PONTELANDOLFO E CASALDUNI
Pontelandolfo è un comune di 2.375 abitanti in provincia di Benevento; nel 1861 però i suoi abitanti erano 5.000; Casalduni, conta oggi 1.500 abitanti e allora 3.000; i due paesi distano tra loro 5 chilometri. Nell'agosto 1861 in zona operano i guerriglieri dell'ex sergente borbonico Cosmo Giordano.
Sindaco di Pontelandolfo è il liberale Lorenzo Melchiorre, esecutore scrupoloso degli ordini emanati dalle autorità piemontesi; Francesco Perugino è capo del Corpo di Guardia e Vincenzo Coppola è delegato di Pubblica Sicurezza; l'arciprete Epifanio De Gregorio è un attivista borbonico che mantiene i contatti con i "briganti" e predica il ritorno di Francesco II° sul trono di Napoli.
Melchiorre riceve una missiva: i briganti vogliono da lui 8.000 ducati; spaventato telegrafa al governatore di Benevento chiedendo protezione.
Il 3 agosto 1861, 200 uomini della Guardia Nazionale agli ordini del colonnello Giuseppe De Marco, ex garibaldino, giungono a Pontelandolfo. Le montagne circostanti brulicano di briganti, il colonnello si rende conto di essere in inferiorità numerica e decide di ripartire.
Il 5 agosto il sindaco sospende la fiera di San Donato, prevista per il giorno seguente e lascia il paese insieme ad altre persone, scortato dalla colonna del colonnello De Marco. La popolazione è divisa in due fazioni: i reazionari della famiglia Gasdia e dell'arciprete Epifanio De Gregorio, di fede borbonica, ed i liberali che annoverano le famiglie Iadonisio, Melchiorre, Perugini e Sforza, favorevoli al nuovo governo piemontese.
Il 6 agosto l'arciprete De Gregorio annuncia il regolare svolgimento della fiera paesana sostenendo che i paesani vogliono festeggiare insieme ai patrioti-briganti.
Il 7 agosto un vecchio contadino di San Lupo esce di casa sventolando una bandiera borbonica e inneggiando al suo re; un distaccamento di 30 uomini della colonna De Marco, guidati dall'ufficiale Pinelli sparano contro di lui uccidendolo; i guerriglieri della Brigata "Frà Diavolo", una trentina in tutto guidati dal Giordano, sentono gli spari, si avvicinano e ingaggiano battaglia contro le guardie nazionali mettendole in fuga, poi salgono a cavallo e raggiungono Pontelandolfo in festa. Qui uccidono l'esattore delle imposte Michelangelo Perugino e gli bruciano la casa; bruciano anche le case, ormai vuote, di Iadonisio, Melchiorre e Sforza. I proprietari terrieri Perugini, Fusco, Rinaldi e Pesce offrono viveri e denaro alla causa dei ribelli. Giordano si reca dal generale borbonico Filippo Tommaselli; uomini di Casalduni e Campolattaro vanno ad ingrossare le fila della "Frà Diavolo"; con la benedizione dell'arciprete viene istituito un governo provvisorio.
Lo stesso giorno il sindaco di Casalduni, Ursini, cerca di infondere il buonsenso nei paesani; suo fratello arruola guerriglieri che ricevono 50 ducati all'ingaggio e 40 grana di paga giornaliera; il paese è semideserto, la gente è andata alla festa di Pontelandolfo. A Campolattaro alcune persone provenienti dalla festa danno notizia che a Pontelandolfo sventolano le bandiere borboniche.
L'8 agosto a Casalduni il garibaldino Rosario De Angelis viene arrestato e processato; il governo provvisorio decide di lasciarlo libero, ma per strada alcuni contadini lo uccidono.
L'11 agosto a Casalduni giunge il tenente Cesare Bracci con 40 soldati del 36° Reggimento Fanteria (Brigata "Pistoia") e 4 carabinieri con l'ordine di cacciare i briganti; vedendo sventolare le bandiere borboniche e i muri tappezzati di proclami del generale borbonico Chiavone, fa' issare un drappo bianco su una baionetta e avanza cautamente; un soldato strappa un manifesto dal muro e subito viene freddato da un colpo di fucile; la pattuglia allora dirige su Piano della Croce, poi si insedia nell'antico torrione. Molti contadini iniziano a sparare contro di loro; il giovane e inesperto tenente ordina di abbandonare la torre e dirigere su Campetelle; questa mossa appare agli occhi della popolazione come un gesto di viltà: donne e ragazzi urlano per chiamare i briganti. Il tenente fa' ripiegare gli uomini su Casalduni; lungo la strada il sergente borbonico Angelo Pica, detto Picozzo, a capo di una trentina di soldati sbandati li attacca; un suo sottoposto spara al tenente Bracci poi urla: "ci arrendiamo". I supersititi vengono presi prigionieri, tranne un sergente che si acquatta nella boscaglia e, dopo un sommario processo, tutti fucilati al Largo Spinella. Il sergente nascostosi riesce a raggiungere Benevento e racconta l'accaduto al generale piemontese De Sonnaz.
Il cavaliere liberale Jacobelli, ex sindaco di Pontelandolfo, da San Lupo decide di inviare una missiva al generale Cialdini, decretando così la fine di Pontelandolfo e Casalduni.
Il 12 agosto, per ordine del generale Cialdini, parte da Benevento una colonna agli ordini del generale Maurizio De Sonnaz, soprannominato "Requiescant" dalla popolazione meridionale a causa delle molte fucilazioni ordinate; il colonnello Gaetano Negri col suo 36° Reggimento Fanteria marcia verso Pontelandolfo, il colonnello De Marco fa' loro da guida; il XVIII Battaglione Bersaglieri comandato dal maggiore Carlo Melegari e proveniente da Napoli dirige su Casalduni. Gli ordini sono chiari: distruggere i due paesi per dare una lezione esemplare. I reparti sono spesso fermati da falsi allarmi di avvistamento dei briganti.
La banda di Cosmo Giordano bivacca nella selva ad un chilometro da Pontelandolfo; avvisati dai pastori dell'arrivo dei "piemontesi" i guerriglieri si preparano a tendere un'imboscata, ma sono solo cinquanta. Quando i soldati sono a tiro aprono il fuoco per una decina di minuti facendo 25 vittime, poi saltano sui loro veloci cavalli e imboccano gli scoscesi sentieri del Matese.
Giunto a Pontelandolfo all'alba del 14 agosto, il colonnello Negri invia un plotone con a capo il De Marco a salvare i liberali: una decina di persona sono evacuate, tra cui Giovanni Perugino e Iadonisio, poi i soldati irrompono nelle strade e nei vicoli incendiando le case; le cataste di legna secca ed i mucchi di fieno divampano subito. Gli abitanti colti nel sonno si alzano, afferrano roncole e forconi ed escono di casa, ma sono subito abbattuti dalle fucilate dei soldati, guidati dal maggiore Rossi. Non mancano violenze e stupri. L'arciprete De Gregorio è già fuggito e si è unito ai guerriglieri.
Alle due del mattino i bersaglieri del maggiore Melegari sono a San Lupo; qualcuno corre ad avvertire il sindaco Ursini che fa subito evacuare Casalduni; alle quattro i bersaglieri, insieme a loro c'è il cavaliere Jacobelli, circondano Casalduni e aprono un nutrito fuoco di fucilieria, ma il paese è semideserto; tutte le case vengono date alle fiamme.
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Circa duemila paesani, scortati dai guerriglieri fino alle porte di Benevento, cercano riparo in città; il sindaco Ursini chiede udienza al governatore, ma viene arrestato e imprigionato. Il Popolo d'Italia, giornale nazionale, indica in 164 le vittime dell'eccidio, ma i morti di Pontelandolfo e di Casalduni non possono essere contati; sicuramente ammontano a diverse centinaia, probabilmente superano il migliaio; dei due paesi restano in piedi solo tre case in tutto; i sopravvissuti affermano: "solo a nominare Cialdini sanguina la bocca".
Le vittime di Pontelandolfo e Casalduni, come tutte quelle dei dieci anni di guerra civile, sono passate come l'acqua sui sassi? O è la vergogna, sia dei settentrionali che dei meridionali, che ha fatto tacere su questi fatti per un secolo e mezzo?
N O T A
Nell'Italia Meridionale del tempo, i reazionari sono i filoborbonici, che appoggiano apertamente i guerriglieri ed auspicano un ritorno di Francesco II° sul trono, sostenuti dal clero; i liberali sono quelli favorevoli al nuovo governo "piemontese", all'Unità d'Italia, nonchè molti ex garibaldini.