STRADE
D'ITALIA
Requiem per un
ponte
Il viadotto che permette alla statale Adriatica
di scavalcare il fiume Sangro è crollato due anni fa, e non c'è
traccia di ricostruzione. Intorno, un comprensorio agonizza.
L'Anas fa finta
di niente. La società che gestisce la strada statale 16 Adriatica
afferma che il crollo non fu dovuto a scarsa manutenzione ma ad «erosione
naturale». Che avrebbe dovuto essere prevista e in ogni caso
monitorata: però...
Progetti pericolosi Il ponte crollato avrebbe dovuto essere rimpiazzato
da un altro, metallico, appoggiato sugli stessi piloni. Che però, poco
dopo, sono anch'essi crollati, spazzati via da una piena. Da allora,
nonostante l'urgenza, tutto è fermo.
SERENA GIANNICO
CHIETI
C'è chi dice che
verrà realizzato prima il ponte sullo Stretto di Messina che rimesso in
piedi quello sul fiume Sangro. Il cavalcavia si è sbriciolato, in un
botto, nell'autunno di due anni fa. Aveva arcate in calcestruzzo non
armato e risaliva al 1950 - era stato tirato su nell'immediato
dopoguerra. Era un tratto della statale Adriatica, che si snoda da
Padova ad Otranto e che, da quel momento, in provincia di Chieti, tra i
comuni di Torino di Sangro e Fossacesia, a ridosso della costa, al
chilometro 491,400, si spezza bruscamente: «Alt, strada interrotta».
Di colpo, in prossimità della foce di reti e di verde del corso d'acqua
più copioso d'Abruzzo, si incappa in un mucchio di segnali, cartelli,
transenne e deviazioni. Ed ecco, all'improvviso, tutti sbatacchiati su
altre serpeggianti, strette e scomode arterie, alcune anche abbastanza
acciaccate, alla ricerca di quella giusta per proseguire.
Il crollo
Era un giorno d'ottobre quando il viadotto si è incrinato. Ha
cominciato a spaccarsi nella parte più centrale. E, lentamente, si è
fratturato. Un assessore della zona, in auto con la famiglia, ha visto
la struttura abbassarsi. Ha dato l'allarme. Passavano poche macchine. Il
traffico è stato bloccato. Il ponte è stato chiuso. E dopo un po' tre
campate del lato sud - su dodici complessive - sono sprofondate. Si sono
sfasciate e accasciate, in un polveroso boato, nell'alveo sottostante,
tra l'incredulità dei pescatori, sbracati tra cespi e canneti con ami
ed esche, e degli habitués del vicino contestatissimo
porticciolo turistico.
Tra i flutti i detriti. Tra le macerie un pezzo di storia. Probabilmente
il crollo è stato causato dallo scalzamento delle fondamenta del primo
pilone. Che mobilitazione! Enti, istituzioni, parlamentari, tecnici a
gridare: «Sia subito redatto un adeguato progetto...». Che è stato
preparato in poco tempo, in tutta la sua bruttura. Perché la direzione
generale dell'Anas ha pensato di sostituire il viadotto collassato con
uno in acciaio, che avrebbe dovuto poggiare sui monconi in mattone
rimasti. Sono state avanzate perplessità circa l'impatto ambientale ed
architettonico di questa ibrida mostruosità. Ma le esitazioni sono
state spazzate via, poche settimane più tardi, da abbondanti temporali:
nel gennaio del duemilacinque infatti, una piena, alimentata da
torrenziali piogge, ha mandato giù i pilastri e gli archi che ancora
resistevano. Furiose correnti hanno abbattuto e ingoiato un altro pezzo
della un tempo possente costruzione. E, con essa, i primi scellerati
elaborati tecnici.
E' stato un cedimento imprevedibile a distruggere l'opera, è stato
evidenziato. «Un danno subdolo da erosione subacquea», così l'ha
definito Dino Vurro, capo del Compartimento regionale dell'Anas che, con
un pugno di parole, s'è scaricata la responsabilità dell'accaduto. «Il
crollo - ha tenuto ancora a sottolineare - non è dovuto a carenza di
manutenzione, perché vengono effettuati controlli periodici». Ma la
corrosione del ponte da parte dell'acqua è stata naturale e, pertanto,
lentissima. Questione di anni. E se le verifiche tecniche sono state
costanti, come viene asserito, è strano che l'Anas non si sia mai
accorta di quel che stava succedendo.
In realtà aveva preso a cuore più il look della struttura, mandando
gli operai a risistemare il guard-rail, il passaggio pedonale e a
gettare una nuova nerissima coltre d'asfalto. Si era preoccupata del
lifting, senza eseguire un check-up sulla staticità e sulla sicurezza,
che avrebbe potuto evitare il disfacimento del viadotto. Che da allora
giace lì, squassato, sospeso tra passato e futuro.
La favola dei lavori
E' scattata la processione di politici, amministratori, periti e
specialisti al capezzale del ponte. Un cerimonioso costante afflitto
corteo, un po' di centrodestra un po' di centrosinistra. Pensieri
angustiati e tormentati, seguiti da un: «Occorre fare presto. E'
assolutamente necessario - ha sottolineato in un documento Vincenzo
Pozzi, presidente dell'Anas - rispondere alla richiesta di mobilità dei
cittadini. Ci sono grossi problemi di traffico che richiedono una rapida
soluzione. Serve un nuovo progetto e i tempi di esecuzione dei lavori
saranno estremamente contenuti».
Sembrava dovesse accadere il miracolo. Che il cavalcavia smembrato, nel
Bel Paese delle inconcludenze, dovesse in breve riprendere forma e
consistenza. Vana speranza. Sono trascorsi mesi a furia di discorsi,
promesse, confronti, incontri, riunioni, summit, interpellanze e
manifestazioni. Il consiglio dei ministri ha dichiarato lo stato di
emergenza per i centri colpiti dal crollo. Il prefetto di Chieti, Aldo
Vaccaro, è stato nominato commissario straordinario. E' stata tirata in
ballo la Protezione civile. Si è scatenata una battaglia
politico-istituzionale. Sono state presentate interrogazioni alla Camera
e al Senato. Sono spuntati due progetti: il primo è stato annullato
perché ritenuto inadeguato e non conforme alla legge, il secondo è
stato bloccato da un ricorso al Tribunale amministrativo regionale. Sono
partite denunce. C'è stato un appalto, revocato. Poi gli interventi
sono stati assegnati alla stessa ditta.
L'iter è adesso paralizzato ed è in mano ai giudici. Un imprevisto non
da poco. E meno male che si tratta di una questione «di imperiosa
urgenza», come ha evidenziato ripetutamente l'Anas. Per i ritardi e gli
intoppi infuriano critiche e musi lunghi. Sott'accusa disagi,
inefficienze, lungaggini. Ci vogliono circa 8 milioni di euro per rifare
la struttura e i costi, col passare del tempo, sono destinati ad
aumentare. Ne è passata di acqua sotto il ponte, e la ricostruzione è
un miraggio. Così una delle maggiori vie di collegamento della penisola
è squarciata e dimenticata.
L'importanza dell'Adriatica
La statale Adriatica, realizzata tra il 1928 e 1938, è l'arteria più
lunga dell'Europa centro-occidentale coprendo una distanza di oltre
mille chilometri. E' «strada di grande comunicazione», che attraversa
il maggior numero di regioni italiane: ne mette in connessione sei. Non
è nata come percorso unitario: ha dovuto fare i conti con la pluralità
di stati in cui l'Italia è stata a lungo divisa e con le tante
peculiarità di carattere geografico, orografico e demografico.
L'attuale tracciato ha unificato importanti direttrici di origine romana
che erano rimaste in uso nel corso dei secoli. E' di competenza diretta
dell'Anas.
Essa realizza un itinerario che mette insieme luoghi d'arte e di storia,
monumenti, siti archeologici e, in definitiva, la memoria dell'antichità,
del Medioevo, dell'età moderna, di Virgilio, di Orazio, dei Pisoni,
della Serenissima, dell'Esarcato, dei Borgia, di Federico II, di Gil
Albornoz, di Ferrante d'Avalos, di San Michele Arcangelo, di Prospero
Calamai e dei mercanti che ne avevano trafugato il corpo portandolo a
Bari, di San Nicola di Mira, dei Ahmed Pascià, dei martiri di Otranto.
Collega centri urbani importanti per storia, per demografia, per
economia: Padova, Monselice, Rovigo, Ferrara, Alfonsine, Ravenna,
Rimini, Fano, Ancona, Porto d'Ascoli, Pescara, Vasto, Sant'Antonio
Abate, San Severo, Foggia, Cerignola, Barletta, Bari, Fasano, San Vito
dei Normanni, Brindisi, Lecce, Otranto. Realtà che rappresentano una
vera e propria successione di «arte e meraviglia».
E' dunque un percorso fondamentale, teso a congiungere testimonianze del
passato in una forma quasi di «teatro» sul quale si affacciano
culture, artisti, condottieri, regnanti, architetture, prodotti della
terra. La strada appare anche in una notevole quantità di pellicole: da
quelle ambientate alle foci dell'Adige e del Po, a quelle girate nella
laguna di Comacchio, alla recente «La stanza del figlio» di Nanni
Moretti, ad altre realizzate nel Salento. E tutti ricorderanno le
immagini dell'Adriatica e dei collegamenti con i principali centri
metropolitani che compaiono nei film di Fellini, dai «Vitelloni» ad «Amarcord».
La creazione dell'A14, l'autostrada Bologna-Taranto, penalizza in parte
l'originalità di ruolo della statale che unisce Veneto, Romagna,
Marche, Abruzzo, Molise e Puglia, fin quasi alle estremità dello
Stivale.
Souvenir di macerie
Il disastro del ponte ha portato difficoltà nei collegamenti, anche
a livello nazionale, ma ha soprattutto messo in ginocchio l'economia del
posto. «Decine di piccoli operatori commerciali e di imprenditori -
spiega il sindaco di Torino di Sangro, Domenicantonio Pace - hanno visto
i propri affari azzerati». E' una situazione complicata e
ingarbugliata. Distributori di carburante, gommisti, alberghi,
ristoranti, supermercati, stabilimenti balneari e camping basavano i
loro introiti principalmente su un transito di veicoli che non c'è più.
Patiscono la chiusura della statale e sono in rivolta. Spalleggiati da
Confesercenti e Confcommercio, hanno costituito un comitato di protesta
e inviato una diffida all'Anas. Di recente hanno ottenuto anche dei
risarcimenti ma sono decisi a intraprendere «azioni politiche,
amministrative e legali» in difesa dei propri interessi.
«La riapertura dell'Adriatica - riprende Pace - si è protratta oltre
ogni limite e le soluzioni tampone ipotizzate non hanno visto la luce».
Nel frattempo il viadotto a brandelli è divenuto uno spettacolo. E'
meta di turisti, anche stranieri, che si fermano meravigliati dinanzi
allo scheletro. Oltrepassano anche delimitazioni e barriere, e giù con
le macchine fotografiche. Uno, due, tre scatti. Souvenir d'Italie...
Dal Manifesto del 20/01/2006 |