare le opportune motivazioni. 

Le funzioni cognitive sono pre requisiti e sono argomentate in tre fasi:

1) imput

2) elaborazione

3) output

Ogni programma mentale è un complesso nel quale interagiscono razionalità, cognitività ed emozioni, affettività ed emotività giocano un ruolo ambivalente, nel senso che sono  in grado di favorire un atto di pensiero o di ostacolarlo.

A volte il soggetto non riesce ad esprimere le elaborazioni mentali fatte , ma la mappa cognitiva ci permette di insegnare a imparare ad imparare.

Attraverso una serie di parametri si definisce il livello di difficoltà presente nell’individuo per eseguire una operazione mentale:

Il contesto: base operativa dell’atto mentale

La modalità: secondo la quale il soggetto si esprime: verbale, grafica, figurativa.

Le operazioni mentali: processi formali di pensiero

La fase delle funzioni cognitive: per Feuerstein fase significa la localizzazione funzionale  dell’atto mentale.

Il livello di complessità: quantità e qualità delle informazioni che l’atto mentale deve prendere in considerazione.

Il livello di astrazione: capacità di procedere dalla concretezza alla formulazione di concetti o principi.

Il livello di efficacia: precisione e rapidità dell’atto mentale, ad un livello soggettivo, all’impegno dimostrato.

La mappa cognitiva, ci permette di capire il funzionamento dell’individuo, il modo in cui opera ed il livello di applicazione necessario per rendere manifesta la sua capacità.

LPAD rappresenta un’applicazione della teoria della modificabilità cognitiva strutturale.

Mentre in un test convenzionale la somministrazione degli item avveniva senza feedback (in quanto ritenuto causa di errore di misurazione e quindi da evitare ad ogni costo), nel test di tipo dinamico, invece l’insieme degli item presentati è sempre comprensivo di istruzioni.

Si tratta di un approccio diverso, negli obiettivi, nella metodologia, nella natura delle prove, rispetto a quello che caratterizza le valutazioni psicometriche tradizionali e come tale richiede agli applicatori un atteggiamento, un orientamento mentale radicalmente differente.

Mentre la psicometria è interessata a quantificare ciò che già esiste: l’intelligenza innata o acquisita, l’apprendimento realizzato nelle diverse discipline, comunque ciò che è evidenziabile al momento, ha quindi un approccio statico, misura difficoltà ormai cristallizzate, la valutazione dinamica mira a studiare il cambiamento, anche se presente in porzioni minime.

Paradossalmente non interessa tanto rilevare il ripetersi di buone prestazioni in un soggetto, quanto osservare se e come tali prestazioni possono diventare migliori, o accedere ad un maggior livello di autoconsapevolezza. La valutazione dinamica è dunque orientata verso ciò che evolve, verso l’intelligenza fluida, verso la modificabilità cognitiva.

La valutazione statica si interessa solo dei prodotti dell’attività del pensiero.

La valutazione dinamica osserva in primo luogo i processi di pensiero, le modalità percettive, le strategie di apprendimento, ambiti in cui l’insegnamento riveste un ruolo essenziale.

La valutazione statica esprime sostanzialmente il rapporto tra il livello raggiunto dalla prestazione di un determinato individuo e il livello medio ottenuto da individui della stessa età, presi come termine di confronto.

Nella valutazione dinamica il confronto avviene fra le prestazioni realizzate dallo stesso individuo prima e dopo la mediazione.

Per queste ragioni il rapporto fra il valutatore ed il soggetto è di natura completamente diversa:

neutro, asettico, uguale con tutti gli individui, in modo da rispettare le condizioni di standardizzazione delle prove, nei test psicometrici;

partecipato, calibrato su ogni soggetto, teso ad offrirgli le condizioni psicologiche e cognitive migliori per un buon apprendimento, almeno nella fase di mediazione, nella valutazione dinamica.

La differenza basilare  questo proposito, è la sfiducia di quest’ultimo approccio verso qualsiasi tentativo di standardizzazione che porta con sé l’illusione di poter offrire lo stesso stimolo, purificato da eventuali variabili che lo differenzino, in condizioni ambientali identiche, a tutti gli individui, in modo da poter isolare produzioni “oggettive”, non contaminate da particolari condizionamenti; produzioni che diventino quindi espressione diretta delle facoltà attuali dei soggetti, innate o acquisite che siano, che si desiderano misurare.

In realtà stimoli identici vengono filtrati in modo diverso, da individuo ad individuo, in rapporto a molteplici fattori, quali ad esempio le caratteristiche dell’entroterra culturale, la maggiore o minore familiarità per il tipo di compito proposto o per le modalità con cui questo si presenta, il livello di emotività personale, le condizioni fisiche e psicologiche del momento ecc.

E’ quindi illusorio pensare che lo stesso stimolo possa essere uguale per tutti e fornire un prodotto che sia espressione tout court dell’intelligenza o della capacità elaborativa di un individuo.

I sostenitori della valutazione dinamica insistono nel centrare la valutazione sulla persona, nella sua situazione specifica, e scoprire quali le situazioni che le permettono di massimizzare e ottimizzare le possibilità di cambiamento.

Nessuna modalità standardizzata dunque, per somministrare le prove, ma una variazione graduale ma controllata di diversi parametri, cognitivi e relazionali, per individuare gli elementi che meglio di altri favoriscono la manifestazione del potenziale e portano il soggetto alla prestazione migliore di cui in quel momento è capace.

Le informazioni sull’aspetto cognitivo di un individuo con l’applicazione di tale metodo sono:

Evidenziare in quali ambiti il soggetto esprime le sue abilità dominanti e quali funzioni cognitive ed operazioni mentali utilizza efficacemente cioè i punti forti.

Valutare la capacità di trasferire queste competenze a compiti che si presentano con altre modalità e vertono su contenuti diversi, ma che implicano sostanzialmente la manipolazione delle stesse funzioni cognitive e operazioni mentali.

Individuare funzioni cognitive carenti e le operazioni mentali poco utilizzate cioè i punti deboli.

Evidenziare le condizioni ottimali che favoriscono la produzione di campioni di cambiamento, anche minimi, nel funzionamento cognitivo del soggetto con particolare riferimento alla mediazione educativa.

Notare in quali ambiti del funzionamento mentale si è osservato il cambiamento:

Se vi sia stato un potenziamento di alcune funzioni cognitive carenti in una particolare fase dell’atto mentale: input, elaborazione, output.

Se il soggetto abbia acquisito, attraverso il lavoro effettuato, contenuti, concetti, relazioni, termini che prima non possedeva o non usava. 

Se il soggetto sia diventato più efficiente, rapido, preciso.

Se sia migliorata la componente emotiva-affettiva legata all’apprendimento: se sia più motivato, più contento di lavorare, più sicuro di sé rispetto all’inizio del lavoro.

Analizzare la natura del cambiamento osservato: se esso sia  resistente anche al mutare di parametri accessori, permane nel tempo, o sia trasferibile ad altri contesti.

Fare una previsione sull’evoluzione del funzionamento cognitivo del soggetto e fornire consigli precisi e praticabili per sostenere il cambiamento.

Il metodo con cui si deve procedere  alla valutazione dinamica è secondo Feuerstein legato coerentemente con gli obiettivi sopra espressi.

3.9 IL PROGRAMMA DI ARRICCHIMENTO STRUMENTALE - PAS o INSTRUMENTAL ENRICHMENT PROGRAM

Il PAS è un insieme di cinquecento schede suddivise in 14 strumenti, il cui obiettivo è quello di sviluppare i processi di pensiero dell’individuo, rendendolo capace di selezionare e rispondere in modo attivo e personale agli stimoli ambientali, aumentando soprattutto la sua capacità di anticipare mentalmente le azioni ed il loro possibile esito, pensare prima di agire e progettare interventi complessi.

Ogni strumento ha un contenuto diverso da quelli tipici delle materie scolastiche; il contenuto non ha importanza in sé, ma in quanto veicolo di situazioni problematiche  atte a mettere in gioco funzioni cognitive differenti. Ciò consente di sperimentare un’ampia gamma di operazioni mentali e all’insegnante di poterne osservare efficacia e carenze, in modo da compiere una scelta oculata degli strumenti e delle schede da proporre in seguito.

La finalità essenziale del lavoro non è l’ampliamento dell’insieme delle conoscenze del discente, ma del repertorio degli strumenti per conoscere, oltre al consolidamento delle abitudini cognitive migliori.

Si tratta di un programma di intervento per il superamento di carenze o disfunzionamenti e si compone di tre livelli, formati rispettivamente da cinque strumenti il primo il secondo e da quattro strumenti il terzo.

Feuerstein con il termine strumenti intende designare esercizi composti da più di 500 pagine, strumentali al superamento delle carenze cognitive individuate.

Obiettivi specifici del PAS sono:

1) utilizzare in maniera effettiva le capacità mentali virtuali specie se queste sono insufficientemente esercitate.

2) Consolidare gli strumenti verbali e le operazioni logiche necessarie all’apprendimento e alla comunicazione.

3) Prendere coscienza delle proprie capacità e della loro messa in atto.

4) Assumere una condotta autonoma e riflessiva.

La realizzazione del PAS avviene secondo un’impostazione didattica introduttiva che punta, attraverso l’uso di eserciziari opportunamente strutturati ,  alla scoperta, all’apprendimento e all’applicazione di relazioni regolamenti, principi, operazioni e strategie utilizzabili nelle situazione più diverse.

All’interno di ogni strumento le schede sono sistemate in progressione logica anche nella sequenza dei 14 strumenti che compongono il programma:

1) organizzazione di punti

2) orientamento spaziale 1°

3) confronti

4) percezione analitica

5) immagini

6) orientamento spaziale 2°

7) classificazioni

8) istruzioni

9) relazioni familiari

10) relazioni temporali

11) progressioni numeriche

12) sillogismi

13) relazioni transitive

14) sagome

Contenuti delle prove

La batteria nel suo complesso si compone di 16 serie di prove e di altri item che vengono applicati solo in casi particolari.

Le prove si possono raggruppare in tre categorie:

a) prove che riguardano l’organizzazione visuo-motoria e percettiva, organizzazione di punti, figura complessa, test di Laghi. Queste consentono di sondare la capacità del soggetto di organizzare campi visivi non strutturati, superando differenze percettive attraverso l’uso di idonee strategie cognitive; permettono inoltre di valutare la capacità di stabilire e proiettare relazioni virtuali;

b) prove che si basano sull’utilizzo della memoria, sia di tipo spaziale che verbale che semantico (test di apprendimento delle posizioni, test dei plateaux, test delle 16 parole, test del richiamo associativo);

c) prove che richiedono processi di pensiero ed operazioni mentali di livello elevato, come l’individuazione e la generalizzazione di relazioni fra gli elementi e di relazioni fra relazioni; l’utilizzo del pensiero inferenziale induttivo e deduttivo; la moltiplicazione logica, la trasformazione mentale di rappresentazioni complesse, ecc. (test delle progressioni numeriche, test delle sagome, le matrici di Raven, l’organizzatore).

Il lavoro si svolge in gruppi e si affrontano esercizi carta-matita divisi in strumenti, ciascuno dei quali è centrato su alcune funzioni cognitive particolari; sia tra gli strumenti che tra gli esercizi all’interno di uno stesso strumento esiste una gradualità, dal facile al più difficile, in modo che la ripetizione dei principi e delle operazioni orienti verso l’individuazione di regole e strategie da applicare in diverse situazioni.

L’attività si sviluppa attraverso momenti di lavoro individuale e momenti di elaborazione collettiva, in continua interazione con l’insegnante che coinvolge i discenti nella definizione del problema e nella partecipazione e nelle proposte di soluzione su cui avviare la discussione di gruppo.

Il lavoro non è soggetto a valutazione, ma il docente cerca di promuovere un atteggiamento di autovalutazione basato sia su criteri oggettivi quali la velocità, sia su criteri soggettivi in rapporto al percorso svolto.

La vastità del contenuto e l’articolazione dell’impianto metodologico richiede un tempo abbastanza lungo di applicazione di 12 -20 ore di lavoro per ogni soggetto cui vanno aggiunti i tempi per l’analisi e la valutazione delle prove, per la redazione dei rapporti finali e per i rapporti da intrattenere in fase preliminare ed in fase conclusiva con gli insegnanti e con le famiglie.

Per un’applicazione completa del PAS che ne realizzi appieno gli obiettivi, sono necessari 2-3 anni con un frequenza di 5 o 3 applicazioni settimanali di un’ora ciascuna.

E’ possibile anche una somministrazione collettiva della batteria, che procede con modalità diverse e consente di ottenere altre informazioni.

Può essere utilizzata nel corso di una ricerca, o per acquisire un certo numero di dati sulla situazione del gruppo classe, a partire dai quali elaborare un programma di intervento per l’intera scolaresca.

   

 

 

3.10 CREAZIONE DI AMBIENTI MODIFICANTI ME Modifing Environments

Per la riuscita del PAS è molto importante l’esistenza di un ambiente che permetta all’individuo di cambiare e che concorra alla realizzazione della modificabilità cognitiva.

L’ambiente è il luogo dove il soggetto trascorre molte ore della sua giornata, esso può essere la scuola, la famiglia o il luogo di lavoro.

Perché abbia la funzione di modificare deve organizzare delle situazioni che producano “una tensione positiva tra ciò che è conosciuto e ciò che deve ancora essere appreso”.

Conoscenza ed adattamento sono strettamente correlati tra loro ed il passaggio deve avvenire in un clima sereno.

In questo delicato processo di modificazione, è insostituibile il ruolo del mediatore. Feuerstein spesso ricorda la favola di “Ago e filo”[57] perché essa trova un’applicazione diretta al mediatore e al metodo.

Infatti la teoria sul PAS è il filo che unisce i pezzi della trama, ma “l’ago”, è la forma in cui il programma si usa, l’ago dipende dalla mano del mediatore. Cosa può essere il filo se l’ago non apre il cammino? Feuerstain afferma che non è possibile raggiungere lo scopo senza che si modifichi il maestro.

Vi è quindi la necessità che il mediatore venga formato affinché i suoi strumenti non corrano il rischio dipende dalla mano del mediatore.

3.11 LA REALIZZAZIONE DELLA MODIFICABILITA’ COGNITIVA

 

Per la realizzazione della mediazione cognitiva è necessario un ambiente significativo di apprendimento composto da persone, ruoli e processi di apprendimento.

Perché l’ambiente sia “significativo” è richiesta la presenza contemporanea di tutte le componenti evidenziate nella tabella 1, ma soprattutto per l’insegnante significa aver percorso un itinerario di formazione sia sul saper fare trasversale e predisciplinare, sia sulle competenze riguardanti i processi cognitivi che sono alla base del pensiero del discente di ogni età.

La professionalità del docente

Formazione pedagogico didattica:

Conoscenza delle metodologie di gruppo delle didattiche più coerenti con il raggiungimento degli obiettivi del piano educativo individualizzato riferito alla classe, uso educativo delle tecnologie, conoscenza delle tecniche di produzione e comprensione verbale, iconica, grafica, numerica.

Collegamenti tra la teoria, la ricerca e la prassi educativa.

Formazione psicologica:

Conoscenza dei processi psicologici collegati all’apprendimento: percezione, attenzione, memoria, motivazione, autostima, convergenza, divergenza, metacognizione, comunicazione interpersonale, creatività. Conoscenza delle fasi di sviluppo pedagogico dall’infanzia all’adolescenza.

Formazione culturale ed epistemologica genetica Conoscenza dell’aspetto profondo dei concetti da insegnare e delle fasi della loro costruzione mentale, ciò rende possibile la semplificazione del concetto sia la individualizzazione dell’intervento sulla base dell’effettiva conoscenza della mancanza o della carenza del concetto considerato.

Scuola - famiglia - territorio - rete di sostegni

Una scuola ben attrezzata ossia dotata di aule, di laboratori per l’informatica, le scienze, la musica, i filmati e di spazi polivalenti per giochi e rappresentazioni, da porre tutti gli alunni in condizione operativa permettendo l’uso integrato dei linguaggi sia a livello comunicativo sia a livello di apprendimento, riducendo l’uso esclusivo verbale che spesso risulta essere deficitario. 

Disponibilità costante della famiglia ad impegnarsi verso ciò che il ragazzo fa a scuola e a casa, valorizzando la funzione formativa dei vari apprendimenti, entrando in stretta collaborazione con gli insegnanti e mettendo a disposizione le esperienze personali possedute.

La scuola così interagisce con le famiglie nell’interazione educativa.

La definizione dei rapporti con gli altri enti territoriali è quasi un imperativo categorico nella scuola dell’autonomia.

Il modellamento del percorso educativo deve perciò poggiare sulle risorse territoriali in termini sia culturali sia pratici, collegandosi alla vita della città o del paese in cui la scuola è ubicata.

Il territorio costituisce la mappa culturale e umana da imparare a leggere comprendere e usare.

Due sono perciò le principali condizioni alla base di una tale scuola:

1.  Professionalità docente funzionale all’individualizzazione dell’apprendimento

2.  Livello di coinvolgimento e collaborazione degli agenti istituzionali del processo educativo scuola - famiglia - enti territoriali.

 


[45] Platone, Opere complete Clitofonte La Repubblica Timeo Crizia, Roma-Bari, G. Laterza, 1966

[46] Werner Jaeger Paideia. La formazione dell’uomo greco, Berlino u Liepzig, Walter de Gruyter & Co., 1944, 1954 Vol. 3.

[47] Marrou Henrì Irenee, Histoire de l’education dans l’antiquité, Paris, Edition Duseuil, 1948.

[48] D’Amato - Florian, Il programma Feuerstein, Giunti e Lisciani ed, 1993.

[49] J.B. Watson, La psicologia dal punto di vista di un comportamentista.

[50] B. Skinner, Storia della psicologia” a cura di P. Legrenzi, Bologna, Il Mulino

[51] J. Piaget, La psicologia dell’intelligenza, Roma , Armando,

[52] Ruven Feuerstein, Non accettarmi come sono, Firenze, Sansoni, 1995.

[53] Paola Vanini, Il metodo Feuerstein, IRRSAE-ER Innovazione Educativa, 11/12,1993.

 

[54] Seneca, Epistulae ad Lucilium, 7,8 in François Prèchac et traduit par Henri Noblot, Paris, Les Belles lettres, s.d.

[55] Ad esempio: una madre nel preparare la cena insieme alla figlioletta, oltre ad insegnarle come si cucinano le vivande, le spiega quali nutrienti contengano e perché è bene cucinare certi alimenti per i nonni, che soffrono di alcuni disturbi metabolici e altri per il resto della famiglia; che cosa conviene cucinare prima e perché; oppure come si preparavano piatti analoghi quando lei era bambina.  

In tutti questi casi la mamma supera il bisogno immediato legato alla preparazione del cibo e approfitta dell’occasione per ampliare la sfera di conoscenze della figlia, per indurla a fare collegamenti, ipotesi, domande, per stimolare, in sostanza nuovi bisogni cognitivi.

 

[56] Antonio Miotto, in Enciclopedia della scienza e della tecnica, Milano, A. Mondadori McGraw Hill, 1963, Vol VI.

[57] K. Fontana - O. Bombardelli  Educazione del pensiero - L’apprendimento mediato in R. Feuerstein”

 

 

 

 

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