Pentimenti sospetti; Chicco Testa e gli
ambientalisti nuclearisti |
di Sabina Morandi |
Chissà se a
spingere un ambientalista storico a intraprendere la crociata
contro “l’Italia che non vuole crescere” (dal titolo di un
articolo di qualche mese fa) conta di più l’esperienza alla
presidenza dell’Enel o quella meno nota di membro
dell’European Advisory Board del Carlyle Group, il mega-fondo di
investimento della famiglia Bush. Certo da Chicco Testa, fondatore
20 anni fa di Legambiente, non ci si aspetterebbe una tale
entusiastica adesione per qualunque progetto in cantiere - dai
futuristici gassificatori off shore alle vecchie centrali della
generazione di Chenobyl che l’Enel ha recentemente acquistato in
Slovacchia e che si accinge a completare. Però, dall’insalata
energetica del suo editoriale pubblicato ieri da Il Giornale,
appare abbastanza evidente la preferenza data alle grandi opere
rispetto alle “piccole” iniziative di risparmio energetico e
fonti rinnovabili che pure, naturalmente, vengono menzionate. Ma,
inequivocabilmente, l’accento cade sull’appello alla
“responsabilità bipartisan” da dimostrare, appunto,
approvando in tutta fretta la costruzione di gassificatori e
centrali nucleari, oltre naturalmente al carbone del quale si
auspica un "ricorso più esteso". Del resto, continua
Chicco Testa, non è questo il nocciolo dei progetti energetici
proposti da Bush e da Blair ai rispettivi paesi? Quel che c’è
di diverso è che in Gran Bretagna, così come negli States, gli
ambientalisti di vecchia data non si limitano a fare il tifo ma
criticano, indagano e, conti alla mano, smontano le nuove svolte
energetiche come ha fatto Franck Vervastro, esperto energetico del
Center for Strategic and International Studies che, sul Financial
Times della settimana scorsa, scriveva: "E’ molto più
facile promettere invenzioni fantascientifiche piuttosto che
infastidire i produttori di automobili e altre lobby industriali
imponendo loro degli standard di efficienza energetica più
elevati".
Insomma, non è certo un bel modo per ricordare Chernobyl
riproporre pari pari la vulgata nuclearista che credevamo
definitivamente liquidata dal referendum dell’87. Una vulgata
che si basa su mirabolanti tecnologie - come i reattori
autofertilizzanti dell’epoca di Nixon o i mai testati
gassificatori off shore - e sulla solita esternalizzazione dei
costi il che, tradotto in parole povere, significa non conteggiare
mai, nel costo di una tecnologia, quello che potrebbe venir fatto
pagare ai contribuenti - magari a quelli della generazione
successiva come avverrà per le conseguenze ambientali e sanitarie
dell’incidente in Ucraina dell’86. Ma lasciamo comunque
perdere gli incidenti che i nuclearisti mettono sotto la categoria
dei rischi più o meno evitabili - anche se la tecnologia non si
è affatto evoluta come si vuole far credere - e facciamoci due
conti veri.
Il problema è che alla domanda, quanto costa un chilowattora
prodotto con l’energia nucleare? , non si può rispondere
limitandosi a fornire le tabelle di una centrale già operativa.
Se si vuole essere onesti bisogna aggiungere gli elevatissimi
costi di costruzione delle centrali e di dismissione delle stesse
- vedi il Superphoenix francese - cui bisogna sommare il prezzo
dell’annoso problema dello smaltimento delle scorie.
Perché, diciamocelo, avremo pure "trent’anni di esperienza
in più", come scrive Testa, ma non s’è trovato altro modo
per liberarsi delle scorie che seppellirle in qualche cava -
Scanzano insegna - oppure esportarle nel Terzo mondo con il
solerte aiuto delle mafie internazionali. Le nostre poche scorie,
insieme a quelle francesi e tedesche, sono finite fra il Mozambico
e la Somalia come Ilaria Alpi qualche anno fa stava per
dimostrare. Ma questa, ovviamente, è un’altra storia.
Su di una sola cosa Chicco Testa ha ragione: il nucleare riduce le
emissioni di gas serra - naturalmente escludendo dal conteggio il
grande dispiego di energia necessario per la loro costruzione,
dismissione e smaltimento scorie… - e il problema del
cambiamento climatico, ormai sotto gli occhi di tutti, richiede un
intervento tempestivo e globale. Alle preoccupazioni ambientali va
aggiunto poi quello del declino della produzione petrolifera - il
famoso picco - che rende il prezzo dell’oro nero suscettibile a
qualunque evento e soggetto a ogni tipo di speculazione. Si
sottovaluta, in questo discorso, che anche l’uranio è destinato
ad esaurirsi - di qui a vent’anni secondo quei noti
ambientalisti dell’Us Army - e il gas è votato al medesimo
destino.
Ci troviamo dunque di fronte a un cambiamento epocale - il
superamento dell’età dei combustibili fossili - da affrontare
con scarsità di risorse e di strumenti operativi, visto che la
furia distruttiva della stagione iper-liberista ha tagliato le
unghie a governi e organismi di controllo. Per gestire il
passaggio ci saranno insomma pochi soldi e pochi strumenti per
monitorarne l’impiego, il che dovrebbe suggerire ai governanti
prudenti di spendere poco e bene, possibilmente investendo nelle
opere a più alto impiego di manodopera e a più basso impiego di
capitale. Ci si aspetterebbe quindi che un ambientalista di razza
fornisse una lista delle priorità basata appunto su questi
parametri, nella quale dovrebbe svettare al primo posto misure di
efficienza energetica come il rifacimento dell’intera rete
elettrica nazionale che - Testa lo saprà meglio di chiunque altro
- si lascia sfuggire un 15-20 per cento dell’energia che
trasporta, ovvero l’equivalente di parecchie centrali.
Naturalmente nella lista andrebbero anche le rinnovabili, fermo
restando il criterio base che dovrebbe guidare questa sorta di New
Deal Ecologico: un chilowatt risparmiato costa sempre meno di un
chilowatt prodotto. Utilizzando questi semplici criteri, più
economici che ambientalisti, l’energia nucleare non riuscirebbe
a piazzarsi nemmeno agli ultimi posti. E’ un ragionamento
davvero così disfattista e anti-industriale? A noi sinceramente
non sembra proprio. Forse sarebbe però opportuno cominciare a
esplicitare di quale sviluppo e quali interessi si stia parlando,
se quelli dei grandi gruppi come il Carlyle o quelli dei
contribuenti ai quali, finita la stagione del mercato über alles,
si chiede nuovamente di aprire il portafoglio.
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Liberazione 21
aprile 2006 |
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