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CIPRO:
Venezia e i Turchi

 

 

Nel 1500 i Turchi con il sultano Solimano il Magnifico avevano raggiunto l'apogeo del loro impero.

La minaccia turca era sentita in tutto il Mediterraneo.

Le coste italiane erano sotto il continuo attacco dei musulmani. Ecco alcuni esempi:

- 1501 riduzione in schiavitù degli abitanti dell'isola di Pianosa nel Tirreno;

- 1516 sbarco a Lavinio, nel Lazio, il papa Leone X riuscì a sfuggire miracolosamente alla cattura;

- 1534 sbarchi a Cetraro e San Lucido, in Calabria, in vari luoghi del golfo di Napoli, a Sperlonga e a Fondi, nel Lazio;

- 1543 sbarchi a Messina e Reggio;

- 1544 sbarchi in Liguria, e a Talamone, in Toscana; riduzione in schiavitù degli abitanti di Ischia, Pozzuoli, Procida, Lipari, Reggio e Cariati;

- 1548 saccheggio e riduzione in schiavitù degli abitanti di Castellamare di Stabia e Pozzuoli, nel golfo di Napoli;

- 1550 saccheggio di Rapallo nel golfo ligure;

- 1551 saccheggio di Augusta a luglio;

- 1552 nuovo saccheggio di Augusta a maggio;

- 1554 a Vieste, sulla costa pugliese, furono portati via 6.000 abitanti;

- 1555 saccheggio di Paola in Calabria;

- 1558 riduzione in schiavitù degli abitanti di Sorrento e Massa;

- 1560 sbarco a Villafranca, dove il duca di Savoia Emanule Filiberto rischiò di essere ridotto in schiavitù;

- 1561-1565 saccheggio di Porto Maurizio, Antignano, Celle, Albissola;

- 1566 sbarchi a Ortona e Vasto, in Abruzzo.

Venezia era la maggiore potenza navale italiana. La sconfitta di Venezia sarebbe stata seguita immediatamente dalla invasione dell'Italia.

Venezia era presente nel Mediterraneo Orientale a Candia e a Cipro.

Il Turco, sostenuto da una motivazione politico-religiosa, cominciò ad attaccare dal punto più vicino al suo impero: l'isola di Cipro.

E Cipro cadde dopo una gloriosa resistenza della guarnigione italiana.

Il martirio di Bragadin rimarrà nei secoli a testimoniare il sacrificio per la difesa dei valori dell'Occidente.

La flotta cristiana fermerà a Lepanto la spada dell'Islam. Ma fino a quando?

 

Località: Cipro

Epoca degli avvenimenti: 1570-1571 d.C.

 


Selim II e la moschea

La consuetudine voleva che appena un sultano aveva preso il potere, impegnasse il ricavato del bottino della sua prima vittoria per costruire una moschea.

Selim II, figlio di Solimano il Magnifico, nei suoi primi tre anni di regno non era riuscito a trovare i soldi per la sua opera pia.

Selim aveva un consigliere ebreo, Giuseppe Micas. Giuseppe, figlio di un medico di Carlo V, ereditò da sua zia Ha-Gevereth la banca Mendes. Micas assicurava a Selim un servizio bancario efficiente con collegamenti in tutta Europa.

Giuseppe Micas consigliò al sovrano di conquistare Cipro e di utilizzare il bottino per la moschea.

Micas aveva intenzione di ripopolare Cipro con gli ebrei e sperava di poter divenire addirittura re di Cipro. Un precedente tentativo di costituire una colonia ebraica presso Tiberiade in Palestina era fallito per la resistenza della popolazione locale.

Cipro era allora sotto il dominio di Venezia. E Venezia era in pace con i Turchi. Il trattato di pace era stato rinnovato nel 1567. Non esistevano motivi per fare guerra a Venezia. Nel Corano è scritto "O voi che credete, rispettate gli impegni" (Sura 112, 1)

Allora il sultano chiese l'opinione al muftì, la massima autorità per l'interpretazione del Corano. E il muftì emanò una fatwa in cui dichiarava legittimo impadronirsi con la forza di tutte le terre che un tempo erano state musulmane: Cipro, Sicilia, Spagna, ecc. Era la guerra santa contro l'Occidente. "Combattete coloro che non credono in Allah e nell'Ultimo Giorno, che non vietano quello che Allah e il Suo Messaggero hanno vietato, e quelli, tra la gente della Scrittura, che non scelgono la religione della verità, finché non versino umilmente il tributo, e siano soggiogati." (Sura 9, 29).

L'attacco a Cipro

Il comando della operazione contro Cipro venne affidato a Piale Pascià, genero del sultano, e a Mustafà Lala Pascià, ex precettore del re.

Nel luglio del 1570 la flotta turca, comandata da Alì, sbarcò a Limassol 50.000 fanti e 2.500 cavalieri.

L'esercito puntò direttamente su Nicosia, la capitale di Cipro. Nicolò Dandolo era il governatore civile di Nicosia. Convinto che la guerra non sarebbe scoppiata Dandolo non aveva apprestato misure di sicurezza. La città era priva anche di viveri.

Il massacro di Nicosia

Mustafà Lala Pascià condusse l'attacco da terra.

Dopo 46 giorni di assedio la resistenza dei Veneziani si era ridotta al palazzo del governatore. Rimanevano in vita solo 500 soldati italiani.

Il 9 settembre 1570 Nicosia cadde in mano dei Turchi.

I Turchi mandarono un monaco greco a trattare con Nicolò Dandolo. Concordata la resa, i Turchi entrarono nel palazzo e massacrarono tutta la guarnigione.

La città venne messa a sacco per raccogliere il bottino destinato alla costruzione della moschea del sultano.

In città i Turchi uccisero più di 20.000 abitanti. Le donne si pugnalavano e si gettavano dai tetti. Preferivano la morte allo stupro della soldatesca. La fantasia dei Turchi nell'uccidere gli abitanti fu tale che si disse fortunato chi poté morire di spada.

Furono risparmiati 2.000 ragazzi e fanciulle destinati al mercato del sesso di Costantinopoli.

La giovane Amalda de Rocas riuscì a dar fuoco al deposito delle polveri della nave che la trasportava all'infame mercato. Sacrificò la vita per evitare il disonore a cui l'avrebbero sottoposta i musulmani.

L'assedio di Famagosta

La difesa dei Veneziani si ridusse a Famagosta, antica roccaforte crociata e importante porto sulla costa orientale dell'isola.

I cavalieri turchi arrivarono davanti a Famagosta innalzando le lance con le teste di Nicolò Dandolo e degli altri italiani massacrati a Nicosia.

La guarnigione non si lasciò intimorire e rafforzò le difese.

I soldati musulmani si accamparono a Capo Greco, un promontorio ad ovest della città.

I Turchi decisero di bloccare le acque intorno a Cipro con 40 navi.

La difesa di Famagosta

Marcantonio Bragadin era il governatore civile di Famagosta. Il comandante militare era Astorre Baglioni. La guarnigione era di circa 7.000 uomini. Molti greci si offersero volontariamente di partecipare alla difesa della città.

Attraverso il porto venne messa una catena per bloccarne l'accesso.

Famagosta non aveva praticamente mura. Esisteva solo un bastione quadrato, alto poco più di un metro, con i lati di 800 metri intervallati da torrette.

L'assedio invernale

I Turchi posizionarono l'artiglieria: 25 cannoni presero a sparare contro le inesistenti mura.

Sette galee turche incrociavano al largo di Famagosta per bloccare i rifornimenti.

Ma i Veneziani seppero reagire.

I fratelli Rondacchi, con pochi cavalieri, effettuarono spericolate sortite. Coraggiosi incursori attaccarono le batterie turche con granate a mano.

I Turchi scavarono una galleria per raggiungere le mura e farle saltare. Ma Nestore Martinengo, geniere e artigliere, fece scavare una galleria ancora più profonda, raggiunse quella nemica e riuscì a portare via tutti i barili di polvere da sparo predisposti dai Turchi.

Marcantonio Querini forza il blocco

Il 26 gennaio del 1571 le sette galee turche avevano gettato l'ancora nella baia di Costanza.

All'orizzonte comparve una flotta, guidata da Marcantonio Querini, con 16 galee e 3 navi da rifornimento.

Le galee turche presero il mare, ma vennero raggiunte dal Querini che ne affondò tre, le altre fuggirono durante la notte.

Il Querini portò viveri, munizioni e 1.600 uomini. Poi imbarcò i malati, i feriti e i non combattenti e ripartì per Candia.

Rinforzi da Venezia

Verso la fine dell'inverno arrivarono da Venezia 800 soldati al comando di Onorio Scotto.

La flotta turca

Il sultano Selim II, incollerito per la mancata conquista di Cipro, comunicò al diwan che non ci sarebbe stata alcuna altra campagna militare finché Cipro non fosse stata completamente conquistata.

In marzo la flotta turca iniziò a raccogliersi. Arrivarono navi dai Dardanelli, da Rodi, da Chio, da Negroponte e dall'Egitto. Vennero radunate oltre 200 imbarcazioni. Comandante venne nominato Alì, il figlio del muezzin della moschea vicina al serraglio.

In aprile Alì si presentò al largo di Cipro con l'avanguardia turca, costituita da 70 galee.

L'attacco da terra

Dal lato di terra l'esercito turco schierò almeno 100.000 uomini, ma alcuni affermano che fossero addirittura 250.000.

Alla fine dell'inverno i Veneziani combattenti non erano più di 4.000.

I Turchi scavarono trincee molto profonde. Un cavaliere vi poteva passare senza che si vedesse la sua lancia.

Furono nuovamente scavate gallerie, ma i genieri veneziani le facevano saltare.

A fine maggio Mustafà Lala Pascià aveva 74 cannoni distribuiti su 10 batterie. 4 cannoni erano basilischi, in grado di sparare palle da 90 chilogrammi.

I Turchi, in segno di scherno, alzarono lo stendardo veneziano catturato a Nicosia. Ma Astorre Baglioni fece una sortita e riportò a Famagosta l'emblema di Venezia, il Leone di San Marco.

Gli assalti dei Turchi vengono respinti

I Turchi riuscirono a far esplodere una mina nei pressi dell'Arsenale. Venne aperta una breccia nelle mura. Dopo 5 ore l'assalto venne respinto.

L'8 luglio, dopo aver sparato 5.000 palle di cannone in 24 ore, i Turchi riuscirono ad aprire una nuova breccia, ma anche questa volta i Veneziani resistettero.

Il 9 luglio Mustafà Lala Pascià ordinò di attaccare simultaneamente da tutte le brecce. Ma anche il terzo attacco venne respinto.

Il 31 luglio venne respinto il quarto attacco.

L'accordo di Bragadin con Mustafà Lala Pascià

Le condizioni della città erano disastrose:

- le brecce nelle mura erano diventate 5 o 6;

- i difensori ridotti a 1.800;

- la farina era finita;

- i cavalli erano stati mangiati, e quindi non potevano più esserci sortite;

- rimanevano solo 7 fusti di polvere da sparo.

Ma anche i Turchi avevano delle gravi difficoltà. Mustafà Lala Pascià aveva perso almeno 52.000 uomini nei quattro assalti. E i Veneziani, dopo la caduta della città, avrebbero ancora potuto opporre resistenza nella cittadella fortificata.

Il 1° agosto 1571 il senatore Bragadin si accordò con Mustafà Lala Pascià e la città venne consegnata ai Turchi.

Le condizioni di resa prevedevano che:

- fosse garantita la vita e la libertà di tutti coloro che si trovavano nella città;

- i cittadini di Famagosta potevano liberamente scegliere di andarsene o di rimanere nella città conquistata dai musulmani;

- coloro che avessero deciso di rimanere sotto il dominio turco avrebbero mantenuto le loro proprietà e avrebbero potuto continuare a praticare liberamente la religione cristiana;

- i soldati della guarnigione avrebbero potuto tenere le armi, lasciare la città con 5 pezzi di artiglieria sotto il comando dei loro ufficiali;

- la guarnigione sarebbe stata imbarcata su 40 galee turche e condotta a Candia.

L'infamia di Mustafà Lala Pascià

Il 4 agosto Mustafà Lala Pascià convocò gli ufficiali veneziani nella sua tenda.

Mustafà Lala Pascià cominciò a manifestare la sua intenzione di non voler osservare l'accordo. Cercò in tutti modi di provocare Bragadin, che non rispose agli oltraggi.

Ad un certo punto Mustafà Lala Pascià chiese di trattenere in ostaggio il giovane paggio Antonio Querini. Tutti si accorsero della cupidigia con cui Mustafà Lala Pascià guardava il giovane. Bragadin rifiutò.

La violenza esplose. Tutti coloro che avevano accompagnato Bragadin furono immediatamente uccisi, compreso il comandante militare Baglioni. Furono salvati i più giovani e piacenti, che furono fatti prigionieri per sottostare alle voglie dei musulmani.

A Bragadin vennero mozzate le orecchie e il naso.

I soldati veneziani ridotti in schiavitù

In assenza di Bragadin, il comando era stato affidato a Lorenzo Tiepolo. Questi, del tutto ignaro di quanto era avvenuto nella tenda di Mustafà Lala Pascià, condusse i soldati sulla spiaggia e li fece salire sulle galee turche. Ma i musulmani imprigionarono i soldati e li legarono ai banchi dei rematori. Lorenzo Tiepolo venne impiccato.

Il martirio di Bragadin

Il 17 agosto, un venerdì, giorno sacro per i musulmani, Mustafà Lala Pascià fece trascinare Bragadin in ginocchio per il campo e lo obbligò a baciare la terra ogni volta che passava davanti alla sua tenda.

Poi Bragadin venne appeso all'albero di una galea. Tutte le galee, comprese quelle su cui erano stati incatenati i soldati italiani, vennero chiamate a disporsi intorno per vedere il senatore veneziano senza naso e senza orecchie.

Terminato lo spettacolo a mare i Turchi decisero di mettere Bragadin alla berlina sulla piazza principale della città affinché anche i greci potessero vederlo.

Infine risuonarono i tamburi e le trombe. Mustafà Lala Pascià diede l'ordine di scorticare vivo Bragadin. Morì quando il coltello del boia arrivò all'altezza dell'ombelico.

Ma la festa dei musulmani non era ancora finita.

La pelle di Bragadin venne riempita di paglia. Attraverso le vie di Famagosta venne organizzato un triste corteo con i resti del senatore. Poi il macabro trofeo, insieme alle teste di Alvise Martinengo e di Gianantonio Querini, venne issato sul pennone della galea di Mustafà Lala Pascià.

La festa continuò a Costantinopoli, dove i trofei mortuari vennero inviati. Venne rinnovato il lugubre corteo attraverso le vie della capitale musulmana. Infine quanto rimaneva del senatore Bragadin venne gettato nella prigione degli schiavi.

 


Riferimenti bibliografici:

Beeching J.

La battaglia di Lepanto
Bompiani

Benvenuti G.

Le repubbliche marinare: Amalfi, Pisa, Genova e Venezia
Newton&Compton

Bono S.

Corsari nel Mediterraneo
Mondadori

Braudel F.

Civiltà e imperi nell'età di Filippo II
Einaudi

Lane C. F.

Storia di Venezia
Einaudi

Rendina C.

I dogi
Newton&Compton

 

 
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