Secondo l’accordo firmato da Governo, sindacati confederali
e Confindustria, l’avvio della controriforma del TFR, prevista dalla legge
Maroni per il 1 gennaio 2008, viene anticipata al 1 gennaio 2007.
A tale controriforma sono interessati 12 milioni di
lavoratori del settore privato, che maturano in 1 anno, 13 miliardi di euro di
TFR.
Cosa fare dal 1 gennaio 2007 ?
A partire da quella data i lavoratori dovranno decidere se
il TFR maturando (non quello già maturato) dovrà rimanere in azienda o se
versarlo in qualche fondo pensione. Per decidere avranno tempo 6 mesi, cioè
fino al 30 giugno 2007; per i lavoratori che entro quella data non avranno
indicato alcuna preferenza scatterà il cosiddetto principio del silenzio-assenso
e il TFR verrà versato obbligatoriamente in un fondo di categoria, a meno che
non intervenga un accordo aziendale.
Importantissimo, dunque, esprimere un parere di dissenso
esplicito attraverso moduli che verranno predisposti nelle prossime
settimane (per informazioni, contattare PM ai numeri indicati nel foglio).
Cosa succede ad un lavoratore già iscritto ad un fondo
pensione integrativo ?
Coloro che hanno cominciato a lavorare (con iscrizione
all’INPS) prima del 29 aprile 1993, possono lasciare tutto il TFR residuo in
azienda o versarlo (tutto o in parte) alla previdenza integrativa. Invece,
quelli che hanno cominciato a lavorare in data successiva al 29 aprile 1993, e
che hanno già versato tutto il loro TFR in un fondo, non devono fare niente.
Cosa cambia per chi lascia il TFR in azienda ?
Per le aziende con più di 50 dipendenti il TFR maturando
verrà versato all’INPS, che poi lo verserà a sua volta alla Tesoreria Generale
dello Stato. Verranno mantenuti gli stessi tassi di rendimento, le stesse condizioni
per un eventuale riscatto (fino al 70% per l’acquisto di una prima casa, spese
mediche, ecc…) e sarà il datore di lavoro a restituire il TFR al lavoratore.
Che differenza c’è tra fondi “chiusi”, fondi “aperti” e PIP
(Piani Individuali di Pensionamento) ?
I fondi pensione chiusi possono venir sottoscritti
dai lavoratori di una stessa categoria o dai dipendenti di una stessa azienda.
Questo tipo di fondo è alimentato dai contributi dei lavoratori, dei datori di
lavoro e da un prelievo sul TFR; i lavoratori possono decidere se investirli in
modo “prudente” (obbligazioni) o in modo più rischioso (azioni). Nel secondo
caso i rendimenti sono ipoteticamente più alti (come, ovviamente, le possibili
perdite).
I fondi pensione aperti sono istituiti dai gestori:
banche, assicurazioni, società di gestione del risparmio (SGR) o quelle di
intermediazione mobiliare (SIM).
I piani individuali di pensionamento (PIP) sono
simili ai fondi aperti e prevedono 3 tipi di gestione: uso di polizze vita
rivalutabili, polizze unit linked ed un misto di entrambe.
Quali sono i costi dei FPI ?
Secondo la COVIT (l’ente che si occupa di monitorare
l’andamento dei fondi pensione integrativi), i fondi chiusi hanno un costo
medio dello 0,5%, i fondi aperti arrivano all’1,5%, i PIP superano il 3%.
Quanto “rendono” TFR e fondi ?
Il TFR si rivaluta annualmente di una quota fissa pari
all’1,5% più il 75% del tasso di inflazione programmato.
Per esempio se tale tasso è stato fissato al 2%, la
rivalutazione del TFR in quell’anno sarà dell’1,5% + 1.5%, quindi del 3%. Da
sottolineare l’imbroglio della rivalutazione sulla base dell’inflazione
programmata nel DPEF e non su quella che effettivamente si determina.
Il TFR è comunque un accantonamento e non un investimento.
Per fondi
e PIP il calcolo è impossibile perché la rendita dipende dalla linea di
investimento scelta e dall’andamento dei mercati azionari. Il che vuol dire che
non solo possono non “rendere”, ma possono addirittura perdere (come è spesso
accaduto all’estero).