La crisi industriale e occupazionale nel vicentino

 

In questi ultimi 5 anni si è susseguita nel vicentino una situazione d’instabilità economica.

Molte aziende importanti del nostro territorio (la Marzotto di Valdagno, la IAR SILTAL di Bassano del Grappa, le acciaierie Valbruna e Beltrame di Vicenza, la FIAMM e la Folco di Montecchio Maggiore, la Salvagnini di Sarego, la Lanerossi e la Prandina di Schio, la SIVI di Monticello Conte Otto ecc...), oltre a molte altre medie realtà e piccole aziende industriali o artigiane, hanno attivato pesanti processi di ristrutturazione (licenziamenti, cassa integrazione, mobilità, esternalizzazioni, lavoro precario, aumenti ulteriori dei ritmi, uso flessibile degli orari…) attraverso la minaccia costante dello spostamento della fabbrica oppure hanno chiuso delocalizzando l’attività in paesi a basso costo del lavoro dopo aver fatto enormi profitti sulle spalle di migliaia di lavoratori, a cui hanno imposto per anni ritmi di produzione elevatissimi e malattie sul lavoro, con effetti devastanti.

La nostra provincia è esposta alla progressiva scomparsa di settori e comparti che tradizionalmente hanno rappresentato punti di forza della struttura produttiva locale (tessile, orafo, concia, meccanico); ciò ha comportato la perdita di molti posti di lavoro e un forte aumento della precarizzazione.

La caduta occupazionale nei settori produttivi tradizionali non viene recuperata nei servizi, nonostante quest’ultimi tendano da anni a divenire la “spina dorsale” del sistema economico veneto.

Vicenza si caratterizza ancora come provincia a forte vocazione industriale e il settore manifatturiero rappresenta ancora un segmento importante del sistema produttivo e della composizione occupazionale. Ma dal 2000 il ricorso alla Cassa Integrazione Guadagni (CIG) nella provincia di Vicenza è in costante aumento. L’ammontare complessivo delle ore concesse, sia di gestione ordinaria che straordinaria, è passato da circa 850.000 nel 2000 a poco meno di 3.000.000 nel 2005. Particolarmente significativi sono stati gli aumenti registrati nel 2002 (+77% rispetto al 2001) e nel 2004 (+41% rispetto al 2003).

Limitando l’analisi al 2005 si vede che, complessivamente, le ore di CIG sono aumentate del 3,9% rispetto all’anno precedente; in particolare sono aumentate quelle di gestione straordinaria (il che significa spesso l’anticamera della mobilità) che hanno registrato un incremento del 4,6% passando da 822.000 nel 2004 a 860.000 nel 2005.

I comparti industriali che maggiormente hanno fatto ricorso alla CIG ordinaria sono quello meccanico (603.000 ore, pari al 29% del totale delle ore concesse) e il tessile (313.000, 15% sul totale); seguono il settore delle calzature e dell’abbigliamento, delle pelli e del cuoio.

Per quanto riguarda la CIGS, invece, nel 2005 al primo posto per numero di ore concesse si colloca il settore delle calzature ed abbigliamento (307.000 ore, pari al 36% del monte ore complessivo di CIG straordinaria), seguito dal comparto tessile (266.500 ore, 31% sul totale) e da quello meccanico (105.000 ore, 12% sul totale).

Dal 2002 in poi nella provincia di Vicenza i numeri sulla mobilità (ovvero del licenziamento) sono cresciuti notevolmente: dai 1.670 lavoratori messi in mobilità nel 2002 il numero è salito a quasi 2.960 nel 2003 fino a raggiungere i 4.012 nel 2005.

 

Gli ingressi nelle liste di mobilità. Anni 2002, 2003, 2004 e 2005

 

La normativa italiana regola l’ingresso nelle liste di mobilità del personale delle imprese in stato di crisi attraverso due leggi: la legge 223 del 1991 che si riferisce alle aziende con oltre 15 dipendenti e la legge 236 del 1993 per le aziende con meno di 15 dipendenti.

Dal rapporto annuale - elaborato dalla CISL - sulla mobilità dei lavoratori vicentini risulta che solamente il 30% dei lavoratori entrati nelle liste di mobilità riuscirebbe ad essere assunto in altre aziende e che le categorie più penalizzate nel reintegro sono le donne, i lavoratori tra i 40-50 anni e quelli con basso profilo di specializzazione professionale.

 

Per quanto riguarda l’occupazione è interessante sottolineare i dati sulla tipologia contrattuale di assunzione. Nel 2005 l’85% dei nuovi assunti appartengono alla vasta gamma dei lavoratori atipici, tra cui spiccano i lavoratori a tempo determinato (con una durata media di contratto di 8 mesi), ma solo il 30% di tali contratti vengono poi trasformati in contratti a tempo indeterminato, mentre il 40% di questi lavoratori dopo un anno diventano disoccupati.

In generale, le tipologie di rapporti di lavoro, si suddividono in: contratto di formazione lavoro (4%); contratto di apprendistato (16%); contratto a tempo determinato (50% con la percentuale in aumento soprattutto perché spinta dalla diffusione del lavoro interinale); contratto a tempo indeterminato (30%).

Nel primo semestre 2006 il 48,2% dei contratti stipulati ha avuto una durata inferiore ad un mese e solo un quarto del totale ha superato i 6 mesi portando così la durata media dei contratti a 73 giorni.

 

La risposta alla crisi

 

Siamo di fronte ad un’emorragia continua dei “vecchi” posti di lavoro e, contemporaneamente, alla progressiva precarizzazione di quelli nuovi con la creazione di figure sempre più “flessibili”, fino al tentativo di attacco alla contrattazione nazionale ed al diritto di sciopero.

A questo processo di destrutturazione del mondo del lavoro che investe il nostro territorio, cui corrisponde il proliferare di ditte e cooperative sub-appaltatrici che spesso negano ai lavoratori anche le minime tutele sindacali e garanzie di sicurezza, non si può rispondere solo dal punto di vista della singola unità aziendale, ma solo nell’ambito di un ragionamento territoriale complessivo.

Si tratta di costruire un’area combattiva, organizzata ed informata di lavoratori siano essi a tempo indeterminato, precari o disoccupati, capace di stimolare una maggiore presa di coscienza e di sviluppare forme stabili di collegamento e di solidarietà nelle lotte contro le politiche di miseria e sfruttamento dei padroni e delle aziende “pubbliche”, contro i continui tentativi di padroni e istituzioni di dividerci e metterci l’uno contro l’altro, contro i processi di ristrutturazione e di de-industrializzazione...

Il foglio Primomaggio si propone come strumento di collegamento tra lavoratori, come momento di inchiesta sulle condizioni di lavoro e di vita nelle varie realtà, come approfondimento sulle questioni di carattere generale... con l’obbiettivo di contribuire alla costruzione di una forza di lotta della classe lavoratrice.

Senza mettere in campo questa forza reale e combattiva noi lavoratori rimarremo sempre alla mercé di promesse elettorali, accordi al ribasso e giochi politici fatti sulla nostra pelle e sul nostro futuro, giochi che non potranno essere contrastati con una risposta individuale e particolare, perché solo collettivamente possiamo essere una forza. Più saremo uniti e più forza avremo per far valere le nostre ragioni.

 

Redazione del Veneto