Confronto e dialogo contro guerra e terrorismo |
Fausto Bertinotti |
Signore deputate,
signori deputati, mi rivolgo a voi direttamente senza la lettura
di un testo scritto per sottolineare con un piccolissimo gesto il
senso di apertura, di confronto e di dialogo che vorrei prevalesse
in questo Parlamento.
Ringrazio allo stesso modo chi ha voluto votarmi e chi,
altrettanto comprensibilmente, mi ha negato il suo voto. Vorrei
così richiamare alla pari dignità politica di ognuna e di ognuno
in quest’aula, del governo come dell’opposizione, della
maggioranza come della minoranza. Vorrei che ognuno di voi e ogni
parte politica potesse contare sul mio assoluto rispetto di questo
principio.
Saluto le donne e gli uomini del nostro paese. Saluto il
Presidente della Repubblica, Carlo Azeglio Ciampi anche per il
modo autorevole e popolare con cui rappresenta il paese.
Attendo l’elezione del Presidente del Senato, al quale fin da
ora assicuro la mia collaborazione. Saluto il presidente della
Corte costituzionale.
A Pier Ferdinando Casini, che mi ha preceduto in questo importante
incarico con una capacità e con un senso delle istituzioni che
spero di potere imitare, va il sincero ringraziamento mio e di
tutta l'Assemblea.
Auguro a tutte le deputate ed a tutti i deputati, all’insieme
dell'Assemblea buon lavoro. Ne ha bisogno il paese, ne hanno
bisogno le nostre istituzioni democratiche.
Credo che il primo compito che tocca a tutti noi sia quello di
lavorare ad una forte valorizzazione del ruolo del Parlamento
della Repubblica italiana. Si tratta, credo, di una necessità
storica in questi nostri tempi difficili. Tempi di un passaggio
impegnativo per la democrazia in Italia e in Europa.
Viviamo ogni giorno il rischio di un distacco del paese reale
dalle istituzioni, il rischio di una separazione della quotidianità
della vita delle donne e degli uomini dalla politica, il rischio
che in questo quadro una parte della società - quella più
debole, quella più spogliata - venga trascinata fuori dal quadro
della politica. La politica tutta vive una sua crisi, eppure dal
nostro paese viene alta e grande una domanda di politica, come si
è visto anche dalla partecipazione alle recenti elezioni: una
domanda esigente e, a volte, aspra. Il Parlamento non potrà da
solo risolvere questi grandi problemi, affrontare questa dura
crisi, ma può concorrere alla rinascita e allo sviluppo di tutte
le forze democratiche, di partecipazione e di politica; concorrere
con l’insieme delle istituzioni democratiche e attraverso la
partecipazione delle donne e degli uomini del nostro paese, con
cui penso possiamo lavorare alla riqualificazione dello spazio
pubblico, che ognuna e ognuno possa vivere come propria comunità.
Credo che dovremmo guardare con attenzione e cura a tutte le
amministrazioni da cui dipende la vita dello Stato repubblicano.
Rivolgo da qui un’attenzione a tutti i dipendenti pubblici, ai
corpi dello Stato, alle sue amministrazioni centrali e locali,
centrali e territoriali, affinché possano dispiegare tutta la
loro potenzialità.
Vorremmo concorrere a valorizzare la loro autonomia, le loro
autonomie, che sono una grande ricchezza per il paese - tutte le
autonomie, da quella della magistratura a quella del servizio
pubblico di comunicazione e di informazione -, per far sì che
tutti noi possiamo sentirci cittadini di uno Stato di diritto e
cittadini conosciuti e riconosciuti.
Più in generale, di fronte a questo Parlamento sta il compito di
un rapporto positivo tra il paese reale e le istituzioni. Il
popolo deve poter investire tutta la sua fiducia sulle istituzioni
democratiche per nuove conquiste di libertà, di diritti alle
persone, anche liberandoli in tanta parte del paese dai gioghi che
subiscono, a partire da quello intollerabile di ogni mafia, per
una nuova frontiera da costruire di giustizia sociale e di
sicurezza delle cittadine e dei cittadini, sicurezza nel senso più
alto di diritto al futuro, e cioè il diritto di poter costruire i
propri destini.
Per questo noi vogliamo contare sulla scuola come una parte
fondamentale nella costruzione di una nuova convivenza e vorrei
qui ricordare il lavoro prezioso delle insegnanti e degli
insegnanti che costituiscono un patrimonio per il futuro del
nostro paese. Un patrimonio con cui lavorare e sconfiggere la
peggiore delle selezioni di classe, quella che può colpire in
giovane età ragazze e ragazzi, spingendoli all’esclusione.
Vorrei ricordare da questa tribuna la lezione, in cui vorrei tutti
ci riconoscessimo, di una grande coscienza civile e di un
riformatore del nostro paese che su queste cose tanto ci ha
insegnato: don Lorenzo Milani.
Ma le istituzioni democratiche sono vitali se cresce con esse la
società civile. Questa relazione sociale e umana, che fa la
cultura grande di un paese, può essere oggi il fondamento anche
di una nuova economia, non solo di una civiltà: l’Italia ha qui
la sua risorsa più grande.
Perciò, vorrei che potessimo vivere insieme - insieme -pur nella
diversità delle posizioni politiche, un allarme: il rischio della
crisi della coesione sociale, che può attraversare l’Italia
come tutta l’Europa.
Interroga la politica questa crisi. C’è una fatica di vivere,
un’incertezza, qualche volta una perdita di senso, in parti
della società che vengono spogliate di futuro. Vivono, queste
realtà drammatiche, insieme a tante esperienze di speranza, di
innovazione, di investimento sul futuro. Per battere le prime, il
Parlamento può inscrivere la sua iniziativa nell’impegno -
comune - a costruire popolo, appartenenza, comunità.
Sono un uomo di parte: un uomo di parte che, perciò, non teme il
conflitto; che sa che la politica chiede scelte, confronto tra
tesi diverse, anche opposizioni e persino contrapposizioni. Ma una
cosa vorrei che fosse bandita dal nostro futuro politico: quella
di lasciare scivolare la politica nella coppia amico-nemico, in
cui c’è la negazione di quello che pensa diversamente da te.
Abbiamo bisogno, insieme alle differenze, e persino ai contrasti,
di costruire un concorso per realizzare un’Assemblea, questa,
che parli a tutto il paese il linguaggio della convivenza, della
convivenza anche oltre la politica, della convivenza come
valorizzazione delle differenze, delle diversità da non negare
ma, anzi, da nominare e da riconoscere: differenze di genere,
attraverso le quali si manifestano due punti di vista diversi nel
mondo; differenze etniche, tra nativi e migranti; differenze
generazionali; differenze tra credenti e non credenti e tra le
molte fedi.
La laicità non è solo un’eredità del passato; e non è
neppure solo la più necessaria e condivisibile difesa
dell’autonomia del legislatore. La laicità chiede, in Italia
come in Europa, una sua rielaborazione, per farne l’orizzonte di
una nuova convivenza, della costruzione di una cittadinanza
universale in cui progettare il nostro futuro, un futuro che sta
sospeso tra rischi terribili e grandi speranze. Progettare il
futuro: si può!
Lo sapremo fare, quale che sia anche la radicalità del nostro
dissenso, se sapremo riandare alle radici più profonde del nostro
popolo e delle sue grandi culture. Questa legislatura si apre tra
il 25 aprile ed il 1° maggio, due date importanti della nostra
storia.
Il 1° maggio, la festa del lavoro, ci raccorda ad una questione
fondamentale: il rapporto tra il lavoro e la vita, che decide,
spesso, il livello di società e di civiltà. Per anni, non solo
questi ultimi, si è vissuto un oscuramento nel mondo del lavoro:
un lavoro che ha subito spesso una svalutazione sociale, alla fine
della quale è spuntata drammaticamente la precarietà come il
male più terribile del nostro tempo. Io penso che sia
intollerabile. Perciò, dobbiamo riprendere il filo di un diverso
discorso, per restituire il futuro alle nuove generazioni, che ce
lo chiedono in molti modi, ma che ce lo chiedono così
intensamente.
Il 25 aprile è la radice della nostra Repubblica. Vorrei che
questa Assemblea potesse idealmente svolgersi a Marzabotto, in
quel cimitero sopra una collina annegata nel verde, in un silenzio
che esalta il ricordo del genocidio, degli orrori della guerra.
Anche lì, signore deputate, signori deputati, è nata la nostra
Costituzione, la sua irriducibile scelta di pace, riassunta
nell’articolo 11 della Costituzione. C’è lì la ragione prima
della nostra irriducibile lotta contro la guerra e contro il
terrorismo.
Noi piangiamo anche oggi le vite di soldati italiani uccisi a
Nassiriya; anche oggi portiamo la nostra umana solidarietà alle
famiglie di questi cittadini. L’una e l’altra cosa ci fanno
intendere il dolore per ogni vittima della guerra e del
terrorismo. Perciò, vorrei che facessimo insieme nell’avvio di
questi nostri lavori un pellegrinaggio, il pellegrinaggio che
Piero Calamandrei indicava ai giovani.
Ha scritto Piero Calamandrei: «Se voi volete andare in
pellegrinaggio nel luogo dove è nata la nostra Costituzione,
andate nelle montagne dove caddero i partigiani, nelle carceri
dove furono imprigionati, nei campi dove furono impiccati.
Dovunque è morto un italiano per riscattare la libertà e la
dignità andate lì, o giovani, col pensiero, perché lì è nata
la nostra Costituzione»: lì c’è l’origine della nostra
Repubblica!
Vorrei che questo pellegrinaggio fosse il viatico per il lavoro di
questa Assemblea, in cui ognuno possa riconoscersi per trovare
nelle radici le ragioni e la forza per progettare il futuro
dell’Italia, dell’Europa e del mondo. |
Liberazione 30
aprile 2006 |
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