La ricetta del governo “amico” sulla previdenza: meno pensioni e meno di pensione ma, in compenso, via libera alla speculazione di borsa, imprese e sindacati di regime sul TFR

 

Senza alcun mandato da parte dei lavoratori CGIL-CISL-UIL hanno sottoscritto un “memorandum” in cui si impegnano ad aprire un “tavolo di confronto” con Governo e Confindustria sul tema delle pensioni. Il “memorandum” si compone di 9 articoli: i primi 8 di “premessa politica”; l’ultimo, invece, contiene i (10) punti “programmatici” su cui dovrà avvenire l’intesa. Tanto per sfatare un primo “mito” il memorandum non è solo una “dichiarazione di intenti” ma un vero e proprio programma, con tanto di punti e sottopunti già fissati. Essendosi messi d’accordo sul “cosa” e sul “perché” non sarà difficile mettersi d’accordo sul “come”.

Il “cosa” è semplice. Diminuire il più possibile la spesa previdenziale. Il “perché” è altrettanto semplice. Destinare il risparmio di spesa previdenziale a sovvenzioni a fondo perso alle imprese (magari attraverso riduzione del “cuneo fiscale”, de-contribuzioni, finanziamenti agevolati, “indennizzi” e quant’altro).

In fondo, la storia è sempre la stessa: spostare risorse dal salario al profitto, aumentare i profitti a danni del salario: sia quello diretto (come la busta paga, sempre più leggera), sia quello indiretto (come i servizi sociali), sia quello differito (come TFR e pensioni). Del resto, un sistema è capitalistico perché, seppure in forme e modi diversi, fa sempre un’unica cosa: sostenere la crescita del profitto dei capitalisti. Se poi a rimetterci sono i lavoratori - come è inevitabile che sia - pazienza, finché votano...

 

Il “memorandum” sulla previdenza esordisce rivendicando la giustezza degli interventi sulle pensioni pubbliche negli ultimi anni (“Le riforme introdotte a partire dagli anni ’90 hanno permesso di realizzare un sistema previdenziale pubblico in grado di assicurare equità sociale” - “equità” ??! -) e sulla necessità di completare l’opera di Dini (“completare il processo di riforma della legge 335/95”). Non è strano che queste chiare affermazioni provengano da un Governo che ha al suo interno partiti che hanno appoggiato la riforma Dini-Treu del 1995; un po’ più strano è che in un governo che scrive queste cose ci siano partiti che hanno costruito molto della propria immagine politica sulla battaglia contro la legge Dini (come il PRC). Diciamo che questo dimostra come tali partiti abbiano ormai totalmente abbandonato la trincea della difesa degli interessi dei lavoratori (e dei futuri pensionati) per abbracciare la trincea della difesa del proprio scranno parlamentare e istituzionale. Non è la prima volta, non fa scandalo.

 

Il memorandum prosegue - pur nell’ambito di una serie di chiacchiere e di considerazioni del tutto fumose - con alcuni punti ben precisi il primo dei quali è quello dell’innalzamento dell’età lavorativa e della disincentivazione all’esodo (“rafforzamento di criteri che legano l’età di pensionamento all’importo della pensione tenendo conto della dinamica demografica ed economica”). Da osservare che la giustificazione non è solo quella della “dinamica demografica”, ma anche di quella “economica” il che vuol dire che il Governo farà le proprie valutazioni anche in base all’andamento dei conti pubblici (se servono soldi per far quadrare i conti cosa c’è di meglio che mettere le mani sul bottino delle pensioni ?).

Il secondo punto più importante è quello della previdenza integrativa; “7. E’ decisivo che in Italia decolli la previdenza complementare; nonostante vari interventi legislativi, il ruolo dei fondi pensione a capitalizzazione resta modesto”; “9e) Pieno decollo della previdenza integrativa per tutte le categorie dei lavoratori, inclusi i dipendenti pubblici”. Naturalmente non ci si interroga sul perché la previdenza integrativa non sia “sufficientemente” decollata. Forse i lavoratori non si fidano a mettere in mano i propri soldi a banche, assicurazioni e pescecani vari della finanza ? Forse il crollo dei risparmi previdenziali negli USA e in altri paesi, oppure i tracolli di borsa di alcune grandi imprese italiane (Cirio, Parmalat) o internazionali (Enron, Worldcom) o addirittura di interi paesi (Argentina 2001) rendono i lavoratori preoccupati di dove possono andare a finire le loro speranze per il futuro ? No, nessuna analisi. Solo il dogma: bisogna, a tutti i costi, far decollare il sistema previdenziale integrativo. Con le buone o con le cattive.

E per spingere i lavoratori - assai recalcitranti  ad accettare la logica dei FPI - lo Stato agisce da diversi versanti: da un lato colpisce sempre più duramente la quota di pensione pubblica (dal 1995 con la controriforma Dini) che sempre di più diventa insufficiente a garantire il sostentamento dei futuri pensionati; dall’altro lato aumenta il rendimento del TFR destinato ai FPI e diminuisce quello che resta in azienda (o va alla Tesoreria) creando un ulteriore incentivo verso i FPI. Infine - e questa è la cosa gravissima - stabilisce che chi non dichiara nulla entro i primi 6 mesi del 2007 “è come se” avesse dichiarato che il suo TFR… debba andare ai FPI e in particolare a quelli sindacal-imprenditoriali.

E perché non si è stabilito che il silenzio-assenso corrisponde all’intenzione di lasciare le cose come stanno ? In fondo se i lavoratori volessero destinare il proprio salario ai FPI possono farlo, non è proibito; perché, se non lo fanno, è come se dicessero che vogliono farlo ? Si tratta, evidentemente, di una gigantesca truffa attuata dai sindacati di regime CGIL-CISL-UIL in combutta con i padroni e con i governi Berlusconi-Maroni-Fini-Casini e Prodi-Bertinotti-Fassino-Rutelli-Bonino-Diliberto-Pecoraro-Mastella-Di Pietro.

Sono proprio tutti d’accordo. Anzi, i “sinistri” hanno pure anticipato di un anno. Zelanti.

 

Ma manca anche qualche altra riflessione sulle conseguenze del progressivo innalzamento dell’età pensionabile. Intanto un primo problema “culturale”.

Mano a mano che la società progredisce perché è impensabile che i lavoratori abbiano un “ciclo di non lavoro” più lungo che non in passato ? Non dovrebbe essere questa una conquista civile e sociale da realizzarsi anche grazie al fatto che il lavoro di oggi ha un indice di produttività altissimo e produce un altissimo rendimento, molto più alto che in passato ? Dal momento che un lavoratore produce oggi, nel suo arco di vita produttiva-lavorativa, molto di più di quanto non producesse prima perché non pensare di destinare una parte di questa maggiore ricchezza in tempo di non lavoro ovvero nel sistema previdenziale ? Chi lo dice che ogni aumento di produttività storico debba essere sempre e comunque intascato dai padroni ? Il governo amico, ovviamente…

Tra l’altro, è poco ma sicuro che, andando ad analizzare l’aumento di produttività (e di ritmi) del lavoro risulterebbe chiaramente che la ricchezza prodotta è più che sufficiente per mantenere il sistema esistente (che tra l’altro, dal punto di vista dei conti INPS, non mostra alcuno squilibrio). Che colpa ne hanno i lavoratori se l’aumento della ricchezza prodotta se la sono intascata solo i padroni ? Perché il fatto che i padroni si siano intascati tutto (a parte le mazzette che hanno dato ai politici per ricevere commesse inutili e finanziamenti/incentivi a fondo perso) deve essere motivo per incatenare ancora di più i lavoratori al lavoro e per impedire loro di godere di tutte quelle cose di cui durante la vita lavorativa non possono godere oberati di ritmi e comandi ?

Per anni sindacati e padroni hanno utilizzato i pre-pensionamenti per gestire fasi di ristrutturazione con espulsione ed esternalizzazione di forza-lavoro, calmierando il potenziale di conflittualità sociale e quindi di dissenso. Oggi, vogliono i post-pensionamenti…

Ma i pensionamenti posticipati hanno anche altri effetti sociali.

Il primo, e più immediato, è quello che in una situazione di mancanza di piena occupazione, tenere più a lungo “anziani” al lavoro significa tenere più a lungo giovani fuori dal lavoro e di conseguenza aumentare ulteriormente precarietà e disoccupazione giovanile.

Secondo. Innalzando l’età pensionabile si incrementa ulteriormente il fenomeno - già fin troppo - preoccupante dei quaranta-cinquantenni non riciclabili. Se un lavoratore perde il lavoro dai 45 in su - magari per una di quelle delocalizzazioni che tanto piacciono a Prodi e agli industriali - ha poi enormi difficoltà a reinserirsi nel mondo del lavoro e a cambiare mestiere come inevitabilmente viene spinto a fare. Quindi, oltre a quello giovane, si forma anche un “precariato anziano” che, non potendosi appoggiare sulla famiglia, viene a produrre situazioni davvero tragiche.

 

Di queste cose, il “governo amico” e i suoi amici sindacali e industriali avranno ragionato ? Ma sì, tanto i parlamentari con un paio di legislature la pensione a vita da 5.000 euro ce l'hanno assicurata, siano essi del PRC o di AN o di chissà cos'altro.