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Operazioni militari in Val di Susa per difendere la Tav. L’Europa protesta
Val di Susa - nostro inviato.

Ieri per quindici ore a Venaus, comune della Val di Susa, provincia di Torino (Italia) la democrazia è stata sospesa. 

Centinaia di poliziotti, carabinieri e finanzieri hanno preso possesso di una valle intera (la Val Cenischia) con i suoi duemila abitanti da Novalesa a Mompantero bassa. Posti di blocco e accessi impediti, anche i residenti hanno fatto fatica a recarsi al lavoro, come a scuola.

Un blitz iniziato alle tre di notte e durato fino alle 18 quando i blocchi delle forze dell’ordine sono stati sciolti. Scopo dell’azione beffare il popolo no-tav della valle che aveva annunciato una notte di convegni e falò per impedire gli espropri dei terreni per il via ai cantieri dell’alta velocità della Torino-Lione (autorizzati da stamani).


In serata però i ruoli si sono ribaltati. La libertà di circolazione è stata ripristinata e centinaia di manifestanti della valle che dalla mattina facevano la spola tra i vari blocchi hanno potuto invadere i campi, occupare l’area e assediare a loro volta i cantieri con un centinaio di poliziotti posti a protezione.

Si sono accesi i fuochi e ci si prepara per la notte, con un freddo boia e un accenno di nevischio, in attesa dell’alba e dell’arrivo di migliaia di persone della valle e da fuori che hanno già detto “no” lo scorso 16 novembre all’opera più costosa e almeno inutile e inefficace quanto il Ponte sullo Stretto. Degli 80mila di due settimane fa qua sperano ritornino in molti, perché hanno bisogno di una protesta di massa e nonviolenta. Dopo le bugie, i sotterfugi, la mancanza di confronto e di ascolto, gli è rimasto solo questo.

Le forze dell’ordine al momento hanno preso possesso di un cantiere della Sitaf (società del traforo del Frejus) e dell’area utilizzata per costruire la centrale idroelettrica dell’Aem di Torino dentro la montagna. 

Hanno portato tre scavatrici, un paio di container e qualche camper con a bordo i tecnici della Cmc (Cooperativa cementieri di Ravenna) che è incaricata di scavare la galleria di 10 chilometri che dovrebbe servire per studiare l’opera, secondo i committenti, ed è la prima pietra del tunnel di 53 chilometri per la gente della valle. 

Nessuno se l’aspettava e durante la notte il tam-tam ha svegliato un po’ tutti i no-tav, ma era troppo tardi.

La gente di Venaus, che fino ad ora non è stata l’epicentro della protesta, era indignata. Si aggiravano tra i campi a vedere i poliziotti asserragliati sotto i viadotti dell’autostrada poi si voltavano a contare le campagnole dei carabinieri davanti al presidio popolare: una, due… diciotto. Ci racconta la signora Maria, 70 anni vissuti interamente qua: «Ci trattano come dei delinquenti, è un disastro, non so più cosa pensare».

Un abitante instaura un dialogo con i poliziotti al cantiere portando delle pietre: «Ecco l’amianto, vedete, questa fibra di colore bluastro è amianto, voi presidiate questo». Un poliziotto quando tutti si allontanano gli dice: «Lei è una persona ragionevole, io non so giudicare, noi siamo qua a fare il nostro lavoro, ma se ci saranno degli scontri, le consiglio di isolarsi». Uomo avvisato.

Però i venausini non se ne vogliono andare, lo striscione appiccicato alla montagna dice: «La valle vive. Resistenza!». Nonostante gli spintoni e le botte alla mattina, i blocchi e la tentazione di molti amministratori di spostare i presidi, i convegni e le assemblee a Susa (pochi chilometri più in basso), loro chiedono che si resti qua. «Se prendono i terreni è finita». Eppure il decreto di esproprio non prevede anticipi, parla di oggi.

Alberto Perino, uno dei leader spontanei della protesta, si aggira tra i poliziotti e gli parla in dialetto stretto. Non lo capiscono, vengono dalla Toscana, dal Lazio e gli chiedono cortesemente di tradurre: «Domani veniamo in migliaia e vediamo». «Pensa che stamattina c’erano già i tecnici della Cmc con le mappe sui siti accompagnati dalla digos - ci racconta - si chiama violazione della proprietà privata, non aspettano nemmeno l’esproprio, hanno fretta!».

Poi è arrivata la commissione del Parlamento europeo, non volevano farla passare, ci sono stati spintoni e Vittorio Agnoletto ha avuto la peggio. Gli altri eurodeputati sono usciti sconvolti, pensavano di doversi confrontare con tecnici, amministratori, problemi ambientali e di trasporto, non con una questione di diritti umani.

Il presidente della comunità montana Antonio Ferrentino (Ds), infaticabile mediatore, ha un malore mentre cerca di calmare la popolazione. Nulla di grave, ma diventa il simbolo di questo scontro assurdo tra istituzioni. Dopo aver denunciato le regole calpestate in questa brutta storia di delibere Cipe che non esistono, valutazioni di impatto ambientali mai svolte, progetti tecnici approssimativi, finanziamenti europei che non ci sono, la beffa della militarizzazione a oltranza non se l’aspettava.

In mattinata arrivano anche Sergio Vallero presidente del consiglio provinciale di Torino (Prc) e il vicepresidente Francesco Vercillo dei Ds, fanno la spola tra i blocchi, sono scioccati: “Hanno passato il segno”, ci dicono.

Intanto la gente si accalca ai blocchi, come in una processione arrivano dal fondo valle con le bandiere e i foulard, vanno a vedere le facce sotto i caschi, a parlargli. La funzionaria della questura ha il suo bel da fare.

Non c’è odio da parte della gente, ma le forze dell’ordine sono percepite come truppe d’occupazione, c’è poco da fare. 

E (lo ripetiamo) qui c’è la gente comune, col cane, la borsa della spesa, la tuta da lavoro. Molti sono venuti dalle fabbriche meccaniche della valle che hanno fatto un’ora di sciopero spontaneo. 

Domani saranno otto, giornata completa, indetta dalla Fiom, dai Cobas e dalla Cub.

Dallo scioglimento dei blocchi della polizia hanno tutti ripreso colore e coraggio. Si prepara il convegno, si accatasta legna, tutti a Venaus! Gomito a gomito con i poliziotti che presidiano l’area dei lavori. 

Domani sarà invasione dei campi. 

A meno che “l’allentamento” delle forze dell’ordine (come lo chiamano in prefettura) sia solo un fatto di ore. 

Si vedrà se la notte porterà buoni auspici o domani ci si ricorderà di Venaus non per una grande mobilitazione, civile e popolare, per un consiglio comunale aperto a migliaia di persone nei campi della Val Cenischia, ma per un’altra sospensione della democrazia.

di Claudio Jampaglia (Liberzione mercoledì 30 novembre)

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