Quando le balie erano italiane

Uno spettacolo allestito dal regista Franco Però ripercorre la storia a lungo dimenticata delle immigrate italiane ad Alessandria d'Egitto

Trieste - "Quando una sera ad Alexandria" . . . Quando una sera ad Alessandria d'Egitto, tra gli eleganti bar del centro, tra le vie popolate da gente di ogni razza e religione, giungevano a centinaia dall'Italia emigrate che nella ricca città portuale trovavano occupazioni che garantivano loro stipendi impensabili nei piccoli centri di campagna da cui provenivano ed i cui abitavano i congiunti al cui reddito contribuivano in maniera determinante. Erano in particolare balie e governanti, ma vi erano anche cuoche, cameriere, sarte, ballerine. Partivano soprattutto dal nordest, dai territori sempre contesi e dai confini incerti dei campi intorno a Trieste, da Gorizia, da Dalmazia, Istria e Slovenia: Attraversato il Canale di Suez scoprivano un mondo nuovo e ricco di opportunità, dove trovare in cambio della loro qualifica professionale non solo un reddito, ma anche libertà e cultura: in una parola, trovano emancipazione. 

Un fenomeno che tra la metà e la fine del diciannovesimo secolo, fino agli anni della seconda guerra mondiale, ha coinvolto numerosissime contadine italiane, ma al quale corrisponde una pagina, sostanzialmente, bianca nella storiografia italiana. Vicende a lungo rimaste nella memoria delle sole protagoniste, che ora tornano alla luce in virtù di uno spettacolo, "Quando una sera ad Alexandria" appunto, che il regista teatrale Franco Però ha ricavato da un testo di Renata Ciaravino e incentrato sulla storia vera di una cameriera goriziana, Milena, che emigrata in Egitto nel 1925, fu costretta a far ritorno in Italia trentacinque anni dopo a seguito delle rivoluzione nazionalistica di Gamal Abdel-Nasser. Una vicenda che si svolge in uno scenario storico-sociale che il regista ha ricostruito minuziosamente attraverso la collazione di documenti d'archivio, integrati da una serie di interviste ai protagonisti diretti, e che è stata presentata quest'estate alla XIV edizione del Mittelfest . 

"L'idea dello spettacolo – spiega la genesi dell'opera Franco Però – è nata circa cinque anni fa, quando trovandomi ad Alessandria per una recita su Giuseppe Ungaretti e il greco Costantino Kavafis, ed andando in giro per la città, ho iniziato a chiedere notizie su ciò che rimaneva della presenza italiana. Sono originario di Trieste, uno dei porti da cui le navi salpavano alla volta di Alessandria, e ricordo da bambino di aver sentito storie di donne che lasciavano la campagna per andare a vivere in Africa". 

Deciso ad appagare la propria curiosità, una volta tornato in Italia, l'autore teatrale decide di recarsi presso la biblioteca civica di Trieste, dove si imbatte in un registro datato 1898 relativo ad un asilo, Francesco Giuseppe, che il governo locale, allora austriaco, aveva aperto ad Alessandria. "La consultazione del documento è stata una vera e propria sorpresa, perché emergeva una realtà fatta di grandissimi numeri: è come se almeno una famiglia ogni tre, tra Trieste e la Slovenia, avesse avuto un'alessandrina".

L'emigrazione femminile alla volta dell'Egitto aveva avuto inizio intorno al 1815, alimentata soprattutto da Regioni come la Toscana e la Calabria; con l'apertura del Canale di Suez però, le cose erano destinate a cambiare. Poiché nell'impero asburgico anche le donne dovevano frequentare obbligatoriamente le prima otto classi di scuola, il loro superiore livello di istruzione le rese ben presto ambite presso tutte le famiglie della borghesia alessandrina, dove venivano pagate il triplo rispetto a chi le precedeva. Andavano a lavorare, guadagnando più di quello che alla fine del mese, a casa, riuscivano a mettere da parte i loro genitori, fratelli, mariti; andavano a integrarsi in un mondo culturalmente aperto, ricco di stimoli.

"Ma la loro storia è stata per decenni oggetto di una rimozione collettiva - sottolinea Però – rispetto alla quale hanno giocato diversi fattori. Innanzitutto vi è stata la lunga dominazione asburgica, che non ci teneva a rendere noto che, dietro il benessere delle grandi città, c'era una realtà fatta di piccoli centri rurali. Ma più di ogni altra cosa c'era il malessere dei congiunti che mandavano le donne all'estero per guadagnare cifre impensabili in Italia , ma che al tempo stesso avevano il timore di una città multirazziale nella quale, a fronte di un protettorato britannico attivo dal 1882, esisteva la realtà degli harem e le reti dello sfruttamento, con centinaia di ragazze che finivano col perdersi".

Quanto ai motivi che, invece, negli ultimi dieci anni hanno riportato a riscoprire questa storie antesignane di emancipazione femminile, in cui, non era raro, erano le rimesse provenienti da Alessandria a consentire ai contadini del Nordest di acquistare piccoli appezzamenti di terra, Però ne individua soprattutto due: la contingenza politica attuale di forte tensione ideologica col mondo arabo, che porta a rivalutare quella straordinaria esperienza che fu di convivenza civile, e la maturazione del sentimento di abbandono da parte di quella che in molte consideravano una seconda patria, a seguito del nazionalismo portato avanti da Nasser. Tornate, in molte, si trovarono inizialmente a dover fare i conti con una realtà molto diversa, frustrante, rispetto a quella vissuta sulle coste africano del Mediterraneo.

Un vuoto storiografico che "Quando una sera ad Alexandria" potrebbe, nel suo piccolo, contribuire a colmare, anche se non nell'immediato futuro. "Sto cercando di coinvolgere il più possibile - chiarisce Però - i teatri delle zone di confine, che sono state coinvolte intensamente dal fenomeno. Proprio per questo motivo, credo che sia difficile, che lo spettacolo possa essere allestito prima del 2006/2007".

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