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ARBOGASTE E FLAVIANO:

L'ULTIMA BATTAGLIA SOTTO LE INSEGNE DI GIOVE

 

Località: Impero Romano d'Occidente

Epoca: 392-394 d.C.

 

Flavio Arbogaste

Flavio Arbogaste, un pagano di origini franche e nipote del generale Ricomere, fu magister militum in praesenti, ossia comandante di gran parte delle forze armate dell'Impero Romano d'Occidente, sotto l'Imperatore Teodosio il Grande. Arbogaste combattè con successo lungo la frontiera renana e ricostruì la città di Colonia.

Morte di Valentiniano II

Teodosio pose Arbogaste accanto a Valentiniano II, allora ventenne, con il ruolo informale di reggente. I due ebbero rapporti difficili e Valentiniano II il 15 maggio 392 fu trovato impiccato nella sua residenza di Treviri. Arbogaste sostenne trattarsi di suicidio.

In effetti Arbogaste non aveva nulla da guadagnare dalla morte di Valentiniano II poichè in quanto franco non poteva aspirare alla dignità imperiale ed aveva di fatto già il completo controllo della parte nord-occidentale dell'Impero, compresa l'Italia.

Il corpo di Valentiniano fu trasportato con tutti gli onori a Milano. Ambrogio, vescovo di Milano e in ottime relazioni con Teodosio, durante l'orazione funebre accennò a qualcosa di non chiaro nella morte del giovane.

A Costantinopoli era divenuto prefetto del pretorio d'Oriente il cristiano Rufino, che aveva ricevuto la carica dopo la condanna, ottenuta manipolando giudici e testimoni, del pagano Taziano, precedente prefetto.

Arbogaste non riuscì a mettersi in contatto con Teodosio e ricevette segnali ambigui da Rufino.

Flavio Eugenio imperatore d'Occidente

Il 22 agosto 392, a Lione, Arbogaste fece proclamare Imperatore d'Occidente il cristiano Flavio Eugenio, che era magister scriniorum, ossia responsabile della cancelleria imperiale.

Eugenio inviò a Costantinopoli delle ambascerie, composte da membri del clero cristiano, per proporre un accordo. Teodosio rispose nominando suo figlio Onorio augusto dell'impero d'Occidente: la rottura era completa.

Nell'aprile del 393 Eugenio arrivò in Italia. Il vescovo Ambrogio abbandonò la capitale d'Occidente Milano per ritirarsi a Bologna. Ambrogio, figlio di un prefetto del pretorio della Gallia, era diventato vescovo di Milano nel 374.

Eugenio iniziò una politica di avvicinamento ai pagani, perseguitati da Teodosio, e permise che l'altare della Vittoria fosse nuovamente innalzato in senato. L'altare era stato rimosso nel 382 dall'imperatore Graziano, su richiesta di Ambrogio.

Nicomaco Flaviano Prefetto del Pretorio d'Italia

Eugenio nominò prefetto del pretorio d'Italia il pagano Nicomaco Flaviano, che aveva già ricoperto la stessa carica sotto Teodosio.

I templi vennero riaperti al culto, si celebrarono le festività tradizionali e vennero eseguiti i sacrifici con i sacri riti. Tra gli altri furono rinnovati i culti di Vesta, del Sole, di Mitra, di Ecate, di Iside, di Serapide, di Venere, di Ercole.

Nella primavera del 394 a Roma venne celebrata la festività di Attis e pochi giorni dopo la festa di Cibele. Seguirono la festa di Flora e le Megalesie.

Non tutta l'aristocrazia pagana aderì. Simmaco prese accortamente le distanze da Flaviano.

Ambrogio, che si era ritirato a Faenza, scrisse ad Eugenio per rimproverarlo, ma anche per giustificare il suo abbandono di Milano.

L'armata di Teodosio

Nel 394 Teodosio organizzò una armata per riconquistare l'Occidente. Il comando fu affidato a Timasio e al vandalo Stilicone, coadiuvati dal goto Gaina, dall'alano Saulo e da Bacurio, originario dell'Iberia. Le truppe erano prevalentemente germaniche. I federati Visigoti erano sotto il comando di Alarico. Altri contingenti furono forniti da alani e unni.

Teodosio indisse una vera e propria guerra santa: digiuni, preghiere, suppliche. Si rivolse anche all'eremita Giovanni di Licopoli, che viveva nelle montagne della Tebaide in Egitto, per avere una previsione/profezia dello scontro che si stava avvicinando. L'eremita previde la vittoria di Teodosio, ma anche la sua prossima morte in Italia. Prima di partire da Costantinopoli Teodosio indisse un giorno di lutto.

La battaglia sul fiume Frigido

Il pomeriggio del 5 settembre 394 Teodosio, nei pressi del fiume Frigido, attaccò frontalmente mettendo in prima linea i visigoti.

Le truppe d'Occidente, sotto le insegne di Giove, massacrarono i goti. Teodosio dovette dare l'ordine alle sue truppe di ritirarsi.

Teodosio trascorse la notte pregando. Due cavalieri celesti S. Giovanni e S.Filippo gli fecero coraggio. Un aiuto concreto gli venne da un gruppo di soldati che durante la notte, dietro adeguato compenso, furono convinti a passare all'armata d'Oriente.

Al mattino, nonostante il contributo dei traditori, Teodosio non riusciva a sfondare. Quando improvvisamente prese a soffiare la bora contro le truppe d'Occidente. Gli scudi venivano schiacciati gli uni contro gli altri. Le armi lanciate ritornavano indietro. Il volto dei soldati era pieno di sabbia. La bora aiutava invece la spinta dell'esercito d'Oriente.

La rotta fu inevitabile. Flavio Arbogaste e Nicomaco Flaviano, seguendo l'antica tradizione dei nobili romani, si suicidarono, prima di essere presi prigionieri.

I cristiani di nuovo al potere

Ambrogio, tornato a Milano, scrisse all'amico Pisidio Romolo una lettera in cui giustificava in termini quasi espliciti il massacro di cui si parla nell'Esodo, facendo intendere che l'eventuale sterminio di tutti i pagani sarebbe stato altrettanto legittimo.

Teodosio morì a Milano il 17 gennaio 395 a quarantotto anni.

Nel 399 Giovanni Crisostomo faceva approvare la distruzione dei templi.

 

 

Riferimenti bibliografici:

Williams S. - Friell G.

Teodosio - L'ultima sfida

ECIG

 

 
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