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AVERROÈ
Islam e filosofia

 

 

Averroè nasce in una famiglia di famosi giuristi, nel regno musulmano di Cordova all'inizio del XII secolo.

Diventa medico, giurista, astronomo e filosofo.

Scrive sui rapporti tra teologia e filosofia, argomento delicato sia nel mondo islamico che in quello cristiano ed ebraico.

I musulmani distruggono col fuoco le sue opere e lo "dimenticano".

Nel 1270 e nel 1277 il vescovo Etienne Tempier condanna i filosofi "averroisti" dell'università di Parigi.

Nel 1513 il V Concilio Lateranense condanna nuovamente l'averroismo.

 

Località: Spagna - Marocco

Epoca: 1126-1198 d.C.

 

Le origini

Abu'l-Walid Mohammad ibn Ahmad ibn Mohammad ibn Roshd (Aven Roshd diventato Averroës per i latini) nacque a Cordova nel 1126.

Suo padre e il suo bisnonno erano stati celebri giuristi. Il padre aveva rivestito la dignità di giudice supremo (qadi al-qodat) ed era stato anche un uomo politico influente.

Gli studi

Averroè studiò teologia e diritto (fiqh), poesia, medicina, matematica, astronomia e filosofia.

L'ascesa

Nel 1153, a 27 anni, andò in Marocco.

Nel 1169-70, a 43 anni, fu giudice (qadi) a Siviglia.

Studiò intensamente la filosofia di Aristotele e scrisse diversi commenti alle sue opere.

Nel 1170 portò a termine il Commento al Trattato degli animali e il Commento medio alla Fisica.

Nel 1174 terminò il Commento medio alla Retorica e il Commento medio alla Metafisica.

Nel 1178 si recò nuovamente in Marocco, dove compose il trattato conosciuto in latino come De substantia orbis.

Nel 1182 il sovrano almohade Abu Ya'qub Yusof, a cui era stato presentato da Ibn Tofayl, nominò Averroè, allora di 56 anni, suo medico personale e gli diede la carica di qadi di Cordova.

Il declino

Il 29 luglio del 1184 il sovrano morì e gli successe il figlio Abu Yusof Ya'qub che, dopo la battaglia di Alarcos (18 giugno 1195) contro Alfonso VIII re di Castiglia, prese il titolo di al-Mansur (il Vittorioso). Alfonso si riprenderà la rivincita con la vittoria di Las Navas de Tolosa nel 1212.

al-Mansur ebbe per undici anni buoni rapporti con Averroè, ma nel 1195, sotto l'influenza delle sette islamiche più ortodosse, cambiò opinione e ordinò che Averroè, privato di ogni dignità, fosse confinato nella città di Lucena (Elisana) vicino a Cordova, dove il filosofo dovette subire gli affronti, le satire e gli attacchi degli islamici.

al-Mansur pubblicò un editto in cui si diceva che Dio aveva riservato il fuoco dell'inferno per chi pensava che la verità potesse essere trovata per mezzo della sola ragione. Tutti i libri di logica e di metafisica vennero dati alle fiamme.

Infine al-Mansur fece trasferire Averroè in Marocco, dove il filosofo morì in stato di reclusione il 10 dicembre 1198, all'età di 72 anni, nella città di Marrakech.

I resti del filosofo furono trasferiti a Cordova.

I commentari

Averroè è stato il commentatore per eccellenza degli scritti aristotelici.

Fece tre tipi di commenti: i medi, dove sono riassunte le questioni dei singoli paragrafi; i grandi dove i paragrafi sono citati per esteso e poi ampiamente sviluppati; le parafrasi o analisi, con una descrizione più sintetica del pensiero di Aristotele, ma con una esposizione dell'opinione di Averroè.

Esistono tutti e tre i commenti delle seguenti opere: i Secondi analitici, la Fisica, il De Caelo, il De Anima, e la Metafisica.

Esistono i commenti medi e le parafrasi delle opere: Organon, De Generatione et corruptione, i Meteorologici, la Retorica, la Poetica.

Dell'Etica Nicomachea esiste solo il commento medio.

La Politica è sconosciuta ad Averroè, ma anche agli altri filosofi arabi.

Averroè fece anche un commento alla Repubblica di Platone ed uno all'Isagoge di Porfirio.

Nei suoi commenti Averroè utilizzò criticamente le opere filosofiche sia del mondo classico (Temistio ed Alessandro di Afrodisia) sia del mondo musulmano (al-Farabi, Avicenna-Ibn Sina e Avempace-Ibn Baggah).

I trattati filosofici

I trattati filosofici composti da Averroè sono i seguenti:

- Destructio destructionum Algazelis

- Epistola de connexione intellectus abstracti cum homine

- De substantia orbis

- Sull'accordo della ragione con la filosofia (Fasl al-makal), non tradotto in latino, ma esistente in arabo ed ebraico.

- Esame dei metodi di prova relativi alle dottrine della religione (Kashf al-manahij).

Le opere scientifiche e giuridiche

Averroè scrisse anche opere scientifiche:

- Liber universalis de medecina (Kulliyat, in latino Colliget), una grande enciclopedia medica scritta tra il 1162 e il 1169.

- Un commentario all'Almagesto di Tolomeo.

Di Averroè rimane anche un'opera giuridica considerata ancora oggi un'autorità nel campo della giurisprudenza: Bidayat al-mugtahid wa nihayat al-muqtasid (Punto di inizio per il giurista sommo e limite estremo per il giurista medio).

La distruzione delle opere di Averroè

A partire da al-Mansur gli islamici perseguitarono con accanimento la filosofia ed i filosofi in modo tale da impedirne la diffusione di qualsiasi opera.

Gran parte delle opere di Averroè ci sono pervenute grazie ai filosofi ebrei della Spagna cristiana e della Provenza. Gli ebrei le tradussero in ebraico o le traslitterarono in ebraico, un espediente per evitare che gli arabi ne comprendessero il significato e le distruggessero.

Michele Scoto tradusse in latino i commentari ad Aristotele, probabilmente durante il suo soggiorno a Palermo (1228-1235) alla corte dell'imperatore Federico II.

La distruzione della distruzione dei filosofi

Averroè compose Tahafut al-Tahafut (Distruzione della distruzione), opera di critica al teologo Ghazali (1059-1111) che aveva inteso annientare la filosofia con la sua opera Distruzione dei filosofi (Tahafut al-falasifah).

Ghazali aveva sostenuto una dura battaglia contro la filosofia in nome della religione. In particolare aveva rigettato il principio di causalità. Secondo l'islamico non esiste un rapporto tra causa ed effetto, se non nella forza operante di Dio. La causa attiva del bruciare non è il fuoco, ma Dio stesso, immediatamente o mediante i suoi ministri.

Secondo Ghazali vi sono cose che si sottraggono ad ogni prova. I massimi principi di ogni scienza non sono dimostrabili, se non per mezzo di una illuminazione profetica. Il più alto grado della vita spirituale non è il vano sapere della filosofia, ma l'intuizione immediata della verità.

Averroè rispose a Ghazali che:

- la conoscenza scientifica non è affatto contrastante con la rivelazione coranica;

- negare l'ordine razionale delle cause naturali e richiamarsi all'assoluta iniziativa divina significa trasformare la stessa divinità in "un re tirannico" estraneo ad ogni legge o diritto, incomprensibile nella sua irrazionale potenza;

- Dio è un principio di ordine e di razionalità che assicura all'universo la sua stabile e perenne continuità;

- la realtà ha ricevuto da Dio una struttura definita e perfetta, compiutamente comprensibile per la nostra ragione;

- solo studiando la disposizione perfetta di tutti gli enti e la mirabile necessità dei loro processi, il filosofo e lo scienziato si elevano alla più pura concezione di Dio;

- la verità rivelata e quella filosofica debbono necessariamente coincidere e coincidono;

- esistono diversi gradi di intelligenza dei testi sacri, in base al tipo di interpretazione;

- gli uomini di dimostrazione (i filosofi) procedono per vie razionali rigorose; agli uomini dialettici (i teologi) bastano argomentazioni di tipo probabile; agli uomini di esortazione (i semplici fedeli) è sufficiente un discorso di tipo retorico;

- le interpretazioni del Corano possono quindi variare tra coloro che tramite la riflessione razionale e scientifica giungono al senso nascosto della rivelazione, e coloro che ne afferrano solo il senso immediato ed esterno;

- un eventuale conflitto apparente tra le diverse interpretazioni può essere risolto da una esatta interpretazione filosofica.

La verità è una sola. Il filosofo la cerca attraverso la dimostrazione necessaria, il credente la riceve dalla tradizione religiosa nella forma semplice e narrativa che è adatta alla natura della maggior parte degli uomini.

Averroè nella filosofia occidentale

Verso il 1270 il termine "averroista" appare negli scritti dei filosofi occidentali per indicare una particolare lettura dei testi aristotelici.

Dante cita Averroè come il più grande commentatore del pensiero di Aristotele:

Euclide geometra e Tolomeo,
Ipocrate, Avicenna e Galeno,
Averois, che 'l gran comento feo.

(Divina commedia, Inferno, IV, 142-144)

Gli scritti di Averroè erano stati introdotti nel mondo latino da Michele Scoto, traduttore di Aristotele. Verso il 1230 Federico II aveva inviato all'università di Bologna le nuove traduzioni. Forse anche prima gli scritti di Averroè erano giunti all'università di Parigi.

Molti magistri delle Arti furono seguaci latini di Averroè o per lo meno così furono considerati dai loro avversari (Bonaventura, Alberto Magno, Tommaso d'Aquino).

I più famosi averroisti furono Sigieri di Brabante e Boezio di Dacia.

Nel 1270 Etienne Tempier, vescovo di Parigi, condannò l'averroismo.

Nel 1277 Tempier condannò 219 tesi, tra cui alcune erano di chiara origine averroista, o almeno appartenevano alla interpretatio latina dell'averroismo.

Nonostante la condanna, l'averroismo continuò nel secolo XIV con Giovanni Jandun a Parigi, Taddeo da Parma all'università di Bologna e Pietro d'Abano all'università di Padova, che divenne il maggior centro averroistico.

Nel XVI secolo si trovano ancora averroisti a Padova e a Bologna (Alessandro Achillini e M. Zimara).

Il V Concilio Lateranense condannò nuovamente l'averroismo nel 1513.

Averroè nella filosofia islamica

Scrive B. Russel: "Averroè è più importante per la filosofia cristiana che per quella maomettana. Nella seconda rappresentò un punto morto; nella prima un inizio" (Storia della filosofia occidentale, cap. IV)

Scrive H. Courbin: "In Oriente l'opera di Averroè passò pressoché inosservata. Né Nasir Tusi, né Mir Damad, né Molla Sandra, né Hadi Sabzavari hanno certo mai sospettato l'importanza e il significato che i nostri manuali avrebbero attribuito alla polemica Averroè-Ghazali. E se questo fosse stato spiegato loro, avrebbe certamente suscitato il loro stupore, come oggi suscita lo stupore dei loro successori" (Storia della filosofia islamica, cap. VI)

 

Riferimenti bibliografici:

Abbagnano N.
Storia della filosofia - La filosofia medievale

Tea

Baffioni C
Storia della filosofia islamica

Mondadori

Courbin H.
Storia della filosofia islamica

Adelphi

De Ruggiero G.
La filosofia del cristianesimo

Laterza

Fumagalli Beonio Brocchieri M. - Parodi M.
Storia della filosofia medievale

Laterza

Russel B.
Storia della filosofia occidentale

Tea

Vasoli C.
La filosofia medioevale

Feltrinelli

 

 
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