ROMA — Fausto
Bertinotti, ha letto le intercettazioni delle
telefonate tra Fassino e Consorte sulla scalata di
Unipol alla Bnl?
«Ho condannato l'uso delle intercettazioni anche quando
si riferivano alle vicende di Bankitalia. Ma quando
certe cose vengono rivelate diventano un fenomeno di
costume su cui riflettere».
Che
cosa vuole dire?
«Che quei testi sono irrilevanti dal punto di vista dei
comportamenti personali, ma politicamente molto pesanti.
In altre parole, proprio perché credo che i dirigenti
Ds siano persone integre, il quadro che emerge da quelle
intercettazioni è ancora più grave».
Quali
errori avrebbero commesso Fassino e D'Alema?
«Non è mia intenzione dire che avevo ragione io quando
mettevo in guardia dalla scalata alle banche. Mi auguro
però che ora si apra una discussione a tutto campo
all'interno della sinistra. Perché in questi giorni
abbiamo assistito alla caduta di un altro Muro».
Un
altro Muro?
«È l'idea che le cooperative siano buone in quanto
cooperative. Vale a dire l'esistenza di situazioni
economiche che, per la sola appartenenza ad un campo
politico, garantiscono la bontà del fine che perseguono».
I
Ds hanno sempre parlato di «differenza» del movimento
cooperativo.
«Nell'89 i Ds hanno commesso il grave errore di
cancellare, con un semplice tratto di penna, l'intera
storia del movimento comunista. Con la conseguenza di
non fare i conti con la parte positiva e negativa di
quella storia. Una sorta di miope scordammoce o' passato
».
Con
quali conseguenze?
«Si è evitato di condannare ciò che andava
condannato, ereditando quindi dal vecchio Pci, in modo
assolutamente acritico, anche il sistema di alleanze con
le cooperative. Non ci si è interrogati sul fatto che
nel frattempo erano diventate vere e proprie imprese».
E
magari un giorno si è scoperto che volevano comprarsi
una banca.
«Il secondo errore è proprio questo: avere assecondato
quelle operazioni senza chiedersi di che natura fossero.
Non si può assumere l'innovazione tout court come
bandiera politica».
È
una critica simile a quella espressa nei confronti della
Cina comunista e capitalista durante la sua visita a
dicembre.
«Certo. Credo che le cooperative diventate impresa
siano state trattate dai Ds con la stessa filosofia di
Deng Xiaoping quando diceva che l'importante non è
sapere se il gatto sia bianco o nero ma se riesce a
prendere i topi. È pericolosissima l'idea che la
politica diventi pesante solo attraverso un'operazione
di supplenza, in questo caso offerta dal supporto
economico delle coop».
Non
è in qualche modo accettare il gioco degli altri? Come
dire: anche noi abbiamo i nostri «poteri forti»?
«Questa è la madre di tutti gli errori. Non si può
pensare di andare à la guerre comme à la guerre usando
le stesse armi degli altri. In questo modo si ereditano
dal Pci solo alcune parti negative, la mentalità che
ieri giustificava i vari Armellini e oggi le cooperative
solo perché compagni di strada. Definendoli non per
quello che fanno, ma per l'aiuto che ti danno».
Come
giudica la strategia dei Ds?
«Sono incerti fra due linee, entrambe negative. La
prima è quella dell'arrocco: è la vecchia sindrome
della congiura, del nemico "esterno". L'altra
è affermare che nelle coop c'erano alcune "mele
marce" da eliminare per poi continuare tutto come
prima. Sono visioni miopi, minimaliste. Occorre invece
chiedersi perché tutto ciò è accaduto. I Ds abbiano
il coraggio di aprire una discussione di fondo: da
questa storia non si esce con l'istinto di
conservazione, ma con una discussione dolorosa».
Quella
sull'anima delle cooperative?
«È arrivato il momento di discuterne seriamente. Le
cooperative sono entrate ormai da tempo nel mondo
produttivo e finanziario: in che cosa si differenziano
dalle altre imprese capitalistiche? E se davvero
arrivassero a comprarsi una banca come sarebbe diversa
dalle altre? No, non hanno più gli anticorpi
dell'originario movimento cooperativo, l'attenzione alla
socialità, ai servizi, alla partecipazione. E, se sono
uguali alle altre imprese, possono anche correre gli
stessi rischi di Cirio e Parmalat. Mi dispiace dirlo:
hanno ormai assunto gli artigli della mentalità
mercantilista».
Quali riflessi avrà la vicenda Unipol sulla campagna
elettorale dell'Unione?
«Credo sempre che dal male possa venire il bene, cioè
un cambiamento. Ciò però può avvenire solo con il
coraggio di rimettersi in discussione. Altrimenti ci si
esporrà a rischi seri. Temo l'onda terribile del
"sono tutti uguali". Siccome è facile che si
affermi questo pensiero occorre subito avviare una
grande operazione intellettuale. Senza minimizzare,
senza stare sempre a giustificare».
Roberto Zuccolini