Le donne di Parma nella Resistenza

Luglio 1944: Laura Polizzi "Mirca" (Archivio Isrec Parma).A Parma e provincia, come nel resto dell’Italia occupata, le donne che lottarono nel movimento partigiano intrapresero un importante percorso di apprendistato esistenziale e politico attraverso il quale presero coscienza della propria forza. Troppo spesso, nel Ventennio fascista, escluse dalla vita sociale e politica, emarginate dal mercato del lavoro e relegate agli unici ruoli che il regime riconosceva connaturati alla femminilità, quelli di sposa e madre “esemplare”, le donne ricominciarono, nelle vicende del secondo conflitto mondiale e della Resistenza, il loro lento e difficile cammino verso l’emancipazione.
Anche a Parma, con l’entrata in guerra dell’Italia, nel giugno del 1940, esse furono chiamate a sostituire, nel mondo del lavoro, gli uomini partiti per il fronte. Rivestirono, paradossalmente, ruoli fino ad allora maschili, uscendo dal chiuso delle loro case, per respirare una nuova, pur sempre limitata, libertà. A poco a poco, nel corso degli anni, dal primo sentimento di paura per i pericoli cui la guerra le sottoponeva insieme alle famiglie, per le responsabilità che esse, da sole, erano adesso chiamate a sostenere, le donne divennero consapevoli delle loro potenzialità e cominciarono a rendersi conto di quanto stava accadendo intorno a loro. Proveniente da famiglie di tradizione antifascista, una parte di esse venne coinvolta, ancor prima dell’armistizio dell’8 settembre 1943, nel movimento clandestino. Era soprattutto il peggioramento repentino delle condizioni di vita a rendere necessario agire per la fine delle ostilità.
Ottobre 1944: Rosetta Solari Il 16 ottobre 1941, nonostante le promesse del governo e di Mussolini, che aveva visitato la città appena una settimana prima, la razione del pane venne ulteriormente diminuita a 150 grammi pro capite al giorno. In seguito al provvedimento e all’assalto, da parte di un piccolo gruppo di donne, ad un furgone della Barilla che trasportava il pane, alcune centinaia di operaie uscirono dalle fabbriche e manifestarono nelle vie della città. Esse furono organizzate dalle più politicizzate, immediatamente arrestate. Lo “sciopero del pane” – così venne chiamata la protesta – rappresentò un evento importante non solo per la popolazione civile di Parma ma soprattutto per le partecipanti, che, per la prima volta, rischiarono il posto di lavoro e l’incarcerazione scendendo in piazza.
Dal 1941 al 1943, un numero sempre maggiore di donne accettò di svolgere un ruolo da protagonista nella lotta contro il regime. L’antifascismo della famiglia, il coinvolgimento di un amico, di un fratello, di una madre nell’organizzazione partigiana, le spinsero ad agire attivamente sia nella Resistenza civile sia nella lotta armata.
Nell’autunno del ’43, anche nel territorio parmense iniziò l’organizzazione dei Gruppi di difesa della donna e per l’assistenza ai combattenti per la libertà (GDD), all’interno dei quali furono raccolte donne di tutti gli orientamenti politici, nell’ottica della mobilitazione femminile di massa. I ruoli che esse ricoprirono in città, nei paesi e nelle campagne furono innumerevoli, prevalentemente di carattere politico e organizzativo, in particolare nel settore della propaganda e della distribuzione della stampa clandestina. In seguito, dall’inverno del 1944, alcune di esse chiesero di poter combattere con le armi e salirono in montagna, lottando con coraggio e determinazione. Da questo momento, le donne arrestate furono sottoposte allo stesso trattamento riservato agli uomini. Alcune furono deportate nei campi di concentramento nazisti. Altre, dopo aver subito ogni sorta di violenza, furono uccise, come Ines Bedeschi , originaria di Conselice (Ferrara) che nel Parmense svolse compiti delicati di collegamento tra il Comitato di liberazione, i partiti clandestini e i comandi partigiani regionali. Arrestata nel febbraio del ’45, dopo sevizie ed estenuanti interrogatori, venne fucilata lungo le rive del Po, il 28 marzo dello stesso anno. Fu decorata di medaglia d’oro al valor militare alla memoria.
Luisa Calzetta "Tigrona", morta in combattimento a Guselli (Piacenza) il 4 dicembre 1944 (Archivio Isrec Parma). Finirono in carcere anche alcune delle donne che organizzarono e parteciparono alla manifestazione per i "fatti di Montagnana", nell’aprile 1944. La notte del 14 aprile, reparti tedeschi avevano catturato in località Montagnana di Corniglio, nel primo Appennino parmense, un gruppo di partigiani appartenenti al Distaccamento “Griffith” della 12.a Brigata Garibaldi , la formazione di “ribelli” creata dal Partito comunista e costituita in gran parte da ragazzi di Parma. Molti di loro provenivano dai borghi dell’Oltretorrente e dalle case popolari. I partigiani vennero portati in città dove furono processati da due tribunali: uno militare per quelli soggetti alla leva, l’altro civile per gli esenti dagli obblighi militari. A questi ultimi, processati il 18 aprile, vennero riconosciute pene che andavano dai 26 ai 30 anni di reclusione. Per tre degli arrestati venne sentenziata la pena di morte, eseguita il giorno seguente a Monticelli Terme. Il processo al secondo gruppo, costituito da 35 partigiani di leva, si svolse il 20 aprile e furono tutti condannati alla pena capitale. All’uscita dal palazzo del tribunale, essi trovarono il piazzale gremito di donne che chiedevano il loro rilascio. Esse tentarono di bloccare il passaggio della corriera con i partigiani a bordo. Seguirono momenti di tensione tra la popolazione e le forze dell’ordine. Solo con l’intervento delle armi da fuoco, con colpi sparati in aria, si sbloccò la situazione e si disperse la folla. Anche in seguito alla mobilitazione cittadina, la pena di morte venne sospesa.
Dallo “sciopero del pane” ai "fatti di Montagnana" fino alla fine della guerra, le donne di Parma che combatterono, con le armi e senza armi, nella Resistenza, vissero la lotta come momento di formazione e di presa di coscienza. Una parte di esse continuò, anche nel dopoguerra, l’impegno politico iniziato nei lunghi mesi della Resistenza. Come nel resto del paese, anche qui le donne posero, nella guerra per la liberazione dell’Italia, le basi della futura lotta per il diritto di voto e per l’emancipazione femminile.