Per non dimenticare

a cura di Mario Mignola

… per chi non sa, ma vuol sapere di più …

Prendendo spunto dal titolo di un periodico illustrato dell’epoca (1932), quale la Domenica del Corriere, nonché da uno dei titoli di cronaca che in esso figurava e che così recitava: “La Realtà Romanzesca”, oggi, a distanza di svariati anni e sulla soglie del mio novantaduesimo compleanno, ho socchiuso gli occhi e ho dato via libera alla mia memoria, soffermandomi sui fatti ed episodi da me vissuti in seno alla mia famiglia.

Venni al mondo l’addì 7 settembre 1916; quella sera in cui tutta Napoli festeggiava la tradizionale Festa di Fuori grotta con la rituale sfilata dei carri allegorici. In essi prendevano posto orchestrali e cantanti che gareggiavano per l’assegnazione del premio relativo al carro ed alla canzone più bella.

Ancor prima di addentrarmi nel racconto delle molteplici disavventure familiari, consentitemi di presentarvi fotograficamente la mia famiglia alla data del 10 agosto 1957, dopo una permanenza di ben 22 anni in terra egizia. Non fu un esodo volontario, bensì un’improcrastinabile decisione a seguito, ahimè, delle mutate condizioni di vita in quel paese!

In piedi da sinistra:

Gianna, Nino, Renato, Anna

Seduti:

Mamma, Papà, a sinistra io Mario, a destra Carlo

Correva l’anno 1928 allorché ebbe luogo la nostra prima emigrazione verso la terra dei Faraoni con sbarco in Alessandria d’Egitto. Nel 1929 la famiglia si trasferì al Cairo.

Mia madre, esercitando la sua valente e proficua professione di ostetrica, incrementava le entrate di mio padre al servizio di un consorzio locale che gestiva un’organizzazione atta ad articolare il funzionamento di una Lotteria Nazionale. Mia madre, dal canto suo, faceva capo ad un servizio di Pubblica Assistenza Sanitaria denominata Al Asahaf, tal quale un nostro ospedale di Pronto Soccorso. Possiamo dire che ce la cavavamo benino.

Prima di addentrarci nelle tormentate sequenze delle nostre sofferte vicissitudini, bisogna premettere che all’epoca di questo racconto imperava in Italia il Fascismo, grazie al quale, noi giovani, residenti all’estero, oltre ch essere temuti, invidiati e rispettati, godevamo anche del grande privilegio di poter partecipare ad un viaggio in patria organizzato annualmente. Di ciò diamo merito alla valente organizzazione della G.I.L.E. Gioventù Italiana Littorio Estero, che raggruppava tutti i giovani italiani, d’ambo i sessi, che vivevano e risiedevano all’estero.

Ricordiamoli nell’ordine secondo cui erano inquadrati e contraddistinti.

·        Figli della Lupa – d’ambo i sessi, tra i sei e gli otto anni;

·        Seguivano i Balilla (8-11 anni);

·        Piccole italiane (8-14 anni);

·        Balilla Moschettieri (11-13 anni);

·        Avanguardisti (13-15 anni);

·        Giovani italiane (14-17 anni);

·        Avanguardisti Moschettieri (15-17 anni);

·        Giovani Fascisti (17-21 anni);

·        Mentre gli universitari formavano il G.U.F. e cioè il Gruppo Universitario Fascista.

I luoghi di raduno, in un primo tempo, erano così articolati: Balilla, Avanguardisti e Giovani Fascisti in quel di Cortina d’Ampezzo, poscia Asiago ed infine Roma – in pianta stabile – e convogliati sulla collina di Monte Sacro.

Le appartenenti ai gruppi femminili furono alloggiate fra Riccione e Rimini in alberghi all’uopo predisposti.

A titolo di cronaca, dicasi che nel raduno del 1932 (Anno X° E.F.), affluirono in Italia, provenienti da ogni parte del mondo, ben 10.500 giovani. Grazie a questa iniziativa, ci si sentiva sempre più vicini alla nostra cara Madre Patria, pur se lontanissimi o oltre oceano.

Cartina che evidenzia le singole nazioni dalle quali, ogni anno, affluivano in patria i figli degli italiani che risiedevano all’estero.

 

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Breve parentesi su come eravamo

Prima partecipazione degli Avanguardisti del Cairo al raduno dell’agosto 1932 ad Asiago e poi a Roma sul rilievo di Monte Sacro

Porto Said – Colonie estive 1934 con la partecipazione di Anna e Gianna

Ai campeggi DUX, indetti annualmente a Roma, il gruppo ginnico - atletico del Cairo, allenato dai professori di ginnastica Del Sarto, Malesci e Pani, prendeva parte al Saggio Ginnico – Sportivo che aveva luogo a Roma in Piazza di Siena. Non da meno eccelleva in Egitto iol gruppo atletico femminile della pallacanestro, tre volte campione del Cairo e due dell’Egitto.

La squadra nella partita del 18.X.1934 contro la Hadror, vinta per 33 a 15.

Da sn: inpiedi capitana Elena Benfatto, Ines Casno, Carmen Nelilli, Aurelia Bottari, Maria Orabia, Valeria Bozzolo, Mariuccia Nelilli.

Sedute le ragazze della Hadror.

Seguì la vittoria contro la Maccabi, vinta il 29.6.1935, e la squadra si classificò al primo posto quale Campione d’Egitto.

Da sn: in piedi Elena Benfatto, Valeria Bozzolo, Carmen Nelilli, Ines Casco, Mariuccia Nelilli, Aurelia Bottari, Maria Orabia.

Sedute le ragazze della Maccabi.

Nel giugno del 1936, la squadra atletica del Cairo che, più volte, si esibì meritevolmente a Roma in Piazza di Siena classificandosi nei primi posti.

Per concludere, una mia prodezza a bordo della M/N Marco Polo (28/6/1936), intento a sollevare un mio compagno di squadra

 

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Il calendario segnava la fatidica data del 10 giugno 1940, ed aveva appena avuto inizio l’arrivo, da varie nazioni, dei primi ospiti alloggiati nei tradizionali campeggi estivi, quand’ecco che l’Italia – come fulmine a ciel sereno – dichiarò guerra a Francia e Inghilterra.

Riprendiamo il resoconto ed avventuriamoci a descrivere l’odissea che travolse quei sventurati giovani cui toccò la disavventura di confluire in Patria ai primi del giugno 1940. Fra questi, ahimè, provenienti dall’Egitto, vennero a trovarsi mio fratello Carlo di appena tredici anni e le mie sorelle Anna e Gianna rispettivamente di diciassette e quindici anni! Il primo, quale Avanguardista, fu avviato verso la Colonia Marina di Cattolica, mentre le ragazze, inquadrate quali Giovani Italiane, furono alloggiate in un albergo appositamente adibito a Riccione. Da qui dicasi che ebbe inizio il loro penoso calvario.

Tagliati completamente fuori da qualunque collegamento epistolare col Cairo, si salvarono grazie a me che, poiché prigioniero di guerra – catturato in località Sidi el Barrani (Egitto) nel dicembre 1940 – fungevo da trait d’union tra Italia, Egitto, India. Grazie al mio status di prigioniero di guerra, mi era consentito di mantenere una corrispondenza che, seppur ridotta, mi consentiva di comunicare con la mia famiglia. Fu così che, avendo appreso che le mie sorelle avevano esaurito quel po’ di denaro che avevano al seguito, mi adoperai a porvici rimedio. Difatti, nell’impossibilità di spedire denaro, pregai la signora Palazzi di Napoli di anticipare mensilmente, per mio conto, la somma di 150 lire che puntualmente era loro spedita; avevo periodica conferma da sua figlia Renata, ragazza molto avvenente che fu a lungo la mia indimenticabile “madrina di guerra”. A questa commovente gara di umana solidarietà, m’impone aggiungere la generosità della cara Ermanna Regis, da Torino, che, oltre a spedire saltuariamente un po’ di denaro, provvedeva pure a non far mancare loro capi di abbigliamento.

Quale miglior riconoscenza se non quella della cara Anna che, a distanza di ben cinquantacinque anni, mi scrisse un’affettuosa lettera in data 18.09.1996, descrivendomi tutta la sua perenne riconoscenza per l’aiuto economico ricevuto vuoi dall’indimenticabile famiglia Palazzi, vuoi dalla generosa Ermanna Regis. In questa lettera Anna ricorda anche gli indimenticabili campeggi estivi che si tenevano annualmente a Roma in Piazza di Siena, con la partecipazione di tanti figli di italiani residenti all’estero.

Se la mia lunga e sofferta disavventura bellica varrà a tramandare questi miei ricordi, a maggior ragione quella delle mie sorelle e da mio fratello, è ancora più degna di essere ricordata. La guerra dilagava già in Europa ed era prevedibile che, prima o poi, ne sarebbe stata coinvolta. Per noi, residenti in Egitto, affiorò una prima idea di rifugiarsi a Rodi, ma poi non se ne fece più nulla. Intanto giugno bussava alle porte e tutto sembrava ancora tranquillo!

Fu così che proprio ai primi di giugno iniziarono ad affluire in Italia i primi figli degli italiani, residenti all’estero per partecipare al rituale campeggio annuale ginnico-corale che aveva luogo a Roma a Piazza di Siena.

Ciò premesso le mie sorelle Anna e Gianna, unitamente a mio fratello Carlo, s’imbarcarono sulla motonave Conte Rosso che partiva alla volta di Brindisi. Erano da poco sbarcati quando l’Italia entrò in guerra: 10 giugno 1940. Ovviamente a guerra dichiarata le frontiere vennero chiuse e, quindi, addio all’Egitto!

Intanto si era provveduto alla loro sistemazione avviando i maschi a Cattolica mentre le ragazze in un grande e bello albergo di Riccione, all’uopo predisposto. Giova qui dire che, in concomitanza col mutar delle stagioni – tra il caldo d’estate e il freddo d’inverno – questi poveri giovanetti furono soggetti ad un continuo movimento, sicché, in autunno le ragazze andarono a Rimini mentre Carlo venne trasferito a Roma con l’intero suo gruppo di appartenenza alloggiando in Via Quattro Fontane. Ebbero la gioia di essere ricevuti dal Papa che presagì loro un felice ritorno a casa. Questo provvidenziale augurio li salvaguardò e li protesse lungo tutto il loro sofferto esilio.

Ritornata l’estate, si provvide al ritorno a Cattolica, mentre con il nuovo inverno si spostarono nuovamente a Roma. L’estate successiva Carlo fu alloggiato in un albergo a Viareggio, mentre il successivo inverno a Siena, in pieno centro cittadino.

Le ragazze, invece, furono trasferite a Firenze presso il Grand Hotel in Via del Proconsolo, ove rimasero senza ulteriori trasferimenti.

Intanto nel 1943 la situazione, dal punto di vista tattico, si faceva sempre più critica e questi poveri ragazzi, mal visti quali “fascisti”, venivan sempre più mal tollerati dalla popolazione, in specie dopo l’arresto di Mussolini. Fu così che serpeggiò il “si salvi chi può” con un “fuggi, fuggi” dal collegio alla ricerca, alquanto problematica, di un rifugio presso alcune famiglie ancora ben tolleranti. Anna, poverina, in continuo movimento da una casa ad un’altra, mentre Gianna trovò rifugio presso una famiglia a Campo di Marte, quartiere di Firenze.

Per Carlo, etichettato quale “ex-camicia nera”, la disavventura diventava sempre più difficile e sempre meno si trovava gente disposta ad ospitarlo. Fortuna volle che Anna miracolosamente riuscì a scoprire un lucernario semi-nascosto di difficile raggiungimento, tant’è che per entrarvi ci si doveva avventurare camminando sopra i tetti a rischio della propria incolumità. Fu così che l’affettuosa quanto coraggiosa Anna si recava quotidianamente nella “tana” del povero Carlo provvista di qualche tozzo di pane o quant’altro riusciva a reperire per sfamarlo.  Fortuna volle che la sua encomiabile bontà di cuore trovò dovuta ricompensa nell’indirizzarla presso un Comando militare Alleato, ove, grazie alla conoscenza della lingua inglese, venne assunta all’istante. Costì entrò nella simpatia di un simpatico graduato inglese di nome Bill Rymer che prese a cuore le sorti di questi poveri ragazzi sbandati e, oltretutto, lontani dalla propria famiglia.

Grazie, caro ed indimenticabile Bill, ancor oggi ti sono riconoscente.

Per brevità, dicasi che, sempre grazie ad Anna, Carlo poté trovare un posto su di un treno della Croce Rossa che impiegò ben sette gironi a raggiungere Roma. Da qui, fortuna volle che impietosì un camionista diretto a Napoli che lo fece salire sul tetto del camion; intirizzito dal freddo, dopo diverse ore, lo fece scendere a Napoli. Durante tutte queste peripezie il povero Carlo viaggiava sprovvisto di documenti di riconoscimento e sappiamo che cosa questo voglia dire in tempo di guerra.

Finalmente Napoli! Fu qui che prima per Carlo, poi per le ragazze, affiorò un’auspicata possibilità di ritorno in Egitto. Ancora la buona sorte operò il trasferimento del comando di Bill da Firenze a Napoli prendendo alloggio nella Villa Rosebery (attuale Sede del Presidente della Repubblica a Napoli).

Intanto anche Gianna, lasciata Firenze, trovò alloggio alternando permanenze presso gli zii paterni e quelli materni. Anna rimase ancora in servizio presso il Comando Alleato fin quando Bill riuscì a superare alcune formalità sorte nei confronti di Carlo. Grazie a Dio, tutto si risolse per il meglio e fu così che, dopo ben cinque lunghi anni di penoso esilio, rimisero piede su quel tanto agognato piroscafo che li condusse sani e salvi a casa a dispetto di tante pericolose, travagliate e quanto mai sofferte vicissitudini.

Qui finisce la lunga e dolorosa avventura di questi poveri e indifesi fanciulli: partirono ragazzi e tornarono adulti. Dopo tante sofferenze rieccoli finalmente a casa fra le braccia dei propri genitori che, anche loro soffrirono per questa dura e angosciosa separazione. Si dice “tutto è bene quello che finisce bene”? Difatti al loro ritorno trovarono anche l’amore.

Anna coronò il suo sogno nato a Firenze sposando a Londra Bill Rymer, che si era così tanto prodigato per mitigare le loro sofferenze, mentre Gianna sposò, al Cairo, Ahmed Kazem, egiziano cairota di madre italiana.

Da Anna e Bill nacquero Carol (9/2/1950) e Maureen (16/1/1955); mentre da Gianna e Ahmed nacquero Amal (28/6/1951), Magda (28/7/1954), Ninì (10/4/1959) e Ahmed.

Carlo involò a nozze il 5/7/1954 con la bell’avvenente Isabella Azzariti e da loro nacquero: Massimo (5/7/1954), Salvatore (19/10/1956), Paolo (17/10/1962) e Daniela (27/3/1965).

Concludendo, diciamo che – conclusasi bene l’odissea di questi poveri tre ragazzi – altri dispiaceri e altre sofferenze colpirono la mia già tanto provata famiglia!

Chi ne pagò le spese fu il mio povero papà che, in quanto residente in Egitto, fu dagli inglesi considerato un potenziale nemico e ciò in virtù della loro posizione quali detentori di “protettorato militare”. Ne conseguì che, papà, a 52 anni, si vide prelevato d’autorità dalla propria casa e rinchiuso in un campo sito a El Fayed (a 60 km a nord di Suez) ove furono internati gran parte degli uomini di nazionalità italiana. Costì fu alloggiato in un recinto, appositamente allestito, denominato “Italian Internee Camp n°7” e gli venne assegnata la matricola n° 1681! Fortuna volle che la durata della sua permanenza si abbreviò di parecchio in conseguenza di un tumulto insorto ad opera di alcuni internati che fu domato grazie all’intervento armato dei poliziotti di guardia. Ne seguì una sparatoria con alcuni feriti. Ciò provocò al povero papà un serio shock neuro-emotivo, per cui, sottoposto a visita da un apposito Collegio Medico, fu dimesso il 29.X.1042 e, così, poté tornarsene a casa. Eccolo immortalato sotto la sua tenda, mal protetto dall’incalzare del caldo asfissiante ed assiso su una piccola gabbia di giunchi denominata “kafas” che gli fungeva da letto.

La nostra famiglia se – grazie al Buon Dio ebbe la fortuna di aver salva la propria vita – pagò a caro prezzo l’immunità della propria pelle.

Grazie alla mia innata pignoleria, sono ancor oggi in grado di esporre cronologicamente luoghi e fatti della mia angosciosa disavventura. Quanto segue altro non è che l’odissea che si abbatté sul mio capo e che mi vide in angoscia sotto le vesti di un depresso prigioniero di guerra, trattenuto in cattività dal 10/12/1940 al 21/4/1946, data dello sbarco a Napoli nel dì di Pasqua e dopo cinque lunghi anni di esilio.

Fu in Egitto – in località Sidi el Barrani, che inizia il mio calvario, allorché, circondato da preponderanti forze moto corazzate dell’ottava armata inglese, fui costretto ad arrendermi.

Luoghi di detenzione:

Geneifa (Egitto) dal 14/12/1940 al 4/1/1941,

Latrun (Palestina) dal 6/1/1941 al 14/7/1941,

Tel el Kebir - zona el Taag – dal 15/7/1941 al 31/7/1941

Geneifa nuovamente dal 31/7/1941 al 7/8/1941 in attesa dell’imbarco per l’India.

L’imbarco avvenne a Suez l’8 agosto 1941 alle ore 15, con partenza alle ore 18, su di una grossa nave battente bandiera olandese dal nome “Westernland”. Facemmo scalo l’11 agosto a Port Sudan ove sostammo fino al 16 per poi riprendere la navigazione alle 6,15. Il 18 avvistammo le isole alle ore 16, mentre il 19 oltrepassammo Bar el Mandeb inoltrandoci nel Golfo di Aden. Il 20 già si navigava in pieno Oceano Indiano con mare agitatissimo (forza 8) e con un caldo asfissiante (48° all’ombra. Il 25 agosto avvistammo finalmente Bombay e sbarcammo alle ore 18. Costì salimmo su una tradotta militare che, dopo 2 giorni e mezzo di viaggio ci fece scendere a Bhopal.

Per la cronaca, dicasi che, in India, furono allestiti dei campi prigionieri nelle seguenti località: Bangalore, Ramgar, Deolali, Bhopal (città dell’India centrale a 512 metri s.l.m. e sulla riva del lago Pukta-Pul-Tal, alle falde dei montiWindhya éradesh).

Costì fummo alloggiati nel Campo 11 – Recinto (o Wing) n°1 – tenda 6, compagnia D. In deto campo vegetai per ben otto mesi (dal 28/8/1941 al 2/4/1942).

Quale primo impatto ci accolse la notizia che, nel capo attiguo al nostro, vi era stata un’epidemia di colera, accompagnata, per giunta, dal propagarsi di alcuni casi di febbre malarica, nonché da casi di ameba accompagnati da diarrea.

Finalmente ecco giungerci la tanto attesa notizia: domani lasceremo Bhopal! Il 2 aprile, alle ore 22 dammo l’addio a Bhopal e salimmo su di una tradotta militare. Il 3 aprile, alle ore 8, giungemmo a Jhansi con successiva partenza alle ore 9,30. Nella notte proseguimmo per la città di Agra puntando verso il Punjab ove giungemmo nella notte del 4 (alle ore 24). Breve sosta costì e, poi, dopo aver viaggiato in treno per ben tre giorni e tre notti, eccoci finalmente a Yol alle 9 del mattino, addì 5 aprile del 1942, giorno di Pasqua!

Per dovere di cronaca, dicasi che Yol è sita nel Punjab a nord est di Simla. Qui ci colpì la vista di quattro ampi campi con capienza di ben 900 ufficiali. Ogni campo allestito con rustica eleganza e costituiti non più da misere tende, bensì da grosse baracche di legno basate su di un grosso rialzo in muratura avente al centro una scalinata con gradini. Ogni baracca comprendeva cinque stanze con al centro una bella stufa alimentata con carbon coke. Ogni stanza disponeva di finestre lungo la facciata centrale con una che si affacciava sul retro. Internamente vi erano cinque comodi letti con zanzariera, una sedia, un mobiletto con tre cassetti e con un ripiano apribile con funzione di scrivania. La truppa alloggiava non troppo distante ed era adibita alla cura, pulizia e manutenzione dei singoli campi.

Yol comprendeva quattro grossi campi in cui erano alloggiati gli ufficiali con grado da sottotenente a maggiore. I colonnelli alloggiavano in campi ad essi riservati mentre i generali erano a Simla.

Era proprio il caso di dire “dalle stalle alle stelle”.

I campi a noi destinati erano numerati dal n°25 al n°28. Io alloggiavo al campo 28/3/A baracca 14, stanza n°2. Ogni campo contraddistinto dai numeri 1, 2, 3, erano separati da una chiusura permanente che poi furono resi intercomunicanti subito dopo l’armistizio. Allora mi divenne possibile notificare il mio completo e definitivo recapito: POW (cioè Prisoner of War), Sottotenente Mario Mignola, 28 Camp – 3° wing – room 2 – c/0 G.P.O. (General Post Office) – Bombay (India) e il numero di matricola era 14085 M.E. (Middle East).

Il mio alloggio

 

Con il sopraggiungere dell’armistizio e la conseguente nostra co-belligeranza, la situazione cambiò notevolmente. Nel campo 26 affluirono tutti gli studenti universitari, fino ad allora sparsi per i quattro campi e, ad essi, si unirono tutti i docenti universitari sparpagliati qua e la.

Io, grazie alla mia conoscenza della lingua inglese, fui incaricato di avere rapporti con i locali fornitori civili che provvedevano ad assicurarci tutto il fabbisogno giornaliero in viveri in natura, viveri di copnforto, spezie, libri e quant’altro veniva loro richiesto. Fu così che pensai di instaurare un corso di lingua araba con la partecipazione di ben 93 iscritti; ma non finisce qui! Nel 1943 iniziai a frequentare un apposito corso per cui, dopo aver conseguita l’abilitazione relativa, mi si affidò l’incarico di impartire un corso in lingua inglese, denominato “Basic English” il cui apprendimento consentiva di farsi intendere in lingua inglese mediante la conoscenza di soli 800 vocaboli.

Denaro appositamente coniato per noi prigionieri – 1 Rupia dell’epoca

Per svolgere il mio insegnamento, mi fu rilasciato uno “special pass” che mi consentiva libero accesso in tutti i campi.

Finalmente un raggio di sole affiorò sulle nostre teste! Fu così che in quel fatidico e luminoso giorno di Pasqua del 21 aprile 1946, alle ore 16, rimisi piede su quel bel suolo italico sbarcando a Napoli da bordo della motonave “Duchesse of Richmond” che ha recato in Patria 2300 militari di cui 1900 ufficiali.

Fu lì che intravidi Laura, unitamente a tutta la famiglia del mio compagno di sventura Enzo Diletto, accorsa al porto per riabbracciare il loro … reduce. Il lunedì in Albis, alle ore 17, bussai alla porta dei Diletto. Laura venne ad aprirmi e fu come “fulmine a ciel sereno” … confesso che l’avevo già intravista in una foto inviata ad Enzo nel lontano 1940. Rivederla, riconoscerla, ammirarla, corteggiarla fu questione di un magico lampo.

Dopo poco ci fidanzammo e il 14 giugno 1948 convolammo a nozze nel Santuario di Pompei.

Altro dire non vo’ poiché qui finisce la commovente storia che coinvolse la mia famiglia dal 1940 al 1946. Perdonatemi se posso avervi tediato per questo lungo resoconto. Ad oggi sono trascorsi ben 68 anni e mi sembra appena ieri.

A mio fratello Renato, conservatore della Memoria Storica della sagra della famiglia Mignola, l’incarico di custodire questi miei sofferti ricordi. Grazie Renato.

Consentitemi ora di chiudere con il mio passato bellico, offrendovi questa immagine di questo novantaduenne felicemente ritratto al fianco di sua figlia, la sua adorata Luciana.

Ringrazio il Re dell’Universo per averci protetti

Lungo tutte le nostre angosciate e sofferte traversie,

ma, soprattutto, di averci fatta salva la vita,

laddove privazioni, umiliazioni, mutilazioni, deportazioni,

sofferenze e morte hanno devastato e decimato

così tanta innocente umanità.

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