L'IMPRESA DI FIUME: COSI' D'ANNUNZIO GIOCO' ALLA GUERRA

In base al Patto di Londra del 26/4/1915, l'Italia abbandonava la Triplice Alleanza con la Germania e l'Austria, risalente al 1882, convinta di ottenere con la nuova Intesa il Trentino fino al Brennero, allo spartiacque, Gorizia, Trieste, l'Istria, la Dalmazia e altre concessioni nei Balcani e nelle colonie. Fiume, porto della Dalmazia, non era stata inclusa per l'opposizione della Russia zarista.

In questa fascia costiera, per lungo tempo territorio della Repubblica di Venezia, le città sono italiane per cultura mentre il contado è croato, senza particolari problemi di convivenza. L'avversione di casa Savoia ai Tedeschi, si era piegata per oltre 35 anni alle decisioni parlamentari, ma il voltafaccia ci costò in credibilità, sia verso i nostri ex alleati che verso i nuovi, che videro nei governi italiani di quei 35 anni solo un'accozzaglia di principianti. La caduta dello Zar, e la rivoluzione bolscevica che firma l'uscita dal conflitto col patto di Brest-Litowsk (3 marzo 1918) ci permetterebbe di ridiscutere il problema Fiume, ma la paura di Wilson ci frena. Il presidente americano, anche per problemi d'ordine pubblico legati agli immigrati, detesta l'Italia. Le varie nazionalità degli Imperi Centrali (Cechi, Ungheresi, Slavi etc..) avrebbero riacquistato l'indipendenza rispettando i punti 9-10-11 del piano Wilson.

Ci trovavamo così contro dopo quattro anni di durissima lotta, Croati, Bosniaci, Sloveni. Tutti avevano rivendicazioni territoriali che non avevano palesato quando ci sparavano addosso. D'altronde Il Maresciallo Enrico Caviglia era sobbalzato sulla sedia quando sentì al patto di Roma del 10 aprile 1918 pronunciare questa frase da Vittorio Emanuele Orlando "...la Jugoslavia rappresenta un interesse vitale per l'Italia. Noi ci impegneremo a fare guerra all'Austria in difesa dei popoli Sloveni, Croati e Bosniaci". Particolare insignificante ci stavano ancora sparando addosso. Nel febbraio 1919 i delegati Jugoslavi (Stato inesistente, così definito dalla unione, sotto la corona Serba, di Croati, Sloveni, Bosniaci etc.) pretesero non solo Fiume, ma anche la Dalmazia, l'Istria e Trieste (e si fermarono qui a nordovest).

Tutti i caduti istriani e fiumani (in 110 disertarono la chiamata alle armi austriaca) sembravano morti invano. Nella pace con l'Austria avevamo ottenuto il Trentino, ma anche la frontiera fisica e geografica dello spartiacque al Brennero che comprendeva il sud Tirolo o Alto Adige, abitato da tedeschi. Avevamo ottenuto diversi territori in Slovenia e Istria, Zara e le isole dalmate fino a Sebenico, con 250.000 slavi, ma non Fiume e Spalato.

Fiume restava sotto amministrazione alleata con truppe presidiarie italiane, inglesi, francesi e americane, nell'attesa del nuovo status balcanico che larga influenza avrà ancora ai giorni nostri. Fiume (escluso il sobborgo operaio oltre la Fiumara) era a maggioranza italiana. Lo era ancor di più in quanto la città aveva sotto gli Asburgo la qualifica di "Corpus Separatum" della corona Ungherese. Gli Ungheresi stessi, trovatisi a contrastare la possibile terza gamba slava dell'Impero, avevano indirizzato l'economia verso l'Italia. Nella primavera del 1919 in Italia si hanno incidenti per il carovita e per la disoccupazione (chiusura dell'industria bellica e ritorno a casa dei soldati).
A Fiume, ancora incerta sul suo destino di città libera, il 2 luglio 1919 i soldati Francesi strappano i gagliardetti tricolori alle donne in strada; la folla allora si scatena provocando gravi disordini. I granatieri del 2° Reggimento sparano sui Francesi che lasciano sul terreno diversi morti. I "Francesi" che cadono non si erano neanche resi conto del loro gesto provocatorio, poiché sono coloniali Indocinesi. La commissione alleata chiede l'allontanamento dei Granatieri, che rientrano a Monfalcone il 25 agosto.

Qui, l'11 settembre, gli ufficiali e i rappresentanti del Consiglio di Fiume ( sorto all'indomani dell'armistizio del 3 novembre) offrono a Gabriele D'Annunzio la guida della riconquista della città. D'annunzio si rivolge per un sostegno politico a Mussolini, ma questi, giudicati i tempi immaturi, si defila. La guerra è finita da meno di un anno, ma molti militari (500.000) sono ancora sotto le armi con un bagaglio d'esperienza e rabbia enorme, come la lista delle rivendicazioni. Anni di guerra impediscono a molti di ritrovare la dimensione della pace, di accettare la fatica di affrontare i problemi con calma e ponderatezza; l'abitudine alla violenza, vissuta per anni come norma quotidiana e come risolutrice del problema (la moderna sindrome di Rambo), è dura da perdere. Il Comandante T. Col. Gabriele D'Annunzio, 55 anni, congedato in giugno, (si fregia di una medaglia d'oro e di tre d'argento più altre minori) viaggia a bordo di una Fiat 501 Tipo 4 rossa ed è seguito dai camion prelevati a Palmanova carichi di Granatieri. Lungo la strada per l'Istria i rivoltosi non incontrano spiegamenti di forza decisi, vuoi per la volontà dei comandi locali imbarazzati a sparare a decorati e commilitoni di quattro anni di sofferenze, vuoi per la mancanza d'affidabilità che venne data all'azione dimostrativa. A Castelnuovo 4 blindo della Cavalleria con Bersaglieri, fermano la colonna, ma dopo un breve conciliabolo si aggregano. Fanno da scorta a D'Annunzio ormai quasi 3000 persone, con una larga partecipazione di Arditi dell'VIII°, XXII° e XIII° reparto, un battaglione della Brigata Sesia, V squadrone Piemonte Reale e dell'VIII battaglione Bersaglieri ciclisti. A mezzogiorno del 12 anche gli ultimi Carabinieri inviati a fermarlo si rifiutano di sparare e alle 12,30 la colonna entra in città.

Pochi giorni dopo li seguono i Bersaglieri del 37°, 43°, 46° battaglione. Badoglio aveva già disposto per questi reparti l'allontanamento precauzionale dai confini. Sono 51 ufficiali e 1581 uomini di truppa con muli, carrette e armi. Il governo Italiano, vedendo la brutta piega che prende l'operazione, cerca di reagire lanciando l'ultimatum agli insorti. Il Presidente del Consiglio Nitti deplora lo spirito di sedizione che è penetrato nell'esercito, e rivolge un appello al popolo, operai e contadini affinché s'oppongano alle avventure. Gli eserciti alleati, visto l'evolversi degli avvenimenti, lasciano la città in mano ai volontari fiumani. Il 14 novembre lasciano gli ormeggi in porto per Zara il C.T. Nullo, e altre navi minori con a bordo Rizzo, Venturi, Reina, Keller e il ten. di vascello Ceccherini figlio del Generale che è a Fiume in veste di Ispettore. Il raggruppamento bersaglieri fiumani al comando del Colonnello Gualtiero Santini fornisce uomini (cap. Luigi Corrado) per la Legione del Carnaro che controllerà Zara e le isole antistanti Fiume. In Italia sono indette nuove elezioni per il 16 novembre, con risultati favorevoli a socialisti (barricaderi ma inconcludenti divisi fra l'ala radicale e quella riformista) e popolari (Don Sturzo) che, anche uniti non avrebbero mai potuto governare. Anche Fiume, occupata dai legionari, va a votare il 26 novembre per la reggenza.

La città sarà d'ora in poi stretta d'assedio dalle truppe italiane. Arrivano a Fiume, da tutto il mondo, rivoluzionari e artisti in una gara di solidarietà pro insorti, ma anche soldati e marinai che non trovano più alloggio in città. Lenin così si rivolge agli emissari europei comunisti a Mosca "C'è un solo uomo in Italia, capace di fare la rivoluzione. D'Annunzio". La Russia sarà l'unico stato che riconoscerà l'esistenza di Fiume. In effetti alcuni organi collegiali (militari) del governo fiumano assomigliano più ai soviet che alla monarchia costituzionale italiana. Gli ufficiali di qualsiasi ordine e grado hanno pari peso nelle decisioni. L'inazione, il congedo di cui godevano anche i soldati fiumani e le defezioni per contrasti col programma di Governo e con il Vate indeboliscono lo spirito.

Per finanziarsi vengono usati gli "Uscocchi" etnia che risale ai pirati costieri adriatici, che assaltano navi e chiedono riscatti. Ceccherini stesso se ne va il 20 novembre 1920* con il seguente messaggio "..la sistematica inversione dei valori disciplinari è troppo grave...veniamo qui chiamati da V.S. come generale e come tali ce ne andiamo..." Alla vigilia di Natale del 1920, il nuovo governo Giolitti ordina al Gen. Caviglia la presa di forza della città con un violento cannoneggiamento dal mare sulle installazioni militari e di governo. Lo stesso D'Annunzio rimane lievemente ferito e dopo sei giorni di scontri capitola.
Dovranno passare ancora quattro anni poi anche Fiume e Zara saranno Italiane. Il Vate, dopo il rifiuto di Mussolini a sostenerlo in quel fatale 1919 e il capovolgimento di fronte del 1920, ne ignorò l'autorità fino alla morte.

Tratto da http://digilander.libero.it/fiammecremisi/