Perché è di questo, infatti, che
si deve discutere e a fondo. E' sulla necessità di ritrovare
tutti un nuovo slancio verso una maggiore trasparenza che devono
convergere le nostre volontà e i nostri sforzi.
E, allora, proviamo a formulare le risposte alle domande che ci
siamo rivolti.
Le cronache di queste ultime settimane ci dicono che è esistita
ed esiste una vicinanza tra politica e centrali economiche che,
in taluni casi, ha debordato oltre i confini: non oltre i
confini del lecito dal punto di vista giuridico ma oltre i
confini dell'opportunità politica.
Si è tornati, con il caso
Popolare di Lodi e il caso Unipol, a dare un'immagine della
politica troppo promiscua al mondo degli affari e degli
interessi, dando così argomenti a quanti hanno vantaggio a
legittimare quella sotterranea deriva qualunquista secondo la
quale la politica è una cosa sporca, i politici sono tutti
uguali, pensano solo ai loro interessi… e via dicendo.
In una società che già ha subito negli anni scorsi una forte
e, a mio avviso, pericolosa devianza verso il qualunquismo e
l'individualismo, che si è vista proporre come valori il
successo e il denaro, valori per il cui conseguimento sembra
essere diventato legittimo l'uso di qualsiasi mezzo e l'aggirare
se non il calpestare qualsiasi legge, qualsiasi norma
comportamentale; in una società già così moralmente fragile,
eventi come questi costituiscono, al di là della loro reale
portata dal punto di vista giudiziario, una ferita profonda, una
lacerazione della coscienza collettiva del Paese.
E questo vale per tutto il Paese, senza distinzioni di parte
politica. Perché esiste ancora una maggioranza, una massiccia
maggioranza, di Italiani per bene (per bene, non perbenisti), di
cittadini onesti (moralmente onesti e non moralisti) che si
stanno rivolgendo a noi proprio in ragione del fatto che alla
classe dirigente del centrosinistra riconoscono una maggiore
tensione morale, un più forte senso dello Stato e del bene
comune; che guardano a noi con fiducia nella speranza di non
essere più governati in regime di conflitto di interessi, di
non vedere più le Camere umiliate nell'approvare a colpi di
fiducia leggi ad personam, ma di vedere di nuovo all'opera una
classe dirigente animata da spirito di servizio e - termine
forse desueto, ma che vale la pena di rispolverare e rivalutare
- da amor di Patria.
Una classe dirigente che – ne sono e ne siamo tutti
consapevoli – dovrà mettere mano a una situazione difficile,
dovrà governare con rigore e intervenire anche con durezza per
raddrizzare storture, per correggere devianze, per riparare
torti. Una classe dirigente che dovrà far leva su una
credibilità forte per potere in taluni casi chiamare a raccolta
le coscienze, dicendo agli Italiani, parafrasando la celebre
frase rivolta da Kennedy al popolo americano: “non chiedetevi
cosa l'Italia può fare per voi, ma cosa voi potete fare per
l'Italia”.
Come potremo rivolgerci a loro in questo modo se non godendo
della loro stima e del loro rispetto? Come potremo aiutare nella
sua difficile opera la rinnovata Banca d'Italia, chiamata a
rimettere ordine in un sistema bancario scosso, avvelenato e
indebolito?
Come potremo chiedere agli imprenditori di impegnarsi per lo
sviluppo rinunciando agli affari facili per ritrovare la voglia
di impresa nelle sfide più difficili? Come potremo
salvaguardare quel patrimonio morale, di democrazia economica e
di coesione sociale che ci è stato trasmesso dalla
cooperazione? E come potremo averne cura e farlo ulteriormente
crescere se non con nuove regole di ‘governance' messe a punto
con il coinvolgimento dell'intero movimento cooperativo?
Come potremo alimentare la fiducia e la speranza nei milioni di
giovani che guardano con preoccupazione crescente al loro
futuro? Con quale immagine ci andremo a presentare ai grandi
appuntamenti internazionali per fare valere le nostre opinioni e
le nostre ragioni?
E' giunto il momento, per la politica, di fare un passo indietro
e qualche passo in avanti.
Un passo indietro, per allontanarsi e allontanare da sé i
sospetti di vicinanza e di collusione con i grandi centri del
potere economico e finanziario. La politica deve essere
“altra” da essi deve governare, orientare, vigilare, se è
il caso, punire. Non deve “partecipare” alle vicende
dell'economia, deve essere interlocutore forte e indipendente di
coloro che sono chiamati ad assumere le decisioni operative.
Non vi è dubbio alcuno che il politico, nell'alto esercizio
delle sue funzioni di rappresentante eletto dei cittadini, abbia
il diritto e il dovere di essere informato sulle grandi
decisioni, suscettibili di generare cambiamenti nel quadro
economico e, quindi, nella società.
Ma va stabilito un confine – ed ecco i passi in avanti da
compiere - raggiunto il quale entrambe le parti devono sapersi
fermare: il confine oltre il quale si può intravedere
l'interesse delle persone o di gruppi di persone e non più
l'interesse della collettività.
Dobbiamo quindi, dove è necessario, proporci nuove regole e
nuovi confini, per riportare la politica nel suo alveo, se da
esso è uscita e, soprattutto, per garantire ai cittadini che
nel suo alveo essa rimane e rimarrà. Sempre. Tuttavia, come ho
affermato nelle prime battute di questo scritto, non è certo o
soltanto con nuove leggi che si regolano i comportamenti di
persone, apparati o sistemi.
Sarebbe ben più efficace, in un momento come questo, uscire dal
bunker del fumus persecutionis, fumus che innegabilmente esiste,
per dibattere serenamente e in assoluta trasparenza dei fatti e
per separare i fatti dalle opinioni, le opinioni dai
pettegolezzi, i pettegolezzi dalle calunnie. Solo reagendo con
serenità e chiarezza potremo riguadagnare la fiducia che la
catena di sospetti creatasi in queste settimane sta facendo
perdere alla politica tutta.
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