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Vista dall'attuale Corso Matteotti, ecco Porta Venezia, l'antica Porta Ognissanti demolita nel 1908


Pagine di storia cittadina che rischiano di passare inosservate: il primo centenario del 2006

Nel 1906 Cremona avviò la prima rivoluzione urbanistica moderna con la proposta di cancellare il Pubblico Passeggio, oggi viale Trento Trieste

Il terrapieno era situato sopra le mura della città, era lungo più di un chilometro, e per un lungo periodo fu il luogo elegante di ritrovo e di feste - Ma l'abbattimento di san Domenico e la creazione dei Giardini Pubblici sviò l'attenzione dei cittadini, e nel 1912 fu demolito, realizzando nel contempo anche via Dante


Il progetto di Vincenzo Marchetti per il Baluardo della musica, con due padiglioni ad uso di caffè,1865 (Archivio Comune Cremona)

Esattamente cent’anni fa, nel 1906, partiva in Comune la proposta dell’ingegner Franco Fontana per lo sterramento del Pubblico Passeggio, un bastione che correva lungo l’attuale Viale Trento e Trieste e che era stato inaugurato la prima domenica di maggio del 1787 per offrire ai cremonesi un luogo di svago sopra agli spalti settentrionali delle mura della città, da porta S. Luca a porta Ognissanti, l’attuale porta Venezia. Si può considerare questo intervento la prima rivoluzione urbanistica di Cremona, anche per la complessità delle soluzioni che lo accompagnarono e che trasformarono radicalmente una zona della città. Certo sorprende -confrontandolo con i giorni nostri - la capacità che in pochi anni caratterizzò l'azione del Comune e nel contempo l'appassionato dibattito cittadino che l'accompagnò, il che dà il senso una comunità vivissima e totalmente partecipe (evocando paragoni con l'oggi che sono davvero difficili da sostenere positivamente).



Lo sterro del Pubblico Passeggio sulle antiche mura di Cremona fu una tale impresa che ispirò probabilmente il capolavoro di Carlo Vittori. L'opera è di proprietà della Banca San Paolo

Su quelle mura epiche battaglie delle quali si notano ancora le tracce delle cannonate persino sulle facciate della Cattedrale e del Torrazzo

Tra le numerose vicende di cui furono in qualche modo protagoniste queste ed altre mura che circondavano Cremona, va ricordato un evento particolarmente tragico, esattamente tra il 1646 ed il 1648.



Alessandro Capra, le mura di Cremona nel 1685

«Una tragica guerra scoppiò tra Francia e Spagna e l’iniziale teatro di queste lotte fu soprattutto nel Monferrato, terra contesa da oltre un secolo quando aveva dovuto intervenire con un arbitrato addirittura Carlo V per impedire uno scambio tra la Città di Cremona e lo stesso Monferrato tanto auspicato dai duchi di Mantova che avrebbe volentieri fatto a meno di quel lembo di terra piemontese, difficile da governare e poco redditizia, per accaparrarsi la più ricca e più vicina Cremona, ma l’imperatore, che pure avrebbe potuto rimpinguare le vuote casse dello stato con quanto i Gonzaga erano disposti a pagare, preferì conservare gli equilibri politici esistenti sul quadrante dell’Italia settentrionale, visto quanto Mantova fosse legata alla vicina Serenissima.
Il primo teatro di guerra coinvolse, oltre al Monferrato, le terre alte di Lombardia in quanto i Savoja che non nascondevano di certo le loro mire di espansione, s’erano proprio a quello scopo schierati dalla parte dei francesi continuando quella loro politica che li portava ad appoggiare or l’uno or l’altro dei contendenti a seconda dei loro momentanei interessi. Intanto, il Ducato di Milano venne immediatamente gravato di un’imposta di 300 mila filippi da pagarsi sopra tutti i camini del ducato, tanto a Milano quanto nelle altre città, borghi, terre e ville per far fronte alla guerra che, ben presto s’allargò anche alle terre vicine al Po. A guidare l’esercito franco-savojardo era stato chiamato Francesco I, il figlio di Alfonso III d’Este, duca di Modena, il quale abbracciò l’idea di conquistare anche le terre del cremonese.
Francesco I radunò le truppe dei tre eserciti a Brescello e di qui iniziò la campagna contro Cremona traversando il Po ed aggredendo subito le ville di Dosolo, di Correggio Verde, di Pomponesco, di Casalmaggiore e d’altri luoghi che i cremonesi, sorpresi, non riuscirono a difendere.
La stessa città del resto, versava in una grave situazione economica: soggetta da oltre un secolo alla dominazione spagnola, aveva perduto due terzi dei suoi abitanti a causa delle pestilenze che si erano abbattute sulla città e sul contado, l’ultima delle quali solo una quindicina d’anni prima. Le sue stesse mura si trovavano in condizioni pietose, era in pratica senza difese. Quella che era stata considerata una città imprendibile solo cent’anni prima, era quasi indifesa. La parte nord, quella che stava in pratica tra l’attuale Porta Venezia e San Luca era protetta solo da un basso parapetto di lotte, mattoni crudi di scarsa consistenza e lo stesso poteva dirsi per un tratto di circa duemila passi tra il castello di Santa Croce e Porta Po dove era stato innalzato un semplice terrapieno che ogni piena del Po regolarmente abbatteva. Le porte erano ormai prive di ponti levatoi, dietro le mura, all’interno della città, non v’erano protezioni per i difensori e nelle fosse antistanti il terrapieno erano addirittura cresciuti alberi ormai alti.
Tutta la città fu mobilitata. In soli sei giorni, da quando si ebbe notizia del passaggio del Po da parte di Francesco I, vennero innalzati terrapieni, riscavate le fosse, abbattuti gli alberi, distrutti i borghi vicini alle mura, abbattuti i ponti sul Cavo Cerca perché non si desse la possibilità al nemico di entrare facilmente in città.
Tutte le forze disponibili vennero accentrate in città: alcuni battaglioni lombardi e napoletani, poi le forze spagnole e gli alleati tedeschi ben cinque squadroni di cavalleria vennero acquartierati con tutto quanto potesse servire ad una strenua difesa in fatto di armi, munizioni e vettovagliamento.
Il nemico avanzava lentamente anche se inesorabilmente e ci fu il tempo per prepararsi allo scontro. Si stabilì, anche per evitare rivolte in caso di carestie e mancanza di rifornimenti che alla pubblica amministrazione spettasse il compito di non far mancare il pane ai poveri, primo provvedimento preso da Nicolò Ala, cui era stato affidato il compito di comandare le difese della città.
La milizia urbana fu ristabilita e rinforzata da molti contadini fuggiti dalle campagne e furono innalzate preci solenni dal prelato Francesco Visconti in Duomo e nelle altre chiese.
Il 1 ottobre del 1646 si presentarono alle porte della città le prime avanguardie dell’esercito assalitore che s’accamparono presso il Convento di San Rocco, ma furono le intemperie a salvare Cremona. Piovve per giorni e giorni, tanto che tutti i terreni attorno all’accampamento nemico furono allagati e Francesco I fu costretto, dopo una quindicina di giorni, a ritirarsi a Casalmaggiore per svernare, ma nel frattempo aveva perduto ben 2300 uomini. Ma non fu un inverno da trascorrere accampato perché riuscì comunque ad impadronirsi di Castelponzone e di San Giovanni in Croce, di Rivarolo e d’altri borghi. I cremonesi, da parte loro, non credettero alla ritirata e si prepararono ad un nuovo assalto: rinforzarono i terrapieni, costruirono baluardi e parapetti, mezzelune e fortini, uno soprattutto sulla riva del Po per proteggere i mulini e le barche che scendevano da Lodi e Pavia. Tutti i cittadini portarono terra attorno alla città, nessuno escluso: canonici e parroci, medici e uomini di legge, frati e artigiani diedero il loro contributo. Tutti i conventi dovettero abbassare il livello dei loro orti di oltre un metro. Le monache riempivano le loro carrette di terra e la portavano alla porta dei conventi da dove i frati provvedevano a raccoglierla e portarla alle mura. Due sole persone furono esentate dal lavoro: il vescovo ed il padre inquisitore del Sant’Uffizio. Davanti alla chiesa di S. Lucia venne eretta una forca dove sarebbero stati appesi coloro che si fossero rifiutati di lavorare. Venne usata due volte.
Il terrore andava aumentando in quanto il nemico s’era ormai impadronito di quasi tutto il contado. Piadena, Castelfranco e Drizzone, Monticelli, Pugnolo, Sospiro, Aspice, Corte de’ Frati e gli altri paesi d’intorno erano stati ormai messi a ferro e fuoco quando si decise di formare una squadra di contadini e di nobili che i francesi definirono Ferrabutti, e che si misero agli ordini di Marc’Antonio Brunello, espertissimo comandante e perfetto conoscitore della zona. Applicando una tattica da guerriglia, divennero in breve il terrore degli squadroni nemici che intercettavano e distruggevano regolarmente.
Alla fine di giugno del 1648, il duca di Modena decise di sferrare l’attacco definitivo. Lo scontro principale avvenne sul Trincierone, un baluardo lungo una quindicina di chilometri che era stato costruito tra Grumone e Cremone dal marchese Caracena, governatore della città,e che non resse all’urto e vi morirono alcune centinaia di spagnoli e francesi.
Il 20 luglio il duca si accampò a Casanova del Morbasco, pronto a sferrare l’attacco decisivo. Le sue truppe occuparono Costa S. Abramo, Cava Tigozzi, Picenengo, Migliaro e addirittura il lazzaretto. Commise l’errore di voler attaccare l’inespugnabile castello di Santa Croce invece di assaltare direttamente la città, ancora indifendibile nonostante i lavori che erano stati fatti.
Pose due cannoni al Costone e da qui cominciò a bombardare il torrione principale, il rivellino e le mura, ma fu anche costretto a subire le incursioni frequenti degli assediati.
Dal 20 luglio al 14 ottobre, quando fu tolto l’assedio, si calcola che furono sparati contro il castello e la città almeno 18 mila colpi di cannone (il primo uccise un ragazzo in città) mentre da parte cremonese ne furono sparati circa la metà quasi tutti con palle da 60 libbre.
I danni peggiori li subirono le torri di San Luca e San Bassano, di S. Apollinare e di S. Lucia e S, Monica che vennero abbattute. Alcuni proietti raggiunsero anche il duomo e il torrazzo che ancora oggi, a quasi quattro secoli di distanza, ne portano i segni sul fronte che guarda verso nord (nella foto piccola)
All’inizio dell’autunno, finalmente, il duca tolse l’assedio e iniziò la ritirata verso Casalmaggiore. Cremona e soprattutto il Castello di Santa Croce, da sempre considerato una fortezza imprendibile (ne era stato testimone lo stesso Niccolò Machiavelli, presente all’assedio) aveva resistito ancora una volta. L’esercito nemico aveva perduto oltre 10.000 uomini, tra cui 380 ufficiali ed era stato ucciso anche il comandante dei piemontesi, il marchese Villa.
Da parte cremonese 2.000 furono i morti oltre a 600 soldati del presidio spagnolo. Gli onori principali furono tributati ai comandanti dell’esercito cremonese, Nicolò Ala, Vincenzo Stanga, Ambrogio Conti e Galeazzo Picenardi. Ma la Corona di gramigna, che secondo l’uso romano veniva ad incoronare chi liberava una città dall’assedio venne posta sul capo del capitano generale De Benavide Caracena di cui il baluardo di San Giorgio (ovvero la derelitta Porta Mosa al centro di una recente polemica urbanistica) porta ancora il nome.



I protagonisti della sorpresa di Cemona del 1702 con una immagine della città e delle sue mura

Tra i molti episodi che riguardano il tratto di mura da San Luca all'attuale Porta Venezia, non si può dimenticare inoltre la celebre "sorpresa di Cremona del principe tedesco (ma francese di nascita) Eugenio nella notte tra il 31 gennaio e il 1 febbraio 1702, con cento granatieri che giunsero di nascosto nella prima mattina e si introdussero in città attraverso una grande chiavica indicata loro da un prete, Gio. Battista Cozzoli, oriundo bresciano e rettore della chiesa di Santa Maria Nuova che si ergeva proprio sui bastioni. I granatieri raggiunsero ben presto le porte Ognissanti e S. Margherita, eliminarono le poche guardie che le custodivano e dilagarono in città. Va notato che fu fatto prigioniero anche il comandante francese della città, il maresciallo di Villeroy, sorpreso a letto ed in dolce compagnia a palazzo Offredi.
Cesare Castellani



Il passeggio pubblico nel 1910 all'altezza di via S. Antonio del Fuoco

Il Pubblico Passeggio sorse in quel lontano 1787 nell'ambito dei lavori eseguiti alle fortificazioni dopo l'abolizione della piazzaforte militare di Cremona,. Era costituito da un lungo viale con un percorso pedonale alberato ed uno rotabile, su cui si aprivano cinque baluardi, abbelliti da siepi e aiuole. Vi si accedeva mediante la contrada del Passeggio, realizzata verso il 1847, e sette rampe successive.
Una descrizione più accurata del Pubblico Passeggio ce la diede nel 1991 Mariella Morandi in “Cremona e le sue Mura”, editrice Turris, una pubblicazione che accompagnò la bella mostra organizzata dal Comune di Cremona in Santa Maria della Pietà dal 23 marzo al 5 maggio 1991.
Il Pubblico Passeggio “alla metà dell'Ottocento si presentava come un viale lungo più di un chilometro che correva sopra gli spalti dal baluardo di S. Quirico a porta Ognissanti con un percorso pedonale, alberato, ed uno rotabile col fondo stradale in ghiaia.


Il baluardo davanti all'ospedale nel 1900 (Raccolta comune Cremona)

Ben cinque baluardi, come si è detto, si succedevano lungo il percorso: il primo, venendo da porta S. Luca, era detto di S. Quirico o della fiera da quando, a partire dal 1820 vi si tenne l'annuale fiera settembrina, seguivano i due posti di fronte all'ospedale, su uno dei quali, detto baluardo della musica, si esibiva la banda musicale, venivano poi il baluardo S. Arealdo ed infine l'ultimo, poco prima del casino della guardia di porta Ognissanti. Un parapetto in muratura, costituito dalla parte alta delle mura, con palle di granito per decorazione, costeggiava tutta la passeggiata. Per accedervi vi erano diverse possibilità: si poteva percorrere la contrada del Passeggio, realizzata verso il 1847 che,con marciapiedi per i pedoni, il fondo selciato da ciottoli e trottatoie per le carrozze, conduceva dalla strada postale interna (l'attuale corso Garibaldi) al baluardo S. Quirico, oppure si poteva imboccare una delle sette salite che vi accedevano: quella della contrada Rossa per i pedoni, con siepi laterali di carpani, quella di S. Vittore per i rotabili con muri di sostegno ai terrapieni e corrimano in ferro, quella simile ma per pedoni della contrada Gioconda, quelle solo selciate delle contrade S. Antonio del Fuoco, Mercato Boario, S. Arealdo.



Il pubblico passeggio durante i lavori di sterro del 1912

Il Passeggio fu oggetto di continue cure da parte dell'amministrazione municipale che appaltava per periodi novennali la manutenzione delle strutture e del verde e che intervenne più volte per operare migliorie. Già nel 1818 si erano sostituiti gli olmi con ippocastani e si erano posate panchine in pietra, poi nel 1847 si procedette alla sistemazione delle sette rampe d'accesso costruendo muri di sostegno al terrapieno e corrimani in ferro retti da colonnetti di granito; vent'anni più tardi, nel 1867-68, il Consiglio comunale decise di procedere al riordino dei baluardi.

Il progetto venne affidato all'architetto Vincenzo Marchetti -giacche - scriveva l'ingegnere capo Dalla Noce - a tutti è nota la sua valentia e la cognizione di cui è fornito anche in questa parte decorativa, cognizione che esso più d'ogni altro deve avere essendo anche distintissimo pittore scenografico''. Si trattava di riformare le aiuole e le siepi dei due baluardi e di attrezzare quello della musica in modo tale da distinguere la zona di passeggio del viale da quella della sosta. Per questo venne realizzato uno spiazzo cintato e leggermente sopraelevato rispetto al viale, chiuso da una quinta di alberi verso l'esterno; al centro si trovavano il palco della banda e due chioschi dalle linee aggraziate per la vendita di birra e caffè . In esso il baluardo si offriva come un bel balcone ombreggiato, rivolto verso un paesaggio che però,un tempo campestre, era ormai fittamente costellato di abitazioni; la sua realizzazione godette comunque per molto tempo del favore dei cremonesi, avrebbe scritto infatti l'ingegner Remo Lanfranchi alcuni decenni dopo: “Noi tutti ricordiamo negli anni lontani i concerti musicali sul grande baluardo, e tutta Cremona ivi raccolta a godere il viale ombroso dinnanzi la verde distesa dei campi''.



Sopra, il cosidetto Baluardo de Matti ormai in disuso, 1911 e, sotto, lo stesso Baluardo, con una foto verso l'esterno della città, durante i lavori di demolizione e di sterro, 1912.



Nel frattempo però la configurazione della città evolveva e notevoli cambiamenti avvenivano nel tessuto urbano. La demolizione della chiesa e del convento di S. Domenico, iniziata nel1868, aveva creato nel giro di dieci anni un ampio giardino nel cuore della città e ciò aveva rivoluzionato le abitudini dei cremonesi che avevano man mano eletto questo a luogo di passeggiata e punto di ritrovo...per cui il Passeggio Pubblico era diventato più che altro un ingombro. Per questi motivi l'ultimo decennio dell'Ottocento vide la Giunta municipale impegnata nella ricerca di una soluzione che, variamente proposta,contemplava comunque sempre la demolizione, almeno parziale, del Passeggio''.

La questione si trascinò a lungo e nel 1906 l'assessore ai lavori pubblici, ingegner Fortunato Fontana, nel portare nuovamente il problema all'attenzione della Giunta, ne riassunse i vari punti illustrando fra l'altro la situazione in cui si trovava allora il Passeggio: ... Forse qualche voce richiama la memoria di tempi già lontani, quando nella buona stagione, al pomeriggio dei giorni festivi, il nostro Passeggio era per ogni ordine di persone un geniale ed elegante convegno, allietato dalla musica cittadina, e pur negli altri giorni era luogo di diporto assai frequentato, gradito per l'ombra e l'elevatezza del piano da cui la vista si stendeva largamente nella campagna a nord di Cremona, posandosi fin sulla cerchia delle Alpi. Ma la creazione del giardino di piazza Roma ha recato ora altre abitudini, e la passeggiata non è più quella; perchè la circonvallazione esterna si viene assiepando di case che verso nord hanno le fronti più o meno decorosamente disegnate ed al bastione non lasciano altro prospetto che di cortili interni a servizio domestico o industriale. Onde può dirsi che di quel terrapieno finiscono a non rimanere che gli inconvenienti.
E questi non sono pochi nè lievi. Colpiscono anzitutto le case che lo costeggiano a mezzodì, già poco buone per l'unico prospetto di nord, aduggiate dall'altezza dell'argine che sorge qualche metro distante, e degli ippocastani su esso sorgenti assai oltre l'altezza dei tetti. La pressione poi delle acque, assorbite e filtranti per la massa dei terrapieno, penetra il suolo e sale pei muri. Simili danni, specialmente per l'ostacolo alla ventilazione, si estendono ai prossimi tronchi delle strade che, in direzione sud nord, sboccano contro il Passeggio".
Altri poi erano gli inconvenienti - prosegue nel suo bel saggio Mariella Morandi - causati dal terrapieno e ricordati dall'ing. Fontana: esso ostacolava la circolazione, impediva le opere diriforma dell'ospedale e la costruzione di nuovi edifici sul fronte rivolto alla città, inoltre, pensando alla prospettiva dell'abolizione dei dazi comunali, il terrapieno del Passeggio sarebbe ostacolo all'unione di quella parte della città col borgo in un solo complesso edilizio e stradale, costituente il quartiere più commerciale della città per la vicinanza delle stazioni''
Per tutto questo complesso di motivi era necessario sterrare il Passeggio. varie furono le proposte e molte le discussioni.
La svolta decisiva si ebbe nel 1906, cento anni fa appunto, ma fu solo con il piano regolatore Lanfranchi (1910) che la questione venne risolta. Per la zona del Passeggio esso prevedeva una soluzione radicale, la sua completa demolizione e la sua sostituzione con una vasta strada alberata, composta da tre lunghi rettilinei inscritti in un'ampia curva collegante porta Venezia a porta Milano, che nelle intenzioni del progettista avrebbe dovuto essere interrotta da due ampi piazzali. Il viale, pur essendo una strada destinata a sopportare un'intenso traffico, doveva però mantenere a caratteristica del passeggio immerso nel verde ed una certa signorilità nelle residenze, tutte pensate con un giardino antistante.


Il malfamato quartiere detto "Croazia", ai limiti del pubblico passeggio, posto tra le vie Mercato Boario e via Stenico, "una delle maggiori vergogne della città nostra - scriveva Remo Lanfranchi - labirinto di casupole diroccate dall’aspetto lurido all’esterno, vero alveare di carne umana". Eccolo nel 1912 durante i lavori di posa di binari (Raccolta comunale)



Avrebbe completato iI risanamento della zona la demolizione della cosidetta Croazia”, ossia del quartiere posto fra le vie Mercato Boario e Stenico ‘una delle maggiori vergogne della città nostra - scriveva il Lanfranchi - [...] labirinto di casupole diroccate dall’aspetto lurido all’esterno, vero alveare di carne umana’ ‘ .
Anche se il piano regolatore nei suo insieme non venne attuato, la proposta che questo fece di demolire completamente il terrapieno per sostituirlo con un’ampia strada alberata, fu resa operativa il 1° marzo 1912 quando iniziarono i lavori di sterro protrattisi per due anni.
Immediatamente, lungo il nuovo viale furono costruiti fabbricati, demolendo quel poco che era rimasto delle mura e si copri’ la Fossa civica trasformandola in fognatura. Si sistemarono le strade di collegamento con quella che ore è via Dante. Nel 1918, infine, il cambio di denominazione e l’intitolazione patriottica di viale Trento e Trieste sancì la definitiva scomparsa del Passeggio pubblico, del quale peraltro rimase a lungo nei cremonesi - conclude poeticamente Mariella Morandi - una romantica immagine di sapore ottocentesco.




La pagina è stata aggiornata alle ore 14:59:30 di Mar, 3 gen 2006