Sono come Moggi

Breve storia di un lavoratore di call center

 

Recentemente mi è capitato di leggere, in relazione allo scandalo di “calciopoli”, che Luciano Moggi, già “mammasantissima” della cupola calcistica, in una sua “giornata tipo” svolgeva in media 400 telefonate (10 ore circa) per “lavoro”; da operatore telefonico di call center subito mi sono detto: “Siamo colleghi, io e Luciano !”.

Certo, io con le mie 6 ore di lavoro al giorno con un totale di circa 200 contatti telefonici richiesti dalla mia azienda sono un “dilettante”; lui sì che macina instancabile telefonata su telefonata, sabato e domenica compresi, senza ferie e malattia, una specie di “deus ex machina” dell’operatore telefonico!!! Lui sì che saprebbe cosa dire alla vecchietta che non ne vuole sapere di attivare una linea telefonica super vantaggiosa o al “pedante” cliente che non ne vuole sapere di pagare una bolletta elettrica troppo elevata!!!

Ed allora, visto che adesso Lucianone è caduto in disgrazia gli si offra almeno un’altra possibilità: ricominciare dal primo gradino nella “grande famiglia” dei telefonisti, un turno di 3 ore con un contratto di collaborazione a 3 mesi in un call center tipo il mio, niente ferie, pensione, malattia (tanto è abituato); poi, pian piano, di contratto in contratto, il “premio” delle 6 ore - visto il suo curriculum - arriverà anche per lui.

Certo, un contratto da lavoratore dipendente a tempo indeterminato sarà un po’ difficile visto che nel call center dove lavoro io l’85% dei “dipendenti” dipendente non è, ma è “collaboratore a progetto” (co.co.pro.), “senza subordinazione all’azienda” (elemento fondamentale per determinare lo status di lavoratore dipendente) come se i turni fissi, i superiori che controllano ed impartiscono ordini aziendali, i ferrei monitoraggi dei rendimenti di ciascun lavoratore, le pause blindate (15 minuti ogni 3 ore prima e dopo i quali il lavoratore deve marcare inizio e fine della stessa)… non fossero “sufficienti” per determinare formalmente uno stato delle cose sin troppo evidente, stato di cose che tra l’altro si evidenzia ulteriormente quando i lavoratori vengono utilizzati in mansioni impiegatizie che nulla hanno a che vedere con ciò che è scritto nel contratto a progetto imposto dall’azienda.

Ma forse, questo, Lucky Luciano lo capirebbe e comprenderebbe come, per il bene aziendale, si devono fare dei sacrifici e come, in nome dell’espansione dell’impresa e di bilanci sempre rigogliosi, sono i lavoratori che si devono adattare (se vogliono lavorare).

Tutto questo lo capisco meno io che non capisco, ad esempio, come mai noi 350 lavoratori del call center attualmente impiegati ogni 3 o 6 mesi dobbiamo sottoporci al giudizio del padrone che valuta senza intermediazione sindacale la nostra produttività e decide se lasciarci a casa o regalarci un altro semestre di lavoro; non capisco come il migliaio di lavoratori fagocitati dall’azienda in soli 4 ani di vita siano passati inosservati da sindacati e politici che si sono preoccupati solo di fare i loro porci comodi, i primi a caccia di deleghe - per poi rabbonire i pochi lavoratori che si sono ribellati al padrone -, i secondi che, in modo trasversale, si sono occupati di ampliare i propri consensi utilizzandoci in una campagna elettorale telefonica (chiamavamo noi a casa la gente per convincerla a votare per i vari politici e partiti - di destra e di sinistra - che avevano fatto un contratto con il call center per la propria propaganda) o riempiendosi la bocca su come le istituzioni siano state le artefici di questa ottima opportunità lavorativa per gli spezzini. Fino a far “scendere in campo” lo stesso Sindaco che per un giorno si è messo le cuffie da telefonista ed “al nostro fianco” è diventato il “Sindaco-operatore telefonico” fingendo di non vedere da vicino quello che i suoi colleghi politici hanno creato da lontano (“Pacchetto Treu”, Legge Biagi…).

Non capisco neppure come sia possibile che una azienda come questa, nata solo 4 anni fa a Milano ora abbia non solo una sede qui a La Spezia ma altre 4 sedi, 3 in Italia (Genova, Pavia, Cosenza) ed una in Romania in una espansione senza confini che però tale non è stata tale per i lavoratori; dopo 4 anni niente più che un misero aumento salariale di 2 euro che ad oggi, grazie anche alla complicità dei sindacati, si sta riducendo della metà per i neo-assunti (se si pensa che i lavoratori rumeni, ultimi arrivati, percepiscono una paga oraria di 1,5 euro lorde contro le 8.50 euro lorde di noi italiani ben si prevedono le scelte future del padrone).

Il panorama si completa con una costante insinuazione dell’azienda nel territorio spezzino che si realizza nelle forme più svariate: il padrone del call center è anche proprietario di un giornale provinciale gratuito (tiratura 30.000 copie), di una squadra di pallavolo, sponsorizza spettacoli teatrali, partecipa ad operazioni umanitarie senza scopo di lucro (?) ed altro ancora. Ma come può una azienda che basa il suo lavoro sui contatti telefonici essere così potente, arrogante ed invasiva ? Se non riuscite a farvelo spiegare (magari dal buon Luciano) allora aspettate il prossimo numero di Primomaggio per il seguito.

 

Un operatore di un call center spezzino