Contratto lapidei
Dalla zona apuana una proposta
per i lavoratori della Versilia e della Garfagnana
Nel numero scorso di Primomaggio abbiamo
ospitato un intervento di alcuni lavoratori dell’Henraux, la principale azienda
del settore lapideo della Versilia. In quella intervista si faceva riferimento
all’ultimo rinnovo del contratto dei lapidei (2000) quando le organizzazioni
sindacali della provincia di Lucca e quelle della provincia di Massa-Carrara
hanno firmato due accordi diversi, dopo che per anni il contratto era stato
inter-provinciale. Uno degli elementi fondamentali della divergenza riguardava
l’inserimentro della “presenza” nel calcolo del premio di risultato. In questo
numero Giovanni Ricci, cavatore della
zona apuana e membro del Cobas del Marmo, risponde con una proposta ai
lavoratori del marmo della Versilia e della Garfagnana.
Innanzitutto tengo a precisare che questo mio intervento
non vuole polemizzare con i lavoratori della Henraux a proposito dell’articolo,
apparso sul terzo numero di “Primomaggio”, in merito al premio di risultato, ma
vuole essere una denuncia per avviare un dibattito in grado di aprire una
riflessione sul superamento di quel tipo di contratto.
Il premio di risultato del contratto interprovinciale del
1996 era basato sull’andamento della produzione: 1,5 % annuo per quattro anni,
che per il distretto estrattivo di Massa Carrara significava 230.000 tonnellate
di aumento rispetto al milione e mezzo prodotte. Come Cobas Marmo quel
contratto lo abbiamo criticato e contrastato per tre motivi:
- L’ aumento del prodotto rapinato con un impatto ambientale
e idrogeologico devastante. Questo è avvenuto con l’avallo delle centrali
sindacali confederali in contrapposizione a molte associazioni ambientaliste e
a forze alternative che chiedevano politiche di razionalizzazione del prodotto;
- Le lavorazioni in cava, per effetto delle
ristrutturazioni e dei processi tecnologici, sono tutte sott’organico.
Cooperazione a parte, su un totale di oltre 160 aziende solo 7 sono con più di
15 dipendenti. Ogni aumento di produzione comporta: 1) aumento dei ritmi di lavoro;
2) aumento di lavoro straordinario; 3) meno prevenzione e sicurezza, quindi più
rischio.
- Infine la redditività del settore veniva calcolata
attraverso i dati di aziende quasi tutte in crisi, vedi Imeg. Inoltre il
settore deve fare i conti con un altissimo denaro in nero, il 50%, c’è quindi
anche la necessità di creare legalità.
I contratti siglati sono figli delle politiche partorite
alla fine degli anni ’70, attraverso la responsabilità nazionale e i patti
sociali degli anni ’90 che hanno visto arretrare e uscire sconfitto su tutta la
linea il movimento operaio.
Sconfitta determinata non solo per la forza della
controparte, ma anche per le scelte interne che hanno visto uscire sconfitta la
stessa politica, in quanto questo riformismo borghese-liberista ha messo
l’economia sotto il controllo di una programmazione privata in cui la politica
non è in grado di governare i processi e i progetti di Confindustria.
Infatti questa centralità dell’impresa ha prodotto da
molti anni nei luoghi di lavoro un clima di terrorismo psicologico in quanto
viene alzato quotidianamente lo spettro del licenziamento nei confronti degli
operai da parte dei padroni e dei loro galoppini, i “capi cava”, anche su
questioni sancite dal contratto, quali: pasto decente, vestiario, poter
accedere ad ammortizzatori sociali per esentarsi dal lavoro durante i periodi
di avversità atmosferica (pioggia, ghiaccio, nebbia, etc…).
Inoltre questa forma più sfrenata di applicazione del liberismo ha portato al
fallimento delle leggi sulla prevenzione e sicurezza, dei protocolli che
regolamentano l’organizzazione del lavoro in tutte le fasi del ciclo
produttivo, infatti i molti infortuni ne sono la testimonianza.
I lavoratori e le classi deboli della società sono stai
confinati in una dimensione di subalternità, fuori dalla discussione sulla
trasformazione della società, attraverso il restringimento degli spazi
democratici dentro e fuori i luoghi di lavoro.
La questione del lavoro è una materia complessa, ma nella
complessità c’è il momento sociale più alto in quanto sono presenti tutte le
questioni di una società:
democrazia-dignità-diritti.
Chiudo con una proposta ai lavoratori Versiliesi
del settore lapideo. Riprendiamoci la democrazia nei luoghi di lavoro
attraverso la nascita dal basso di una Federazione dei marmisti apuo-versiliesi
che sappia aprire una battaglia per fare ritornare il settore da Distretto
Minerario, in quanto quasi tutta la produzione ormai è destinata al mercato del
grezzo non trasformato e al mercato delle polveri di carbonato di calcio, a Distretto
Lapideo.
Questo può essere un momento unificante per aprire una
vertenza sull’occupazione.
Massa, marzo 2004
Giovanni Ricci, cavatore apuano