Bertinotti elogia D’Alema e spiega come l’Unione governerà
Non è stata una giornata come le altre. La rinuncia di D’Alema, la candidatura - non ancora ufficiale, ma fa lo stesso - alla Presidenza della Camera, cambiano un po’ l’ordine del giorno. No, non per Rifondazione, che ieri ha riunito il comitato politico nazionale per fare il punto sul voto e sul dopo voto. Assemblea aperta come da programma con due ore di relazione del segretario Fausto Bertinotti (l’assemblea si concluderà stamane). Che parla di tutto, ma proprio di tutto. Mettendo alla fine, quasi alla fine, una valutazione - con tanto di apprezzamento per la scelta del presidente della Quercia di fare un passo indietro - sulla vicenda degli incarichi istituzionali. Ma i giornalisti, i cameraman hanno altre priorità. Per loro contano solo gli ultimi avvenimenti. E così, appena finita la relazione, è un vero e proprio assedio al segretario di Rifondazione. Gli chiedono ovviamente di D’Alema. "Ho apprezzato le scelte di D'Alema e dei diesse, così come il ruolo svolto da Romano Prodi. Il nostro è stato semplicemente un modo per far valere il pluralismo nell'Unione, perché sarebbe sbagliato offrire l’immagine di un monopolio da parte della componente riformista". E l’eventuale incarico alla Presidenza della Camera – in realtà le domande sono più dirette ma è Bertinotti a inserire sempre, in tutte le domande, quell’"eventuale" – avrà ricadute nella composizione del governo? Insomma, ci saranno ministri di Rifondazione nel governo? "Penso di sì. Non chiedetemi però i nomi, anche perché Prodi ha chiesto ai partiti di non fare nomi. Vuole una rosa e su quella sceglierà lui. Come è giusto". E ancora: è vera la ricostruzione, fornita da alcuni giornali, secondo cui Rifondazione negli ultimi colloqui avrebbe minacciato di limitarsi all’appoggio esterno? "Sciocchezze. Un ricatto da parte di Rifondazione non ci sarebbe mai stato. Noi sosteniamo e sosterremo per cinque anni il governo dell' Unione". E di Andreotti candidato al Senato che dice? "Che Marini è un ottimo candidato". Il clima è un po’ informale e così le domande si fanno più incalzanti. Ma la vicenda della Camera non può aver dato l’inmpressione di un brutto avvio della nuova maggioranza? C’è già qualche commentatore che parla di bramosìa di poltrone. Qui, la risposta è quasi scandita: "Voglio ricordare che il Prc sostenne il governo Prodi per due anni senza avere neanche un esponente al governo. Credo che basti".
Non è finita. Arrivano le domande più impegnative ancora. Quelle sul nuovo Presidente della Repubblica. Bertinotti non vuole entrare nei pronostici sui nomi per il futuro inquilino del Quirinale, ma fa un ragionamento di "cultura politica". "Senza che questa sia una proposta - dice - vorrei notare che nella storia repubblicana tutte le principali correnti di cultura politica del paese sono state rappresentate al Quirinale: da quella liberale a quella azionista, da quella cattolico democratica a quella socialista. Io penso che sarebbe importante che una persona che venisse dalla storia del Pci potesse ottenere questo importante riconoscimento".
L’ultimo argomento. L’"eventuale" - "eventuale", ovviamente - elezione alla Camera renderebbe necessario un nuovo segretario alla guida di Rifondazione. Anche qui, una risposta che non lascia dubbi: "Stiamo finendo le consultazioni e subito dopo gli organismi del partito discuteranno la situazione che si presenterà nel caso io diventassi presidente della Camera. Non è una novità se dico che dalle consultazioni uscirebbe la candidatura di Franco Giordano alla guida del partito".
E fin qui siamo solo alla cronaca, ai fatti delle ultime ore. Ma c’è poi tutto il resto. Un "resto" fatto da qui venti milioni e venticinquemila elettori che dato la vittoria all’Unione due domeniche fa.
Vittoria di misura ma che non "oscura" - ed eccoci alla relazione al Cpn - il "centro della questione": la sconfitta del progetto di Berlusconi. Progetto ambizioso di un leader della destra che, a dispetto di quanto spesso si pensa, non è uno sprovveduto. Un progetto pericoloso, che aveva - se così si può dire - quasi un "respiro antropologico". Perché mirava a mutare la percezione di sé delle persone, dei propri diritti e su questo far leva per disegnare nuovi assetti istituzionali, che facessero saltare tutto ciò che è democrazia diffusa. Ma è stato battuto. Battuto dalla rinascita dei conflitti sociali, che sono riusciti a inserirsi nell’"onda lunga" dei movimenti internazionali di rivolta alla globalizzazione. Battuto alla fine anche dal voto.
Certo, per un pugno di voti. E qui Bertinotti coglie un dato, un primo dato per spiegare la ripresa delle destre. Perché, racconta, ci sono zone, aree, fabbriche - che chiama "sprofondi" - dove non solo non è riuscita ad entrare la proposta dell’Unione. Non è entrata proprio la politica, vista come estranea da persone spogliate di tutto: delle tutele ma soprattutto del diritto al futuro. Da un sistema che ha fatto della precarietà la sua cifra.
Mentre invece proprio rimettendo al centro della propria iniziativa, anche in questa campagna elettorale - o almeno nella campagna elettorale vera, quella fatta fra la gente, non quella parallela e un po’ grottesca "che si è svolta in tv" - la lotta alla precarietà, che Rifondazione ha ottenuto il suo successo, decisivo per battere le destre. Un successo che sembra avere una chiave di spiegazione semplice: è stato più marcato laddove Rifondazione è stata percepita come parte integrante dei movimenti di lotta, delle vertenze. Laddove è stato percepito come partito "aperto". E pobabilmente laddove è stato percepito come il partito che ha investito davvero, e senza remore, sull’unità della coalizione, senza rinunciare al proprio profilo strategico.
Ma adesso c’è la sfida del governo. Per parlarne c’è bisogno di una premessa. Non secondaria. Nel senso che Bertinotti spiega che i fenomeni che stanno avvenendo gli hanno imposto di ripensare criticamente a scelte fatte nel passato. Per capire: 10, 15 anni fa, l’alternanza significava né più né meno offrire la possibilità di governi diversi dentro un unico quadro. Dentro un recinto chiuso. Allora, l’alternanza era opposta all’alternativa. Quest’ultima era l’obiettivo di chi proponeva di rompere la gabbia delle compatibilità. Ma oggi - ovunque - la filosofia che era alla base di quel mondo, il neoliberismo, è in crisi di consensi. Tanto che la vera minaccia ora è la Grande Coalizione, come quella della Merkel, come quella prospettata in da Berlusconi. E allora, dice il segretario, l’alternanza non può più essere vista come opposta all’alternativa. Oggi l’alternanza può indirizzarsi verso l’alternativa. Al punto che Rifondazione si farà "sentinella dell’alternanza". Una definizione, quella del segretario che subito suscita dibattito. Non è completamente d’accordo, per esempio, Salvatore Cannavò - della Sinistra Critica - secondo il quale il rischio della grande coalizione non viene solo dalle fila della destra ma nasce da dentro l’Unione. "Nasce da Padoa Schioppa all’Economia". Nasce quando e se l’Unione si troverà in difficoltà al momento di votare sul rifinanziamento della missione in Afghanistan. "E a quel punto che facciamo?", si domanda Cannavò. Dalla presidenza, gli rispondono con un’altra domanda: "E che facciamo cadere il governo?".
Sono battute che riflettono un’assemblea forse diversa da tante altre. Un’assemblea attentissima a tutti i passaggi. Soprattutto a quelli chiave. Come quando si prova a definire il ruolo, il vero ruolo che Rifondazione vuole giocare al governo. C’è nell’immediato l’impegno a realizzare il programma dell’Unione. Continuando come si è fatto nella sua stesura: senza mettere bandierine di partito ma battendosi ogni giorno per la sua realizzazione. L’ambizione però è decisamente più grande: "Noi abbiamo un’idea del governo come governo allargato", dirà Bertinotti. Che punti ad allargare la partecipazione, a suscitarla, che sappia costruire democrazia. D’altronde non c’è alternativa: perché si può governare, da Palazzo Chigi, col 51% dei consensi. Ma non lo si può fare nel sociale: "Qui c’è bisogno di conquistare nuove, più ampie maggioranze".
Insomma, pure, la critica alla "stanza dei bottoni", si arricchisce: non è più solo la critica a chi considera il governo il proprio fine. L’obiettivo ora è attraversare la "stanza dei bottini", farne una leva, una delle leve, per attivare processi sociali. In grado, quelli sì, di costruire l’alternativa. Come? Lo strumento, è quello della sezione italiana della sinistra europea. Due progetti, l’avvio del governo dell’Unione e la nascita di una sinistra d’alternativa, che possono marciare assieme. Che debbono marciare assieme. Come antidoto alla minaccia di Grande Coalizione. "Minaccia - dirà in uno dei primi interventi Graziella Mascia - che sarebbe allontanata anche dall’elezione di Bertinotti alla Presidenza della Camera".
di Stefano Bocconetti (Liberazione lunedì 24 aprile)