La Carrozzeria
produce autobus urbani, extraurbani e di lusso caratterizzati da nomi di
artisti (Giotto, Tiziano, Palladio, Tintoretto). Attualmente, Tiziano per le
aziende pubbliche di trasporto e Tintoretto per le compagnie di viaggio private.
Gli operai assemblano gli autobus partendo da un telaio (Iveco Italia, Mercedes Germania, Daf Olanda) su
tre reparti produttivi (scocche, verniciatura, montaggio) coordinati da un
ufficio tecnico.
La “Luigi Dalla
Via” occupa attualmente 75 dipendenti (56 operai e 19 impiegati). Dall’inizio
della crisi, ottobre 2006, 9 operai si sono licenziati e ad un altro non è
stato rinnovato il contratto a tempo determinato di 2 anni.
Quando stava nella
sua sede storica, nel centro di Schio, prima del suo trasferimento in zona
industriale, la fabbrica occupava 200 dipendenti. A metà degli anni ’70 erano
già ridotti a 120-130.
Tutto il ciclo di
produzione è interno alla fabbrica; non esiste, cioè, lavoro affidato a ditte
esterne; la professionalità operaia è di tipo artigianale, molto alta.
L’ufficio tecnico inventa e crea il modello, la linea dell’autobus.
Nei primi anni ‘80,
Stefanelli, attuale presidente del CdA (rappresentante di Iveco nel Triveneto
ed ex proprietario di aziende municipalizzate di trasporto, tra cui la storica
Siamic) entra nella società di Andrea Dalla Via, figlio del fondatore della
carrozzeria, imponendo l’attuale amministratore delegato Alberto Tonzig ed
arrivando alla maggioranza della proprietà divisa per il resto con gli eredi di
Andrea Dalla Via.
In quegli anni la
conflittualità dei metalmeccanici è ancora molto alta. La consapevolezza del
conflitto si sviluppa anche nella carrozzeria Dalla Via, dove si ha una forte
criticità verso l’apparato sindacale ed un puntuale agire politico nelle
vertenze e nei contratti, che si esprime anche con il superamento delle
specifiche condizioni di lavoro di fabbrica e l’adesione - magari di una
minoranza determinata di lavoratori - agli scioperi nazionali indetti dalle
organizzazioni sindacali di base (Cobas, Cub, …) contro le guerre imperialiste
in Palestina, Jugoslavia, Iraq, Afghanistan.
Nella fabbrica è
repressa, attraverso provvedimenti disciplinari, sospensioni, minacce di
licenziamenti, mobbing..., ogni forma di espressione politica che non sia quella
del sindacato istituzionale.
L’amministratore
delegato Tonzig accentra per quasi 30 anni un comando assoluto in fabbrica: è
sua ogni decisione di qualsiasi tipo, amministrativa, tecnica, acquisti
magazzino, modifiche produttive, rapporti con il personale... Questo inopportuno
e assurdo accentramento di funzioni dell’amministratore, il mancato investimento
nella ricerca e quindi nell’applicazione di nuove tecnologie, l’incapacità a
rinnovarsi e a superare il toyotismo prima e dopo le nuove norme europee sulle
merci e la loro circolazione, sono i principali elementi di crisi.
La scelta di non
assumere personale tecnico specializzato per partecipare a gare e aste
pubbliche, per introdurre nuovi motori con limitazione dei consumi e
dell’inquinamento, la tardiva e incompleta informatizzazione del magazzino, la
carenza organizzativa interna nei reparti ha portato all’ultima e più grande
crisi della carrozzeria.
L’eliminazione dei
telai di scorta per il loro alto costo fisso nel bilancio aziendale ha
impedito, a differenza di altri periodi altrettanto “difficili”, lo spostamento
della produzione nella costruzione di autobus di base. In questo modo, nei
periodi precedenti di CIG, c’era una sorta di continuità nella produzione che
garantiva in parte la “rotazione” per gli operai, tranne per quelle figure
scomode, politiche, ritenute “non disponibili”.
La crisi attuale
viene attribuita, ufficialmente, all’impossibilità di avere il nuovo telaio
“euro 4” (obbligatorio per le normative europee) per una chiusura “tecnica”
delle ditte produttrici nel senso che “anche loro lo stavano realizzando”. I
produttori dei telai, Mercedes, Iveco e Daf sono gli stessi concorrenti della
Dalla Via nelle aste pubbliche.
Esiste invece un
grandissimo ritardo nell’organizzazione aziendale, che improvvisamente si
ritrova senza telai anche perché l’ufficio tecnico non può svolgere il suo
lavoro in maniera autonoma, visto che è completamente subalterno alla direzione
(tanto è vero che è anche “politicamente separato”, nel senso che il personale
tecnico amministrativo non partecipa né alle lotte contrattuali, né a quelle
per le vertenze interne).
Nel 2005 la
carrozzeria incarica un “manager” per un intervento di razionalizzazione del
processo produttivo attraver
so la creazione del
lavoro a “isole” e di un reparto di riparazioni, con la priorità di eliminare
la pausa collettiva di 15 minuti, retribuiti. Il tentativo fallisce, il
professionista viene liquidato, ma la carrozzeria realizza un accordo
commerciale di vendita, con il proprio marchio, di piccoli autobus (corti)
interamente costruiti in Turchia. Rapporto commerciale che tuttora continua.
Estate 2006:
passaggio da una forte intensità di ritmi produttivi (turnazione, straordinari)
alla mancanza di commesse pubbliche. La richiesta di un adeguamento salariale
del premio di produzione, bloccato da oltre 10 anni, termina con uno scontro
con la direzione in sede confindustriale e con la miseria di una “una tantum”
uguale per tutti di 250 euro. Nella carrozzeria sono pochi gli iscritti al sindacato,
diventato sindacato dei servizi, e pochissimi gli iscritti Fiom, il cui
rappresentante non si è mai visto perché gli interventi sindacali nelle fabbriche
sono proporzionali al numero di tessere.
Non solo la
conflittualità è difficile, ma anche la sola lotta di resistenza per mantenere
le conquiste storiche dopo gli accordi sindacali degli ultimi anni su pensioni,
35 ore, Legge 30 e recentemente sul furto del TFR e sul futuro ruolo del
sindacato come agenzia di collocamento aziendale in base alla Legge 30.
In queste
condizioni, con gli operai indeboliti per la precarietà degli assunti negli
ultimi anni, nella fabbrica s’è aperta la crisi, il ricorso alla CIG, per 18
mesi.
Dagli incontri tra
RSU, azienda, sindacati e Confindustria emerge una gravissima crisi finanziaria
e la mancanza di un piano industriale (condizione, quest’ultima, per ottenere
la cassa integrazione). Alla fine, il piano industriale emerge, ma si tratta
della solita ristrutturazione, con al centro la creazione di un nuovo modello
di autobus (Mantegna), concorrenziale per le aziende pubbliche, che dovrà
contenere i costi del 20-30 %, attraverso la riduzione del reparto scocche e
verniciatura, per cui la costruzione dell’autobus dovrà essere esterna alla
fabbrica, magari delocalizzata.
La ristrutturazione
prevede anche un taglio occupazionale di 24 dipendenti, 16 operai e 8
impiegati, su 75 lavoratori.
Nell’ultimo
incontro per ottenere la CIGS (12 mesi per crisi di settore, 18 mesi per
ristrutturazioni interne) l’amministratore delegato Tonzig ha chiesto “un
segnale” - da parte dei lavoratori - per gli azionisti che dovevano
ricapitalizzare l’azienda: di nuovo la soppressione della pausa retribuita di
15 minuti per tutti i lavoratori per un periodo di prova di un anno e l’aumento
del pasto mensa dal prezzo politico di 1.30 €, a 2 €.
Precedentemente
c’era stato il tentativo di chiudere la mensa o di affittarla (compresi i due
cuochi che allora perdevano la garanzia del contratto metalmeccanico) ad
un’azienda specializzata nella ristorazione.
I lavoratori hanno
scambiato l’abolizione sperimentale della pausa retribuita e l’aumento del
costo mensa, con la garanzia da parte della direzione, dell’anticipo per i
primi 3 mesi della CIGS in attesa del completamento burocratico per
l’erogazione da parte dell’INPS.
Non c’è mai stato
un annuncio di chiusura della fabbrica e forse questo spiega la mancanza di
mobilitazione pubblica, anche se, come da copione, della crisi sono stati
investiti l’Amministrazione Provinciale, la stampa locale e il Sindaco di Schio
(dipendente dell’ufficio tecnico della carrozzeria).
Dall’inizio della
crisi i lavoratori della “Dalla Via” hanno la certezza di avere già perso
diritti acquisiti, posti di lavoro e di dover sopravvivere per 18 mesi (forse)
con 750 euro dopo avere garantito, da sempre, il massimo profitto per i
padroni.
Sicuramente alcuni
hanno compreso che stare a guardare ed aspettare gli eventi non può essere che
controproducente; altri si stanno ponendo il problema della necessità di sviluppare
un livello unitario a partire dal territorio e non solamente dal posto di
lavoro.
Il momento
dell’unità non può essere solo sindacale, e non limitato ad un’unica realtà
lavorativa; bisogna porre le basi per la creazione di un momento politico di ricomposizione
dei lavoratori in quanto sfruttati, proprio perché i loro interessi sono
distinti da quelli del datore di lavoro.
I lavoratori non
possono e non devono pagare il prezzo delle crisi o delle chiusure aziendali.
giugno 2007
Un lavoratore della
Carrozzeria Dalla Via