LE DONNE GUERRIERE

LE AMAZZONI DELL'ANTICHITA'

Intorno all'anno 1000 a.C., il greco Eracle (o Ercole) sbarca nella Turchia settentrionale; qui vive Ippolita, la regina delle Amazzoni; Eracle chiede in dono la cintura che ella porta in vita, ma lei rifiuta; le guerriere a cavallo escono dalla città di Temiscira e affrontano gli uomini di Eracle.

Il greco si fa avanti per combattere un singolo duello; egli porta una pelle di leone sulle spalle con le zampe anteriori legate intorno al collo ed è armato con una spada di bronzo; dalle file delle Amazzoni avanza Aella equipaggiata di scudo tondo, lancia e spada, ma senza corazza; Aella scaglia la sua lancia, ma Eracle si piega sulle ginocchia, evitandola, poi con un balzo si avvicina alla donna e, con la sua spada, la colpisce alla testa.

Le Amazzoni si fanno avanti una ad una e l'eroe greco le sconfigge tutte; presa la cintura di Ippolita, e quindi compiuta la sua nona fatica, egli può tornare a Micene; le Amazzoni, furibonde, meditano vendetta e si alleano agli Sciiti per invadere la Grecia.

Teseo apre la battaglia: l'ala destra del suo esercito greco attacca il fianco sinistro delle Amazzoni; queste scagliano una pioggia di frecce senza neppure scendere da cavallo e mettono in fuga i greci; Teseo manda all'attacco l'ala sinistra; in un violento corpo a corpo combattuto con le asce le Amazzoni vengono cacciate definitivamente dalla Grecia.

Questa la versione mitologica; i dipinti su centinaia di antichi vasi greci giunti fino a noi testimoniano la battaglia; si tratta però di un evento realmente accaduto, o di una immaginaria rappresentazione del conflitto tra uomini e donne?

Ippocrate identifica le donne guerriere con le mogli dei Sarmati, popolo che vive lungo le coste del Mar d'Azov: esse cavalcano, tirano con l'arco e lanciano giavellotti; vergini fino all'uccisione del terzo nemico, solo allora si possono sposare; da piccole le loro madri applicano un ferro rovente sul seno destro per impedirne la crescita ed accrescere la forza del braccio; in greco "a mazos" significa senza seno.

Il fatto che la mancanza di un seno aumenti la forza fisica è però discutibile; un'altra ipotesi fa derivare il termine "amazzone" dall'armeno "donna della luna", riferito a sacerdotesse del Caucaso che venerano la dea Luna; a metà degli anni '50 presso il Mar d'Azov viene rinvenuta una tomba del IV-III secolo a.C. nella quale, accanto al cadavere di una giovane donna, ci sono punte di lancia e una faretra con venti frecce.

LE AMAZZONI DEL BRASILE

Nel 1541 i "conquistadores", partendo dal Perù, si avviano ad Est ed esplorano la jungla amazzonica con un'imbarcazione; entrano, senza saperlo, nel Rio delle Amazzoni; improvvisamente sulle sponde del fiume appaiono gli indios e una dozzina di donne che, dal comportamento, sembrano i loro capi.

Gli indios sollevano le armi e spingono in acqua le canoe; i tentativi degli spagnoli di spiegare le loro pacifiche intenzioni sono vane; le Amazzoni sono alte, con la pelle bianca, vestite solo con una fascia intorno ai fianchi, brandiscono mazze con le quali colpiscono ogni indios che tenta di ritirarsi dal combattimento.

La battaglia infuria, gli indios scagliano nugoli di frecce; gli avventurieri riescono a uccidere otto donne e i selvaggi si disperdono; un prigioniero viene catturato e interrogato.

Orellana, capitano dei conquistadores, gli chiede informazioni sulle Amazzoni e lui cerca di spiegarsi al meglio: sono numerose, abitano in settanta villaggi fatti di case di pietra con porte in legno; i villaggi sono fortificati e sorvegliati; le donne attaccano le tribù vicine, catturano giovani guerrieri e li portano al loro campo; quando restano incinte lasciano liberi i prigionieri; se nasce un maschio lo inviano al padre, se femmina la allevano loro; hanno cinque grandi templi dedicati al dio Sole, possiedono grandi ricchezze in oro e argento, confezionano indumenti di lana di lama e cavalcano cammelli.

La testimonianza di Orellana eccita la fantasia degli esploratori e dei cercatori di tesori, ma fino a che punto è reale? Molti pensano che è normale,  nella società degli indios, che le donne combattano a fianco degli uomini e che il resto sia dovuto ad eccessi di fantasia.

LE AMAZZONI AFRICANE

Nel 1727 il capitano inglese Snelgrave approda con la sua nave in Costa d'Oro; addentratosi nella foresta equatoriale incontra il villaggio del re del Dahomey; sette donne con una veste intorno ai fianchi, cerchi d'oro al collo e in testa e moschetto in spalla compongono la sua guardia reale.

Il re spiega che, durante le guerre contro le tribù confinanti, il cui scopo è la cattura di schiavi da vendere agli europei, ha perso molti guerrieri; allora ha arruolato molte donne e le ha armate come soldati, si è messo in marcia con le donne in retroguardia per non farle scoprire e ha così ingannato i nemici.

L'inganno funziona: i nemici, sorpresi dal numero di questo esercito, fuggono; da allora le "Amazzoni del Dahomey diventano parte integrante dell'esercito; mentre gli uomini, addestrati al corpo a corpo, sono armati di lance e spade, le donne vengono addestrate a sparare col moschetto.

ARTEMISIA

Serse, re di Persia, parte nel 480 a.C. con un grande esercito per combattere i greci; Artemisia, regina di Alicarnasso è costretta a reclutare una piccola forza e ad unirsi al re per non provocare la sua collera; l'armata persiana, una tra le più grandi del mondo antico, è accompagna da una numerosa flotta; Artemisia viaggia su una delle sue cinque navi.

I persiani, sfondato il fronte alle Termopili, occupano Atene e si danno al saccheggio dell'intera Attica; Serse pensa di dare il colpo di grazia ai greci affondandone la flotta ancorata a Salamina; il comandante in capo dei persiani, Mardonio, consulta i suoi ufficiali in proposito: sono tutti d'accordo, tranne Artemisia.

Lei afferma che i greci, in mare, sono meglio addestrati e, inoltre, le flotte alleate dei persiani, egizia, cipriota, cilicia e panfilia, sono poco affidabili; Temistocle, capo dei greci, invia un messaggio nel quale, disgustato dai propri alleati, offre di unirsi con le sue navi alla flotta di Serse, ma in realtà sta tendendo loro una trappola.

Il 20 settembre la flotta alleata varca lo stretto di Salamina e le navi assumono una posizione in linea di fila; questa linea, lunga circa un chilometro ha ionici e persiani a sinistra, cari, panfilii, lici, cilici e ciprioti al centro e fenici a destra.

All'inizio la flotta greca si sottrae all'attacco fuggendo; le navi greche sono più piccole e manovrabili di quelle persiane, più pesanti e meglio armate; i persiani inseguono il nemico, mentre il canale si fà sempre più stretto.

Improvvisamente un contingente greco sbuca sulla sinistra e sperona le navi ioniche; il grosso della flotta greca, giunto in vicinanza della costa, inverte la rotta e si prepara per lo scontro; le imbarcazioni delle due flotte arrivano al contatto; i guerrieri si lanciano all'arrembaggio brandendo le loro spade.

Si alza un forte vento che fa vacillare le pesanti navi persiane; le navi greche invece cavalcano le onde e vanno a spezzare i remi delle unità avversarie; la piccola flotta dei fenici si arrende.

Artemisia ha la sua nave ancora in piena efficienza; trovandosi di fronte la nave del re Damasitino, calindo e quindi suo alleato, ordina di speronarla, non si sa se per errore o per un rancore personale nei suoi confronti; i greci che assistono alla scena scambiano così l'imbarcazione di Artemisia per una delle loro e non l'attaccano.

Solo al tramonto i greci desistono dall'inseguire la flotta persiana in rotta; i pochi superstiti ritornano faticosamente in patria; Artemisia offre un ultimo consiglio a Serse: lasciare Mardonio a combattere i greci, se egli vince la vittoria andrà al re di Persia, se sarà sconfitto la colpa non ricadrà sul re, ma solo su un suo servitore.

ZENOBIA

Nel deserto siriano, III secolo d.C., sorge la città di Palmira, con un maestoso tempio; qui Septimia Zenobia, latinizzazione dell'aramaico Bat Zabbai, impara a governare il suo stato, protettorato romano.

Quando il re di Palmira, Odenato, apprende che l'imperatore romano Valerio è stato rapito dai persiani, si impegna a difendere le province romane dell'Asia Minore; nel 260 d.C. l'esercito di Odenato si congiunge all'armata romana in Siria e Zenobia viaggia a fianco del marito.

Quando Odenato sposa Zenobia, ha già un figlio, l'insignificante e viziato Erode; nell'anno 267 il re è assassinato dal cugino Meonio, a sua volta ucciso dalle guardie della regina; il figlio scompare improvvisamente e la reggenza passa a Zenobia.

Zenobia era molto legata al consorte e pare poco probabile un suo convolgimento nell'assassinio; è però una donna tenace e ambiziosa; l'Egitto le chiede di intervenire per rivendicare il controllo degli affari interni e lei organizza una spedizione, rischiando però un aperto conflitto con l'Impero Romano d'Occidente.

Il generale Zabdas, comandante delle truppe di Palmira, arriva in Egitto con 70.000 uomini e l'ordine di conquistare il paese; sconfigge l'armata egizio-romana di 50.000 effettivi, lascia una guarnigione di 5.000 uomini e torna in patria.

Il nuovo imperatore romano Claudio invia una spedizione a riprendere l'Egitto, molto importante per i commerci romani; l'esercito di Zenobia però riconquista le terre del Nilo una seconda volta, scacciando definitivamente i romani.

Incoraggiata da questa vittoria abbastanza facile la regina manda un esercito a Nord con l'intenzione di formare un impero nel Vicino Oriente; le popolazioni locali, incoraggiate dalla nomina di un'altro imperatore a Roma, Aureliano, si sbarazzano del dominio di Palmira.

Aureliano marcia su Antiochia; Zenobia, indossata l'armatura, lo affronta con 70.000 guerrieri; la cavalleria romana viena spazzata via, ma le legioni di fanteria contrattaccano e Zenobia vede così svanire il suo sogno di potenza.

MEDB

Figlia del re celtico d'Irlanda, Medb sposa Ailil di Leinster circa due secoli a.C.; per far colpo sul marito chiede in prestito un bell'esemplare di toro ai cittadini di Cuailnge nell'Ulster, ma essi rifiutano di privarsi dell'animale.

Medb, sulla sua biga, parte al comando di un'armata diretta in Ulster per punire le tribù nordiche dell'affronto subito; i guerrieri dell'Ulster sono guidati dal diciassettenne Cuchulainn, tenace combattente.

Alta, bionda e avvolta in un manto rosso, la regina incoraggia i suoi soldati a proseguire, nonostante le continue imboscate a cui vengono sottoposti dagli ulsteriani; entrata nell'accampamento nemico, Medb riesce a catturare il prezioso toro; Cuchulainn affronta la regina e la immobilizza, ma rinuncia a ucciderla e le concede di ritirarsi.

Al limite tra mito e realtà la storia di Medb, regina celtica, appare poi nelle cronache romane.

CARTIMANDUA

Un'altra regina celtica, Cartimandua, regna nel 43 d.C. quando i romani invadono la Britannia; la regina si accorda con il governatore Plauzio e in cambio riempie i suoi forzieri di tesori.

Il re celtico Carataco, però, raduna numerosi guerrieri nel Galles e attacca i romani; si trova di fronte il nuovo governatore Publio Ostorio Scapula, appena arrivato.

Scapula comanda 12.000 legionari della XIV Legione "Gemina" e della XX Legione "Valeria", più alcune migliaia di ausiliari celti; durante il combattimento i guerrieri celti sono sconfitti e Carataco, riuscito a fuggire, si rifugia da Cartimandua.

La regina è dibattuta tra l'idea di proseguire la lotta contro gli invasori romani e il mantenimento dell'alleanza con loro; decide infine di far arrestare Carataco e consegnarlo ai romani in cambio di beni di lusso.

Sul piano morale la decisione della regina può essere discutibile, ma su quello diplomatico rappresenta un successo: ella riesce a mantenere il controllo su tutta la Britannia settentrionale.

BOADICEA

Nel 60 d.C. il re degli iceni, Prasutago, muore nella Britannia sudorientale; il procuratore romano Catone Deciano si impegna per rilevare le ricchezze del defunto; i suoi legionari sono anziani per combattere, ma abbastanza brutali per darsi al saccheggio.

La moglie del re, Boadicea, appoggiata dalle due figlie, si oppone; i legionari razziano il regno, frustano la regina e violentano le figlie; Boadicea, molto alta, con una chioma color ruggine che le ricade sui fianchi, occhi crudeli e voce tonante, medita la vendetta.

Il momento più propizio si presenta: il governatore romano Caio Svetonio Paolino ha radunato le sue truppe nel Galles del Nord per combattere i Druidi; Boadicea, alleatasi con gli iceni della Britannia sudoccidentale, inizia l'attacco; il primo obiettivo è Colchester, capitale romana in Britannia.

In due giorni le mura della città sono distrutte e l'intera popolazione uccisa; Svetonio invia l'XI Legione "Hispanica", ma questa giunge tardi e mentre marcia nelle foreste viene attaccata, spezzata in piccoli gruppi e sopraffatta.

Catone Deciano, impaurito, salpa per la Gallia; Svetonio raduna le sue forze: la XIV Legione "Gemina" e un distaccamento della XX Legione "Valeria"; la II Legione "Augusta", di stanza ad Exeter, non può essere spostata perchè deve presidiare la posizione.

Boadicea arriva sul campo di battaglia alla testa di un'orda di inferociti guerrieri: iceni, banditi celti, schiavi evasi, tutti con famiglie al seguito sui carri di coda; la regina guida l'attacco dalla sua biga brandendo una lancia.

Svetonio ordina di mantenere le posizioni difendendosi con gli scudi, poi una lenta avanzata con gli ausiliari alle spalle e la cavalleria ai lati; a tarda sera i romani prevalgono e inseguono i nemici in rotta; devono però affrontare ancora le mogli dei celti che hanno traspormato i loro carri in bastioni; carichi di adrenalina i romani non risparmiano nè uomini, nè donne, nè bestiame.

AETHELFLAED DI MERCIA

La regina dei sassoni Aethelflaed diventa famosa combattendo contro i vichinghi; il suo regno, la Mercia, si estende dal Wessex settentrionale alle Midlands occidentali.

Nell'anno 911, rimasta vedova del re Aethelred, sacrifica la propria identità per creare un fronte unito contro gli invasori; regina cristiana lotta contro i pagani.

Dopo la morte del marito avvia la costruzione di dieci fortezze, spina dorsale della sua strategia difensiva; le regina pensa di utilizzare le fortificazioni come base sia per la difesa sia per l'attacco; il modello di costruzione si basa su vecchi progetti romani.

Nel 918 Aethelflaed si ammala e muore proprio nel mezzo di una campagna contro i vichinghi; suo fratello Edoardo prende il comando delle truppe e coglie la vittoria.

MATILDE DI TOSCANA

Nell'Italia dell'XI secolo, Matilde contessa di Toscana viene chiamata semplicemente la "Gran Contessa"; la sua celebrità è dovuta alla strenua difesa del papato contro l'impero di Germania.

Unica erede di un vasto territorio che comprende, oltre alla Toscana, parti di Umbria, Liguria, Emilia e Veneto, Matilde impara a cavalcare e ad usare le armi; nel 1061 viene eletto un nuovo papa che non piace all'imperatore tedesco, il quale decide di marciare su Roma con il suo esercito.

Matilde raduna le sue truppe e lo affronta nei pressi di Castel Sant'Angelo, ottenendo una prima vittoria; è una vincitrice magnanima che risparmia la vita ai prigionieri; nel 1077 Enrico IV di Germania, cercando una riconciliazione, va alla Rocca di Canossa e si prostrae dinnanzi al papa Gregorio VII.

Nel 1089 l'imperatore di Germania progetta una nuova, massiccia, invasione dell'Italia; giunto a Canossa, memore dell'umilizione subita, decide di attaccare la città e di porre fine al potere di Matilde; la Gran Contessa è assediata nel suo castello.

Attraverso un passaggio segreto i soldati di Matilde guidati da lei stessa piombano nel campo tedesco facendo strage dei nemici; l'imperatore sfugge al massacro, ma è la fine delle sue ambizioni italiane.

La contessa, divenuta salvatrice della chiesa romana, viene venerata dal popolo; nel 1115 muore e solo cinquecento anni dopo le sue spoglie vengono trasferite in San Pietro perchè la chiesa ha bisogno di simboli spirituali.

ELEONORA D'AQUITANIA

Eleonora è, nel 1137, una grande proprietaria terriera: il suo feudo si estende dalla Loira ai Pirenei; ella dispone di domini più estesi del re di Francia, Luigi VII, il quale decide di sposarla per ingrandire il suo regno.

Divenuta regina, Eleonora segue il marito alle Crociate nel 1146; indossata l'armatura più che altro per atteggiarsi a combattente, non partecipa alle battaglie.

Giunta a Gerosalemme stringe una relazione con il principe della città, Raimondo, rifiutando di seguire il marito; Luigi, alla testa del suo esercito, si riprende la moglie con la forza e torna in Francia; nel 1152 il matrimonio viene annullato.

Eleonora, ridivenuta in possesso delle sue terre, sposa Enrico Plantageneto che, due anni dopo, diventa Enrico d'Inghilterra; dalla loro unione nasce Giovanni, famoso re britannico.

Eleonora ordisce una ribellione per acquisire autonomia dall'Inghilterra, ma viene catturata e confinata per quindici anni; solo nel 1189, con la morte di Enrico, ella riottiene la libertà; nel 1204 muore e i suoi possedimenti in Francia restano fedeli all'Inghilterra ancora per molto tempo.

GIOVANNA DI MONFORT

Giovanna, contessa di Monfort, apprende che suo marito è stato catturato; subito pensa a porre il figlio a capo delle truppe e conquistare l'intera Bretagna.

Il conflitto, scoppiato nel 1341 per la successione in Bretagna, vede Carlo di Blois, sostenuto dal re di Francia, in competizione col fratellastro Giovanni di Monfort, marito di Giovanna.

La contessa cerca l'alleanza del re d'Inghilterra Edoardo III e l'ottiene; Carlo di Blois attacca e cinge d'assedio Hennebont; Giovanna si trova dentro le mura della città, si fa portare un'armatura, la indossa e cavalca per le vie cittadine.

Riuniti trecento cavalieri, tenta una sortita contro il campo nemico e lo incendia; il nemico si ritira e, per tutta l'estate del 1342 gli avversari si contendono combattendo ogni città della Bretagna.

La contesa tra bretoni si è ormai allargata divenendo un aperto conflitto tra francesi e britannici; le truppe inglesi catturano Carlo di Blois, ma la guerra continua per molti anni ancora: solo nel 1366 il nuovo re di Francia, Carlo V, riconoscerà il figlio di Giovanna come duca di Bretagna.

CRISTINA DE PISAN

Cristina de Pisan è una scrittrice francese del XV secolo; nei suoi testi incoraggia le donne a gestire autonomamente la loro vita e sforna consigli su come amministrare i loro beni quando viene a mancare il marito.

Le sue idee nascono dall'esperienza personale di aver perso padre e marito; raccogliendo consigli scrive anche capitoli sulla guerra e sulle tecniche d'assedio.

Negli ultimi anni della sua esistenza Cristina si ritira in convento; non prima, però, di aver avvisato la regina di Francia che se fosse continuata la guerra civile nel paese, questo sarebbe divenuto facile preda degli invasori stranieri.

GIOVANNA D'ARCO

Nel 1428, la sedicenne Giovanna, è abbagliata da una forte luce: le voci dei santi Michele, Caterina e Margherita le dicono di aiutare il re di Francia a sconfiggere gli inglesi.

Non sapendo da dove inziare, si reca dal capitano della guardia reale e inizia così la sua breve carriera militare; senza l'ausilio di cronache del suo tempo, sarebbe difficile credere alla sua storia.

Una contadina che diventa capo di un'armata e la guida alla vittoria rappresenta un fatto inusuale; nel 1420 britannici e borgognoni si alleano contro il re di Francia e occupano la parte settentrionale del paese, compresa Parigi.

Carlo VII, detto il "Delfino", in una situazione simile avrebbe accolto qualunque forma d'aiuto; un cavaliere, Giovanni di Metz, presta ascolto a Giovanna; vestita da uomo e scortata da sei soldati riceve finalmente udienza dal re, al quale promette di liberare Orleans.

Il duca di Alençon le insegna a maneggiare la lancia e le fornisce un cavallo; gli ecclesiastici accertano che si tratta veramente di una donna e che, essendo vergine, non può essere una strega.

Il re conferisce a Giovanna il titolo di "chef de guerre" e le fornisce un'armatura, un cavalier servente, due paggi e due araldi; la ragazza si fa dipingere due stendardi: il suo raffigura Dio tra le nuvole che benedice un angelo, quello della sua compagnia rappresenta l'Annunciazione.

A diciassette anni, alla testa di 400 soldati, Giovanna marcia su Orleans; durante la campagna viene soprannominata "la pulzella" e solo nel XVI secolo riceve l'appellativo "d'Arco"; una sera gli inglesi vengono distratti con scaramucce e Giovanna viene fatta entrare in Orleans su un cavallo bianco, indossando la lucente armatura, preceduta dal suo grande stendardo.

La battaglia è dura, Giovanna viene ferita da una freccia nella spalla, ma la sua presenza galvanizza i francesi che ottengono una brillante vittoria: la strada per Reims è aperta.

 Nel 1430 ella partecipa alla difesa di Compiegne, viene catturata dai borgognoni e consegnata agli inglesi; questi cercano di far vacillare la sua personalità, ma Giovanna si comporta con dignità e ribadisce la sua ispirazione divina; nel 1431 viene messa al rogo dall'Inquisizione.