Partito della Rifondazione Comunista

Circolo di Giulianova "Pasquale Di Massimantonio"

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ART.35: SERVIZI S.P.A.
PRIVATIZZAZIONE E LIBERALIZZAZIONE DEI SERVIZI PUBBLICI LOCALI: QUALI RAGIONI E QUALI MARGINI PER OPPORSI .

di Massimo Rossi

La trasformazione delle aziende speciali e dei consorzi pubblici in società di capitali costituisce un passaggio grave ed irreversibile verso la messa sul mercato e la privatizzazione dei servizi pubblici locali. Infatti sebbene in una prima fase tali società restino interamente in mano ad azionisti pubblici, il testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali prevede all'art.115 che gli stessi enti "possono restarne azionisti unici per un periodo comunque non superiore a due anni dalla trasformazione" .

Nel caso dell'acqua, addirittura, l'affidamento diretto ad una S.p.A. interamente pubblica del sevizio idrico integrato fa scattare l'obbligo, entro due anni da tale affidamento, di cedere a soggetti privati almeno il 40% delle azioni della stessa società (art.35, comma 5, legge 448/2001). Nonostante ciò, tale processo generalizzato di trasformazione, che l'art.35, comma 8, della Legge Finanziaria 2002 imporrebbe entro il 31 dicembre 2002 (termine ora prorogato al 30 giugno 2003 dalla legge 178/2002) si sta compiendo senza una diffusa azione di denuncia e di opposizione.

Anzi, in molte realtà locali questo processo si è avviato nel silenzio generale ancor prima del famigerato art.35. Tutto ciò si verifica a causa di una diffusa azione mistificatoria portata avanti da più parti allo scopo di conseguire il risultato di consegnare, senza resistenza, in mano al mercato servizi essenziali e vitali per le comunità locali e per i singoli esseri umani, come quello dell'acqua (…certamente non meno fondamentali dell'istruzione o della sanità!!!).

Da anni infatti sentiamo dire che la liberalizzazione e la privatizzazione di tutti i servizi pubblici locali è obbligatoria per effetto di disposizioni di carattere comunitario o addirittura (nel caso dell'acqua) in applicazione della legge Galli. In realtà, salvo che per il gas e per i trasporti, su cui esistono effettivamente disposizioni di carattere europeo volte alla completa liberalizzazione dei rispettivi settori, recepite con zelo dai precedenti Governi di centro sinistra, per gli altri servizi non esistevano prima dell'ultima Finanziaria, ne a livello comunitario, ne sul piano nazionale, obblighi di alcun genere.

Al contrario, come ricorda il magistrato Marco Manunta nel suo libro "Fuori i mercanti dall'acqua", i trattati istitutivi dell'OMC e il GATS, ratificati dall'Italia con la Legge 747 del 1994, prevedono la seguente importante riserva rispetto all'applicazione dei principi di libero scambio nei servizi: "In tutti gli Stati membri della CE i servizi considerati come pubblici a livello nazionale o locale possono essere soggetti a monopoli pubblici …".

Ad ulteriore conferma di ciò vi è la nota sentenza della Corte Europea di Giustizia del 18/11/99, causa C-107/98 (sentenza Teckal), nella quale si ribadisce espressamente la possibilità di escludere l'applicazione delle direttive comunitarie in materia di concorrenza negli appalti pubblici, nel caso in cui l'Ente locale "eserciti il pieno controllo sulla persona giuridica affidataria del servizio" (come avviene, appunto, con un'azienda speciale).

Tanto è vero che Paesi Europei come l'Olanda o la Svezia vedono, ad esempio, la gestione dell'acqua in mano interamente pubblica. A questo riguardo la recente "procedura di infrazione" intrapresa dalla Commissione Europea nei confronti dell'articolo 35, strumentalizzata dagli ambienti vicini a Confindustria al fine di indurre un'accelerazione delle procedure di trasformazione delle aziende e di messa sul mercato dei relativi servizi (vedi sole24ore del 18 luglio scorso), in realtà contesta la possibilità di affidare direttamente tali servizi ad una SpA, anche se a maggioranza pubblica, in quanto secondo la stessa Commissione il "controllo analogo a quello esercitato sui propri servizi", indicato dalla succitata Sentenza Teckal quale condizione per escludere il regime di concorrenza, non si configurerebbe in maniera adeguata nel "semplice esercizio degli strumenti di cui dispone il socio di maggioranza di una spa secondo le regole proprie del diritto societario".

Ciò, paradossalmente, non fa altro che confermare che in base al quadro normativo comunitario vigente, non vi sarebbe alcun problema nel caso in cui il servizio venisse affidato dall'Ente pubblico (dall'ATO, nel caso dell'acqua) ad una azienda speciale pubblica anziché ad un SpA.

Il problema è quindi determinato esclusivamente dall'obbligo alla trasformazione in società di capitali imposto, appunto, dall'art 35!! Per quanto riguarda la legge Galli (L.36/94), non è rilevabile in alcuna sua parte l'obbligo alla privatizzazione. In essa, all'art.9, si parla infatti di "gestione secondo criteri di efficienza efficacia ed economicità… mediante le forme, anche obbligatorie, previste dalla legge 142/90, come integrata dalla L.498/92" .

Queste ultime norme, poi confluite nell'art.113 del TUEL, sino all'avvento del citato art.35 della finanziaria 2002, contemplavano tra le forme di gestione possibili, oltre alle società per azioni anche le aziende speciali, comunali e consortili. E' possibile affermare, al contrario, che proprio i principi di pubblicità, solidarietà e di risparmio della risorsa, espressamente contenuti nell'articolo 1 della legge36/94 siano inconciliabili con la natura stessa di una società di capitali.

Venendo quindi all'art.35, che resta quindi l'unica norma vigente che impone la privatizzazione e la liberalizzazione dell'acqua e della generalità dei servizi pubblici locali "di rilevanza industriale" (il cui ambito non è ancora definito in mancanza del regolamento di attuazione dello stesso articolo, non ancora uscito nonostante la specifica scadenza di emanazione entro il 30 giugno scorso), va innanzitutto rilevata la sua assoluta incostituzionalità alla luce del nuovo titolo V° della Costituzione, che nel novero delle competenze legislative statali non comprende assolutamente quella inerente i servizi pubblici locali. Ne può essere intesa, la norma in questione, finalizzata alla "tutela della concorrenza" (materia compresa tra le competenze dello Stato) in quanto non essendoci, come sostenuto in precedenza, nessuna disposizione a monte che impone il regime di concorrenza in questa materia, lo stesso articolo in realtà promuove ed impone impropriamente la concorrenza (liberalizzazione) e la privatizzazione del settore.

Non a caso ben cinque Regioni (Emilia, Toscana, Campania, Umbria, Basilicata) hanno impugnato, come riportato dalla Gazzetta Ufficiale, di fronte alla Corte Costituzionale lo stesso articolo 35, e si è ora in attesa dell'esito di tale iniziativa. In questo quadro, laddove non si è ancora consumata la trasformazione in società di capitali delle aziende pubbliche, è quindi ancora ampiamente possibile e pienamente giustificata una resistenza in ambito istituzionale ed una forte iniziativa di lotta a livello sociale per bloccare questo sciagurato processo.

A livello istituzionale, nei consigli comunali per le aziende di tipo comunale e nelle assemblee dei sindaci per i consorzi (dato che lo stesso articolo 35 ha subdolamente semplificato la trasformazione in SPA dei consorzi con la previsione di un unico passaggio in assemblea consortile, senza bisogno dell'approvazione dei singoli consigli comunali!!!), oltre alle ovvie ragioni di merito, è possibile contrastare la trasformazione sottolineando l'opportunità di non applicare una norma, come quella in questione, sottoposta alla verifica della Suprema Corte (…altrimenti perché l'impugnazione verrebbe pubblicata in Gazzetta?). Norma di cui peraltro non esiste ancora, come già detto, il regolamento attuativo. Ulteriormente potrebbe essere esperito a livello locale il tentativo di promuovere nuove normative regionali (data la competenza esclusiva in materia attribuita alle Regioni) che, nell'applicazione della Galli, consentano la salvaguardia delle gestioni pubbliche; oppure va verificata la possibilità di applicare, laddove esistono già, normative Regionali che consentono l'affidamento diretto del servizio ad un'azienda pubblica….

Insomma, nel mentre a livello nazionale, approfittando del graduale risveglio di sensibilità su questi temi (favorito dalla diffusa iniziativa del movimento e dai contenuti rimbalzati dalla recente Conferenza di Johannesburg) si deve mettere in atto una forte iniziativa politica volta alla modifica della normativa in questione, sul piano locale è necessario agire come si sta facendo nel Piceno, dove, grazie alla nostra iniziativa, si è riusciti sino a questo punto ad arrestare, a maggioranza dei sindaci, il processo di trasformazione di un consorzio pubblico di ben 50 Comuni.

E' ovvio che laddove la trasformazione è già avvenuta bisogna comunque contrastare almeno la perdita del controllo pubblico delle nuove società e continuare ad affermare con tutti i mezzi, nel quadro di un'iniziativa politica generale, la necessità di una "ripubblicizzazione" della gestione delle risorse e dei servizi fondamentali.

NB: l'intervento è pubblicato anche sul sito www.rifondazione.it