Majinbu
L'articolo è stato
pubblicato sul N. 61 della rivista Modellismo, assieme al disegno e
alle fotografie.
Sulla rivista l'articolo è presentato con la consueta professionalità che la contraddistingue,
che io non ho saputo replicare su questo sito, spero comunque che scuserete
questa "artigianalità" e terrete conto della buona volontà profusa.
E' possibile anche scaricare il disegno in formato .DXF
In una categoria nella
quale può sembrare impossibile essere competitivi senza un modello “tutto in
stampo”, l’amico Paolo Selvolini gareggia da tempo con soddisfazione
utilizzando modelli interamente realizzati in proprio, utilizzando una tecnica
costruttiva economica ed efficace al tempo stesso.
Questa tecnica consente di
realizzare ali le cui prestazioni si avvicinano molto a quelle realizzate in
stampo, senza però richiedere gli investimenti elevatissimi di quest’ultima
tecnologia o…. di essere comperate già fatte, cosa che priva il modellista
della possibilità di sperimentare nuove soluzioni.
Dopo
diversi anni di attività nella F5F (elettrico 10 celle), Paolo ha maturato una
discreta esperienza in merito alla costruzione di modelli per questa categoria,
realizzandone diversi di aperture comprese tra 1800 e 2260 mm (a parità di sup.
alare), e profili MH22, MH32-7%, RK40, HD47 ed HD53.
L’evoluzione
dei modelli nel tempo, oltre che lato motori/eliche, ha riguardato soprattutto
l’ala, che negli ultimi esemplari era divenuta sempre più allungata e sottile.
Il progressivo aumento dell’allungamento alare
si era reso necessario per ben due motivi:
1) Nella prova di velocità (in circuito) la velocità
massima nel tratto rettilineo è di poco influenzata dalla forma in pianta
dell’ala (anche se sarebbe preferibile una forma meno allungata per far
lavorare l’ala ad un migliore numero di Reynolds), mentre nelle virate alle
basi la portanza totale richiesta all’ala
(uguale al peso del modello moltiplicato i “g” tirati in virata) diviene
tale da richiedere coefficienti di portanza elevati, questo causa un aumento
della resistenza indotta che si può limitare efficacemente aumentando
l’allungamento alare.
2) La prova di durata, portata già da tempo da 5’ a 10’,
pesa di più sul risultato complessivo, anche in questa condizione l’ala lavora
ad elevati coefficienti di portanza e certamente un aliante più allungato è
avvantaggiato, a patto che le corde rimangano sufficientemente ampie da far
lavorare il profilo al disopra del proprio numero di Reynolds critico nelle
condizioni di impiego .
La categoria impone una
superficie totale minima di 36 dmq, tutti i costruttori si attengono quindi a
questo valore, sia per disporre del miglior rapporto trazione/resistenza (meno
sup. = meno resistenza), sia per avvicinarsi il più possibile al peso minimo di
1500 gr (tuttaltro che semplice da raggiungere) ed ottimizzare anche il
rapporto trazione/peso.
Quasi
tutti i modelli costruiti da Paolo prevedono una superficie alare di poco più
di 32 dmq ed un piano di quota di 4 dmq, gli ultimi due modelli realizzati
prima del Majinbu avevano un’apertura di 2200 mm e 2260 con rispettivi
allungamenti di 15 e 16 circa.
L’allungamento
15 è sembrato essere il limite massimo oltre il quale si è verificato un leggero
scadimento nelle prestazioni, il problema è attribuibile alla diminuzione del
numero di Reynolds, direttamente collegato alla misura delle corde alari, che
causa un incremento del coefficiente di resistenza del profilo. Inoltre erano
insorti anche problemi di controllabilità con vento forte, dovuti senza dubbio
all’elevato allungamento, che avrebbero dovuto essere contrastati con
l’adozione di un direzionale più grande portando altro peso e resistenza.
Le
intenzioni, volendo progettare una nuova ala, erano quelle di aumentare le
prestazioni in velocità senza pregiudicare sensibilmente il volo in termica,
l’ideale sarebbe stato fare un’ala più piccola conservando le corde dell’ala
con allungamento 15 ma…. Il regolamento parla chiaro…. Quindi non potendo
rimpicciolire l’ala geometricamente si è pensato di farlo “aerodinamicamente”
(che poi è quello che conta!).
Si
è quindi pensato di utilizzare un profilo più sottile, con una resistenza più
bassa, allargare moderatamente le corde (con beneficio per il numero di
Reynolds) ed ottenere così un’ala più “piccola” aerodinamicamente (ovvero con
minor resistenza totale) a parità di superficie geometrica.
Volendo
condire il ragionamento con una semplice formula possiamo osservare che la
resistenza R generata da un ala è:
R = 1 r · V² · Cd · S
2
dove:
r = caratteristica fisica
dell’aria
V = velocità del modello
S = Superficie alare
Cd = Coefficiente di
resistenza del profilo
Volendo
quindi diminuire la resistenza potremo operare sui fattori suddetti, ad eccezione di r che non riguarda il modello
ma l’ambiente circostante.
Possiamo osservare ad
esempio che diminuendo la velocità V diminuisce anche la resistenza R....ma noi
vogliamo aumentarla la velocità non diminuirla!
Non potendo neppure
lavorare sulla superficie S che è praticamente imposta dal regolamento, ci
dovremo concentrare sul coefficiente di resistenza del profilo Cd che è di
fatto l’unico parametro sul quale possiamo lavorare.
Il profilo preso come
punto di partenza è l’ HD 47, tra tutti quelli provati si è dimostrato il più
veloce, senza peraltro mostrare particolari inferiorità nella prova di durata,
sfortunatamente questo profilo è anche quello che ha la resistenza minima più
bassa, per cui non esisteva un’alternativa che avesse le caratteristiche da noi
desiderate (minore resistenza dell’HD 47).
In un primo momento si è
pensato di ridurre lo spessore dell’HD 47 (che è del 6,5%), ma provando ad
assottigliare ulteriormente questo profilo (al 6% ed al 5,5%) non si sono
purtroppo incontrati i benefici sperati in termini di contenimento della
resistenza, almeno stando a quelle che sono le previsioni date dalla galleria
del vento virtuale del programma Xfoil.
E’
stato quindi necessario sviluppare dei profili completamente nuovi che avessero
una minore resistenza. L’idea di partenza era di poter disporre di un profilo
con un coefficiente di resistenza minimo inferiore ed un coefficiente di
portanza massimo uguale a quello dell’HD 47; sarebbe stata accettabile una
minore efficienza vicino al coefficiente di portanza massimo in quanto avrebbe
influenzato poco o niente la prova di durata, dove è più importante
privilegiare una buona portanza piuttosto che una bassa resistenza.
Durante
le virate alle basi della prova di velocità (elevati Cl) la perdita di
efficienza, visibile sulla polare del profilo, sarebbe stata compensata
dall’incremento del numero di Reynolds dovuto sia all’aumento delle corde che
della velocità di partenza della virata (la velocità massima alla fine del
rettifilo).
Dopo
un discreto lavoro il profilo sviluppato, denominato SN32, ci è parso
rispettare le specifiche iniziali, come si può del resto vedere nella
polare-confronto con l’HD47, anche in questo caso si tratta di un profilo
laminare con uno spessore molto contenuto (il 6%) ed una curvatura dell’1,3%.
È
stato sviluppato anche un profilo SN33 (6,5% di spessore) con l’intento di
utilizzarlo alla radice ed all’estremità alare. Lo scopo è quello di guadagnare
un minimo di spessore per motivi strutturali alla radice, e migliorare le
caratteristiche di stallo delle estremità.
Il
profilo SN33 è stato realizzato per essere utilizzato in combinazione con lo
SN32, nonostante lo spessore maggiore ha infatti una curvatura leggermente
inferiore (1,25%), per poter mantenere lo stesso angolo di portanza nulla e
garantire quindi all’ala di poter lavorare in condizioni di resistenza minima
per tutta la sua apertura.
Anche la forma in pianta
dell’ala ha subito delle modifiche rispetto ai precedenti modelli, dovendo
essere realizzata in estruso chiaramente si è dovuto disegnare una “spezzata”
che approssimasse la forma ellittica.... che poi proprio ellittica non è.....
infatti già da tempo, molti modelli da F5F, tra cui anche i precedenti modelli
di Paolo, avevano abbandonato la distribuzione ellittica della portanza,
optando per un’ellisse “allargata” alle estremità che, fatti alla mano,
garantisce una migliore controllabilità del modello sia in termica che nelle
virate durante la prova di velocità.
La novità di questa ala,
oltre che nei profili, sta anche nell’andamento della linea focale, per
ottenere la quale è stato necessario portare il numero di rastremazioni da 3 a
4 per semiala (in totale 8 pezzi...). L’ala
presenta una freccia leggermente negativa alla radice, che diventa
positiva man mano che si va verso l’estremità, questa configurazione, adottata
peraltro da quasi tutti i più recenti alianti reali, garantirebbe un incremento
di efficienza della zona prossima alla radice alare migliorando la portanza
senza incrementare la resistenza.
Gli alettoni sono
dimensionati generosamente e non si estendono sino all’estremità, ma sono
tagliati abbastanza distanti da questa, lo scopo è quello di farli lavorare
anche come flap, con i flaperoni abbassati l’estremità si troverà ad incidenza
negativa rispetto alla parte interessata dal flaperone, conferendo all’ala una
“svergolatura” negativa che dovrebbe migliorare il volo in termica. La
soluzione dei flaperoni non è efficace come quella di un profilo variabile su
tutta l’ala, ma anche in questo caso si è operato una scelta di compromesso,
preferendo risparmiare il peso e la complicazione di altri 2 servi e relative
superfici mobili visto l’uso limitato dei flap possibile su modelli di questa
categoria.
Durante la prova di durata è infatti sicuramente favorevole abbassare
un poco i flap (1 o 2 gradi), poiché si alza il coefficiente di portanza
massimo e, teoricamente, si diminuisce la velocità di discesa del modello. Il
problema degli F5F è che a differenza degli F3B ed F3J, hanno delle corde che
li portano al limite del NR critico dei profili impiegati (anzi in durata le
estremità vanno in regime subcritico e si dovrebbe adottare un
turbolatore...... ma poi si peggiora nella prova di velocità), per cui
abbassare molto i flaps e rallentare molto il modello non è conveniente neppure
in termica, perché la polare del profilo molto flappato al NR necessario per
sfruttare i coefficienti di portanza elevati, peggiora a tal punto che il
rapporto Cl^3/Cd^2 risulta inferiore a quello del profilo meno flappato.
Vista
l’eterna insolubile diatriba fra i sostenitori del piani a V e quelli dei piani
a T, la scelta di Paolo sembra operata seguendo la filosofia di... non voler
fare un torto a nessuno... adottando di conseguenza la configurazione... a
croce!
Scherzi
a parte la scelta ha un suo fondamento sia costruttivo che aerodinamico;
costruttivamente si ottiene praticamente lo stesso peso di un piano a V,
potendo alleggerire il direzionale che non deve più sopportare gli sforzi imposti dal piano di quota a T, e
risparmiando il peso e la complicazione del meccanismo di rinvio necessario per
i piani a V, infatti il servo, di taglia submicro, trova spazio nello spessore
del piano di coda, mentre la parte sporgente è carenata nel trave di coda della
fusoliera. Dal punto di vista aerodinamico invece il piano a croce ha
sostanzialmente lo stesso comportamento di un piano a T, ma sembra che il
vantaggio in termini di resistenza ottenuto alzando il piano di quota rispetto
all’ala, sia equivalente o addirittura inferiore rispetto al contenimento di
resistenza dato dalla riduzione dello spessore del direzionale dal 12% al
4%, nei piani a T infatti lo spessore
del direzionale al 12% era obbligatorio sia per poter contenere il servo del
profondità all’interno, sia per garantire la resistenza strutturale necessaria.
Sarà volutamente
trascurata la costruzione della fusoliera, che è stata realizzata con uno
stampo tradizionale, in quanto essendo il procedimento di creazione dello
stampo normalissimo ed il modello destinato ad aeromodellisti con una certa
esperienza, si presume che questi ultimi sapranno sicuramente come realizzare
uno stampo o reperire una fusoliera del commercio idonea allo scopo.
Merita invece un
approfondimento l’aspetto costruttivo dell’ala che rappresenta, nel panorama
dei modelli per questa categoria, una interessante alternativa; attualmente
infatti le ali dei modelli da F5B o F5F sono generalmente realizzate in stampi
fresati con macchine a controllo numerico.
La soluzione dello stampo
CNC, se da una parte consente la massima precisione nella realizzazione,
dall’altra porta tempi e costi elevatissimi nello sviluppo di un modello, tali da
rendere difficile se non impossibile per il singolo sviluppare un modello con
questa tecnologia, meno che mai “azzardare” soluzioni innovative che potrebbero
anche rivelarsi deludenti e vanificare così l’investimento... non si può
proprio correre questo rischio! Alla fine quasi tutti i modelli impiegati nelle
competizioni vengono dal commercio e sono di provenienza estera... con poche
lodevoli eccezioni.
La base del metodo
adottato per il majinbu invece parte da una normale (o quasi) ala in estruso;
per motivi di precisione (ma anche di rapidità) è stato abbandonato il taglio
con le dime (se ne sarebbero dovute realizzare ben 10 tra dorso e ventre), E’ stato coinvolto invece il buon Fabiano
Morassutti che ha tagliato con la sua macchina CNC gli otto pannelli che
costituiscono l’ala (un vero puzzle!... mi ha detto al telefono) che devono poi
combaciare alla perfezione.
Ricevuti i pezzi di
estruso tagliati, Paolo ha assemblato l’anima e le controsagome dell’ala
utilizzando epossidica 5 minuti, in questa operazione è importante che la colla
non arrivi fino al bordo della superficie, poiché altrimenti si vedrà il segno
della giunzione sul rivestimento, infatti nel momento in cui si presserà l’ala,
il poli si schiaccerà ovunque tranne che nel punto dell’incollaggio
“esuberante” creando una evidente quanto
fastidiosa traccia.
Una volta uniti i pannelli
si devono realizzare nell’anima gli scassi per i longheroni, il longherone
principale è posizionato nel punto di massimo spessore, mentre il secondo
longherone è posizionato 35 mm dietro al precedente, in modo da lasciare tra i
due longheroni lo spazio per potervi inserire il servo alare; entrambe i
longheroni sono a doppio T la cui parte verticale è costituita da un sandwich
di compensato di balsa (tre strati da 1mm incrociati) e fibra di carbonio,
mentre gli elementi orizzontali del doppio T sono realizzati completamente in
rowings di carbonio, laminato direttamente all’interno delle fresature
realizzate con il dremel.
Per operare le fresature
fate sporgere una fresa (di 3 mm di diametro) per 1 mm dalla superficie del
supporto per fresare, in modo da ottenere sull’estruso un canale largo 3mm e
profondo 1, allargate successivamente il canale nella zona centrale portandolo
a 8 mm di larghezza in corrispondenza della radice alare.
Al centro delle fresature,
che devono ovviamente essere fatte sia sul dorso che sul ventre, praticate dei
tagli verticali, andando ad asportare materiale per far spazio alla parte
passante del longherone in balsa/carbonio, realizzate poi sul ventre anche la
fresatura che servirà per far passare i fili dei servi.
Eliminate con il tampone
anche i primi 2 mm circa di BE dall’anima di estruso e tagliate via anche 6mm
di BU, in fase di laminazione il polistirolo asportato sarà rimpiazzato da
rowings di carbonio.
Appuntate con 5 minuti i
longheroni in balsa/carbonio all’interno degli scassi precedentemente
realizzati, avendo cura che rimanga libero lo spazio delle fresature sia sopra
che sotto per potervi inserire i rowings di carbonio; a questo punto si può
passare alla fase di laminazione vera e propria.
Ritagliate da un
foglio di polietilene da 0,2 mm, due sagome aventi la stessa forma in pianta
dell’ala ma abbondanti di almeno 10 mm in larghezza per tutto il perimetro, su
questi fogli di polietilene deve essere applicato un fondo a spruzzo, questo
consentirà di avere il fondo bene aggrappato al rivestimento e la fastidiosa
trama del tessuto già stuccata; in precedenza erano state realizzate anche ali
già finite, ovvero già verniciate, ma per ottenere un buon risultato era
necessario utilizzare del polietilene da almeno 0,8 mm e, anche se la finitura
era soddisfacente, Paolo aveva rilevato che si verificavano spesso delle
deformazioni sul BE del profilo; siccome il rispetto della forma del BE è importante
per le prestazioni, lo stesso Paolo ha trovato questa soluzione di compromesso:
utilizzare polietilene più sottile per ottenere un’ala sulla quale sono
purtroppo “copiate” tutte le piccole imperfezioni presenti sul polistirene, ma
conservare un ottimo rispetto della forma del profilo.
Sul fondo già
applicato sarà facile stuccare eventuali piccoli avvallamenti nella zona dei
longheroni e delle giunzioni dei pannelli utilizzando stucco metallico ed
ottenere in breve tempo una superficie pronta per la verniciatura finale.
Sul lato verniciato dei
fogli di polietilene applichiamo una mano di resina (nel caso specifico la 285
di Schaller) e poi appoggiamo sopra la superficie resinata del tessuto di vetro
da 27 gr/dmq, con un pennello “picchiettiamo” sul tessuto in modo da
impregnarlo con la resina già stesa, su questo primo strato di vetro si applica
poi il rivestimento vero e proprio costituito da uno strato di tessuto di
carbonio da 90 gr/dmq.
Passiamo quindi sul
tessuto di carbonio con un pennello appena umido di resina, con l’intento di
bagnare (per quanto possibile) il tessuto di carbonio con la resina in esubero
dal sottostante strato di vetro, in questa fase si deve controllare controluce
il tessuto di carbonio insistendo con il pennello sulle zone opache, indice di
mancanza di resina.
Una volta laminati il
dorso ed il ventre, si appoggiano i rivestimenti sulle rispettive controsagome
(dal lato del polietilene!... ovviamente ) e si passa ad inserire i rowings di
carbonio nelle fresature del dorso alare,
l’ideale è utilizzare una macchinetta come quella della foto, che
consente di bagnare e “strizzare” il rowing nel momento stesso in cui si tira,
risparmiando tempo prezioso; una volta riempite accuratamente tutte le
fresature si laminano, applicandole direttamente sul polistirolo in
corrispondenza delle cerniere degli alettoni, delle striscie di tessuto da 27
gr/dmq e le fettucce di peel-ply che andranno a costituire la cerniera vera e
propria.
Con il pennello si
inumidisce leggermente di resina tutta la superficie dell’estruso, quindi si
unisce l’anima al rivestimento
appoggiando il tutto sulla controsagoma del dorso; a questo punto si tirano 5
rowings NF 12000 applicandoli sullo spigolo formato dal BE e dal rivestimento
del dorso, e si applicano pure, distendendoli con cura, 2 rowings di carbonio
NF 12000 su BU, andando a colmare i 6 mm di vuoto tagliati via dalle anime di
polistirolo in precedenza.
Una volta effettuata
questa operazione si riempiono le fresature del ventre con i soliti rowings di
carbonio, ne più ne meno di come era stato fatto sul dorso, si deve inumidire
con la 285 anche il poli del ventre, avendo però cura di non bagnare il canale
per il passaggio dei fili dei servocomandi.
A questo punto si
chiude il “panino” appoggiando il rivestimento del ventre alare e la relativa
controsagoma, per tenere ben fermo il tutto si utilizzeranno delle strisce di
nastro da carrozziere.
Il manufatto viene
quindi chiuso nella pressa/scaletto visibile in foto, che consente di
realizzare l’ala con il diedro in un colpo solo, la giusta pressione si ottiene
realizzando degli spessori più bassi di 1mm rispetto all’altezza complessiva
del “panino” a riposo, e stringendo poi “a morte” la pressa sino all’altezza
determinata dagli spessori.
Il tutto va messo in
un posto ben caldo, almeno 40 gradi.... ma meglio 60, in questo modo per
effetto della pressione e della temperatura la resina defluirà automaticamente
dalle zone di eccesso garantendo una buona uniformità dell’incollaggio.
A catalizzazione
avvenuta si rifila l’ala lungo il perimetro e si provvede alla stuccatura e
verniciatura, ultimata la finitura si possono ritagliare gli alettoni
utilizzando l’archetto da traforo lungo i lati ed il trincetto sul ventre, per
praticare invece l’incisione dorsale lasciando intatto il peel-ply sottostante,
il sistema migliore è quello di utilizzare un dischetto abrasivo del dremel a
mano, come se fosse una lama, asportando man mano carbonio dal dorso e
“forzando” l’alettone verso l’alto fino a rendere completamente libero il movimento.
Si realizzano quindi
sul dorso gli alloggiamenti per i servi e si passano i cavi sfruttando
l’apposito canale lasciato in precedenza ... l’ala è pronta.
I due esemplari realizzati
da Paolo sono motorizzati con due
diversi motori brushless, il primo denominato “silver” con un Plettemberg
220/25 ridotto 7:1 ed un elica 18x16“ realizzata da Andrea Testi con un
paziente e prezioso lavoro.
Il secondo majinbu
denominato “yellored” (forse perchè “giallorosso” avrebbe fatto troppo “forza Roma”)
impiega invece un Plettemberg 220/30 ridotto 5:1 ed un elica RF 16x16” a pala
larga, montata su un mozzo autocostruito che aumenta l’inclinazione delle pale
portando il passo a 17”.
Il regolatore in entrambe
i casi è uno Shulze future 111 FO specifico per competizioni 10 celle.
Ovviamente il modello vola
con escursioni e trimmaggi diversi nella prova di durata rispetto a quella di
velocità, nella prova di durata infatti l’elevatore è trimmato a cabrare di circa
1mm, gli alettoni sono differenziati 4:1 (invece che 2:1) ed abbassati di 1 mm
in funzione di flaperoni.
Nonostante la differente
motorizzazione, i due esemplari hanno un volo molto simile, al punto che Paolo
dice di non trovare apprezzabili differenze tra l’uno e l’altro, ai primi
riscontri i modelli sembrano essere superiori ai precedenti..... vedremo gli
esiti delle competizioni...