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Ecco l’America incivile e violenta

Liberazione 15/12/2005 -  Piero Sansonetti
Pongo una domanda un po’ provocatoria. 

Secondo voi, il peggior uomo politico italiano (ognuno scelga il suo: Berlusconi, Fini, Castelli, Calderoli, Gasparri, Cuffaro…) se fosse stato posto di fronte al dilemma, semplicissimo per ciascuno di noi, se graziare Tookie Williams o spedirlo sulla forca, cosa avrebbe fatto? 

Lo avrebbe fatto ammazzare, di lì a dodici ore, per convinzione, per sete di giustizia o di vendetta, per calcolo politico, per sadismo, per conformismo? 

Io credo di no: l’avrebbe graziato. 

Perché? Perché, mi chiedo, su temi così importanti - che riguardano il concetto che si ha della vita, del bene, del male, della vendetta, del perdono, della giustizia, della rivalsa - la peggior destra italiana è di gran lunga superiore alla destra liberale americana della quale il governatore Arnold Schwarzenegger è uno dei più brillanti esponenti?

Ho una sola risposta. Paradossale ma credo inoppugnabile. 

C’è una questione di civiltà. 

Gli Stati Uniti sono un paese giovane, con radici “corte” e un livello ancora molto irregolare di civilizzazione. 

Ci sono campi nei quali la civiltà americana è molto avanzata: la libertà di stampa e di espressione, i diritti civili di una parte della popolazione (i bianchi economicamente ben sistemati), il funzionamento dei servizi e della pubblica amministrazione, eccetera. 

In altri campi siamo appena fuori dal medioevo. 

Il senso comune, la cultura dominante negli Stati Uniti, ad esempio, coltiva un’idea sul diritto alla vita, sull’amministrazione della giustizia, sulla legittimità della violenza e persino sulla sacralità e intoccabilità dell’individuo, che sta molti secoli più indietro rispetto allo spirito pubblico europeo.

Ieri, in un bell’articolo pubblicato su questo giornale, il mio amico Piero Bernocchi, diceva più o meno così: sono antiamericano e rivendico il mio antiamericanismo, perché non ce l’ho con il governo degli Stati Uniti, o col loro presidente, o coi ministri, i poliziotti, i boia: ce l’ho con la nazione Stati Uniti, perché questa nazione è in grado di esprimere solo valori di sopraffazione e di morte, aspirazioni imperialiste, pulsioni autoritarie, violente, nazionaliste.

Conosco Piero Bernocchi da quando eravamo ragazzi, e da allora - diciamo la verità, con affetto - lo ho sempre considerato un estremista e un “gruppettaro”… Anche stavolta è così. 

Una condanna dell’America, in quanto America - quasi fosse l’impero del male - è infondata, sbagliata, priva di ragioni. 

Però Bernocchi, con la consueta franchezza e irruenza, pone alcuni problemi che sono veri, seri. 

Il primo sta in questa domanda: perché nell’analisi storica, o politica, o persino culturale e letteraria sugli Stati Uniti, omettiamo sempre di considerare il fatto che quel paese è diventato grande sulla base di uno sterminio, di un genocidio paragonabile solo a quello eseguito da Hitler sugli ebrei, e che questo genocidio ha portato alla cancellazione totale dalla storia di un popolo gagliardo, raffinato e fiero, che era il popolo padrone di quel continente (è l’unico caso nella vicenda umana, credo, nel quale un genocidio produce la scomparsa totale di una intera popolazione di milioni di individui)?

E ancora, che questo paese ha costruito le basi della sua superpotenza economica su un sistema di produzione originario basato sulla schiavitù, e che gli schiavi erano il frutto di azioni di rapina, di sequestro, poi di deportazione feroce dall’Africa? 

E perché omettiamo di dire che il sistema di giustizia americano in parte - ma solo in parte - è copiato da quello britannico, ma ancora oggi è fortemente condizionato da una idea di giustizia che nell’ottocento - anni dopo Beccaria - era fondato sul processo di piazza e sul linciaggio?

Cosa c’è di più obbrobrioso - si chiedeva Bernocchi - che costruire un’intera epopea di film (e anche di racconti letterari) sull’esaltazione di un genocidio, cioè del massacro dei “pellerossa”, come è avvenuto a Holliwood con la produzione di un fenomeno cinematografico e letterario che ha dilagato con straordinario successo in tutto il mondo, ha influenzato la fantasia della nostra giovinezza, ha diffuso valori (il coraggio, la forza, la violenza, la freddezza nel colpire), ha fatto da battistrada al grande cinema moderno? 

C’è qualcuno che sa rispondere in modo decente a questa domanda?

Badate che la glaciale spietatezza di Arnold Schwarzenegger, che in piena tranquillità ha mandato a morte il cinquantenne scrittore, poeta ed ex gangster Tookie William, non è un’eccezione.

E’ così, sta nelle cose: la stragrande maggioranza degli americani non ha un’idea diversa di giustizia. Decine di associazioni, anche di giovani, hanno organizzato manifestazioni l’altra sera per gridare la propria rabbia: urlavano “friggetelo, friggete Tookie…”. 

E del resto, non è agghiacciante il candore con il quale, pochi giorni fa, George Bush si è presentato alla tv per dire che la guerra andava bene e che aveva ammazzato 30 mila iracheni?

Torno alla domanda iniziale: ve lo immaginate il perfido Berlusconi, o persino Storace, andare in Parlamento e dire: tutto bene, ragazzi, ne ho fatti fuori trentamila, vado avanti così…

Oggi, giustamente, in Italia ci stiamo battendo per l’amnistia. 

Abbiamo troppa gente in prigione, troppi  poveracci. Circa 60.000, uno ogni mille italiani. 

E’ uno scandalo ed è inumano. 

Sapete quanti sono i carcerati negli Stati Uniti? Due milioni e mezzo, uno ogni cento americani. 

E tra i giovani neri di età compresa fra i 19 e i 45 anni, quelli che sono, o sono stati, o andranno in prigione, sono uno su tre. 

Non vi sembra che si possa parlare di Stato autoritario? 

E’ una forzatura polemica? 

No. 

Abbiamo sempre condannato Castro per le sue violazioni di diritti umani. 

Giustamente. 

Però a Cuba, nel 2004, non ci sono state esecuzioni. 

Negli Usa 58.

Le statistiche dicono che se si leva la Cina (che è una specie di infame catena di montaggio di fucilazioni), nella classifica degli Stati assassini, ai primi posti ci sono l’Iran (con 168 esecuzioni) poi la Corea del Nord con una settantina, e poi gli Usa, appunto con 58.

Perché non ammettere che questo paese - che pure ha al suo interno delle cose meravigliose, ha il suo popolo afro-americano con grandissime tradizioni, ha la musica, ha la letteratura, ha grandi punte di eccellenza nello studio della scienza, della filosofia, della politologia, ha una formidabile macchina economica, ha dato i natali, o l’asilo, a giganti del pensiero, dell’arte come, per dire, Luois Armstrong, Einstein, John Brown, Marc Twain, MalcolmX, e tantissimi altri - non è ancora un paese pienamente civile?

E’ importante ammetterlo, per una sola semplicissima ragione: perché la tendenza della cultura politica europea è quella che dice: uniformaci agli Usa. 

No, per carità. Sarebbe un imbarbarimento del mondo.

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