E’
la prima volta che così tanti Enti Locali discutono e si pronunciano
nei rispettivi Consigli Comunali, Provinciali, Regionali su una
direttiva europea.
Ciò
è avvenuto non per un pregiudizio, ma al contrario sulla base di
precise valutazioni e giudizi di merito. Infatti: non si potrebbe più
riservare l’appalto per le mense scolastiche ai produttori di cibi
biologici, come avviene in tanti comuni per meglio tutelare e garantire
la salute dei più piccoli; non si potrebbe più affidare la
manutenzione del verde alle cooperative sociali, quelle che hanno al
loro interno persone svantaggiate che altrimenti non troverebbero
un’occupazione; non si potrebbe più determinare le licenze per un
certo servizio, così da evitare l’eccesso di tipologie e l’assenza
di altre; si interromperebbe il rapporto con il mondo no-profit con cui
tanti enti locali collaborano per la prestazione di importanti servizi.
Tutto
questo, e sono solo alcuni esempi concreti, verrebbe considerato
“discriminatorio” per le altre imprese e un ostacolo alla
costituzione del mercato interno dei servizi.
Il
risultato è che tutto verrebbe affidato al mercato, alla libera
concorrenza tra le imprese, mettendo in secondo piano diritti e bisogni
delle persone.
Agli
Enti Locali, liberamente eletti, non rimarrebbe altro che un ruolo di
passacarte di decisioni prese in altre sedi, che sono fuori dalla
responsabilità e dal controllo che esercitano i cittadini con il voto.
I
poteri locali verrebbero così espropriati e svuotati delle funzioni di
indirizzo e controllo che la Costituzione italiana assegna loro.
Per
questo non è casuale che nei nostri Consigli gli ordini del giorno
sulla Bolkestein siano stati approvati quasi ovunque all’unanimità o
con qualche astensione.
Con
questa direttiva si va nella direzione opposta al grande tema che
abbiamo qui da noi in Europa e non solo: come democratizzare la
democrazia, come dare voce e peso alle persone, ai soggetti sociali,
alle comunità locali di fronte ai processi di globalizzazione
economico-finanziaria, al potere del denaro.
Il
testo che arriva in aula, nonostante i tentativi fatti per emendarlo, è
il frutto di questa impostazione neoliberista e tecnocratica.
Emblematico è il principio del paese d’origine per cui un lavoratore
non è più sottoposto alla regole e tutele del paese in cui lavora, ma
può essere sottoposto a quelle del paese dove l’impresa ha sede
legale.
Non
è difficile immaginare cosa accadrà: lo spostamento delle sedi legali
delle imprese lì dove sono più basse o inesistenti le garanzie, le
tutele delle persone che lavorano. In una parola la giungla.
E
sarebbe un colpo micidiale a quel modello sociale europeo fatto di
sviluppo economico, diritti sociali, libertà individuali che va
rinnovato e non smantellato per farne una copia sbiadita del modello
americano.
Sappiamo
che il voto in aula di metà febbraio non chiuderà la vicenda, che poi
spetterà ai Governi Nazionali pronunciarsi nell’ambito del Consiglio
Europeo.
Riteniamo
comunque necessario attraverso questa lettera aperta, rivolgerci ai
Parlamentari Europei eletti nel nostro Paese, e come noi espressione dei
territori e delle comunità, perché si facciano interpreti di questa
contrarietà respingendo in aula la direttiva.
In
nome dei diritti fondamentali delle persone, che non possono essere
ridotti a merce o considerati optional a seconda degli interessi del
mercato; e in nome della democrazia che non è un lusso ma un valore che
va praticato a partire dalle comunità locali, lì dove vivono,
studiano, lavorano le persone.
Diritti
e democrazia: due parole che hanno fatto grande l’Europa e che ne
rappresentano ancor oggi il futuro.
Sabato 11 febbraio 2006, alle ore 10.30, presso la Sala del Consiglio
Provinciale di Roma, via IV Novembre 119/a, si terrà un incontro
pubblico nazionale, in vista della votazione in prima lettura al
Parlamento Europeo della Direttiva Bolkestein.
Roma
7 febbraio 2006
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