Fuori dal Mondo

 

...Era ora. Ormai erano un paio d'ore che stavamo in macchina... Ma finalmente, fra gli abeti, verdi come solo gli abeti della Slovenia in maggio sanno essere, si scorge il riverbero del sole sulle acque mosse della Sava.

Una profonda ansa sotto la montagna, una piana placida e larga, rotta solo di tanto in tanto dai cerchi prodotti da una trota che coglie qualche insetto sul pelo dell'acqua, una rapida dalla quale ogni tanto fa capolino una pinna... si, è proprio la Sava.

Indossare gli abiti da pesca è un rito. Magari a volte qualcuno dalla strada nota questi due pazzi in mutande infilarsi camicie, stivaloni, cappelli, giubbotti... Mah! Male che vada, chiameranno la polizia...

Io e Sandro, invece, imperturbabili ripetiamo per l'ennesima volta gli stessi gesti, con la calma e la precisione nate dalla infinite ripetizioni... Magari mentre ti infili la camicia ti coglie un brivido, non è che faccia poi tanto caldo neanche al sole e quando arriva un alito di vento, beh, si sente... Braghe di pile e calzettoni di lana, stivali a vita, il gilè da pesca con le sue cento cose disperse in tasche e sacche; controlla dove hai messo le chiavi della macchina e metti le sigarette nel taschino più alto, così se cadi in acqua non si bagnano tanto. Anche durante questo rito, l'anima si lascia permeare dallo splendore dell'ambiente circostante. Sembra di essere in Canada, altro che Slovenia...

Boschi fittissimi verde cupo, poco oltre si stagliano le montagne ancora spruzzate di neve, sul fondo della valle il fiume. Sento che, come in una dissolvenza cinematografica, le immagini della città, dell'ufficio, della solita routine vengono sostituite da maestosi scenari visti mille volte, ma sempre da scoprire.

Ed i pensieri rimangono chiusi nel baule della macchina, assieme alle scarpe da ginnastica ed ai jeans sdruciti (si, sempre quelli...).

...Quando tocco l'acqua, la scissione è completa. Non rimane nulla a legarmi al mondo, rimane solo il ritmo dell'esistenza che sempre più rallenta e sempre più si avvicina allo scorrere del fiume. Penso a Siddartha, alla mia anima che lascio vagare in preda alla corrente tentando di far sì che a tutto s'avvolga e tutto comprenda, senza mai fermarsi però...

A questo punto, sono i sensi a salire sul ponte di comando.

La vista si acuisce, l'attenzione è volta a cogliere quei movimenti dell'acqua che fanno presumere la presenza di una preda. Di tanto in tanto, il rumore della superficie liquida che si rompe, là dove il muso prepotente di una trota sale a ghermire un'effimera, salita a galla dopo la schiusa dalla ninfa ad asciugarsi prima di prendere il volo verso un'esistenza che durerà soltanto un giorno. Beh, già come vita mi sembra un pò sfigata: questa qui poi, farsi mangiare appena nata... Unica e sempre valida regola universale: mors tua, vita mea.

Lascio che l'alito della natura mi avvolga. Lo stormire delle fronde alla leggera brezza non è più un rumore, è una mia funzione vitale, come il battito cardiaco. Sento sulla pelle l'alito fresco che arriva da una zona della sponda, chiusa in un'ombra più fitta, verso la quale mi sto dirigendo, piano piano, senza spostare troppa acqua (sto davvero entrando a fare parte del fiume?).

Mentre lascio lo sguardo vagare sul mondo fresco e liquido che mi attornia, colgo la sagoma di Sandro, un pò più a valle. Lancia con movimenti perfetti, lenti, immutabili. Pesca lungo, fa posare la mosca sotto un ramo che sporge dalla riva opposta... di certo ha visto qualcosa di interessante. Accendo una sigaretta e guardo.

Intuisco dove sta passando la sua lenza, ne seguo il percorso... e proprio là, l'acqua ribolle per un attimo. C'è il pesce... La lenza si tende quando l'uomo ferra, la trota segue la ferrata con un balzo, completamente fuori dall'acqua. E' grossa... subito fugge, verso il filo della corrente; risale a monte velocissima, e sento il mulinello di Sandro stridere mentre metri di lenza vengono estratti. La fuga si spegne, pian piano il pescatore recupera bracciate di filo, attento a concedere nuovamente spazio se il pesce dovesse partire. La parte terminale della lenza è sottile, quasi come un capello, e si devono evitare strappi bruschi che la spezzerebbero. La preda va assecondata, guidata, stancata... Non si pensa a tutti questi principi, durante l'azione: tutto ormai è assimilato a livello istintivo.

Un campanile lontano batte il mezzogiorno, registro questo dato quasi inconsciamente mentre ammiro la difesa della trota e la perizia del pescatore. Da qui, colgo solamente la sua sagoma stagliata contro il chiarore dei prati. Ma intuisco l'espressione: gli occhi sorridenti dietro gli occhiali polarizzati, che seguono un po' la preda e un pò studiano la corrente alla ricerca di una zona più calma dove portare il pesce, affinché non si ossigeni come gli è consentito di fare in corrente (tattica crudele, ma il duello è impari: la trota non lo sa, ma le basterebbe salire o scendere la corrente di altri 10 metri e la lenza finirebbe, ed a quel punto un minimo strappo sarebbe sufficiente a stroncare il terminale della lenza... non bisogna permetterglielo). Le labbra hanno un atteggiamento a metà fra l'ironico ed il corrucciato, tra la soddisfazione di aver allamato il pesce e l'impegno per tenerlo sempre sotto pressione.

La lotta ha portato Sandro nei miei pressi. Mi avvicino, ormai il pesce è allo stremo ed il pescatore lo afferra delicatamente, quasi carezzandolo. E' una stupenda trota fario, dalla livrea giallo oro con grossi punti neri e rossi, che peserà… quasi un chilo. Non si può uccidere un simile capolavoro della natura, le nostre tavole non ne hanno bisogno... Foto ricordo e poi, sempre delicatamente, il grosso pesce viene liberato dall'amo. Poi viene tenuto dal pescatore con la testa rivolta verso la corrente, affinché le branchie ricevano subito più acqua possibile, permettendogli di recuperare le energie profuse nella lotta.

Quando se la sente, con un guizzo abbandona la mano, diventata protettrice dopo esser stata avversaria, e sparisce nei trasparenti giri d'acqua dietro le pietre del letto del fiume.

Non una parola ha spezzato l'incantesimo. Solo un sorriso scambiato fra noi ha celebrato la cattura.

Torno dov'ero e riprendo a studiare la 'mia zona'. Anche qui segni di vita... A metà della corrente, fra i vortici e l'acqua piatta, più volte un pesce è salito facendo apparire i caratteristici cerchi sull'acqua (in gergo si dice 'bollata'..). Lo vedo sott'acqua, è di discrete dimensioni.

Chiudo il collo della camicia ed anche la lampo del gilet termico che indosso: qui all'ombra fa decisamente freddo (il termometro della macchina, parcheggiata sotto gli alberi, alla sera segnerà 6 gradi...). Cerco di capire che insetti attirano l'attenzione della mia preda. Sono effimere, non tanto piccole, credo grigie. Toh, San Culo (protettore dei pescatori...) mi dà una mano: un'effimera si posa sul dorso della mia mano, consentendomi così di osservarne colore e dimensioni. Si, è grigia... Rovisto nella scatola delle mosche, ne trovo una quasi uguale, la lego alla lenza e via. Due o tre lanci per arrivare fino al 'punto caldo', e poi a scrutare la passata. Il primo lancio è corto, il secondo quasi giusto, il terzo... perfetto. La mosca fa un paio di metri in balia della corrente e poi intuisco la sagoma scura della trota spostarsi, avvicinarsi alla superficie, ne vedo il muso avventarsi sulla mia mosca.

Calma.

Ferrare troppo presto vorrebbe dire togliere la mosca di bocca al pesce.

Ferrare troppo tardi vorrebbe dire permettere al pesce di accorgersi dell'amo, consentendogli di sputare la mosca artificiale.

Il lasso di tempo che intercorre fra il troppo presto ed il troppo tardi è di un secondo (scarso...).

Ed è estremamente difficile essere impassibili quando si assiste all'attacco del pesce: anche se è una scena vista e rivista, il cuore, invariabilmente, ha un balzo. Ma stavolta quel poco di ragione che ancora esiste in me ha il sopravvento. Riesco a non scattare appena vedo il pesce, lo lascio rimettere il muso verso il fondo, tiro la lenza alzando la canna... e lo sento mio.

Mi sono dovuto inoltrare nell'acqua, qui la corrente è più forte. Sento che gli stivali non hanno una presa così affidabile... e la pressione dell'acqua (sono immerso fino all'inguine) si fa sentire. Tento di riguadagnare la riva, tenendo sempre la mia preda sotto controllo. Fugge a valle, fa un paio di salti fuori dall'acqua, poi torna verso di me... Passa ad un braccio di distanza da me risalendo verso monte. Ancora due salti e... mannaggia. Saltando saltando, il pesce si è liberato dell'amo.

Vabbè, bravo.

L'ultimo salto lo ha fatto così vicino che ho una manica della camicia bagnata.

Mi sistemo il cappello, inspiro profondamente (sarà l'emozione, o il disappunto?) e sento l'odore della Sava. Odore d'erba, di umidità, di sabbia bagnata, di legna.

Il campanile, lontano, batte le quattro.

Come tutte le volte stasera, tornando a casa, si parlerà poco.

Musica di Pat Metheny, David Sylvian, Genesis... al solito.

E, al solito, rientrando in città, rivedendo quelle luci che si specchiano nel golfo, gli sguardi si incroceranno per un attimo, un sorriso balenerà quasi furtivo, a condividere la solita sensazione.

'Mi sembra di esser stato via un mese.'

 

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