La curva dei redditi

Vilfredo Pareto

 

Tutti hanno sentito parlare della piramide sociale. I poveri ne sono la base, i ricchi l'apice. Ebbene in realtà, disponendo gli uomini secondo i loro redditi, non si ottiene la forma di una piramide bensì quella di una freccia con una punta molto aguzza e la base piuttosto ampia.

La statistica fornisce informazioni preziose sulla forma di questa freccia, permettendo, così, di raggiungere risultati scientificamente importanti. Questo non è comunque il luogo adatto per entrare nel dettaglio o dare dimostrazioni, poiché sarebbe indispensabile applicare molta matematica. Ci limiteremo invece solo a descrivere alcune delle conclusioni alle quali siamo giunti studiando tali fenomeni .

Le forme di distribuzione dei redditi complessivi, nelle società civili prese in esame, rivelano grandi somiglianze. Così come il sale in soluzione tende nel tempo a cristallizzarsi assumendo una certa forma, i redditi delle società civili si possono rappresentare come la punta di una freccia. Si intende certamente una tendenza di massima. Anche i cristalli del sale appaiono con una punta rotta, un angolo smussato, una superficie graffiata. Guardando con una lente d'ingrandimento la punta di una freccia in ferro modellato, si potrà vedere che presenta sinuosità piuttosto articolate, quasi le stesse che si possono osservare anche nella curva dei redditi.

Qualsiasi tentativo di modificare artificialmente la distribuzione delle entrate sarà soggetto a questa tendenza ad assumere la forma di una freccia. La società, lasciata a sé stessa, ritorna alla sua propria natura, come il sale, sciolto in acqua, nel tempo ricristallizza. 

Forse con ciò si vuole affermare che la distribuzione dei redditi non subisce modifiche? Non è così; l'esperienza dimostra che la freccia perde lentamente la punta, ossia la distribuzione dei redditi tende ad essere più omogenea.

L'aspetto della freccia dipende dalla quantità (che i matematici sono soliti definire parametro) e la statistica riporta che tale parametro ha un valore superiore ad nn per cui, in base a ciò, la punta della freccia si appiattisce quando la ricchezza aumenta più in fretta della popolazione, oppure aumenta il reddito medio del ceto più povero.

Dunque quando la ricchezza aumenta più in fretta della popolazione, si ottiene, con certezza, uno dei due effetti esposti in precedenza (il più frequente) oppure tutti e due insieme: 1) l'ineguaglianza tra i redditi sarà meno accentuata; 2) aumenterà il reddito medio del ceto più povero della popolazione.

Il maggior rimprovero mosso all'economia politica classica è quello di occuparsi troppo della produzione della ricchezza e di trascurare la sua distribuzione. In realtà è vero il contrario, perché per ottenere una distribuzione più equa, che prenda dunque in considerazione anche le classi meno abbienti, non c'è che un mezzo, aumentare la produzione e di conseguenza incrementare la ricchezza più in fretta della quantità di popolazione.

Se si lascia riposare una soluzione di sale da cucina, si ottiene un'ottima concentrazione salina; se, invece, la stessa viene trattata, si formano tanti piccoli cristalli, anche di forma cubica. Un fenomeno simile avviene nella distribuzione dei redditi. Gli sforzi compiuti dallo Stato sociale per modificare artificialmente l'assetto, determinano, come primo effetto, la distruzione della ricchezza. Più esattamente dunque, il risultato che si ottiene evidenzia il contrario dell'obiettivo prefissato, ossia le condizioni economiche della classe povera invece di migliorare peggiorano, l'ineguaglianza dei redditi si accentua o, ancora, il reddito medio del ceto povero si riduce. I redditi si dispongono dunque sempre secondo la forma di una freccia, la cui punta risulta, però, in tal caso, più accentuata.

Le presenti conclusioni non avrebbero più alcun fondamento, se il parametro, congiuntamente a quanto sopra detto, non fosse inferiore a nn. I socialisti potrebbero replicare di essere riusciti, con una nuova organizzazione sociale, a modificare a tal punto la natura umana tanto da ottenere, per detto parametro, un valore inferiore a nn. Ciò appare assai poco probabile, ma non è il caso di farci coinvolgere in una discussione che, almeno per il momento, supera i limiti dell'esperienza acquisita. Se un domani la società dovesse cambiare, anche l'economia politica adotterà nuovi principi.

La curva di distribuzione dei redditi così ottenuta rientra nella famosa curva di frequenza degli scarti, solitamente definita "curva degli errori", che si riscontra nelle situazioni più varie: nel tiro al bersaglio, pesando una certa quantità, misurando l'altezza dei militari, ecc.

Quando gli scarti rientrano più o meno nel calcolo delle probabilità, la curva assume la forma di un cappello da gendarme. Per le entrate, gli scarti sono facilmente calcolabili in più o in meno, per cui in tal senso può manifestarsi una forma singolare della curva di distribuzione delle entrate. Se, eccezionalmente, si verificasse più di frequente di quanto non avviene attualmente, che gli uomini della nostra società diventassero possidenti e redditieri, la curva dei redditi muterebbe forma. Ma qualunque sia la causa che potrebbe influenzare la curva attuale, l'effetto è sicuro; ed è soltanto in base alle considerazioni fatte su questa forma che derivano le conseguenze che andremo ad esporre.

ritroviamo nelle circostanze più varie: nel tiro a segno, nella misura d'una certa quantità, nell'osservazione dell'altezza delle reclute, ecc. Quando gli scarti sono possibili egualmente in più o in meno, la curva prende la forma d'un berretto di poliziotto. Per i redditi, gli scarti non sono parimenti facili nei due sensi, ed a tale circostanza, probabilmente, è dovuta la singolare forma della curva della ripartizione dei redditi. Se gli uomini superdotati fossero più numerosi di quelli che le nostre società hanno oggi, la curva dei redditi cambierebbe certamente di forma. Ma, quale che sia la causa che determina la forma attuale, l'effetto è invece quello. Proprio dallo studio di questa forma ricaviamo le conseguenze più sopra esposte.

 

Sono riconoscente a G. Sorel della critica, pubblicata ne " Le Devenir social ", del mio studio sulla ripartizione dei redditi, poiché tale critica precisa parecchi punti della teoria e rettifica un certo numero d'espressioni che ho avuto il torto di non spiegar bene, e che per conseguenza potevano indurre in errore il lettore. Voglio perciò approfittare delle osservazioni fattemi da G. Sorel per completare taluni punti della mia teoria.

Suppongo conosciuta la teoria esposta nel mio Corso, e di cui ho dato un riassunto nel " Monde Economique ". Si tratta d'una formula rappresentante il numero di persone y aventi un reddito superiore a x. Abbiamo

a essendo una costante, che per i redditi totali è piccolissima, quasi zero.

A che cosa s'applica la teoria? Alla ripartizione dei redditi espressi in numerario. Non si deve considerare punto la ripartizione di ciò che ho chiamato ofelimità, vale a dire il piacere, la felicità più o meno grande che procurano i redditi. Il che risulta implicitamente dalla lettura del mio testo, sennonché sarebbe stato opportuno esplicitarlo meglio di quanto l'abbia fatto. Su tale punto, quindi, le osservazioni del Sorel sono pertinenti.

Quali sono le basi statistiche della formula? Quelle fornite dai dati statistici delle imposte sul reddito. Questi dati sono incerti, ed io stesso non ho mancato di sottolineare cotesto elemento. Eppure resta da vedere come e sino a che punto cotesta incertezza infidi la formula e falsi le conclusioni che se ne ricavano. Tutti i dati statistici, senza eccezione, sono, ora più ora meno, incerti. Le dichiarazioni d'età delle persone venute a morte non sono sicurissime, eppure proprio su quelle dichiarazioni si fondano le tavole di mortalità.

Conseguenze che si ricavano dalla formula: 1) Innanzitutto la forma della curva. Potrebbe darsi che vi fosse una causa agente in tutti i paesi e in tutti i tempi che determinasse una riduzione considerevole delle dichiarazioni (o valutazioni) di certi redditi. Ciò non è probabile (eccezion fatta per i piccolissimi redditi e per i molto grandi), ma non impossibile. Bisogna dunque ammettere che le costanti a ed i possano essere per i redditi reali leggermente differenti da quelle che sono statisticamente. 2) La costanza, o per dir meglio, la variazione in limiti ristretti della costante i. Ciò mi sembra il fatto più notevole, e comunque quello che risulta il più esattamente accertato, almeno per certi paesi e per certe epoche.

Facciamo come esempio la Prussia. Dal 1852 al 1894, la costante i è variata soltanto da 1,89 a 1,60. È un fatto incontestabile. La sola questione ancora dubbiosa è quella di sapere come cotesto fatto si sia prodotto. Si possono fare due ipotesi: a) la variazione del reddito è stata, in realtà, più considerevole di quella denunciata dalla leggera variazione di i, ma è stata compensata da un'altra variazione, in senso contrario, delle dichiarazioni dei contribuenti e delle valutazioni del fisco; b] le dichiarazioni e le valutazioni essendo in un certo rapporto incognito col reddito, la costante i è cambiata poco, dal 1852 al 1894, per queste dichiarazioni e valutazioni giacché l'altra costante, riferentesi ai redditi reali, è restata anch'essa invariata.

Possiamo aggiungere che simili risultati s'ottengono per altri paesi, l'Inghilterra, la Sassonia, ecc., per es. Bisogna credere che i contribuenti di questi paesi si siano messi d'accordo per correggere esattamente le variazioni del reddito, di maniera a mantenere costante una certa quantità i, di cui ignorano persino l'esistenza? Certamente no. La seconda ipotesi è sicuramente la più probabile; ed il fatto che i varii pochissimo per i redditi reali, almeno in certi tempi ed in certi paesi, mi sembra dimostrato.

Il mio dissenso su questo punto dal Sorel è originato, probabilmente, da un grosso malinteso. È dovuto proprio a quella questione su cui gli do adesso ragione. Sorel dice: " Gli apprezzamenti degli individui sulle inuguaglianze dì fortune variano rapidissimamente, mentre ; non patisce che debolissimi cambiamenti. Dal punto di vista sociale sono soprattutto quei sentimenti che debbono esser presi in considerazione, poiché sono proprio essi che ci eccitano ". Siamo d'accordo, senonché, in questo momento, non m'occupo di tale questione; m'interessa soltanto sapere se la quantità i varii poco o molto.

Su cotesto ultimo punto non posso accettare l'osservazione del Sorel, che mi porterebbe ad ammettere che la somiglianza delle curve per diversi paesi dipenda dalla scala ridotta dei disegni. Che si disegni, nella scala più piccola che si voglia, la mortalità infantile della Spagna o della Svezia, e si otterranno due curve diverse. Proprio così! Le curve della ripartizione delle ricchezze non appartengono allo stesso genere. Somigliano molto (senza perciò essere identiche) ad altre curve. Del resto la migliore prova si trova nel calcolo. A priori tutti credono che i debba essere diverso per l'Inghilterra e per l'Irlanda, o per la Prussia, nel 1852 e nel 1894. Al contrario, l'osservazione ci mostra che i valori di i differiscono poco. Ecco puramente e semplicemente il fatto straordinario, imprevisto di cui bisogna tener conto. Non l'esageriamo, ma non sottovalutiamolo neanche.

Sino a quali limiti di tempo e di luogo possiamo far valere il fatto che i varii poco? Considero la cosa dimostrata per i tempi e per i paesi per i quali abbiamo statistiche esatte delle dichiarazioni e valutazioni dei redditi. Insomma, mi riferisco unicamente a certi Stati europei ed alla seconda metà del nostro secolo. Lontano da questo terreno solido, non c'è posto se non per le congetture più o meno probabili.

Sorel osserva che per le città italiane si tratta di cifre minuscole. Ciò è esatto, parzialmente, ove si consideri isolatamente ogni città; ma se sommiamo, come m'è capitato di fare, le cifre concernenti varie città, s'ottiene un numero totale di 59.486 contribuenti, cifra non certo piccola.

Bisogna altresì notare che, quando restiamo nel campo delle probabilità, la riunione d'un gran numero di fatti, secondo un'unica direzione, assume un valore incomparabilmente più grande che se consideriamo ogni fatto in sé, isolatamente.

Mettere una pallina nera in un'urna, non ci dice granché sul colore delle palline contenute nell'urna stessa. Se ogni qual volta che tiriamo una pallina dall'urna, ci capita di estranee una bianca, e se ripetiamo tale operazione un numero infinito di volte, è ragionevole concludere che il numero delle palline bianche è di molto superiore a quello delle palline nere.

Quale valore hanno gli accostamenti fatti tra la nostra formula ed i fatti assai incerti rivelatici dalle vecchie statistiche? Unicamente valore indiziario; ci mostrano la direzione verso la quale bisogna spingere le ricerche. Le critiche del Sorel su tale punto sono assai sensate, ed io sono interamente d'accordo con lui nell'ammettere che non possiamo ricavare dimostrazione veruna da quelle imperfettissime statistiche. Eppure non me la sento di trascurarle completamente. È per lo meno singolare il constatare ch'esse collimano, in taluni casi, coi risultati dedotti dalla formula elaborata a partire da dati relativamente più sicuri. Una coincidenza fortuita è possibile, e può darsi che una stessa causa abbia prodotto i medesimi effetti osservati. Soltanto nuove ricerche potranno, però, illuminarci in proposito. Per il momento non conosciamo, ed è già molto, se non un certo numero d'ipotesi meritevoli d'esser esaminate.

Bisogna che aggiunga una precisazione su un altro punto esaminato dal Sorel. Nella formula che tratta della ripartizione dei redditi, vi sono due cose da tener presenti: 1) La forma della curva; 2) Il valore delle costanti.

Quanto alla forma della curva, poiché la formula contiene tre costanti da determinare, si può sempre far passare una curva siffatta attraverso tre punti scelti arbitrariamente. è solo in questo senso che dobbiamo intendere l'osservazione, citata dal Sorel, che abbisogniamo d'almeno tre punti per determinare la curva. Quanto poi al valore delle costanti, dal momento che i tre punti sono scelti arbitrariamente, non potremo mai ottenere, in linea generale, uno stesso valore.

Per il Perù la curva è determinata da quattro punti. È della stessa fatta di quella data dalla nostra formula. Non c'è niente di straordinario in ciò, come osserva esattamente il Sorel. Ciò che invece è assai straordinario è che la costante i è 1,79, ed a quasi zero. Può darsi che sì tratti di una coincidenza fortuita, ma siccome è assai singolare, bisognava quindi sottolinearla.

Se segnate, a caso, tre punti, voi potete far passare per questi tre punti una curva molto simile a quella che noi esaminiamo. Se poi ne segnate quattro, non è difficile ottenere una curva dello stesso genere e non molto dissimile. Ma se avete veramente scelto i quattro punti a caso, è molto improbabile che otteniate a uguale a zero anziché ad un numero qualsiasi e che il valore di i si trovi precisamente tra 1,5 e 2 e non già al di fuori di questi limiti.

La formula trovata può estendersi ad altri fatti economici? La questione dovrebbe esser studiata; per il momento dob biamo esser prudenti. La formula è ben dimostrata unicamente per i redditi totali. Quando si tratta d'un reddito parziale, un gran numero di fatti sembra mostrare che la formula possa ancora applicarsi a condizione di prendere per a valori diversi da zero.

Benini ha provato ad applicare questa formula ad altri fatti economici; ma le sue ricerche sono viziate da un difetto grave, che del resto gli abbiamo già segnalato. Suppone a priori che a sia uguale a zero. Ciò non è consentito; l'osservazione, le cifre debbono fissare il valore di a. Benini ha promesso di rifare i calcoli tenendo conto di tale dato di fatto. Bisognerà studiarli con cura, ma sinché non li avremo, è arrischiato voler tirar delle conclusioni generali.

La nostra formula esprime altresì la ripartizione delle azioni del Credito fondiario, qual è stata rivelata dal Neymarck. Può darsi che si tratti d'una pura coincidenza. Des Essars ha promesso di comunicare alla Società di statistica di Parigi la ripartizione dei depositi della Banca di Francia. Questi dati saranno utilissimi e ci permetteranno di stabilire se il fatto osservato quanto alla ripartizione delle azioni del Credito fondiario sia unico oppure no. Sorel osserva esattamente che la ripartizione dipende dalle condizioni economiche. Teniamo a precisare che unicamente per il reddito totale abbiamo supposto, del resto sotto forma di semplice ipotesi, che le qualità degli uomini potrebbero determinare la curva della ripartizione: ciò potrebbe spiegare perché essa varii sì lentamente nel tempo e nello spazio, persino quando le condizioni economiche variano considerevolmente. Tale fatto è sicuro per certi paesi e per certe epoche. Si tratta solo di spiegarlo.

Non sono d'accordo con Sorel circa le società antiche. Non ritengo impossibile che la ripartizione della ricchezza vi fosse simile a quella osservata nelle nostre società. Potrei addurre varie ragioni, ma sarebbe lungo dimostrarle. D'altronde, siccome nessuna di queste ragioni è determinante, posso anche ammettere che la mia opinione sia erronea.

Che senso dobbiamo dare al termine: diminuzione dell'ineguaglianza dei redditi? A tale proposito Sorel fa una serie di ottime osservazioni. È meglio abbandonare un termine sì ambiguo. Se m'è capitato d'usarlo, è stato perché volevo evitarmi discussioni oziose, come quelle originate dall'uso del neologismo ofelimità.

Se avessi ancora un po' di spazio, aggiungerei altre osservazioni suggeritemi dall'articolo del Sorel. Voglio però dire che ho sempre considerato la mia teoria come una tappa intermedia sulla strada che ci condurrà a risultati importanti. Lo studio del Sorel mi sembra notevolissimo perché ci fa avanzare molto lungo questa strada, e per conseguenza ci avvicina alla verità.