Rubrica giuridica

In collaborazione con la rivista telematica di diritto del lavoro DL OnLine

Impugnazione del licenziamento

 

1. Per provare l’avvenuto recapito all’indirizzo del datore di lavoro dell’impugnativa di licenziamento (quale atto recettizio ex art. 1335 c.c.) il lavoratore può avvalersi di qualsiasi mezzo di prova, e quindi anche di presunzioni. (Cass. 30/7/2002, n. 11302, in Riv. it. dir. lav.2003, 400, con nota di Gilda Del Borrello, Sulla sede datoriale competente a ricevere l’atto d’impugnazione del licenziamento).

 

2. Per indirizzo del datore di lavoro si intende un luogo che, per collegamento ordinario, o normale frequenza, o preventiva indicazione, appartenga alla sfera di dominio del destinatario. Pertanto, quando non sia contestato che il licenziamento provenga dalla sede regionale della società datrice di lavoro, è sufficiente, per escludere la decadenza ex art. 6, l. n. 604/1966, il tempestivo invio della impugnazione del licenziamento presso detta sede. (Cass. 30/7/2002, n. 11302, in Riv. it. dir. lav.2003, 400, con nota di Gilda Del Borrello, Sulla sede datoriale competente a ricevere l’atto d’impugnazione del licenziamento).

 

3. E’ pienamente valida l’impugnazione del licenziamento da parte del solo sindacato anche qualora il lavoratore interessato non risulti iscritto all’associazione impugnante (Pret. Prato 20/7/95, est. Rizzo, in D&L 1995, 1026, nota CASAGNI, Note in tema di impugnazione del licenziamento di lavoratore non iscritto da parte del sindacato e di trasformazione del rapporto formalmente di apprendistato)

 

4. Costituisce atto scritto idoneo a impugnare il licenziamento, secondo il combinato disposto degli artt. 6, l. n. 604/66 e 2705 c.c., il telegramma inviato mediante dettatura telefonica del testo, rimanendo a carico del mittente, in caso di contestazioni, l’onere della prova della provenienza del telegramma, che potrà essere offerta anche mediante elementi indiziari, precisi e concordanti (Cass. 30/10/00, n. 14297, pres. De Musis, in Riv. it. dir. lav. 2001, pag. 371, con nota di Palla, Revirement della S.C. sulla legittimità dell’impugnazione del licenziamento mediante telegramma telefonico)

 

5. L’impugnativa per iscritto del licenziamento a norma dell’art. 6, l. n. 604/66 può essere validamente effettuata mediante telegramma inoltrato tramite l’apposito servizio di dettatura telefonica, sempreché l’invio del telegramma, anche se compiuto materialmente da parte di un altro soggetto e da un’utenza telefonica non intestata al lavoratore, avvenga per incarico ed a nome di quest’ultimo, il quale appaia autore della dichiarazione; in caso di contestazione in giudizio, l’interessato è onerato della prova dell’incarico anzidetto, che può essere fornita a mezzo di testimoni e per presunzioni (Cass. 5/6/01, n. 7620, pres. Santojanni, est. Toffoli, in Dir. lav. 2001, pag. 317)

 

6. Il licenziamento irrogato per giusta causa può essere impugnato dal lavoratore anche mediante telegramma dettato per telefono, che ha efficacia di scrittura privata e costituisce ipotesi simile alla consegna di un atto scritto (Trib. Messina 15/7/99, pres. Savoca, est. Conti, in Riv. It. Dir. Lav. 2000, pag. 533, con nota di Cattani, sull’impugnazione del licenziamento mediante telegramma telefonico)

 

7. La comunicazione al datore di lavoro, da parte dell’Ufficio provinciale del lavoro, della richiesta di espletamento della procedura obbligatoria di conciliazione, contenente l’impugnativa scritta del licenziamento da parte del lavoratore, avvenuta nel termine di cui all’art. 6, l. 15/7/66, n. 604, impedisce la decadenza sancita nella medesima norma (Cass. 13/7/01, n. 9554, pres. Trezza, est. De Matteis, in Dir. lav. 2001, pag. 321)

 

8. L’acquiescenza alla risoluzione del rapporto e la rinuncia a impugnare il licenziamento non possono essere desunte dal fatto che il lavoratore abbia rilasciato quietanza a saldo di ogni diritto conseguente alla risoluzione del rapporto di lavoro, risolvendosi tale atto in una dichiarazione di scienza priva di qualsiasi valore negoziale (Cass. 26/7/96 n.6759, pres. Martinelli, est. Miani Canevari, in D&L 1997, 289, n. Muggia)

 

9. La mera accettazione del trattamento di fine rapporto ancorché non accompagnata da alcuna riserva non può essere interpretata, per assoluto difetto di concludenza, come tacita dichiarazione di rinuncia ai diritti derivanti dall’illegittimità del licenziamento, non sussistendo alcuna incompatibiltà logica e giuridica tra l’accettazione di detto trattamento e la volontà di ottenere la dichiarazione di illegittimità del licenziamento, al fine di conseguire l’ulteriore diritto alla riassunzione o al risarcimento del danno (Nella specie la S.C. ha ritenuto corretta anche la concorrente motivazione della sentenza di merito circa l’irrilevanza della rinuncia a precedente impugnazione stragiudiziale in riferimento ad un licenziamento orale, non soggetto all’onere di impugnativa a pena di decadenza previsto dall’art. 6, l. 604/66) (Cass. 21/3/00 n. 3345, pres. Genghini, in Orient. Giur. Lav. 2000, pag. 467)

 

10. Non è necessaria l’impugnazione del licenziamento nel termine stabilito dall’art. 6 L. 15/7/66 n. 604 quando la domanda del lavoratore sia finalizzata unicamente al percepimento dell’indennità di preavviso ex art. 2118 c.c. (Trib. Milano 3/3/99, pres. ed est. Gargiulo, in D&L 1999, 673)

 

11. Il licenziamento privo della forma scritta non è soggetto al termine di decadenza di 60 giorni per la sua impugnazione (Cass. 27/7/99 n. 508, pres. Grossi, est. Ianniruberto, in D&L 1999, 889, n. Muggia, Violazioni gravi, tutela maggiore)

 

12. Il licenziamento orale esclude l’onere per il lavoratore di impugnare, a pena di decadenza, il licenziamento stesso nel termine dei sessanta giorni, in quanto la carenza di forma scritta  prevista quale requisito sostanziale dell’atto di recesso  comporta l’assoluta inidoneità ad avviare la procedura di licenziamento nei termini di legge; il provvedimento in questione può essere impugnato nel termine di prescrizione quinquennale (Trib. Napoli 8/9/94, pres. Baccari, est. De Luca, in D&L 1995, 201)

 

13. In caso di nullità del termine apposto al contratto di lavoro non sussiste per il lavoratore cessato dal servizio l’onere di impugnazione nel termine (di sessanta giorni) previsto a pena di decadenza dall’art. 6 L. 15/7/66 n. 604 (che presuppone un licenziamento), atteso che il rapporto cessa per l’apparente operatività del termine stesso in ragione dell’esecuzione che le parti danno alla clausola nulla. Si applica quindi la disciplina della nullità sicché in qualsiasi tempo il lavoratore può far valere l’illegittimità del termine e chiedere conseguentemente l’accertamento della perdurante sussistenza del rapporto e la condanna del datore di lavoro a riattivarlo riammettendolo al lavoro, salvo che il protrarsi della mancata reazione del lavoratore all’estromissione dall’azienda ed il suo prolungato disinteresse alla prosecuzione del lavoro esprimano, come comportamento tacito concludente, la volontà di risoluzione consensuale del rapporto stesso e sempre che il rapporto (apparentemente) a termine non si sia risolto per effetto di uno specifico atto di recesso del datore di lavoro (licenziamento), che si sia sovrapposto alla mera operatività del termine con la conseguente applicazione, in tale ultimo caso, sia del termine di decadenza di cui all’art. 6 cit., sia della disciplina della giusta causa e del giustificato motivo (Cass. 8/3/00 n. 2647, pres. Lanni, in Orient. Giur. Lav. 2000, pag. 452)