Presidente
del consiglio o uomo della provvidenza?
Scritto
da su Sabato, 19 Novembre 2005
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Il nuovo
testo costituzionale approvato dalle destre modifica totalmente la
forma di governo
Il referendum per seppellire una riforma sciagurata
articolo di Giuseppe Ugo Rescigno*
La riforma costituzionale voluta dalle destre è stata approvata
nelle Camere definitivamente; l'articolo 138 della Costituzione
vigente prevede però che, se l'approvazione è avvenuta con la
maggioranza assoluta (come è in questo caso), il progetto va
pubblicato nella Gazzetta ufficiale, e da quel momento decorrono tre
mesi entro i quali o cinquecentomila elettori, o cinque consigli
regionali o un quinto di ciascuna Camera possono chiedere un
referendum; se il referendum viene chiesto, la decisione definitiva
spetta al corpo elettorale (qualunque sia il numero dei votanti).
E' certo che un quinto di una o di ambedue le Camere chiederanno il
referendum; da quanto si legge è intenzione sia di esponenti delle
sinistre, che sostengono il voto contrario alla riforma, sia di
esponenti delle destre, che ovviamente sosterranno un voto
favorevole alla riforma, di raccogliere le firme per chiedere il
referendum (e forse vi sarà anche la richiesta di alcuni consigli
regionali, nel numero minimo previsto di cinque).
Mi auguro che venga promossa la raccolta di firme popolari, che
quella promossa dalle sinistre sia numerosissima, ben oltre il
minimo richiesto, e molto più ampia di quella delle destre se ci
sarà: questa campagna per la raccolta delle firme anzitutto
permetterà di raggiungere milioni di persone per tre mesi e di far
uscire in tal modo la riforma dai tecnicismi e dalle oscurità, o
addirittura non conoscenza, in cui essa è avvolta, e in secondo
luogo favorirà successivamente una partecipazione massiccia e
informata al referendum, quando ci sarà (con la speranza e
l'augurio che un no esteso e clamoroso seppellisca per sempre questa
sciagurata riforma ed ogni altra riforma di tenore simile).
La prima e principale cosa da chiarire è che questa riforma non è
una modificazione secondaria e scarsamente significativa di questa o
quella specifica disposizione costituzionale (come ad esempio quella
che permette al Presidente della Repubblica di sciogliere
anticipatamente le Camere anche negli ultimi sei mesi del suo
mandato se questi coincidono con gli ultimi sei mesi della
legislatura), ma una totale modificazione della forma di governo sia
a livello nazionale, sia nei rapporti tra livello nazionale e
livelli regionali e locali.
Si tratta cioè di una nuova costituzione che, se approvata,
modificherebbe totalmente il modo di essere e funzionare di tutte le
istituzioni pubbliche e quindi anche di tutta la società.
Per conseguenza la difficoltà e nello stesso tempo la necessità è
quella di non perdersi nei moltissimi particolari (come pure negli
approfondimenti successivi del dibattito bisognerà ugualmente
fare), ma di cercare anzitutto di cogliere il senso complessivo e
fondamentale della riforma.
A prima vista un senso complessivo non si vede; si tratta in testo
particolarmente sgangherato, fatto di diverse parti incoerenti tra
loro e ciascuna al proprio interno, che sono il risultato perverso
dell'attuale meccanismo politico per cui, data la necessità di
stare insieme per forze politiche diverse e confliggenti (la
coalizione coatta, è stato detto felicemente da Gianni Ferrara),
ciascuna forza ha ricattato le altre ed ha ottenuto di inserire il
punto o i punti che essa riteneva essenziali, senza alcuna
preoccupazione di mantenere una coerenza tra le diverse parti.
Però una lettura più attenta fa emergere egualmente un senso
complessivo oggettivo (che sta nel testo quali che siano le
intenzioni di questo o quello): da un lato la frantumazione del
corpo collettivo (del popolo italiano), dall'altro la necessità
dell'uomo della provvidenza, il primo ministro eletto direttamente
dal corpo elettorale, come unico e ultimo rimedio contro la
frantumazione; da un lato meccanismi istituzionali che favoriscono e
garantiscono una guerra selvaggia delle diverse autonomie le une
contro le altre, ciascuna tesa a preservare quanto ha o riesce a
strappare a danno delle altre, dall'altro il primo ministro eletto
plebiscitariamente, unico arbitro nazionale, che costituisce
l'ultima risorsa per impedire la totale disintegrazione del tessuto
sociale nazionale.
Vediamo nell'ordine come si perseguono e si ottengono i due
risultati complementari, e cioè da un lato la disgregazione
dell'unità e la garanzia della concorrenza di tutti contro tutti, e
dall'altro l'emergere dell'uomo della provvidenza.
Va premesso che solo la Camera resta un organo elettivo nazionale;
il Senato, chiamato non per caso federale, dovrebbe rappresentare le
istanze regionali. Si tratta però di un ibrido incoerente: il
Senato viene eletto con suffragio universale, e cioè segue la
stessa logica di ogni assemblea rappresentativa, nella quale
prevalgono i partiti, e quindi logiche di partito (come avviene e
continuerà ad avvenire nella Camera dei deputati), non logiche
regionalistiche; però i senatori vengono eletti nello stesso giorno
della elezione dei Consigli regionali, e siccome anzitutto è
prevalente e comunque garantito che vi sia uno sfalsamento tra
giorno delle elezioni della Camera e giorno della elezione dei
Consigli, e per di più non è affatto detto che tutti i consigli
regionali vengano eletti nello stesso giorno, è probabile che le
maggioranze politiche della Camera e del Senato siano diverse.
Questo premesso, il mostriciattolo giuridico principale che sta a
guardia dello scontro permanente si trova nel nuovo articolo 70: la
legislazione nazionale, e cioè il primo e fondamentale strumento di
unificazione e di eguaglianza di un popolo, viene divisa in tre
parti, l'una contro l'altra armata: a) nelle materie di competenza
statale (tranne quelle che rientrano nel terzo gruppo) decide la
Camera dei deputati; il Senato, se vuole, può proporre modifiche
entro trenta giorni; però in questo caso la Camera ridelibera come
vuole e decide in via definitiva; b) nelle materie nelle quali lo
Stato stabilisce i principi fondamentali ai quali le Regioni si
debbono attenere nel legiferare (competenza regionale che viene
chiamata concorrente), decide il Senato; la Camera, se vuole, entro
trenta giorni può proporre modifiche; in tal caso il Senato decide
definitivamente come ritiene più opportuno (è il meccanismo del
punto a) rovesciato; c'è un modo per superare questo potere del
Senato, ma, come vedremo, questo modo dipende dalla volontà
dell'uomo della provvidenza, e cioè del primo ministro); c) nei
casi elencati nel terzo comma si prevede l'accordo delle due camere,
e quindi le due camere sono pari ordinate; se non c'è accordo viene
prevista una farraginosa procedura per arrivare ad un accordo, se
questa procedura fallisce, non si decide.
Siccome, come l'esperienza di tutti gli Stati dimostra, è pura
illusione sperare di separare con linee nette e chiare i confini tra
le diverse materie, vi sarò un continuo contenzioso tra le due
camere, i due presidenti, tutti gli interessati. Inoltre, il nuovo
testo costituzionale mette il principio di sussidiarietà in tutti i
buchi, quasi fosse un taumaturgico rimedio sempre valido, senza
rendersi conto (o comunque senza preoccuparsi) che il principio di
sussidiarietà, se preso sul serio, fa a pugni con le riserve di
competenza a favore di un soggetto: il principio esige flessibilità,
e cioè che decida quel livello che garantisce prestazioni migliori,
la riserva di competenza comporta rigidità, perché solo il livello
competente può decidere, e nessun altro.
Il nuovo quarto comma dell'articolo 117 dice che: «Spetta alle
Regioni la potestà legislativa esclusiva [nota bene: esclusiva]
nelle seguenti materie: a) assistenza e organizzazione sanitaria; b)
organizzazione scolastica, gestione degli istituti scolastici e di
formazione, salva l'autonomia delle istituzioni scolastiche; c)
definizione della parte dei programmi scolastici e formativi di
interesse specifico della Regione; d) polizia amministrativa
regionale e locale; e) ogni altra materia non espressamente
riservata alla legislazione dello Stato».
Se questa disposizione verrà seguita rigorosamente, avremo la
frantumazione della società italiana per lo meno nei due settori
cruciali della assistenza sanitaria e della scuola; se invece la
Camera dei deputati cercherà di far valere le molte altre norme
contenute in Costituzione che danno funzioni legislative nazionali
anche in materia sanitaria e scolastica, si riproporrà il tema
della continua conflittualità tra i due livelli, statale e
regionale.
Il nuovo articolo 127bis attribuisce anche ai Comuni, alle Province
e alle Città metropolitane il potere di ricorrere direttamente alla
Corte costituzionale contro le leggi che essi ritengono lesive delle
competenze costituzionalmente attribuite: tenendo presenti anche la
genericità e vaghezza con le quali il testo attribuisce funzioni
proprie a questi enti, e le contraddizioni che si aprono tra queste
vaghe attribuzioni ed altre attribuzioni, altrettanto vaghe, fatte a
Stato e Regioni, questa norma costituisce l'apertura di un
contenzioso infinito tra ottomila e passa Comuni, più di cento
Province, le Città metropolitane (se e quando ci sanno) da un lato,
e Stato e Regioni dall'altro.
Questo scontro permanente quasi sicuramente si trasferirà anche
nella Corte costituzionale, sia perché la enorme massa di ricorsi
determinerà tra i quindici giudici continue divisioni, sia perché
sette giudici su quindici riproporranno le tendenze di coloro che
fiduciariamente li hanno scelti, e cioè tre a difesa della Camera e
quattro a difesa del Senato, per di più in questo caso integrato
dai Presidenti delle Regioni (nuovo art. 135).
A fronte di questa frantumazione sta lo strapotere del Primo
ministro.
Viene designato direttamente dal corpo elettorale insieme alla
elezione della Camera dei deputati (cosicché il Presidente della
Repubblica, se un designato è collegato al partito o al blocco di
partiti che ha ottenuto la maggioranza dei seggi, deve nominarlo
Primo ministro). Nomina e revoca i ministri, cosicché i ministri e
il Consiglio dei ministri diventano dei fedeli esecutori della sua
volontà, pena la revoca dei dissenzienti. Scioglie a sua
discrezione la Camera, dal momento che il Presidente della
Repubblica è obbligato a scioglierla se il Primo ministro glielo
chiede (art. 88, lett. a); determina comunque lo scioglimento della
Camera nel caso che muoia o sia impedito permanentemente, oppure si
dimetta, oppure abbia posto la questione di fiducia e la Camera
abbia votato contro, oppure la Camera abbia votato la mozione di
sfiducia (articoli 88 e 94).
In sintesi: la Camera è una assemblea nelle mani del Primo
ministro, un giocattolo costoso che deve fingere l'esistenza di una
volontà del popolo, e che non avrà mai la forza di opporsi al
Primo ministro. E' previsto un caso di sostituzione del Primo
ministro: la norma sarebbe grottesca se non fosse tragica: solo i
deputati della vecchia maggioranza uscita dalle elezioni sono
abilitati a proporre al capo dello Stato la nomina di un nuovo primo
ministro, purché raggiungano la maggioranza assoluta (e cioè la
metà più uno dei componenti). E gli altri deputati? non contano
nulla (notare che l'art. 67 continua a dire che ogni deputato
rappresenta la Nazione e la Repubblica senza vincolo di mandato).
Questo signore, che è senza pari nel nuovo ordinamento, tra i molti
poteri senza contrappesi, ha anche quello di garantire gli interessi
nazionali: infatti è l'unico che, nel caso ritenga contraria al
proprio programma una legge approvata dal Senato, può spostare la
competenza nella Camera e, con la maggioranza assoluta, far
approvare la legge come da lui voluta. Egualmente è l'unico che,
qualora ritenga una legge regionale contraria all'interesse
nazionale, può sottoporre la questione al Parlamento in seduta
comune, che a maggioranza assoluta ha il potere di annullare la
legge.
Di fronte allo sfascio istituzionale che discende dalla
conflittualità permanente tra i diversi livelli di governo, in
sostituzione della impotenza organizzata della Camera, sta la figura
dell'uomo della provvidenza, il duce eletto dal popolo, che dovrà
provvedere a preservare l'unità.
Chi ha ancora a cuore la democrazia, la partecipazione, il
pluralismo, l'eguaglianza dei cittadini, l'unità nazionale, la
solidarietà, non può che respingere risolutamente questa mostruosa
proposta, che non ha equivalenti in nessun Paese civile.
* docente di diritto costituzionale nella facoltà di Giurisprudenza
della Università La Sapienza di Roma
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