Scavano dove non c’è l’amianto e dicono: non c’è. Dove c’è non scavano
Finita la tregua olimpica, i cavalieri della tav ritornano all’attacco.

Stavolta la (non) notizia è che l’amianto e l’uranio in Val Susa non ci sono e quindi avanti le ruspe. Il falso scoop è del Corriere che ieri titolava in prima pagina: “Tav in Val di Susa, niente amianto nel sottosuolo”.

Il fatto è che l’Arpa Piemonte ha voluto, con tanto di conferenza stampa, dare grande risalto ai risultati del primo sondaggio sul monte Seghino (un buco di 10 centimetri per 450 metri di profondità) che riguarda la parte italiana del tracciato della Torino-Lione con un tunnel di 12 chilometri preparatorio del mega traforo internazionale. Secondo il direttore dell’Arpa, Vincenzo Coccolo, si tratta di un primo momento per ottenere la “taratura del modello geologico”: «L’attività va ripetuta in altri 15-20 punti del tracciato, solo così si potrà conoscere davvero il quadro e dare una risposta precisa sulla presenza di amianto e uranio».

Ma tanto basta per far ricominciare la solfa. Questa volta tocca al ministro dell’Ambiente, Altero Matteoli (An): «Sono stati sospesi i lavori per chiarire se si poteva fare il tunnel. Oggi si scopre che non c’è amianto. Non dobbiamo perdere tempo ma andare avanti con le decisioni prese».

Eppure l’amianto e l’uranio ci sono. Basterebbe leggersi il libro “Studi geologici in Val Susa finalizzati ad un nuovo collegamento ferroviario Torino-Lione”, pubblicato dalla Regione nel 2004, per scoprire che l’Università di Torino nel 1995-1998 ha effettuato sondaggi nell’area evidenziando una presenza certa di “crisotilo” e “tremolite” nelle rocce sopra Foresto, lungo il Rio Giandula, a Ganduglia, Sollietto e Seghino. Gli studi erano stati commissionati da Alpetunnel, la prima società incaricata della progettazione della tratta, e per ironia della sorte (o truffa) sono oggi custoditi dalla Lyon-Turin Ferroviaria che ne ha preso il posto.

Ma non basta. Secondo il geologo della comunità montana bassa Val Susa, Riccardo Pavia, «le nuove trivellazioni sono state effettuate in un punto dove si sapeva che non c'era amianto, bastava farli dove è ben documentata la presenza di rocce serpentinitiche che possono contenerlo».

Non contenti andiamo a interrogare un geologo super partes, uno che su queste montagne ha studiato e ci lavora tutti i giorni (e per questo vuole evitare sia fatto il suo nome). «La formazione della catena montuosa è molto diversificata, avessero bucato cento metri più in alto forse avrebbero rilevato dell’amianto.

La gran parte di rocce ultrafeniche ricche di asbesti però si trova sul Musiné, in bassa Valle. Ci sono pochi posti nelle Alpi dove affiorano come lì». In sostanza i guai amianto verranno dalla parte italiana del tracciato, ancora senza progetto e sondaggi. E l’uranio? «C’è nel massiccio dell’Ambin (quello del tunnel internazionale, N. d. R.), dove invece non c’è amianto».

A conferma della nostra fonte i rilievi dell’università di Siena: su 40 campioni di roccia testati in bassa valle ben venti casi di fibre di amianto “con elevata tendenza alla defibrillazione”. Per l’uranio ci sono i dati di Agip e Minatome francese salite quassù per sfruttare Uranio, Potassio e Torio.

La miniera in località Molaretto, accanto al tracciato del traforo internazionale, presenta radioattività mille volte più alta di quella naturale, in una zona ricca di falde. E l’uranio a contatto con l’acqua diventa letale.

Legambiente commenta l’uscita dell’Arpa con un laconico: “Sondaggio scientifico o spot? ”.

L’eurodeputato Vittorio Agnoletto parla di «opera di disinformazione preparata a tavolino». E il presidente della Comunità montana,

Antonio Ferrentino, lancia un allarme: «Stanno tornando alla carica. Non si era mai visto un ente pubblico promuovere una conferenza stampa per un sondaggio su una campagna intera.

È pura politica per demonizzare il movimento no-tav».

Per Ferrentino la strategia è chiara: «Stanno cercando di creare un movimento d’opinione contro di noi, per allontanare chi ci sostiene e dividere il fronte istituzionale locale».

Il caso vuole che il ministro Lunardi abbia dato mezzo milione di euro alla provincia di Torino per individuare “linee di azione strategiche” per la Val Susa: i primi soldi per oliare la riscossa pro-tav in valle? «Stiamo raccogliendo molta solidarietà, il movimento si allarga e si diffonde a livello nazionale e in questo paese i cittadini che si mobilitano per capire e decidere insieme sono vissuti come un pericolo».

In effetti questi no-tav si danno un po’ troppo da fare.

Due giorni fa a Bardonecchia si sono riuniti con la Commissione Internazionale per la Protezione delle Alpi e gli amministratori francesi interessati alla tratta per discutere di riduzione del transito di migliaia di tonnellate di merci sui valichi.

Comunità locali e associazioni elaboreranno risposte comuni e denunciano il grave ritardo di Francia e Italia nell’assunzione di politiche per il miglior utilizzo delle ferrovie. Il Protocollo Trasporti della Convenzione Internazionale, infatti, è stato approvato in parte dal Parlamento francese e nemmeno ratificato da quello italiano.

Sul fronte della mobilitazione, invece, i no-tav saranno venerdì con i pendolari nelle stazioni per la giornata nazionale del “amico treno”, per ribadire la priorità del trasporto pubblico: i passeggeri. Peccato che Trenitalia abbia risposto picche alla distribuzione dei volantini dentro le stazioni, sarebbe stato un messaggio di pace.

Meglio delle promesse di rimborso alle centinaia di passeggeri dell’eurostar 9666 Milano-Torino rimasti bloccati martedì sera nella campagna novarese, con tanto di treno sostitutivo, passerelle per trasbordo e metà della gente in piedi. Ore di ritardo per 82 km, ad alta velocità.

di Claudio Jampaglia (Liberazione giovedì 23 marzo)