Il futuro partito democratico vota con An e Lega e boccia l’amnistia
La notizia: non ci sarà l’amnistia. Né nessun altro atto di clemenza. Semplicemente i sessantatremila detenuti saranno costretti a restare nelle carceri costruite per ospitarne la metà e i giudici saranno costretti a celebrare cinque milioni di processi (e ripeterli in tre gradi di giudizio) per reati minori. Questa è la notizia, la prima notizia. Perché ce n’è un’altra. Che magari non interesserà molto quelle sessantamila persone detenute ma è destinata a pesare. E molto. Questa la "seconda notizia": l’amnistia in Italia non ci sarà perché così hanno voluto i diesse e la Margherita. Fassino e Rutelli. Sì, esattamente i due protagonisti del nascente partito democratico, quello che dall’altra parte dell’Oceano, negli States, si caratterizza per la difesa dei diritti civili, per usare le parole di un socialista, Boselli. Fassino e Rutelli non hanno neanche votato un loro documento ma hanno detto sì al testo della Lega e di An. Presentato in aula con parole come quelle del deputato del carroccio, Luigi Vascon: "Le nostre terre, le nostre ville sono saccheggiate dagli extracomunitari. Che con l’amnistia tornerebbero liberi".
Con loro, con questo "pezzo" della destra, il partito (nascente) democratico ha scelto di far confluire i propri voti. La seconda notizia diventa ancora più grave se messa in relazione al terzo fatto della giornata. "Fatto" inatteso, quasi clamoroso. E che cioè ieri alla Camera l’amnistia è stata sfiorata: ci sarebbero state, insomma, le condizioni per approvarla. Condizioni che si sono rivelate alla prima votazione della giornata. Quando la Lega, con le stesse motivazioni ben esposte dal parlamentare Vascon, ha presentato un’eccezione di anticostituzionalità del progetto di legge, varato l’altro giorno dalla commissione giustizia. Quello che al primo punto prevedeva appunto l’amnistìa. L’eccezione è stata respinta con 357 voti, contro 87. La Lega s’è trovata da sola, assieme ad An. Gli altri, tutti gli altri hanno votato contro. Garantendo così una maggioranza che supera quella soglia dei due terzi, necessaria per varare un provvedimento in favore dei detenuti.
Quella maggioranza che aveva respinto il primo assalto leghista, s’è poi sfaldata al secondo tentativo. Uno sfaldamento annunciato, poche ore prima del voto, dallo stesso Fassino, che in un’intervista a Radio 24 se n’era uscito così: "L’amnistia può essere rischiosa per la sicurezza dei cittadini. Meglio l’indulto". Una scelta che a detta di molti si sarebbe tradotta in un’astensione sul primo paragrafo del progetto di legge. Invece, al momento delle scelte diesse e Margherita hanno rinunciato anche a presentare un proprio testo, decidendo di sostenere l’emendamento abrogativo dell’estrema destra. Regalando una vittoria insperata ai settori più oltranzisti della Camera: duecentosei a centonovantuno.
E in questo caso, nel caso di un emendamento abrogativo come ha spiegato il Presidente Casini, bastava la maggioranza semplice. A conti fatti, solo diciotto deputati diessini e dieci della Margherita hanno avuto il coraggio di votare in maniera diversa dalle direttive dei propri partiti. Vale la pena allora ricordare i loro nomi. Per la Quercia: Giuseppe Caldarola, Fulvia Bandoli, Roberto Barbieri, Giovanni Bellini, Domenico Bova, Aldo Cennamo, Elena Cordoni, Marco Fumagalli, Alfiero Grandi, Andrea Lulli, Barbara Pollastrini, Umberto Ranieri, Sergio Sabattini, Alba Sasso, Antonio Soda, Lalla Trupia, Michele Ventura, Katia Zanotti. Per la Margherita hanno votato contro l'emendamento Lega-An: Franca Bimbi, Gianclaudio Bressa, Enzo Carra, Lino Duilio, Roberto Giachetti, Franco Marini, Giuseppe Meduri, Lorenzo Ria, Ruggero Ruggeri, Antonello Soda.
Gli altri, tutti gli altri si sono accodati. Affossando l’amnistìa ma non riuscendo a portare a casa neanche l’indulto. Perché, subito dopo l’approvazione dell’emendamento che cancellava il primo articolo, s’è passati all’esame della seconda norma. Dove c’era, appunto, l’indulto. Ma a questo punto, tutti - a cominciare dai centristi della Casa della Libertà a tanti altri - hanno spiegato che questo provvedimento (che interviene sulle sentenze già emesse ma che non riguarda la mole imponente di processi in corso, né tantomeno le decine di migliaia di detenuti in attesa di giudizio) da solo non avrebbe avuto alcun senso. Una posizione strumentale quello di alcune forze della maggioranza ma anche con una base di ragionevolezza. E così è stato cassato anche l’indulto.
La speranza suscitata dalla "marcia di Natale" – marcia a cui, vale la pena ricordarlo, partecipò anche l’eurodeputato e presidente dei diesse, Massimo D’Alema - è durata così appena quindici giorni. Le conseguenze di quel che è avvevuto ieri alla Camera sono però destinate, probabilmente, a durare nel tempo. Franco Giordano, capogruppo di Rifondazione, dice così: "Una brutta e spuria maggioranza cancella la speranza in questa legislatura, e fa diventare egemone - sia pure solo nel Parlamento - culture grevi e rozze".
Marco Pannella, che della "marca di Natale" fu uno dei promotori, si fa una domanda dalle conseguenze ancora più gravi: "Anna, ma in quale Unione sto entrando? In quella di Santi Apostoli o in quella con te, Bossi e La Russa?". Domanda rivolta all’onorevole Anna Finocchiaro, diessina, che in aula - è sembrato non senza qualche imbarazzo - ha illustrato la posizione del suo partito poco prima del voto decisivo.
La destra, quella che neanche per un attimo ha indossato mai le vesti garantiste, la destra forcaiola, ora esulta. E va all’incasso. La responsabile giustizia della Lega, l’onorevole Carolina Lussana dice che è stata "una loro vittoria". E aggiunge: "Abbiamo assistito, in questi giorni, ad una sceneggiata. Resta però il rammarico per aver perso questa settimana che avrebbe potuto essere utilizzata per far approvare provvedimenti importanti per la sicurezza dei cittadini come la legge sulla legittima difesa". Ma recupereranno il tempo perduto, assicura.

Liberazione, Stefano Bocconetti (venerdì 13 gennaio)