Affari e politica, ci vuole una svolta

In questo periodo mi si descrive come rinchiuso in un silenzio che, a seconda delle interpretazioni, è imbarazzato, preoccupato, o “assordante”, come a sottintendere una presa di distanza o di condanna da persone e situazioni. 

I motivi del mio silenzio sono in realtà da ricercare altrove o, perlomeno, in un altro modo di pensare e di affrontare questioni confuse e delicate quali quelle che le cronache dei giornali ci propongono quotidianamente con dovizia di particolari. In buona sostanza, cosa ci raccontano queste cronache? che spaccato ci restituiscono della nostra società? Quali malattie del nostro sistema economico e politico denunciano? Cosa dobbiamo fare per sanare queste ferite, se siamo convinti, come io sono convinto, che spetti alla politica l'onere di elaborare proposte e progetti per migliorare la società in cui viviamo, non solo in termini di qualità della vita ma anche e prima di tutto in termini di qualità morale? E, infine, come formulare tali proposte, visto che non è solo con la legge che si possono obbligare persone, apparati e sistemi ad un comportamento etico?

Perché è di questo, infatti, che si deve discutere e a fondo. E' sulla necessità di ritrovare tutti un nuovo slancio verso una maggiore trasparenza che devono convergere le nostre volontà e i nostri sforzi.
E, allora, proviamo a formulare le risposte alle domande che ci siamo rivolti.

Le cronache di queste ultime settimane ci dicono che è esistita ed esiste una vicinanza tra politica e centrali economiche che, in taluni casi, ha debordato oltre i confini: non oltre i confini del lecito dal punto di vista giuridico ma oltre i confini dell'opportunità politica. 
 
Si è tornati, con il caso Popolare di Lodi e il caso Unipol, a dare un'immagine della politica troppo promiscua al mondo degli affari e degli interessi, dando così argomenti a quanti hanno vantaggio a legittimare quella sotterranea deriva qualunquista secondo la quale la politica è una cosa sporca, i politici sono tutti uguali, pensano solo ai loro interessi… e via dicendo.

In una società che già ha subito negli anni scorsi una forte e, a mio avviso, pericolosa devianza verso il qualunquismo e l'individualismo, che si è vista proporre come valori il successo e il denaro, valori per il cui conseguimento sembra essere diventato legittimo l'uso di qualsiasi mezzo e l'aggirare se non il calpestare qualsiasi legge, qualsiasi norma comportamentale; in una società già così moralmente fragile, eventi come questi costituiscono, al di là della loro reale portata dal punto di vista giudiziario, una ferita profonda, una lacerazione della coscienza collettiva del Paese.

E questo vale per tutto il Paese, senza distinzioni di parte politica. Perché esiste ancora una maggioranza, una massiccia maggioranza, di Italiani per bene (per bene, non perbenisti), di cittadini onesti (moralmente onesti e non moralisti) che si stanno rivolgendo a noi proprio in ragione del fatto che alla classe dirigente del centrosinistra riconoscono una maggiore tensione morale, un più forte senso dello Stato e del bene comune; che guardano a noi con fiducia nella speranza di non essere più governati in regime di conflitto di interessi, di non vedere più le Camere umiliate nell'approvare a colpi di fiducia leggi ad personam, ma di vedere di nuovo all'opera una classe dirigente animata da spirito di servizio e - termine forse desueto, ma che vale la pena di rispolverare e rivalutare - da amor di Patria.

Una classe dirigente che – ne sono e ne siamo tutti consapevoli – dovrà mettere mano a una situazione difficile, dovrà governare con rigore e intervenire anche con durezza per raddrizzare storture, per correggere devianze, per riparare torti. Una classe dirigente che dovrà far leva su una credibilità forte per potere in taluni casi chiamare a raccolta le coscienze, dicendo agli Italiani, parafrasando la celebre frase rivolta da Kennedy al popolo americano: “non chiedetevi cosa l'Italia può fare per voi, ma cosa voi potete fare per l'Italia”.

Come potremo rivolgerci a loro in questo modo se non godendo della loro stima e del loro rispetto? Come potremo aiutare nella sua difficile opera la rinnovata Banca d'Italia, chiamata a rimettere ordine in un sistema bancario scosso, avvelenato e indebolito?

Come potremo chiedere agli imprenditori di impegnarsi per lo sviluppo rinunciando agli affari facili per ritrovare la voglia di impresa nelle sfide più difficili? Come potremo salvaguardare quel patrimonio morale, di democrazia economica e di coesione sociale che ci è stato trasmesso dalla cooperazione? E come potremo averne cura e farlo ulteriormente crescere se non con nuove regole di ‘governance' messe a punto con il coinvolgimento dell'intero movimento cooperativo?

Come potremo alimentare la fiducia e la speranza nei milioni di giovani che guardano con preoccupazione crescente al loro futuro? Con quale immagine ci andremo a presentare ai grandi appuntamenti internazionali per fare valere le nostre opinioni e le nostre ragioni?

E' giunto il momento, per la politica, di fare un passo indietro e qualche passo in avanti.

Un passo indietro, per allontanarsi e allontanare da sé i sospetti di vicinanza e di collusione con i grandi centri del potere economico e finanziario. La politica deve essere “altra” da essi deve governare, orientare, vigilare, se è il caso, punire. Non deve “partecipare” alle vicende dell'economia, deve essere interlocutore forte e indipendente di coloro che sono chiamati ad assumere le decisioni operative.

Non vi è dubbio alcuno che il politico, nell'alto esercizio delle sue funzioni di rappresentante eletto dei cittadini, abbia il diritto e il dovere di essere informato sulle grandi decisioni, suscettibili di generare cambiamenti nel quadro economico e, quindi, nella società.

Ma va stabilito un confine – ed ecco i passi in avanti da compiere - raggiunto il quale entrambe le parti devono sapersi fermare: il confine oltre il quale si può intravedere l'interesse delle persone o di gruppi di persone e non più l'interesse della collettività.

Dobbiamo quindi, dove è necessario, proporci nuove regole e nuovi confini, per riportare la politica nel suo alveo, se da esso è uscita e, soprattutto, per garantire ai cittadini che nel suo alveo essa rimane e rimarrà. Sempre. Tuttavia, come ho affermato nelle prime battute di questo scritto, non è certo o soltanto con nuove leggi che si regolano i comportamenti di persone, apparati o sistemi.

Sarebbe ben più efficace, in un momento come questo, uscire dal bunker del fumus persecutionis, fumus che innegabilmente esiste, per dibattere serenamente e in assoluta trasparenza dei fatti e per separare i fatti dalle opinioni, le opinioni dai pettegolezzi, i pettegolezzi dalle calunnie. Solo reagendo con serenità e chiarezza potremo riguadagnare la fiducia che la catena di sospetti creatasi in queste settimane sta facendo perdere alla politica tutta.
Romano Prodi da www.romanoprodi.it