"La chiesetta della Madonna di Loreto costruita nel 1645 dal Principe vescovo di Trento, Carlo Emanuele Madruzzo (1629-1658), chiude il secolo della devozione mariana avviato nel 1547 con la cappella di Calavino."

 

 

Altare di s.Anna Altare centrale Altare s. Tommaso

 

affreschi

 

Don Modesto Lunelli: "Calavino e la sua Pieve" pg.217

"La curazia dipendente (o capellania esposta) di Madruzzo è una propagine di Calavino ed ha col capoluogo comune la storia e le strutture ecclesiastiche fino al principio del presente secolo. L'antica chiesetta, dedicata a s. Tomaso, vescovo di Cantorbery e martire, nominata negli atti visitali del 1537, era situata sotto il parco del castello Madruzzo, addossata ad una rupe a picco, nella località detta proprio s. Tomaso: si vedono ancora sulla parete della rupe le tracce dove posava il coperto, e avanti anni, dissodando il terreno, si rinvennero avanzi di pavimento.Per la distanza dal paese, e forse più per i guasti sofferti dall'ingiuria del tempo e delle acque, che nei temporali dal monte defluiscono impetuosamente da quella parte, fu demolita nel 1700.

Nella visita pastorale del 1673 fatta dal vescovo Sigismondo Antonio Thun, si nominano due cappelle in Madruzzo, una dedicata alla B. Vergine Lauretana e l'altra a san Tomaso cantauriense, ambedue sprovviste di paramenti: dunque a quell'epoca esisteva ancora la chiesetta o cappella di San Tomaso. La chiesa di s.Maria Lauretana fu costruita verso il 1650 e quando fu demolita la chiesetta di s. Tomaso, fu dedicato allo stesso un altare nella nuova chiesa; l'altro altare è sacro a s.Anna, dove viene celebrata la messa dall'arciprete di Calavino a chiusa della processione del 26 Luglio.

Il campanile e del 1749.

Nel castello dei Madruzzo c'è la cappella gentilizia, dedicata una volta a s. Nicola da Tolentino, ed ora a s. Giorgio martire: esisteva già nel 1537 perché gli atti visitali di quell'anno ne fanno parola; però la costruzione attuale è da ascrivere a Gian Federico Madruzzo, che la ricostrui a nuovo nel 1591.

Laura dal Prà "I Madruzzo e l'Europa" pg. 213

... Alla morte del Cles, nel 1539, l'uno dopo l'altro, si susseguirono i quattro principi vescovi Madruzzo e sotto di loro avvenne il lento sorpasso dal Rinascimento al barocco, dal disorientamento della gerarchia ecclesiastica dinanzi alla minaccia protestante alla reazione della Chiesa militante della Controriforma fino alla sforzo autocelebrativo della Chiesa trionfante del pieno Seicento, attraverso una maturazione di idee che vide nelle assemblee del Concilio tridentino uno, ma non il solo, spunto di avvio. Seguendo le vicende dei principi vescovi Madruzzo, dall'umanista e liberale Cristoforo all'impegnato e colto Ludovico, al combattivo Carlo Gaudenzio fino al devoto Carlo Emanuele, è possibile sciogliere qualche nodo di una intricata arte sacra finora mai presa in considerazione dal punto di vista iconografico e che merita al contrario approfondite indagini.

Un baluardo della riscossa cattolica: Maria

Mentre i riformatori si interrogavano sulla liceità del culto mariano e sulle sue manifestazioni più accese, che consideravano a detrimento della devozione cristologica, i padri conciliari riuniti a Trento partecipavano ai lavori assembleari non solo nella cattedrale, dove si venerava la quattrocentesca copia dell'icona della Madonna del Popolo, ma anche nella basilica di S.Maria Maggiore, il cui altare principale ospitava l'altra effigie miracolosa di Maria rivestita da una ricca dalmatica [.....]. Ne disdegnavano le passeggiate verso il santuario della Madonna di Civezzano [.....].

Dopo la chiusura dei lavori del Concilio tridentino, l'orientamento mariano progredì nella diocesi in perfetta sintonia con l'imposizione voluta dalla Chiesa romana, per la quale la figura della Vergine costituiva un baluardo della lotta antiprotestante e il contrassegno di genuino spirito cattolico, ma senza raggiungere gli eccessi devoti registrabili in altre regioni maggiormente sottoposte alla pressione dei riformati.

L'adesione madruzziana a questa impostazione è totale: se con Cristoforo Madruzzo si inaugura la grande stagione lauretana, destinata a ramificarsi ulteriormente nel principato sotto il governo di Ludovico, non vanno dimenticati [.....] il santuario dell'Inviolata di Riva del Garda,voluto e condotto a partire dal 1603 da Giannangelo Madruzzo con l'appoggio del cugino, il principe vescovo Carlo Gaudenzio, ne la significativa pala d'altare di tema lauretano nella cappella funeraria di S.Onofrio a Roma. [.....] Con il principe vescovo Carlo Emanuele Madruzzo le valenze mariane si infittiscono ulteriormente e acquistano la fisionomia-già in parte formata sotto il regno di Carlo Gaudenzio- di un consapevole intervento della gerarchia ecclesiastica nel tessuto devozionale dei fedeli, dei quali vengono incanalate preferenze e interessi.

[.....]

Se nella devozione degli abitanti del principato vescovile la Madonna aveva ampio spazio soprattutto nelle sue vesti di protettrice e mediatrice, non vanno dimenticate altre espressioni importanti importanti del culto mariano tra Cinquecento e Seicento, come la Vergine lauretana, l'Immacolata, l'Assunta, che si innestano nel fervido terreno religioso trentino. Nonostante che i pellegrinaggi al celebre santuario di Loreto [.....] ed episodi di precoce devozione non siano rari anche per la fine del Quattrocento e per il primo Cinquecento, è certo che tutta la famiglia Madruzzo contribuì a trasformare queste spontanee manifestazioni in una corrente devozionale di grande peso in onore della Vergine lauretana, non a caso anch'essa duramente contestata dai protestanti.

Già Cristoforo, nominato legato papale per le Marche da Pio VI, nel 1572 aveva presenziato insieme al cardinale Guido Ferreri alla cerimonia della prima pietra della chiesa della Madonna di Loreto a Spoleto, [.....]. Negli stessi anni egli si interessò insieme al nipote Ludovico, destinato a succedergli, alla trasformazione della cappella dedicata alle Anime del Purgatorio nella chiesa romana di S. Onofrio, [.....]: l'intera decorazione ad affresco verte intorno alla figura di Maria, [.....] ai santi Ludovico e Cristoforo, patroni speciali dei due Madruzzo, e del vescovo Vigilio, patrono della diocesi trentina, [.....].

Il successore di Ludovico, il cardinale Carlo Gaudenzio, sembra piuttosto essersi attestato su una devozione di valenza meno specificatamente lauretana, come pare suggerire il programma densamente mariologico dell'Inviolata di Riva, [.....], sebbene abbia luogo durante il suo regno la fondazione a Bolzano, nel 1619, di una piccola chiesa di Loreto, distrutta nella seconda guerra mondiale.

Viceversa l'ultimo principe vescovo Madruzzo, Carlo Emanuele, partecipò appieno alla propensione famigliare verso Loreto, come testimonia per via indiretta la riedificazione dell'antica chiesa di S. Tommaso nell'abitato di Madruzzo nel 1645, previa la nuova intitolazione alla beata Vergine lauretana e la fedele ricostruzione interna della Santa casa con la copia dei relativi affreschi. Il suo, tuttavia. è ormai un intervento che si colloca entro un fenomeno culturale che proprio in quel periodo raggiunge l'apice e sembra svincolato dall'influenza diretta madruzziana. Infatti l'idea di imitare il santuario lauretano era stata già attuata nel 1623 ....... della Madonna di Loreto alla Grotta di Villazzano, [.....] mentre negli stessi anni vennero erette con la medesima intitolazione la chiesa di Presson in val di Sole, [.....] e la chiesa di Sagron nel Primiero. Sempre in quel torno di tempo fu eretta a Trento la chiesa di S. Maria Lauretana, ora scomparsa, [.....] e nel 1645 si consacrò solennemente la Santa casa di Strigno in Valsugana.

La contemporaneità degli edifici di Strigno e di Madruzzo non è casuale: ambedue le piccole Sante case nascono nella scia dell'incrementata devozione a Loreto tra i cattolici d'Oltralpe. Infatti superati ormai gli ultimi decenni del Cinquecento che avevano visto le ripetute attestazioni di devozione lauretana da parte di noti personaggi come i Fugger o [.....] Otto Truchsess von Waldburg, vescovo di Augusta [....] o il teologo Pietro Cenisio [.....] capofila dell'intervento gesuitico a favore della Madonna di Loreto nella prima metà del Seicento è ormai sistematico-in significativa coincidenza con la controffensiva cattolica nei riguardi dell'espansione protestante-il favore accordato alle iniziative di costruzione di nuove Sante case, sull'esempio dell'arciduca Ferdinando II del Tirolo e della sua seconda moglie Anna Caterina Gonzaga, fondatori nel 1589 della prima Loreto in terra di lingua tedesca, quella di Haller Au presso la città di Hall, nonché di Eleonora Gonzaga, seconda moglie dell'imperatore Ferdinando II, alla quale si deve la costruzione della cappella lauretana nella chiesa degli Agostiniani di Vienna tra il 1625 e il 1627. Tra l'altro, in occasione dell'anno Santo del 1625 il gesuita bavarese Christoph Bachamer, [.....] fece rilevare e riprodurre a stampa la pianta e l'alzato della Santa casa in una Ichonographia destinata a servire i costruttori delle repliche transalpine [.....].

La Madonna di Loreto ha ormai conquistato un posto di tutto rilievo nell'universo devozionale dei fedeli anche a scapito delle più vecchie figure del santorale trentino, come san Romedio.Le vicende legate al culto lauretano non mancano di intrecciarsi con quelle relative alla dottrina dell'immacolato concepimento di Maria, preservata dal peccato originale per volontà divina.

[.....].

Don Modesto Lunelli: "Calavino e la sua Pieve" pg.63

Cappella Madruzzo

Fu eretta nel 1547 a cura di Gian Gaudenzio Madruzzo, come sepolcro di famiglia, ed è una completa ricostruzione di un sepolcro preesistente, come risulta chiaro dall'iscrizione della lapide murata all'esterno:

Gian Gaudenzio, barone e signore di Madruzzo, Avio e Brentonico, consigliere e ciambellano di Ferdinando, re dei romani, e maggiordomo di Massimiliano e Ferdinando, fece restaurare questo monumento della famiglia Madruzzo quasi cadente, nell'anno 1547.

Fra il 1547 e il 1549 (data quest'ultima graffiata sul muro a destra del confessionale) la cappella fu affrescata da buon pittore ( forse Tiziano o una della sua scuola). L'altare in legno è a colori scuri e oro, come si conviene a cappella sepolcrale. la cappella era chiusa fino all'anno1874 da una balaustrata di legno, e il pavimento, in tavolette di cotto, aveva nel mezzo una grande lapide con l'iscrizione: Madrutianae Familiae Cineres (ceneri della famiglia Madruzziana).

In occasione di restauri, fatti alla chiesa dall'arciprete Gentilini, il sepolcro, già profanato nel 1836 e anche prima a scopo di rapina, venne monomesso: la pietra tombale, rotta in tre pezzi, scomparve e il pavimento fu sostituito da tavolette di cemento; le decorazioni e gli affreschi furono ridipinti con vivacità di colori e modernità di motivo, tanto da rendere irriconoscibile la mano dell'artista cinquecentesco, da un certo Leonardo Campochiesa; così si eseguì l'ordine dato dal vescovo Tschiderer nella visita pastorale del 1839: "... che la cappella posta di fronte a quella del rosario venisse imbiancata o meglio dipinta".

Nel 1911 L'arciprete Facinelli, avendo fatto decorare la chiesa dal marchigiano prof. Sigismondo Nardi, autore della decorazione di s. Maria maggiore di Trento e dell'arcipretale di Borgo Valsugana, incaricò il medesimo insieme col prof. Mejer di Rovereto, specialista in tali lavori, di rimettere, per quanto fosse possibile, nello stato originario le pitture della cappella e di consolidare qualche affresco che minacciava di cadere; ciò che essi fecero con grande studio, amore e perizia non comuni.

Appena costruita la cappella e ripostevi le ossa del padre suo Federico e degli altri antenati, Gian Gaudenzio vi seppellì lo stesso anno 1547 il suo terzogenito Aliprando, del quale è la lapide murata a sinistra.

Aliprando Madruzzo nacque verso il 1522 nel castello della sua famiglia da Gian Gaudenzio e da Eufemia di Sporemberg. Dopo aver studiato lettere in patria e in Francia, abbracciò la carriera delle armi, entrando al servizio dell'imperatore Carlo V. Combatte in Ungheria contro i Turchi, nelle Fiandre contro i Francesi e contro gli stessi in Piemonte. E' celebre il duello a morte che egli sostenne qui nel 1544, prima della battaglia di Ceresole, contro il capitano francese La Mole, che morì, mentre il Madruzzo, pur gravemente ferito, poté prendere parte alla battaglia del 14 aprile. colpito da 15 ferite fu creduto morto, ma raccolto, fu tratto in prigionia dai Francesi del duca Enghien, e poi liberato per l'intervento del fratello card, Cristoforo e dell'imperatore. Combatte di nuovo in Francia, dopo la pace di Crespy, ritornò in patria. Allorché fu aperto il Concilio di Trento nel 1545, "egli ne fu designato, col titolo di capitano, alla custodia, carica questa assai ambita, che il Pallavicino Sforza asserisce competere a principi di sangue reale". Ma non durò a lungo il Madruzzo in tale mansione, poco confacente al suo animo desideroso di avventure, e quindi si dimise e si recò in Germania a combattere di nuovo, stavolta contro i protestanti. Carlo V lo nominò colonnello capo delle sue guardie del corpo ed, a fianco dell'imperatore, il Madruzzo si distinse in varie vittoriose imprese nella Svevia e nella Baviera. Ma era destino che il giovane eroe, che aveva sfidato la morte su tanti e diversi campi di battaglia, perisse meno gloriosamente. tornato al campo di Ulma, una violenta malattia intestinale lo tolse ai vivi il 17 febbraio 1547. L'imperatore, che lo teneva carissimo, ne pianse la morte immatura, e molte furono le condoglianze che commilitoni, superiori e ammiratori mandarono alla famiglia Madruzzo. la salma fu trasportata da Ulma attraverso la Baviera e il Tirolo, a Trento, ed a Calavino fu solennemente tumulata.

[.....].

Di Aliprando Madruzzo parlano con grande stima tutti gli storici contemporanei; forse, proprio per questo, non del tutto esenti da spirito di adulazione. Aliprando non ebbi figli legittimi, ma la sua schiatta, discesa da un'amante, certa Floriani da Tenno, vive ancora a Calavino in modeste condizioni, benché sia stata riconosciuta "de stirpe madruziana" in documenti e diplomi ora scomparsi.

Nel 1564 fu sepolta nella cappella Madruzzo anche la moglie di Gian Gaudenzio, Eufemia di Sporemberg e Villanders, morta a Riva, alla quale la morte del figlio Aliprando venne tenuta nascosta per non aggravare la malattia , da cui era affetta.

Vi è pure sepolto con tutta probabilità lo stesso Gian Gaudenzio, morto nel 1552, che nel suo testamento, fatto a Spira nel 1544, dichiarò essere sua precisa volontà venir sepolto presso il padre Federico, nel sepolcro degli avi suoi nella parrocchia di Calavino, qualunque fosse il luogo della sua morte.

Anche il primogenito di Gian Gaudenzio Nicolò vi è probabilmente sepolto: morì a Riva nel 1578, ma aveva trascorso in Castel Madruzzo gli ultimi anni della sua vita, amareggiati da molti dispiaceri per il conflitto tra il figlio card. Lodovico, vescovo di Trento, e l'arciduca Ferdinando d'Austria, conte del Tirolo, per il governo temporale del principato.

Invece i tre cardinali Cristoforo (+ 1578), Ludovico (+ 1599) e Carlo Gaudenzio (+ 1629) sono sepolti in s. Onofrio a Roma. Ivi ha pure la tomba Gian Federico, figlio di Nicolò, morto a Roma nel 1586, dove era ambasciatore dell'imperatore Rodolfo II, presso il papa Sisto V.

Alcuni dei Madruzzo sono sepolti a Riva nella chiesa della Inviolata, pure costruita insieme al convento, da Gian Angelo Gaudenzio, figlio di Gian Federico, nel 1613. L'ultimo dei Madruzzo, Carlo Emanuele, vescovo di Trento, è sepolto nella tomba di Bernardo Clesio nella cattedrale di Trento.

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