Appunti per un intervento nel campo della grande distribuzione

 

Questi “appunti” sono stati presentati alle riunioni della rete interterritoriale su lavoro e precariato di cui si parla a pag.1 di questo stesso numero.

 

1. Individuare la media - e soprattutto la grande - distribuzione come luogo in cui focalizzare un intervento specifico su “lavoro e precariato” consente di impostare un intervento omogeneo a livello territoriale.

La distribuzione è infatti spalmata in modo sostanzialmente omogeneo sul territorio e di conseguenza è possibile fare un intervento in ogni città piccola, media o grande.

Dal momento che la maggiore “volatilità” del posto di lavoro (che si realizza per effetto dell'introduzione di dosi sempre più massicce di precarietà normativa e oggettiva) fa sì che spesso sul luogo di lavoro sia difficile impostare un intervento duraturo, diventa necessario utilizzare questa volatilità come un vantaggio (una sorta di “impollinazione”).

Noi siamo convinti, infatti, che la precarietà abbia una certa quantità di vantaggi per i capitalisti (altrimenti non la adotterebbero) e il primo di questi vantaggi sia il maggiore ricatto che si traduce in maggiore tasso di sfruttamento. Però esistono anche “talloni d'Achille” che dobbiamo saper individuare come, appunto, quello che lavoratori che si spostano di frequente possono portare esperienze di lotta direttamente in molti luoghi. Naturalmente, la condizione per far questo è il superamento della dimensione sindacale del “primo obbiettivo” (la stabilizzazione) e quindi il discorso può valere solo per un numero molto limitato di lavoratori.

 

2. La distribuzione non può essere delocalizzata.

Quindi, i lavoratori della distribuzione - come quelli di altri settori (settore pubblico, trasporti, ecc…) - non sono sottoposti alla concorrenza internazionale dentro il mercato del lavoro (se non per quanto riguarda lavoratori immigrati in ingresso in Italia). Non sono, in altri termini, a rischio spostamento-lavorazioni.

Questa sembra una cosa da poco, ma invece è importante. Nel settore industriale privato, infatti, non c'è solo una diminuzione progressiva di addetti, ma c'è soprattutto la “spada di Damocle” del trasferimento (che non sempre è così semplice come i padroni vogliono far credere, ma comunque è sicuramente molto più concreta di alcuni decenni fa e lo dimostra il fatto che le de-localizzazioni poi si fanno e la de-industrializzazione avanza).

 

3. Il processo di de-industrializzazione che è avanzato negli ultimi anni e che ha ricevuto una ulteriore spinta per effetto delle de-localizzazioni cambia anche la natura produttiva dei paesi industriali avanzati. Anche senza scomodare riflessioni (spesso avventate) su società post-industriali non ci vuole molto sforzo per riconoscere che le attività industriali/produttive, nei paesi imperialisti dominanti, svolgono oggi un ruolo assai meno centrale che nei decenni scorsi. Di conseguenza cresce il ruolo relativo dei servizi e della distribuzione che non possono essere visti come mere “attività improduttive” e quindi poco interessanti dal punto di vista della soggettività. Il fatto è che un modo di produzione si qualifica per il suo sistema di produzione, appunto, ma anche per il suo sistema di scambio. Senza la realizzazione di capitale che avviene nell’ambito della distribuzione, la produzione crea solo capitale allo stato potenziale.

 

4. Nella grande distribuzione c'è una realtà concentrata e variegata di precariato.

I precari, ovviamente, esistono in moltissimi ambiti. Per ragioni di “praticità” è ovvio, però, che laddove essi si trovano agglomerati è possibile sviluppare un intervento più rapido ed efficace (in un certo senso è come se fosse possibile riutilizzare alcuni schemi concettuali classici, come quello della dimensione di fabbrica di una volta).

 

5. All'interno del centro commerciale troviamo due tipologie di lavoratori: i lavoratori che stanno lavorando e i lavoratori che si sono momentaneamente “trasformati” in consumatori. Il messaggio può arrivare ad entrambi nello stesso momento ed in forma particolarmente ampia, anche se bisogna tenere conto delle modalità con cui reagirà la direzione del centro. In questo senso può essere interessante produrre un doppio messaggio che non riguarda solo la distribuzione, ma il sistema del consumo capitalistico e della mercificazione nel suo complesso.

 

6. La distribuzione è un settore relativamente nuovo nel quale sono state sperimentate le forme più moderne di controllo/comando sul lavoro.

In un certo senso, rappresenta quindi un laboratorio delle reazioni dei lavoratori rispetto a questi modelli di organizzazione del lavoro.

 

7. Nell'inchiesta sulla distribuzione diventa essenziale capire meglio che si può la funzionalità del negozio, la strutturazione organizzativa dei lavoratori, i problemi di rappresentanza sindacale, i punti deboli…

L'“immagine”, di cui si è parlato a lungo nei 3 incontri, è davvero sempre un punto debole per un iper-mercato che magari fa del basso costo il suo punto di forza?

Ogni catena ha la sua vocazione: Esselunga (prezzi e qualità maggiori), Coop (“di sinistra”), PAM (prezzi e qualità bassi)…  Siccome Coop è “di sinistra” il problema dello sfruttamento plateale dei lavoratori è effettivamente una questione anche di immagine.

Ma ne siamo poi così convinti pensando a come funziona in generale il sistema delle cooperative (vedi Unipol) e al fatto che questo sistema - insieme a tutti i partiti della sinistra e a tutti i sindacati di regime - è diretto responsabile dell’introduzione massiccia di precarietà (vedi Pacchetto Treu) nel nostro paese ?