Mario Moroni - Francesco Barbesino

Apologia di un falsario
Un’indagine sulla Santa Sindone di Torino

Nuova edizione ampliata e corretta



Indice

Premessa

Introduzione

Alla ricerca della data di nascita

Un grande tecnologo

Il Telo
L’immagine
Il dipinto
L’impronta termica
Radiazioni nucleari ed altre forma di energia
Immagini naturali negative
Genesi naturale per contatto
L’incendio del 1532 confonde le carte
Una prima considerazione

Un grande conoscitore del mondo antico

Gli aromi
Il terriccio
I pollini

Un dotto anticonformista

La flagellazione
Il casco di spine
La ferita al polso sinistro
…ed al piede destro
La ferita al costato
La moneta sull’occhio destro
…e sul sopracciglio sinistro
Una seconda considerazione

Uno spiraglio di luce

Le analisi con il C14
La risposta degli oscurantisti

Considerazioni finali ma non… conclusive

Indice dei nomi

Immagini




 

Premessa

Tempo fa un bello spirito mise in dubbio che Napoleone fosse mai esistito. La cosa non è poi tanto paradossale. Se si pone in discussione sistematicamente tutto, dall'autenticità dei documenti, alla veridicità dei testimoni, alla significatività dei reperti si può resistere una vita nelle proprie negazioni. Certamente non basta un indizio a definire l'origine di un documento o di un reperto storico. Quando tuttavia gli indizi si moltiplicano, concordano tra loro e confluiscono verso una conclusione si fa strada lentamente una ragionevole certezza.

Le conoscenze acquisite nelle più svariate discipline su quel venerato reperto storico che è la S. Sindone di Torino, forniscono numerosi e concordi indizi della sua autenticità. Per noi che non veneriamo la Scienza, è pacifico che non possiamo attendere da essa responsi definitivi e che mai raggiungeremo la Verità, che dispone di ben altre vie per manifestarsi che non quelle delle indagini tecnico scientifiche.

In ogni caso i limiti propri di ogni ricerca sui documenti storici, non autorizzano l'obiezione selvaggia di cui dava prova quel negatore di Napoleone di cui dicevamo.

Il quale non manca, però, di imitatori. Nei dibattiti sulla Sindone di Torino si inserisce spesso chi ripresenta vecchie tesi da tempo confutate, obiezioni alle quali si è da tempo risposto, o ne inventa di nuove a gettito continuo. Siamo nell'epoca della propaganda: l'importante è presentare le proprie tesi a muso duro, senza incertezze. V'è sempre un numero sufficiente di distratti o disinformati per ottenere un'ottima audience. Anche se qualcuno si affannasse a dimostrare il contrario gli occorrerebbe molto tempo per analizzare, verificare e ribattere: così il colpo riesce quasi sempre.

Se la scienza ha raggiunto oggi, come ci informano i sociologi, i livelli minimi di consenso degli ultimi duecento anni questo si deve anche ai molti uomini di scienza nei quali i preconcetti e l'ansia di protagonismo sono di gran lunga preminenti rispetto alla ricerca della verità.

Non si tratta di essere asettici, di rinunciare alle proprie ipotesi di lavoro ma semplicemente di verificarle con l'insieme dei fatti accertati prima di parlare.. Sembra talvolta che le ideologie, non contente di aver devastato il campo della politica, vogliano ridicolizzare quello della scienza.. In effetti è proprio delle ideologie assumere un particolare come chiave di interpretazione generale della realtà, e quando si vuol trarre da un solo elemento di analisi dei risultati conclusivi, trascurando il carattere interdisciplinare che è proprio di qualsiasi ricerca, ci si pone in un atteggiamento che è al tempo stesso ideologico ed antiscientifico.

La S.Sindone di Torino è il risultato della confluenza di numerosissimi fattori alcuni noti ed altri non ancora perfettamente definiti. Questa confluenza è in sé un miracolo non nel senso che sia necessariamente impossibile sviluppare un modello (certamente complesso) che permetta un giorno di riprodurre in ogni particolare la veneranda reliquia, ma nel senso che alcune coincidenze lasciano stupiti. Accadde lo stesso all'esperto di statistica dell'apologo quando uno scimpanzé, battendo a caso i tasti di una macchina per scrivere iniziò a comporre, senza errori, un canto della Divina Commedia, cosa che per altro l'esperto aveva ipotizzato come possibile.

In verità si manifestano talvolta delle coincidenze del tutto impreviste che, anche se possono trovare una spiegazione nel campo dei fenomeni a noi noti, sembrano strettamente imparentate al miracolo. La Sindone ne è un esempio.

Così, per parlare di questa venerata reliquia, ci siamo inventati un superuomo così colto, così abile, così modesto, così intellettualmente superiore ai suoi tempi da ricordare da vicino lo scimpanzé dell'apologo. Questi, con la sua fortuna sarebbe stato certamente in grado di fabbricare, senza incertezze, il Telo di Torino, al contrario di tutti coloro che, non godendo della predetta fortuna, avranno bisogno di tempo, di maggiore pazienza e di minori pregiudizi. E, naturalmente, dell'aiuto del buon Dio.

Gli autori

 

 

Introduzione

Per secoli i nostri ingenui e creduloni antenati hanno ritenuto, in buona fede, che sulla Sindone che si conserva a Torino nella cappella di sinistra (fronte all’altare maggiore) del transetto del Duomo si fosse impressa, per cause naturali o miracolose, la sembianza umana di Gesù crocifisso. Oggi il panorama è mutato. Diversi scienziati e cattedratici di chiara fama ci impongono di rivedere queste fanciullaggini, eredità di tempi immaturi, partendo da un postulato di solare evidenza: la Sindone è un'icona fabbricata in tempi posteriori a quelli della Passione. Inutile dire che sarebbe molto utile, quasi un dovere civico, scacciare anche il più piccolo dubbio al riguardo: dobbiamo tutto alla scienza, dal filo spinato alla bomba atomica, e agiremmo da insensati se non ci attenessimo, nel caso specifico, alle indicazioni ed ai suggerimenti di alcuni illustri personaggi che da anni si dedicano con passione ad un'opera di radicale smitizzazione.

Proprio partendo dal predetto postulato ci siamo messi alla ricerca del falsario o dell'artista (il dolo è tutt'altro che implicito) autore della celebre icona. Il presente scritto è la descrizione di questa fortunosa ricerca e dei risultati ottenuti, che sottoponiamo, serenamente, al giudizio del lettore.

Alla ricerca della data di nascita

Quando si va alla ricerca dell'incipit di questa lunga storia e si tenta di individuare la presumibile data di nascita di colui che a nostro giudizio non fu un falsario, ma un grande nella storia del progresso umano, l'autore della Sindone appunto, già dai primi passi si incontrano purtroppo gravissime difficoltà. I "patiti della Sindone" sottolineano a gran voce l'esistenza di elementi, sparsi un po' ovunque, che comproverebbero l'esistenza della Sindone già dai primi secoli dell'era cristiana e renderebbero plausibile far risalire il loro venerato manufatto all'epoca di Gesù. La loro tesi è che attraverso i secoli l'arte paleocristiana e successivamente quella bizantina abbiano ripreso i tratti somatici del volto raffigurato sulla Sindone (1) in quanto ai loro occhi tale immagine, considerata autentica, godeva di grande autorevolezza. Si citano, ad esempio, un sarcofago conservato in S.Ambrogio a Milano del 380 d.C., un affresco delle catacombe di Comodilla a Roma del IV secolo, un icona del VI secolo conservata nel monastero di S. Caterina al monte Sinai. Anche gli imperatori bizantini non mostrarono grande fantasia nel rappresentare il volto del Salvatore che mantennero identico da Giustiniano II (692), a Michele III (843), Basilio I macedone (869), Costantino VII e Romano I (945-959), Romano III (1030 circa), e Manuele I (1180 circa), sino all'anno precedente alla caduta di Costantinopoli a seguito della quarta crociata. Per mostrare che quello riprodotto è il volto sindonico fanno combaciare due semivolti, quello della Sindone e quello tratto dall'icona, dall'affresco o dalla moneta in modo che vi sia una perfetta continuità tra i due lati dell'immagine, oppure, con un metodo in uso nelle perizie giudiziarie per il riconoscimento delle impronte digitali, o dei tratti somatici, sovrappongono le immagini a quelle del volto della Sindone e determinano le corrispondenze che si osservano tra di esse, quelli che chiamano i punti di congruenza. Puntigliosamente fanno notare che nei tribunali degli Stati Uniti bastano 14 punti di congruenza perché il riconoscimento divenga ufficiale ma loro, ad esempio, ne hanno trovato ben 145 tra il volto sindonico ed una moneta di Giustiniano II! (2)

Queste esperienze, anche se assai suggestive, non dimostrano tuttavia che il genio che andiamo a svelare non sia esistito ma, semplicemente, che i tratti del volto di Gesù erano noti dai primi secoli dell'era cristiana (forse la Sindone originale?) e che il maestro ben li conosceva, poiché li ha riprodotti con ogni perfezione. Così come conosceva assai bene la tradizione iconografica bizantina che ha rappresentato per secoli, come nella Sindone, un Cristo zoppo al piede destro (3). Naturalmente tutto questo non fornisce alcun contributo alla determinazione della data di nascita del nostro eroe che avrebbe potuto veder la luce in un secolo qualsiasi della nostra era senza incidere, per quelle caratteristiche di estrema modestia e riservatezza che gli erano proprie e che avremo modo di illustrare, sulla cultura ed in particolare sulle arti figurative a lui contemporanee.

V'è tuttavia nella nostra ricerca un punto fermo. Il maestro deve essere nato certamente prima dell'anno di grazia 1356, poiché sappiamo da documenti certi che la sua Sindone compare in Francia a Lirey, diocesi di Trojes e ne è proprietario Geoffry I di Charny, porta orifiamma del re di Francia, che muore appunto il 19 settembre del 1356 durante la battaglia di Poitiers. Quello stesso anno, dopo aver eretto una chiesa collegiata a Lirey (villaggio nel suo feudo a 10 chilometri da Trojes), aveva affidato ai canonici di questa la Tela per la sua ostensione (4). Si racconta che il lenzuolo sia stato donato al conte Geoffry I di Charny dal re Filippo IV di Valois come ricompensa del valore mostrato durante l'assedio di Calais. Si fa credere al popolino (o lo credono gli stessi Conti?) che si tratta del lenzuolo funebre entro il quale era stato avvolto Gesù nel Sepolcro.

Tuttavia quando, una trentina d'anni più tardi, dopo un periodo nel quale la regione venne travagliata da numerose guerre la Sindone ricompare in pubblico e Geoffry II, succeduto al padre, riceve le concessioni regia e pontificia all'ostensione (1389), trova la netta opposizione del vescovo diocesano monsignor d'Arcis, che ricorre a sua volta al re per la revoca di tale concessione. Stanco delle polemiche sorte tra i canonici ed i signori di Charny da una parte ed il vescovo d'Arcis dall'altra, papa Clemente VII emette nel gennaio del 1390 una bolla ove si impone di dire che il Telo non è la vera Sindone, ma una copia e una raffigurazione (pictura seu tabula) fatta ad imitazione di essa. Sembra un giudizio definitivo ma nel giugno dello stesso anno viene emessa una nuova bolla nella quale vengono concesse nuove indulgenze a coloro che visiteranno a Lirey la chiesa ove viene conservato "con venerazione, il sudario con l'impronta o immagine di nostro signor Gesù Cristo". A quanto pare i Charny si sono difesi con efficacia da quella che suonava come un'implicita accusa di frode più o meno volontaria. Ma monsignor d'Arcis non demorde. Offeso per la mancanza di riguardo nei confronti della sua autorità prepara una bozza di memorandum che diverrà famosa perché in essa si afferma esplicitamente che anche la prima ostensione nel 1355 era avvenuta senza l'autorizzazione del suo predecessore, il vescovo di Troyes, Enrico di Poitiers, e che questi aveva condotto un'indagine sul telo e scoperto il pittore, reo confesso, che l'aveva astutamente dipinto. I responsabili dell'inganno, vistosi scoperti, avevano nascosto il Lenzuolo sino al 1389.

Disgraziatamente possediamo solo due copie del memorandum, delle quali una si può ritenere la bella copia dell'altra: sono prive di data e di firma. I fedeli della Sindone non mancano di far osservare che negli scritti di Clemente VII riguardanti la Sindone non si trova alcun riferimento al documento, mentre sono ricordate le varie lettere dei Charny. Soprattutto nella lettera inviata al Vescovo è significativo che non si accenni al memorandum. Questo è in accordo con quanto è emerso dall'esame dei documenti depositati presso la Biblioteca Nazionale di Parigi relativo alla querelle tra mons. d'Arcis ed i signori di Charny che permette di affermare che lo scritto non è stato inviato mai alla corte di Avignone (5). Ma trascurando le solite prevenzioni, il memoriale purtroppo dice solo in modo molto generico di aver individuata la frode e il modo in cui il panno era stato dipinto ad opera di un artista, ma mancano i riferimenti relativi all'indagine condotta dal predecessore, Enrico di Poitiers, (atti del processo contro i Charny o altro documento) e, quello che più conta ai fini della nostra indagine, il nome del pittore che l'avrebbe dipinta. Perché, qui monsignor d'Arcis si sbaglia, se il presunto falsario e l'autore della Sindone sono la stessa persona, quello comparso alla presenza del suo predecessore non è un comune ladro di polli ma un genio la cui grandezza non può, neppure lontanamente, comprendere.

In ogni caso queste preziose copie del memoriale, ora in nostro possesso. sono considerate come la prova lampante che la Sindone è un dipinto del XIV secolo, o più correttamente, come diremmo noi oggi, un manufatto di origine alto medioevale. Soprattutto gli ambienti clericali più avanzati se ne sono convinti per primi: il canonico Ulisse Chevalier, dotto professore dell'Università cattolica di Lione, impegna, all'inizio di questo secolo, una vera e propria crociata con un fervore tale da richiedere un intervento della Santa Sede per spegnere un slancio ritenuto eccessivo (6). Sarà seguito dal gesuita Hebert Thurston a cui va il gran merito di aver demitizzato la Sindone nella omonima voce della Chatholic Encyclopedia.

Finalmente nel 1988 le analisi col carbonio 14 sono giunte a datare con grande precisione il telo: come gli esperti degli spettrometri di massa ad accelerazione (AMS) dei tre Laboratori incaricati delle analisi già prevedevano, il telo è risultato risalire ad una data compresa tra il 1260 ed il 1390. E' la dimostrazione definitiva che il lino della sindone di Torino è di origine medioevale, secondo quanto si legge sull'articolo della rivista Nature che riporta i risultati delle analisi.

Certo bisogna ammettere che del maestro della Sindone sappiamo ben poco; è possibile tuttavia che questa sia un'illusione ottica, per noi uomini di una società in cui tutti sono catalogati, fotografati e schedati più volte. Se procediamo, per così dire, in controluce, ci accorgiamo che sappiamo di Lui molto di più di quello che sembrerebbe a prima vista. Vissuto con ogni probabilità nel XIV secolo in Francia, parla ancor oggi di sè attraverso il suo capolavoro. E per rendere ancor più vivida l'immagine che ne emerge separeremo le doti tecniche da quelle artistiche e da quelle morali, senza trascurare tuttavia anche il suo prodigioso sapere.

Un grande tecnologo

Il Telo

Cominceremo anzitutto dal telo: come è noto la Sindone è un lungo lenzuolo funerario di lino grezzo tessuto a mano, con disegno a lisca di pesce, lungo 4,36 m e largo 1,10 m. La lunghezza è giustificata dal fatto che una parte del telo veniva posta sotto il cadavere mentre la rimanente, ripiegata, ne ricopriva la parte anteriore. La tessitura a spina di pesce o a saja (sergé dei francesi), che si ottiene scavalcando con la spola due o più fili per ottenere un gradevole effetto estetico e un panno molto morbido, sembra fosse nota già dal lontano neolitico ed è stata osservata negli antichi reperti di lini siriaci, egizi, ebraici e romani (7). Tuttavia secondo un noto esperto tessile, Gabriel Vial, se si considerano i tre elementi costitutivi del tessuto: l'armatura, la materia prima, l'intreccio trama-ordito, il Telo della Sindone non ha paragoni. Nessuno dei tessuti antichi o più recenti rispecchia completamente le caratteristiche riscontrate su di esso. Taluni ne deducono che tra i pochi lini antichi tutt'ora conservati, quelli simili alla Sindone sono andati casualmente perduti, ma quale prova migliore che un genio solitario ne è l'artefice? Persino la torcitura delle fibre (Z) è inusuale. In ogni caso i tessuti siriaci e palestinesi di età imperiale presentano lo stesso tipo di torsione. Il nostro artefice ha lasciato nel Telo, come se si fossero casualmente impigliate durante la lavorazione, anche alcune fibre di cotone che il prof. Raes, un altro esperto tessile, ritiene del tipo "erbaceum", proveniente dall'area egizio-palestinese (8). Al contrario non sono state trovate tracce di lana e benché alcuni attribuiscano il fatto a pura casualità, altri ricordano che secondo la legge mosaica (Deuteronomio XXII, 11) era severamente proibito mischiare fibre vegetali a fibre animali e che gli ebrei usavano appunto telai diversi per i tessuti di lino (e cotone) e per quelli di lana.

L'immagine

Come tutti sanno la Sindone riproduce in grandezza naturale l'immagine frontale e dorsale di un corpo umano definito con ricchezza di dettagli. Le due immagini, che si contrappongono per la testa, mostrano un corpo non lavato, completamente macchiato di sangue ed un volto contuso con lunghi capelli, barba e baffi. L'impronta vera e propria tenuemente sfumata, di color bruno chiaro, emerge dal fondo della stoffa per una lieve differenza nell'intensità di colore mentre in diversi punti del corpo come, ad esempio, sulla fronte, ai polsi, ai piedi ed al costato spiccano ampie macchie di colore rosso scuro e moltissime altre, più piccole, sparse per tutto il corpo.

L'immagine è dunque molto debole e a bassissimo contrasto con il supporto di tela. Solo a distanza di alcuni metri è possibile individuare i bordi dell'immagine (9) perché emergono le lievi differenze tra l'impronta ed il lino circostante. Ogni filo del tessuto è composto da 50-100 fibrille attorcigliate tra loro: nella zone in cui affiorano in superficie il chiaroscuro non è provocato da una diversa intensità di colorazione poiché sono tutte colorate in modo uniforme, ma dalla loro densità. Al microscopio le fibrille che producono l'immagine si presentano più erose e riflettono la luce più delle altre. L'ingiallimento sembra si debba attribuire ad una ossidazione e disidratazione, con conseguente degradazione, della cellulosa che compone le fibrille (10).

L'immagine della Sindone ed in particolare del Volto del Salvatore, quello che tutti i cristiani conoscono, riprodotto in migliaia e migliaia di copie è stata scoperta durante l'Ostensione che ebbe luogo a Torino dal 25 maggio al 2 giugno del 1898. Questa era stata concessa da Casa Savoia, allora proprietaria della Sindone, in occasione delle nozze del Principe ereditario Vittorio Emanuele con Elena del Montenegro. L'avvocato Secondo Pia, un fotografo non professionista di fama internazionale, era stato autorizzato a scattare alcune fotografie del Telo. Dopo alcuni tentativi non completati per difficoltà di illuminazione, il 28 maggio venivano scattate alcune lastre 50 x 60. Il Pia stesso le sviluppava in camera oscura. Ne usciva con una lastra del negativo ancora gocciolante che mostrava al suo collaboratore: Varda Carlin se su si a l'è nen an miracul! (Guarda Carlino se questo non è un miracolo!) (11). Ne emergeva un ritratto in negativo perfettamente visibile nel quale le zone in maggior rilievo erano le più scure, e più chiare quelle rientranti.

Come non pensare ad uno spirito bizzarro che ha creato un positivo evanescente in attesa che, con tecniche nuove, i posteri potessero decifrare l'immagine? Probabilmente non ricorrendo ad una tecnica pittorica che male si accorderebbe con la colorazione superficiale delle fibrille in attesa dell'inversione fotografica che fa emergere inaspettatamente i tratti evanescenti.

Il dipinto

Tuttavia l'ipotesi che una tecnica pittorica sia alla base della realizzazione dell'immagine trova ancor oggi credito presso numerosi scienziati e ricercatori privati. Purtroppo questi volonterosi spesso non tengono conto dei dati storici certi e delle oggettive caratteristiche dell'oggetto e propongono soluzioni non del tutto soddisfacenti. Ad esempio, si è costatato che a meno di un metro di distanza i bordi dell'immagine scompaiono (per la cosiddetta inibizione neurale laterale) ma nulla vieta di pensare che il nostro artista abbia dipinto stando ben discosto dalla tela ed utilizzando un pennello molto, molto lungo. Tuttavia è azzardato sostenere come Maria Consolata Corti e gli inglesi Clive Price e Lynn Picknett che la Sindone è opera di Leonardo da Vinci. Questi ultimi, per inciso, attribuiscono a Leonardo anche l'invenzione della macchina fotografica: il volto dell'Uomo della Sindone sarebbe un autoritratto fotografico mentre il corpo apparterrebbe ad un uomo crocefisso appositamente. Purtroppo, come si è già accennato, documenti certi e numerosi della presenza della Sindone in Francia (trascurando quelli precedenti, spesso citati dai patiti del Telo) risalgono a metà del XIV secolo, cioè a cento anni prima della nascita di Leonardo (1452).

Uno dei più autorevoli sostenitori della tesi che la Sindone è un'opera pittorica del XIV secolo è lo statunitense Walter Mc Crone esperto di microscopia e microanalisi. Questi ha avuto la possibilità di eseguire una serie di osservazioni al microscopio ed analisi su campioni di polveri prelevate con nastri autoadesivi nel 1978 da Ray Rogers in 32 zone della Sindone ritenute significative. Mc Crone, riscontrò la presenza di ossido di ferro (Fe2O3) costituente fondamentale dell'ocra rossa in diversi punti della Sindone: era presente sia sull'immagine che sulle macchie di sangue. Comunicò allora di aver scoperto che un artista medioevale aveva utilizzato l'ocra rossa per ritoccare o creare l'immagine. Il colore giallastro delle fibrille di lino sarebbe dovuto all'invecchiamento di una colla di origine animale, usata come fondo prima di eseguire la pittura. Infine Mc Crone individuò un secondo pigmento rosso usato in passato dai pittori: il vermiglione (è il solfuro di mercurio detto anche cinabro). Si trattava dunque in tutto e per tutto di un'abilissima e studiatissima opera d'arte ove l'artista aveva utilizzato una miscela di due pigmenti: l'ocra (in soluzione molto diluita trattenuta sulla tela dalla colla animale) per le immagini del corpo e questa mescolata al vermiglione per le macchie di sangue.

Naturalmente le obiezioni non tardarono a fioccare: si analizzarono nuovamente i nastri adesivi senza riscontrare alcuna reazione al mercurio, risultato che suggeriva di escludere la presenza di vermiglione che, d'altra parte, avrebbe dovuto annerirsi col passare del tempo. Tracce di tintura o di pigmento non sarebbero presenti nemmeno nella zona dell'immagine (12). Infatti il grado di purezza riscontrato nell'ossido di ferro presente, esclude pigmenti naturali costituiti da "terre". Si trovano grandi quantità di ferro (e di calcio) in conseguenza del processo di macerazione usato nella preparazione del lino, prevalentemente sotto forma di chelato cellulosico; naturalmente gli spettri di questo composto del ferro presentano lunghezze d'onda completamente diverse da quelle segnalate da Mc Crone (13).

L'esame al microscopio non aveva rilevato tracce di cementazione delle fibrille né scorrimento capillare di liquido. Anche la fluorescenza ai raggi X non era stata in grado di individuare la presenza di pigmenti organici: non si notavano differenze significative nella composizione degli elementi tra l'area dell'immagine e quella di base. Venne fatto presente inoltre che tracce di ferro, quali quelle individuate da Mc Crone (14), non sarebbero state in grado di creare un'immagine percepibile ad occhio nudo. Inoltre l'ossido di ferro (Fe2O3) in dimensioni sub-microniche, che inizialmente Mc Crone riteneva di aver individuato, è disponibile solo da duecento anni. Si fece rilevare che al contrario le comuni ocre rosse sono utilizzate quale materiale pittorico da migliaia di anni e non si comprende perché Mc Crone attribuisca quella da lui osservata necessariamente al XIV secolo. Infine i presunti pigmenti non presentavano nessuna delle trasformazioni che si sarebbero dovute produrre in seguito ad un avvenimento certo: l'incendio della Santa Cappella di Chambery del 1532 che avviluppò il reliquiario ove era conservato il Telo danneggiando la Sindone stessa. Si è osservato al contrario che dove le bruciature intersecano l'immagine non vi è variazione nel tono di colore né nella densità di questo. Inoltre l'acqua di spegnimento che scorreva sul telo non è stata inibita dalla presenza dell'immagine come sarebbe avvenuto in presenza di sostanze idrorepellenti quali ad esempio olio e cera.

Anche nel caso delle tracce di sangue il dottor Mc Crone, come tanti altri prima e dopo di lui, ha sottavalutato la genialità del nostro artista che non si è limitato ad una lontana verosimiglianza, ma con ogni probabilità ha usato sangue vero. Il rivestimento rossiccio delle fibrille si scioglie completamente, in una soluzione di enzimi, la proteasi, usata per individuare le proteine, ed è quindi un possibile indice della presenza del sangue (15). Prove microchimiche per l'individuazione di proteine (sensibilità sino a 1-10 nanogrammi) estese a fibrille provenienti dalle diverse regioni del Telo diedero risultato positivo solo nelle aree del sangue. Inoltre al bordo delle macchie di sangue si trovano delle fibrille rivestite di una patina giallo oro la quale fornisce un risultato positivo al test dell'albumina e negativo per l'emoglobina; la patina inoltre si scioglie in proteasi. Sono le caratteristiche tipiche del siero del sangue che confermano i risultati delle analisi fisiche che indicavano come siero l'alone (invisibile ad occhio nudo) attorno alle principali macchie di sangue, visibile solo ai raggi UV (16). Si è pertanto avanzata l'ipotesi che le particelle rosse di ocra siano in realtà piccole scaglie di sangue distribuite su tutto il Telo, a causa dei numerosi ripiegamenti. .

Ricerche successive al 1979 sembrerebbero confermare ulteriormente le gravi obiezioni che si oppongono all'ipotesi del dott. Mc Crone che tuttavia non desiste, con sempre nuove ricerche, dal difendere coraggiosamente la propria interpretazione.

Una prima caratteristica che si oppone all'ipotesi pittorica è una singolare proprietà dell'immagine della Sindone comunemente indicata come tridimensionalità e che consiste nel fatto che essa contiene l'informazione relativa ad una terza dimensione. Occorre premettere che le normali fotografie hanno solo due dimensioni. La profondità è suggerita dalle ombre ed elaborata inconsciamente nel cervello di chi osserva l'immagine. Tuttavia vi sono fotografie, quelle stellari, nelle quali la luminosità dell'immagine è in rapporto con la distanza reale della stella. Ipotizzando che potesse esistere una relazione tra il grado di imbrunimento dei vari punti dell'immagine del Telo sindonico e le distanze di un corpo ad esso soggiacente, venne utilizzato un analizzatore di immagini stellari per sottoporre ad analisi le fotografie ufficiali della Sindone, scattate in anni diversi. In effetti si è constatato, a differenza di quanto avverrebbe con le normali fotografie, nelle quali, come si è detto, la profondità è solamente intuita attraverso le ombre prodotte dall'illuminazione, che l'immagine contiene l'informazione relativa ad una terza direzione. La luminosità è in rapporto matematico con la distanza che intercorre tra il corpo ed il tessuto. E' più brillante nelle zone di contatto (ad esempio, naso, fronte e sopracciglia) e diminuisce al crescere della distanza corpo-telo. Trasformando punto per punto le varie intensità luminose in rilievi verticali di altezza diversa si ottiene un'immagine tridimensionale del corpo proporzionata e senza distorsioni. Al contrario, l'esperimento ripetuto su fotografie di copie pittoriche assai accurate della Sindone forniva risultati deludenti.

Una seconda caratteristica, individuata mediante analisi elettroniche assai sofisticate, è la mancanza di direzionalità dell'immagine. Utilizzando un microdensitometro si misurava il grado di maggior o minore annerimento di migliaia di caselle nelle quali era stata scomposta l'immagine fotografica della Sindone. Associato un valore numerico, in base al loro grado di annerimento, ad ognuna delle caselle misurate, si procedeva all'elaborazione digitale dell'immagine. Con particolari accorgimenti (filtri numerici) era possibile sottrarre all'immagine complessiva le informazioni relative al telo di supporto, isolando l'impronta. Questa non presentava all'analisi matematica quelle tracce di direzionalità che sono inevitabili in ogni applicazione manuale del colore.

In seguito, con l'uso di altri filtri numerici, si giunse persino ad eliminare le macchie di sangue ed i segni delle ferite dal volto, così da ottenere un viso maestoso e sereno.

Naturalmente questo non prova nulla se non il fatto che anche i ricercatori più seri difficilmente possono rendersi conto, come diversi secoli prima monsignor d'Arcis, della genialità e dello spirito bizzarro del nostro artista. E le prove di ciò si sprecano. Ad esempio si è osservato che se si rimuovono i piccoli grumi di sangue che coprono le fibrille nella zona dell'immagine, o si sciolgono completamente in proteasi quelli presenti sulle fibrille prelevate dalla Sindone, queste ultime presentano segni di erosione molto limitati, paragonabili a quelli delle zone del Telo prive d'impronta, e così pure avviene sotto gli aloni del siero (17). Il sangue è dunque arrivato prima che si formasse l'impronta: disporre le macchie di sangue e poi dipingere nello spazio libero un'immagine anatomicamente congruente non è cosa da poco! E non si creda che nel dipingere sia stato usato sangue prelevato in precedenza perché gli aloni di siero visibili attorno alle chiazze di sangue ci fanno certi che si tratta di sangue coagulato che sgorgava da un corpo vivo poiché nel sangue che sgorga da una persona morta la parte bianca sierosa è separata da quella rossa e solamente la ferita al torace presenta tale caratteristica morfologica.

Questa osservazione richiama una delle ipotesi più radicali che siano state avanzate sulla formazione dell'immagine. Un'ipotesi in un certo senso molto semplice: che si tratti dell'impronta di un uomo del medioevo effettivamente crocefisso, flagellato, coronato di spine, con il costato trafitto da un colpo di lancia. Non un comune condannato a morte perché nessuno nel medioevo avrebbe eseguito la condanna in modo tanto stravagante ed estranea alle comuni esecuzioni capitali ma un povero diavolo sottoposto, Vangelo alla mano, alla Passione di Gesù. Probabilmente in un deserto castello (dei Templari?) popolato da monaci sadici tratti direttamente dal film "Nel nome della rosa" o dai fumetti di Dylan Dog (18).

Tuttavia anche le ipotesi più semplici presentano qualche difficoltà. Non è scontato che i falsari sapessero che il cadavere avrebbe lasciato l'impronta sul lenzuolo, nè che conoscessero le modalità della crocifissione romana abbandonata nel peggiore dei casi da sei-settecento anni ed altri particolari, sui quali avremo modo di ritornare, noti solamente nel XX secolo e in netto contrasto con tutta l'iconografia medioevale: ad esempio i segni di schiacciamento sulle spalle lasciati dalla trave orizzontale (veniva trascinato dal condannato solo il braccio orizzontale o patibulum e non la croce intera), un cespuglio di rovi calcato sul capo e non la tradizionale corona di spine , come avremo, in seguito, modo di approfondire.

Inoltre si è fatto notare che esistono tutt'oggi una quarantina di sindoni tutte in passato piamente visitate da migliaia di pellegrini i quali non si ponevano problemi di autenticità. Al massimo la copia era autentica perché si riteneva fosse stata a contatto fisico con l'originale o incorporasse una particella di questa. Non diversamente alcuni re prendevano possesso del regno facendosi deporre, assisi in trono, sul patrio suolo, stabilendo così un contatto fisico col proprio territorio. Non v'era dunque bisogno, in secoli di fervente pietà popolare, di studiare tanto e di giungere ad assassinare qualcuno per far credere autentica una reliquia.

Rimarrebbe inoltre da chiarire un altro mistero che in verità è tale ancor oggi anche per noi: come sia stato possibile interrompere il contatto del corpo col lenzuolo senza strappare i grumi di sangue e senza danneggiarne i contorni, poiché questi, che si presentano intatti, indicano chiaramente che il corpo non è stato rimosso sollevando il telo. E' noto tuttavia, almeno approssimativamente, il tempo durante il quale il corpo è rimasto a contatto col telo poiché sulla base dei meccanismi di fibrinolisi (19) solo dopo un tempo di contatto di 36-40 ore si ottengono impronte ematiche perfettamente decalcate e dai contorni precisi come quelle della Sindone (20). Quest'ultimo dato, della permanenza del corpo nel sudario per 36 ore, è in realtà plausibile se si accetta la tesi di una ripetizione puntuale delle vicende narrate nei Vangeli anche se è difficile immaginare come siano riusciti a separare il corpo dai decalchi di sangue. Tuttavia anche l'assenza di tracce di un inizio di putrefazione confermerebbero che se un corpo è stato avvolto nel sudario non vi è rimasto a lungo.

Per scoprire la tecnologia del nostro genio occorre, a nostro avviso, volgersi ad altre soluzioni. Ne sono state proposte numerosissime dalle più sofisticate alle più fantasiose. Trascurando le ipotesi miracolistiche osserveremo le più interessanti tra esse e le obiezioni, spesso sensate, che fanno sì che molte si elidano tra loro. La verità è che si suggeriscono metodi relativamente semplici che presuppongono implicitamente un semplice falsario ma alla fine dell'indagine non si potrà non riconoscere la grandezza assoluta dell'artista dal nome tuttora ignoto che si cela dietro la Sindone. Incominciamo con le ipotesi di formazione dell'immagine. La prima presuppone che questa sia ottenuta mediante calore utilizzando un bassorilievo metallico riscaldato.

L'impronta termica

Nel 1966 Geoffrey Ashe diede la notizia definita "piuttosto curiosa", di come ottenere un'immagine negativa sfumata, di color seppia, su una tela quando questa fosse posta a contatto con un oggetto metallico surriscaldato.

Nel caso specifico si trattava di un medaglione di bronzo, di circa 9 cm di diametro, con raffigurato al centro un cavallo in rilievo (21). A circa vent'anni di distanza l'ipotesi del contatto termico venne ripresa e sostenuta, quale vera causa della formazione dell'immagine sindonica da alcuni studiosi (22) con il lodevole intento di dimostrare che la Sindone è opera di un personaggio definito come un abilissimo falsario del 1300 (23). Con ipotesi analoghe altri ipotizzano che per ottenere un'impronta strinata sia necessario mantenere una certa distanza tra il lino ed il modello metallico riscaldato, cioè che vi sia "assenza di contatto o impronta diretta" (24), altri ancora impregnano di acqua calda il Telo e spargono sul bassorilievo ossido di ferro (25).

Quello termico è un modello scientificamente suggestivo, perché l'impronta ottenuta su tela per irraggiamento presenta alcune caratteristiche identiche a quella sindonica: la negatività, l'indeterminatezza dei contorni, il colore ed un'accennata tridimensionalità.

In effetti, un irraggiamento termico, che provochi strinature sul tessuto, viene considerata tra le ipotesi meno fantasiose anche dai diversi difensori della Sindone. Esami con lo spettrofotometro mostrano che l'impronta del corpo e le bruciature prodotte dall'incendio del 1532 riflettono la luce allo stesso modo (26) ed il microdensitometro, applicato ad una fotografia della Sindone, non rileva differenze di colore tra l'immagine e le zone bruciacchiate. Inoltre le fibre della cellulosa della zona strinata, di colore paglierino, presenterebbero lo stesso fenomeno di disidratazione ed ossidazione che si riscontra sulle fibrille dell'immagine (27).

Il più convinto assertore dell'impronta a caldo è il Direttore dell'Istituto di Antropologia dell'Università di Bari Vittorio Delfino Pesce che dà per scontato che la Sindone sia un falso di origine medioevale perfettamente riproducibile (28): Non è necessario far ricorso a null'altro di diverso di quanto il falsario ha utilizzato per la realizzazione del volto le cui caratteristiche essenziali, come abbiamo visto, sono state riprodotte; cioè a mezzo di pirografie con una punta metallica arrotondata e riscaldata o con un semplicissimo stampino metallico (...), ovvero a mezzo di puro e semplice ritocco pittorico con la solita ocra rossa: Anche da questo punto di vista , cioè, non esiste nulla dell'immagine sindonica che non sia perfettamente spiegabile e riproducibile (ref.18). La copia si otteneva operando con bassorilievi in bronzo riscaldati a 220-230 ° C. Naturalmente gli "amici della Sindone", trattati non molto urbanamente nel suo libro, non gli hanno risparmiato critiche. Oltre alle solite della mancanza di caratteri stilistici medioevali e della difficoltà di graduare le intensità di colore su un telo lungo oltre quattro metri con un bassorilievo, unico nel suo genere, del quale non è rimasta traccia né memoria, si avanzano anche critiche più radicali.

Il sangue ad esempio, che è tale senza alcun dubbio, non copre l'immagine e pertanto le macchie di sangue si sono formate prima dell'immagine. La sovrapposizione del bassorilievo avrebbe alterato il sangue come si rileva nelle zone interessate dall'incendio del 1532. Inoltre come avrebbe potuto il falsario riprodurre quelle caratteristiche fisico chimiche, note solo alla medicina d'oggi, che distinguono il sangue coagulato delle ferite sparse sul corpo da quello uscito dal costato? E come conosceva l'eccesso di bilirumina che oggigiorno è possibile osservare nel sangue di persone fortemente traumatizzate? Inoltre se si osservano le macchie di sangue che si trovano sulla fronte due di esse sono particolarmente interessanti. Quella di destra, alla radice dei capelli, è formata da un coagulo circolare (che corrisponde alla ferita provocata dall'aculeo della corona di spine) dal quale si dipartono due rivoletti di sangue di cui uno scende lungo la capigliatura sin verso la spalla, l'altro perpendicolarmente sulla fronte sin verso il sopracciglio. Su una fotografia a forte ingrandimento si può vedere benissimo che questo sangue ha carattere nettamente arterioso, non omogeneo cioè, perché fuoriesce da un'arteria a getto ritmicamente intermittente. Anatomicamente la ferita dalla quale è fuoruscito questo duplice rivolo di sangue corrisponde al ramo frontale dell'arteria temporale superficiale. L'altra macchia di sangue (...) è quella sulla fronte a forma di epsilon (o 3 rovesciato), il cui sangue denso a tinta omogenea, uniforme, ha netti caratteri di sangue venoso. L'aculeo della corona di spine ha qui leso certamente la vena frontale ed il curioso aspetto a 3 rovesciato è dovuto al corrugarsi, sotto lo spasmo del dolore, del muscolo frontale (29). Nasce spontanea la domanda: "Come poteva il falsario conoscere le dinamiche della circolazione venosa ed arteriosa e distinguerle tra loro, se la loro scoperta è opera di Andrea Cisalpino nel 1593? (30).

Si obietta ancora che un'altra caratteristica, non visibile ad occhio nudo, non corrisponde nella copia ottenuta per contatto col bassorilievo. L'ossidazione delle fibrille produce sopra i 180-200 °C, per pirolisi dei carboidrati della cellulosa, i furfuroli, che ai raggi UV presentano fluorescenza color arancio (31), mentre la Sindone non la presenta. Inoltre le strinature ottenute sulla copia attraversano il Telo, mentre sulla Sindone interessano solo alcune fibrille della superficie visibile. In seguito fu dimostrato sperimentalmente che un'impronta termica quale quella prodotta con la metodica del prof. Pesce, si affievolisce e scompare dopo circa due anni (32). D'altra parte il professore non ha mai visto, nemmeno da lontano la Sindone di Torino (33).

Carlo Papini ha proposto una metodica parallela alla precedente. Il modello metallico è tratto per normale fusione dal calco di un cadavere umano. L'unica variante proposta è l'idea della cottura a distanza ravvicinata mediante un telaio pieghevole. Si propone una possibile successione delle operazioni che dovranno naturalmente passare ad un più completo collaudo sperimentale: si prende un cadavere di circa 30 anni il cui aspetto corrisponde all'iconografia tradizionale di Gesù, si ricavano due calchi in gesso della parte anteriore e posteriore, si fondono due rilievi in bronzo limando e ritoccando quanto sembra necessario, si riscalda fortemente a temperatura costante (250-350 ° C) grazie ad un braciere sottostante a carbone o a legna, si sovrappone per un dato tempo a breve distanza la tela di lino teso su un telaio pieghevole lungo l'asse mediano per seguire la curvatura del bronzo, ed è tutto. Solo un ritocco manuale con vero sangue o con una sostanza ancora ignota per riprodurre tutti i segni della Passione ed infine l'aggiunta delle macchie ematiche usando probabilmente sangue animale o umano. Ancora una notazione: E' probabile, ma non indispensabile, che la tela (sindonica) sia stata preparata con qualche sostanza a noi ignota per favorire la "cottura" ed evitare le bruciature. L'autore è quasi certo che il metodo funzioni anche se non si sa se abbiano avuto luogo degli esperimenti ed i loro risultati. A conferma che un metodo approssimativamente simile è stato usato da un falsario, in un articolo di recente pubblicazione, Papini informa che Quando sequestrarono la Sindone nella Cattedrale di Besançon, gli inviati della Convenzione ebbero la sorpresa di trovarvi anche un telaio metallico o "stampo perforato" che sovrapposto alla Sindone corrispondeva perfettamente alle "macchie ematiche" che venivano così periodicamente dipinte di rosso vivo (Moniteur, Parigi 1794, p. 557) (34). Purtroppo questo telaio è andato perduto ma i sentimenti schiettamente giacobini del Moniteur (35) garantiscono un'informazione obiettiva non forviata da preconcetti clericali.

In questa rassegna di fautori dell'origine termica, nella quale molti saranno trascurati di necessità, non può tuttavia mancare un personaggio singolare, Joe Nickell (ref.25), di professione prestigiatore e detective, che nel 1978 propone quale origine dell'immagine una mistura di aromi (aloe e mirra) o di pigmenti colorati in polvere, applicata su una tela, impregnata di acqua calda, distesa sopra un bassorilievo. Come prova mostra il risultato di una tela messa a contatto con il bassorilievo di Bing Crosby. Secondo Nickell il falsario per ottenere un miglior risultato avrebbe steso la tela sul bassorilievo e poi l'avrebbe frizionata con la miscela di polveri. La tecnica di Joe Nickell oltre a produrre un'immagine priva di tridimensionalità non realizza un'impronta speculare come avviene per la Sindone, poiché il decalco viene eseguito strofinando del rosso ocra sopra la tela e non per diretto contatto con il bassorilievo posto sotto di essa.

Analoghi come metodologia sono gli esperimenti realizzati nel 1994 da Emily Craig e Randal Bresee (36) che ricoprono i modelli con polvere di carbone o carboncino, sciolti in un collante e trasferiti al tessuto con un cucchiaio caldo e vapore: ne risulta una riproduzione che manca di definizione. Gli sperimentatori hanno dovuto constatare che il fondo a mano, i pigmenti grossolani ed asciutti non si prestavano ad essere trasferiti su di una superficie di lino ruvido di quelle dimensioni, investita con vapore. D'altra parte le immagini ottenute da Nickell e Craig - Breese non risolvono il problema delle macchie di sangue che sulla Sindone sono presenti proprio nei punti dove manca l'immagine. Infine anche in questo caso il fuoco dell'incendio del 1532 e l'acqua utilizzata per spegnerlo avrebbero alterato le sostanze organiche applicate all'immagine.

E qui si potrebbe proseguire: secondo Samuel Pellicori (37) è l'acido lattico del sudore e della secrezione cutanea assorbito dal lino a produrre nel tempo l'apparizione dell'immagine. Per altri l'azione acidificante (38) dei sali di Qumran o del Natron (39) cosparsi sul cadavere, per altri ancora i campi elettrostatici (40), (41). In generale, le riproduzioni ottenute sperimentalmente erano del tutto lontane dall'originale.

Concludiamo questa rassegna con un suggestivo esperimento. L'archeologa Nitowski (42) ha condotto prove in campo utilizzando un manichino cavo lungo circa 1 metro riempito con acqua calda a 46 ° C. Il manichino era posto in un sepolcro di Gerusalemme avvolto in un lino sul quale era cosparso carbonato di calcio e, successivamente, sangue spruzzato diluito in soluzione salina ed aceto: questo per riprodurre sia l'ambiente ricco di polvere di carbonato di calcio quale doveva essere la cava adibita a sepolcro che, secondo la Nitowski, aveva accolto il corpo di Gesù dopo la crocifissione, sia il sudore ed il sangue divenuto acido in seguito al fortissimo trauma. La campagna sperimentale non ha raggiunto risultati del tutto probanti riguardo alla formazione dell'immagine, tuttavia rimane notevole poiché per la prima volta vennero prelevati campioni di roccia all'interno di tombe poste in prossimità di Gerusalemme: si constatò in seguito che si trattava di aragonite anziché di comune calcite con piccole quantità di ferro e stronzio, lo stesso minerale ritrovato tra le fibrille della Sindone nella zona dei piedi sanguinanti. L'identità veniva confermata da Levi-Setti (43) mediante analisi con la microsonda elettronica.

Radiazioni nucleari ed altre forme di energia

In seguito allo scoppio della bomba atomica ad Hiroshima, quando già si censivano i danni e si incominciava riorganizzare la vita sconvolta dalla terrificante esplosione gli abitanti superstiti potevano osservare con stupore un singolare fenomeno: sulle pareti degli edifici e sul selciato delle strade si erano fissate delle immagini (44). Quella di una torre rettangolare appariva sul tetto della Camera di Commercio, alcuni profili umani come quello di un pittore nell'atto di intingere il pennello nel barattolo di colore o di un uomo nell'atto di frustare il cavallo erano rimasti impressi sulle facciate di pietra degli edifici (45). Un bagliore intenso avrebbe proiettato le ombre dei corpi umani, bruciati istantaneamente dal calore, imprimendoli sulla pietra che si è preservata dalla calcinazione (46) nelle zone ove appaiono le immagini.

In seguito a questi straordinari fenomeni nel 1978 José Luis Carreño-Etxeandia (47) avanzava l'ipotesi che l'impronta sindonica fosse paragonabile a quelle immagini. Secondo tale ipotesi la figura sindonica si sarebbe impressa sul telo per effetto di una "energia radiante intensa e di brevissima durata". Si sarebbe verificata una trasformazione della materia in energia quale appunto si determina durante un'esplosione atomica.

Oltre allo "scoppio luminoso di energia" del Carreño altre ipotesi erano già state avanzate come quella di un'azione fotoradiante del Bougarde-La Dardye che risale al 1902, dell'azione radioattiva del corpo del Noguier de Malijay o dell'azione fotofolgorante del Caselli (48).

Purtroppo queste intuizioni, per quanto ingegnose, non si appoggiano su alcuna sperimentazione. e rimangono per ora indimostrabili.

Recentemente uno studioso siracusano, il dott. Sebastiano Rodante ha avanzato l'ipotesi dello sprigionamento dal cadavere di un lampo di luce solare. Una intensa radiazione luminosa ultravioletta istantanea, nelle prime 36 ore di contatto con la cute madida di sudore di sangue, avrebbe migliorato la visibilità dell'impronta già delineatasi sul telo umido ed impregnato di aromi (49). Per ottenere una conferma sperimentale vennero realizzate numerose esperienze nelle catacombe di S. Giovanni a Siracusa, un ambiente oltremodo suggestivo che simulava le condizioni del sepolcro di cui parla l'evangelista Matteo ed assicurava l'umidità necessaria. Venne utilizzata una riproduzione fotografica del volto sindonico ove erano state perforate con aghi sottili quelle parti ove si presumeva vi fosse stato contatto diretto tra il corpo ed il telo. I raggi solari attraversando i piccoli fori molto ravvicinati tra loro imprimevano sul lenzuolo l'impronta del viso con chiaroscuri invertiti. Il dottor Rodante concludeva che questo stesso meccanismo avrebbe potuto stampare sulla Sindone le impronte attualmente esistenti.

Le immagini ottenute sono certamente buone. Tuttavia per l'artista medioevale (il cosiddetto falsario) un procedimento analogo a quello del dott. Rodante avrebbe incontrato difficoltà non indifferenti. La più evidente è che occorreva una fotografia dell'intera Sindone o un'immagine tanto verosimile di un cadavere, che non si capirebbe perché in seguito si sarebbe applicato un metodo tanto macchinoso per ottenerne una seconda. I credenti al contrario possono ammettere senza difficoltà che nel sepolcro il corpo risorgendo abbia emanato una luce intensissima; ne trovano esempi nei Vangeli e negli Atti degli Apostoli. Ma con questo si esce dal campo della scienza sperimentale.

Anche il dottor Jackson avanza una propria ipotesi (50) simile a quella del dottor Trenn (51) dell'Università di Toronto. L'origine dell'immagine sindonica viene attribuita ad un effetto fotochimico sulla cellulosa, prodotto da una radiazione di raggi X molli o UV emessa dal corpo per un breve periodo di tempo. Questa impronta apparsa come un'immagine bianca, con il tempo avrebbe invertito, per invecchiamento naturale, il contrasto dell'immagine sino a raggiungere le condizioni attuali nelle quali essa appare più scura del fondo sottostante. Come si sarebbe formata l'immagine? Jackson suppone che, in un certo istante, il corpo che stava sotto il telo e lo sosteneva abbia iniziato a emettere radiazioni e nel contempo sia diventato "penetrabile" permettendo al telo di afflosciarsi. Il corpo avrebbe irraggiato il tessuto mentre questo lo attraversava con tempi maggiori per quelli di maggiore altezza. Anche in questo caso un'ipotesi che presuppone un evento non verificabile. Inoltre durante il passaggio le radiazioni avrebbero dovuto impressionare anche l'altra faccia del telo superiore mentre avrebbero agito in modo del tutto diverso sulla parte dorsale che sarebbe rimasta ferma.

Immagini naturali negative

Chi nella chiesa superiore della Basilica d'Assisi, ove trionfano le Storie di S. Francesco affrescate da Giotto, osserva le immagini evanescenti dei dipinti del Cimabue, si accorge che il negativo di tali immagini emerge per il naturale annerimento dei colori chiari (52). Non è raro trovare impronte negative che si sono formate col trascorrere del tempo ed alcune di esse presentano anche un carattere tridimensionale. Un altro tipo di impronta, ottenuta per reazione chimica, è quella apparsa sul retro di un francobollo del 1859, causata dal contatto della gomma arabica con le sostanze azotate dell'inchiostro. Per analogia si è ipotizzato che l'immagine sindonica possa essersi prodotta col contributo dell'acido oleico formatosi dal contatto tra i composti azotati (ammoniaca ed urea), presenti nel sudore dell'Uomo della Sindone, e gli aromi balsamici (53).

Persino i vecchi erbari, così cari ai nostri nonni, possono riservare sorprese: le impronte dei vegetali emergono, in modo naturale, in tempi molto lunghi. Sono le tracce indicate anche come "figure di Volckringer" (54). Questi attribuisce l'impronta alla disidratazione di fiore, foglie e fusto (55); a conferma ha dimostrato che i vegetali non completamente essiccati che hanno impresso una impronta, in 50 anni ne hanno trasferito un'altra, più leggera, su un nuovo foglio (56). Uno degli autori del presente scritto ha reperito un anemone nemorosa della famiglia delle ranuncolacee, rifiorente sulle colline nei dintorni di Torino e conservata dal prof. Della Beffa che dopo 45 anni ha lasciata impressa un'impronta di colore seppia, molto simile visivamente a quella dell'immagine sindonica. Anche un grazioso pifferaio della Guardia svizzera pontificia, in una stampa a colori dipinta a mano che si trova nelle pagine interne di un libro di fine ottocento (57), si è riprodotto per contatto e presenta il tipico color seppia pallido. E' importante sottolineare che le impronte, sia provenienti da colori minerali (58) sia da vegetali, risultano tridimensionali (59), (60). I soggetti, per trasferire la propria impronta, devono necessariamente aver aderito ai fogli di carta, in assenza di luce. Viene smentita pertanto l'ipotesi che l'informazione tridimensionale dell'impronta sindonica sia da ricondurre esclusivamente alla distanza corpo-tela. Si può pertanto pensare, che tale carattere non sia proprio solo dell'impronta anteriore della Sindone. Anche la parte dorsale del corpo, che aderiva alla tela sottostante, deve aver impresso un'impronta tridimensionale, come le parti del corpo più sollevate da questa (61).

Genesi naturale per contatto

I fiori che scolorivano negli erbari avevano dunque trasferito un'immagine color seppia, del tutto fedele, sui vecchi fogli ingialliti ma a Paul Vignon, biologo e pittore francese, non suggerivano solo romantici ricordi ma un preciso meccanismo di formazione dell'immagine. La cellulosa della carta si era alterata in superficie per contatto con i fiori, probabilmente per effetto di vapori acidi liberati da questi. Non poteva un processo analogo essere all'origine dell'impronta sulla Sindone? Si aggiunga che nel 1896 il colonnello Colson, assistente al Politecnico di Parigi, aveva scoperto che lo zinco appena decapato emette a temperatura ambiente dei vapori che impressionano le lastre fotografiche in camere oscura. Partendo da tali indizi, già nel 1902, Vignon enunciava, con la collaborazione di Colson la sua classica teoria detta vaporografica (62): i vapori ammoniacali umidi, causati dalla fermentazione dell'urea, presente nell'abbondantissimo sudore che ricopriva il cadavere, avrebbero imbrunito le particelle di aloe disperse sul telo. L'effetto dei vapori cadaverici, naturalmente, doveva essere decrescente all'aumentare della distanza corpo-telo. Vignon riproduceva su tele umide cosparse di polveri d'aloe e mirra alcune parti cadaveriche: le immagini, tuttavia, risultavano assai sfocate. In realtà si comprese molto più tardi, che non si trattava di perfezionare il metodo ma della difficoltà intrinseca a questo di ottenere un'immagine ad alta definizione, quale quella sindonica, mediante diffusione o irraggiamento. Si è fatto notare che sul Telo anche la parte dorsale presenta lo stesso grado di definizione di quella anteriore, malgrado che si riferisca ad ampie zone del corpo a completo e diretto contatto col tessuto (63).

A questo primo tentativo sono seguite altre verifiche ed esperimenti di indubbio valore ma che, per noi che non condividiamo la professione medica, suonano anche un tantino macabri. Il dott. Cordiglia (64) ha sparso una miscela polverosa di aloe e mirra sul volto di un cadavere facendovi aderire una tela impregnata di olio d'oliva e di essenza di trementina. Ha completato la sfumatura dell'impronta esponendola al vapore acqueo; il dott. Romanese (65) ha spruzzato il viso del cadavere con una soluzione di acqua calda e sale ponendo, successivamente, sopra di essa una tela cosparsa di aloe e mirra polverizzati.

I risultati ottenuti furono apprezzabili ma le impronte sono passate dalla parte opposta del tessuto e i coaguli di sangue sono molto confusi.

Gli esperimenti furono ripresi nel 1970 dal dottor Rodante (66). Convinto, come Vignon, che l'impronta sindonica si fosse realizzata del tutto spontaneamente per contatto (67), fece uso, per la prima volta, di sudore misto a sangue sparso su tutta la superficie del corpo; gli aromi in polvere, che impastavano i rivoli di sangue, vennero applicati alle tele con soluzioni acquose. Il dott. Rodante utilizzava calchi di gesso spruzzati con sudore di sangue e ricoperti, successivamente, da una tela umida imbevuta di una soluzione acquosa di aloe e mirra per circa 30 ore. Le impronte comparivano su di un solo lato delle tele. I coaguli di sangue erano netti e ben definiti: solo quelli più marcati oltrepassavano lo spessore della tela. Si poteva pertanto concludere che gli aromi, il sudore di sangue e l'umidità erano gli elementi determinanti per la riproduzione spontanea dell'immagine (68).

L'esperimento con sudore di sangue è stato ripreso, con la stessa metodica usata dal dottor Rodante, da Mario Moroni. Al modello sperimentale, un calco in cera del volto sindonico, è stata fatta aderire una sottile pelle di daino spruzzata di sangue e di bilirumina e vi sono stati applicati capelli, barba e baffi naturali inumiditi con sudore di sangue più acquoso. Al calco è stato fatto aderire un lino, simile al tessuto sindonico, imbevuto di una soluzione di aloe e mirra.

L'impronta si presenta come un negativo fotografico, ovvero la parte destra è posta a sinistra e viceversa. L'immagine ottenuta per contatto diretto appare su un solo lato del lino ed interessa solo le fibrille superficiali.

L'ipotesi che l'immagine si sia formata spontaneamente per contatto, sembrerebbe dunque quella che presenta il maggior grado di probabilità e potrebbe spiegare, tra l'altro, alcuni particolari rilevati sulla Sindone quale ad esempio la grande nitidezza che presentano i segni lasciati dai colpi di flagello. Naturalmente non si esclude che siano presenti anche una reazione chimica dovuta agli aromi, il contributo, seppure limitato, di vapori cadaverici (69), il sudore della pelle, nonché la condensa che si forma sotto il lenzuolo, ripiegato su se stesso e reso pressoché impermeabile dalla mirra. Tuttavia sarà probabilmente necessario ricercare anche altri fattori non ancora perfettamente definiti, come le condizioni climato-ematologiche (70), che devono aver contribuito a completare ed a sfumare l'immagine poiché quella realizzata sperimentalmente, benché ben definita e con caratteristiche di tridimensionalità (71), non è pari per finezza a quella sindonica (72).

Un'inaspettata dimostrazione della possibilità di un decalco naturale di un cadavere su un lenzuolo è stata fornita involontariamente da un certo signor Less, quarantatreenne, un indiano delle indie occidentali ricoverato all'ospizio di Thorthon nel Lancashire per cancro al pancreas (73). Alcuni giorni dopo la sua morte, il 9 marzo 1981, Patricia Oliver, addetta alle pulizie, nota, non senza un certo terrore, sulla copertura del materasso l'immagine completa di un uomo (74). Oltre alla mano, che presenta una colorazione leggermente più chiara, sono visibili le aree incavate ed i contorni delle magre gambe, delle spalle e delle braccia. La mascella è voltata verso il basso.

Dopo che questo singolare fenomeno fu reso pubblico il prof J.Cameron della London Hospital Medical School, noto medico legale, suggerì quale causa dell'immagine "qualche forma di azione enzimatica dovuta ai liquidi liberati dal corpo, tipici del cancro al pancreas" (75), (76).

I sostenitori della Sindone fanno osservare a questo proposito che anche l'Uomo della Sindone doveva presentare sull'intera cute un'abbondantissima sudorazione oltremodo ricca di sostanze coloranti del sangue. La diffusa colorazione del viso è confermata dall'elaborazione elettronica che, prendendo come riferimento il colore del rivolo di sangue sulla fronte, individua sul volto sindonico numerosissimi punti rossi avvicinati di uguale intensità di colore, tali da suggerire la presenza di una vera trasudazione ematica (77).

A conferma si osserva che il vistoso rivolo di sangue assume nel negativo fotografico una colorazione verde-azzurra, analogamente all'intera immagine sindonica che presenta un leggero color azzurrognolo più o meno sfumato.

L'incendio del 1532 confonde le carte

A disorientare coloro che cercano di scoprire la raffinata tecnologia adottata dall'ignoto artista sta il fatto, tutt'altro che trascurabile, che l'immagine ottenuta in modo naturale non ha alcuna strinatura in superficie, mentre la Sindone appare strinata per tutta la sua lunghezza.

Naturalmente se l'impronta fosse stata prodotta artificialmente per irraggiamento o per contatto con un bassorilievo surriscaldato, oppure mediante una qualsiasi forma di radiazione elettromagnetica, la strinatura sarebbe limitata alla sola immagine, mentre al contrario interessa tutto il telo sindonico ed è facile immaginare che la strinatura del lino e dell'impronta si siano verificate contemporaneamente alla stessa temperatura per effetto di una medesima fonte di calore.

In effetti Accetta e Baumgart (78) hanno rilevato un'impressionante somiglianza tra le caratteristiche spettrali nelle zone ove è presente l'immagine sindonica e le altre zone strinate del Telo. La struttura superficiale dell'immagine del corpo e dell'area dello sfondo è essenzialmente la stessa.

Anche Ray Rogers, esperto degli effetti che il calore produce sulle diverse sostanze, conferma quanto già affermato da Jackson: il colore di tutta l'immagine è identico a quello della restante tela. Schwalbe (79) scrive che le fibre, nelle aree lievemente strinate, somigliano molto al colore delle fibrille osservate nell'area dell'immagine. Roger e Marian Gilbert (80) hanno trovato che l'impronta del corpo e le bruciature riflettono la luce allo stesso modo.

Con tutta probabilità abbiamo sotto gli occhi gli effetti di un disastroso incendio. E' storicamente accertato che la Sindone è stata interessata da un forte calore la notte tra il tre ed il quattro dicembre del 1532, a Chambery, nella Santa Cappella appositamente costruita dai Duchi di Savoia per custodire la preziosa reliquia. Il lenzuolo funerario (certamente asciutto) si trovava ripiegato in una preziosissima cassa di legno rivestita d'argento con ornamenti in oro in una nicchia-armadio del coro (81). Verso la mezzanotte del quattro di dicembre 1532, principiando la festa di Santa Barbara, si accese nella Santa Cappella un grandissimo fuoco, sia che qualche eretico abbia segretamente collocato accesi carboni, sia che per inavvertenza abbia taluno lasciato acceso qualche torchia non ben spenta. (82)

Un testimone dell'epoca, il frate francescano Francois Rebelais, era convinto che la Sindone fosse andata perduta nell'incendio. In un suo scritto si legge: Il Santo Sudario di Chambery è bruciato senza che se ne potesse salvare un solo lembo. Calvino, che viveva in quel tempo andava dicendo: Quando un sudario brucia se ne trova sempre un altro il giorno dopo!

Correva anche la voce opposta che ...il panno non si era affatto abbruciato e che alcuni mastri ferrai (83) corsero in mezzo al fuoco e trassero fuori la cassa già fusa della S.S. Sindone.

Il fatto certo è che il 15 aprile 1534, due anni dopo l'incendio, venne effettuata una ricognizione da parte del Vescovo di S.Giovanni di Moriena, Cardinale Lodovico Garrevod. Si accertava che questo panno era quell'istesso che esisteva prima del detto incendio (84).

Dopo questa ricognizione nacquero due opposte interpretazioni: la prima sosteneva che era stato un miracolo che la Sindone si fosse salvata in mezzo a sì ardente fuoco. Come controprova si proponeva di porre un involto di tela dentro qualche recipiente di ferro posto sul fuoco, per trovare ben presto tutto abbruciato. La seconda immaginava che la Sindone fosse di sua natura incombustibile perché d'amianto.

E' più probabile che il lino sindonico, come ogni altra tela, possa resistere, in particolari condizioni, ad un calore intenso prodotto dal fuoco. E' quello che si è cercato di dimostrare sperimentalmente e di cui si dirà più oltre.

In ogni caso il lenzuolo sindonico, sia che venisse custodito in un armadio del coro-sagrestia, come viene riportato da più testi, sia che fosse alloggiato in una nicchia (85) ricavata nella parete che si trova ancor oggi, alquanto nascosta, dietro l'altare, ha rischiato veramente di andare perduto.

La determinazione della temperatura massima raggiunta all'interno del reliquiario durante l'incendio di Chambery è stata oggetto di numerose esperienze condotte da Mario Moroni: la colorazione risultante del tessuto campione doveva naturalmente coincidere con quella tipica della tela sindonica. Si è operato sperimentalmente in scala 1/2 racchiudendo un campione di tessuto simile a quello della Sindone in un cofano di rame argentato foderato da pareti di legno. Dopo una serie di prove preliminari, gli esperimenti venivano realizzati investendo da ogni parte il cofano con le fiamme di un camino. La temperatura esterna raggiungeva i 550 ° C mentre il valori medi registrati all'interno erano di 190 ° C per il cofano e 170 ° C per la tela ripiegata (86), valori che fornivano il desiderato colore paglierino confermato da esami fotocolorimetrici (87). Anche campioni di tela macchiati di sangue e di siero collocati nei primi strati della tela mantenevano inalterati i loro colori originali.

Una prima considerazione

Tutto quanto precede, e siamo solo al metodo di formazione dell'immagine, non fa che confermare l'eccellenza del nostro artista, che si manifesta dopo questa carrellata scientifico-storica come il più grande tecnologo di tutti i tempi. Ha creato una figura evanescente di assoluto realismo della quale, come nei codici cifrati, occorre conoscere la chiave di lettura, che è il negativo fotografico, con una sbalorditiva sicurezza nell'utilizzo di sangue venoso ed arterioso, vivo e di persona già morta. E' riuscito là dove, malgrado il sapere accumulato nei secoli, gli scienziati d'oggi, nei casi più favorevoli, si sono solo avvicinati.

Malgrado si siano fatti degli indubbi progressi nella conoscenza dei meccanismi di formazione dell'immagine e sia stata accertata l'importanza di alcuni fattori sperimentali come, ad esempio, la presenza di aloe e mirra, nessuno è riuscito a riprodurre su un telo di oltre quattro metri un'immagine così lieve e così precisa. Alcuni hanno tentato, certo con la migliore delle intenzioni, di declassare la Sindone, un'opera che solo un genio poteva realizzare, a un manufatto tecnologico di mediocre impegno. Il prof. Piazzoli scrive che E' tanto assurda l'esistenza della Sindone che Pesce Delfino produce sindoni...a piacere (88). Beato lui! Tuttavia, come gli antichi, siamo costretti anche noi a ripetere Hic Rodus, hic salta, cioè fateci vedere almeno una delle sindoni di una così ricca produzione perché si possa anche noi credere.

Ma già è tempo di considerare altri aspetti del nostro personaggio.

Un grande conoscitore del mondo antico

Gli aromi

Non possiamo affermare con assoluta certezza che aloe e mirra siano stati utilizzati dal nostro umanista per produrre l'immagine. In ogni caso siamo certi che, ottimo conoscitore dei Vangeli, (in particolare Giovanni 19, 39) ha ritenuto necessario aspergere dei due aromi il Telo. Perché la presenza di aromi sulla Sindone è cosa certa. Il prof. Baima Bollone (89) ha fotografato sulle fibre da lui prelevate nel 1978 del materiale morfologicamente identico alla mirra, visibile al microscopio ottico ed ha rilevato che il tracciato microspettrofotometrico di un frammento di filo estratto dal telo sindonico in corrispondenza del piede destro dell'immagine presenta la stessa composizione inorganica ottenuta sperimentalmente da una macchia di sangue, aloe, mirra e saponina su un supporto di stoffa.

Anche Michael Adgé (90) ha precisato che la risposta negativa del 1973 (91) della Commissione d'esperti nominata dal cardinale Pellegrino in relazione alla natura ematica delle presunte macchie di sangue era da attribuire esclusivamente alla presenza di aloe.

Un'ulteriore conferma, sia pure indiretta, proviene dall'usanza di ungere le pareti dei loculi riservati agli ebrei dei primi secoli riscontrata nelle catacombe ebraiche di Villa Torlonia a Roma. Tale usanza non è documentata dal Talmud o da altri scritti ebraici, tuttavia tracce di materiale resinoso ed elementi presenti nell'aloe sono stati rinvenuti nel terriccio delle suddette catacombe (92). Anzi questi ultimi ritrovamenti confermerebbero il passo di Giovanni, ritenuto un semplice errore di trascrizione, ove si parla di cento libbre di una mistura di mirra ed aloe: una quantità eccessiva per un cadavere, ma non per aspergere con una soluzione acquosa, oltre le tele funerarie, le pareti dell'intero sepolcro.

M. Moroni infine, simulando con teli imbevuti da una soluzione di aloe e mirra l'incendio del 1532 ed il successivo spegnimento con acqua di raffreddamento, ha ottenuto gore a forma romboidale dai contorni seghettati come quelli che si possono osservare sulla Sindone (93), (94).

Il terriccio

Gli Evangelisti narrano che, trasportato nel sepolcro, Gesù fu subito avvolto in un lenzuolo senza che si avesse il tempo di lavarne il corpo (95). La cosa non è sfuggita al nostro artista che ha posto sul ginocchio sinistro, sul tallone e sul naso un po' di terriccio misto a sangue. Non grumi volgari, visibili ad occhio nudo, ma piccole tracce che non sono sfuggite al microscopio (96). Anche i cristalli di aragonite collocati nella zona dei piedi, gli stessi, come già accennammo, ritrovati nelle tombe scavate nella roccia in prossimità di Gerusalemme mostrano l'accuratezza ineguagliabile della ricostruzione.

I pollini

Eppure uno degli elementi più originali che impreziosiscono il nostro capolavoro non sarebbe stato colto sino ad oggi, se il caso non lo avesse condotto sotto lo sguardo attento di uno strano signore svizzero, giunto a Torino su richiesta del Tribunale di questa città, per autenticare le fotografie della Sindone scattate dal dott. Judica Cordiglia qualche anno prima. Max Frei era uno zurighese che dopo essersi laureato nel '37 in botanica aveva diretto per 25 anni il Servizio scientifico della Polizia criminale di Zurigo ed era professore incaricato di Criminalogia (97). Ma quello che qui più interessa era uno dei fondatori un nuovo metodo d'indagine criminologica basato sullo studio dei pollini delle piante e denominato palinologia. Dice Frei che ciascun polline, che è l'elemento che feconda le piante superiori, appartiene ad un solo tipo di pianta. I minuscoli granuli (20 ¸ 200 millesimi di millimetro) hanno una protezione esterna assai resistente che permette loro di rimanere inalterati per migliaia d'anni. Sulle piramidi si sono trovati pollini vecchi di 5000 anni. Poiché più del 95 % dei pollini proviene dagli immediati dintorni del luogo ove viene emesso, la presenza di pollini su un reperto è un indizio importante della presenza di quell'oggetto nel luogo ove fiorisce un determinato tipo di pianta.

Giunto per un confronto di tipo quasi notarile tra alcune fotografie e la Sindone, Frei è colpito dalla polvere che nota in grande quantità sul Telo e chiede insistentemente di poterla prelevare. Così, malgrado le notevoli difficoltà burocratiche che si oppongono al progetto, la notte del 21 novembre del 1973, poco tempo prima dell'inizio della prima ostensione televisiva da lungo tempo programmata, Frei ottiene, limitatamente alle parti più esterne del lino, la desiderata autorizzazione e può applicare dei nastri adesivi in diversi punti del telo (in totale 240 cm2 di superficie). Questi, fatti aderire al tessuto esercitando una leggera pressione, asportano la polvere durante il distacco e, ripiegati a metà su se stessi, la conservano per un tempo illimitato. A questo seguirà poi un secondo prelievo nel 1978.

Si tratta ora di identificare e classificare gli eventuali pollini trovati sui nastri e, se il materiale bibliografico noto non è sufficiente, raccogliere di persona, in varie aree geografiche, il materiale pollinico necessario per un confronto. Iniziano così i viaggi di Frei per tutti i luoghi mediterranei dove la tradizione vuole che sia transitata la Sindone. La Francia, Cipro, Costantinopoli, la Palestina e sin sull'altipiano turanico alla lontana Urfa, l'antica Edessa che, secondo le leggende, la presenza della Sindone rendeva inespugnabile.

Frei lavora con grande meticolosità per diversi anni, poi fornisce i primi risultati (98). Compresi i pollini ottenuti nel secondo prelievo, ha individuato 56 pollini di piante, ancor oggi viventi, di particolare interesse: sedici sono di zone sabbiose e saline quali quelle della Palestina, sette di terreni rocciosi del Medio Oriente (due fioriscono ai piedi delle mura di Gerusalemme), sedici delle regioni orientali dell'attuale Turchia che avevano appunto per capitale Edessa.

Alcuni di questi pollini sono presenti anche a Costantinopoli mentre uno di essi è tipico dei dintorni della città. Sono state inoltre trovate tracce di aloe. Si tratta comunque di specie che non sono presenti in Europa. Vi sono poi sedici pollini che possono giungere indifferentemente sia dall'Europa che dall'Oriente ed altri dodici di comuni piante europee. C'è anche quello del riso, probabilmente a ricordo delle ostensioni concesse dai duchi di Savoia a Vercelli nel travagliato periodo seguito alla morte di Amedeo IX (99).

Non vi è traccia di colore e dunque i pollini non fanno parte di materiali frammisti ad antichi colori. Si è obiettato che questi potevano, in condizioni eccezionali, esser trasportati dal vento attraverso il Mediterraneo, ma i venti tipici non spirano da tutte le coste orientali del Mediterraneo, né nelle diverse stagioni di fioritura e comunque non giustificherebbero la prevalenza di pollini orientali. Come gli studi successivi hanno confermato, una buona metà dei pollini proviene da fiori entomofili (cioè trasportati dagli insetti) mentre non sono presenti specie a larga diffusione trasportate dai venti delle regioni ove, sulla base degli indizi e dei documenti storici, è transitata la Sindone.

Benché sia stato osservato che vi sono casi nei quali le specie botaniche sono difficilmente distinguibili l’una dall’altra e che pertanto per una diagnosi certa sarebbe necessario analizzare un elevato numero di granuli, le ricerche di Frei hanno fornito delle prove indiziarie assai significative

Si è accertato invece sulle fotografie a luce polarizzata (100) che l'impronta di fiori freschi si intravede intorno al volto sindonico ed alcuni frammenti di essi sono stati rinvenuti sulla Sindone dall'archeologo Paul Maloney (101). Queste osservazioni sono state riprese ultimamente da Avinoam Danin dell’Università Ebraica di Gerusalemme. Questi, avvalendosi delle classiche fotografie e dei negativi della Sindone scattate in epoche diverse, ha individuato numerose specie di fiori visibili sul Telo. In particolare, oltre ad altre piante di origine orientale, è stata rilevata con certezza la presenza dello Zygophyllum dumosum, una pianta endemica che cresce solo in Israele, nel Sinai, ed in una piccola area del Giordano (102).

D'altra parte questi fiori dovevano essere ben visibili poiché motivi floreali compaiono in molte icone sull'aureola dell'immagine del Cristo e in modo analogo sulle monete emesse durante il regno dell'imperatore bizantino Michele III (842- 867).

Alcuni avanzano l'ipotesi che la Sindone possa esser stata usata come una tovaglia d'altare nelle solenni cerimonie pasquali e decorata di fiori secondo la liturgia orientale ma tale ipotesi sembra non trovi riscontro sulla base delle ultime ricerche iconografiche e testuali (103).

Ecco dunque un altro enigma: come avrà fatto il nostro artista a procurarsi i pollini il più grande dei quali è di due decimi di millimetro? Ma ora che incominciamo a conoscerlo non ci dobbiamo più meravigliare di nulla. Quale sicurezza! Avrebbe potuto cadere facilmente in trappola aggiungendo, ad esempio, qualche granulo di polline d'ulivo pianta assai diffusa, oltre che in Palestina, in tutto l'Oriente mediterraneo. Persino gli esperti d'oggi sono assai stupiti che non se ne sia trovato qualche grano tra la polvere del Telo. Eppure recentissime indagini sistematiche condotte dalle professoresse Daria Bertolani Marchetti (Università di Modena) e Marta Mariotti (Università di Firenze) in diverse località dell'Oriente (l'Orto degli Ulivi a Gerusalemme, Edessa ed Adana in Turchia) ed a Campiglia in Toscana, mostrano che sui cuscinetti di muschi prelevati dai muri a secco degli uliveti o ai piedi delle stesse piante o nel miele delle arnie collocate nei campi d'ulivo, non v'è traccia di questo polline.

E quale prova del suo sapere enciclopedico! Esiste tutta una serie di indizi che descrive, non senza incertezze cronologiche, un presunto itinerario della Sindone: Gerusalemme, Edessa e Costantinopoli ne sono tappe obbligate. Ebbene i pollini provengono proprio da quei luoghi! Manca solo Cipro (104), ma il nostro umanista avrà avuto i suoi buoni motivi per non aggiungerlo agli altri falsi indizi.

Un dotto anticonformista

Nel riprodurre i segni della Passione e della successiva crocifissione il nostro artista mostra un altro aspetto della propria personalità. Come tutti i veri sapienti è fedele solo alla verità e rifugge da ogni conformismo. Nel suo capolavoro non v'è traccia di una qualsiasi concessione all'arte della sua epoca, quello che i critici chiamano lo stile. Un illustre professore francese di Anatomia comparata già nel 1902 scriveva: "l'immagine è di un realismo estremo, impeccabile, senza una sbavatura, senza una dimenticanza; non tiene che imperfettamente conto della tradizione, non cede in nulla alla schematizzazione, nulla alle convenienze, caratteri che non si trovano in alcuna delle opere iconografiche di qualsiasi epoca" (105). Le copie del Telo che i pittori si sono ingegnati di riprodurre nelle epoche successive, se ne conoscono più di quaranta, non si avvicinano lontanamente all'originale. Già l'audacia di rappresentare in epoca medioevale il morto completamente nudo non ha precedenti. Ma veniamo ai particolari.

La flagellazione

L'impronta frontale e soprattutto quella dorsale presentano delle piccole macchie. Con il supporto di immagini intensificate ne sono state individuate più di 120. Si scoprì che si trattava di ferite lacero-contuse tondeggianti di una decina di millimetri, unite tra loro a due o tre per volta da segni di escoriazioni trasversali. Quelle sul dorso sono sparse a ventaglio, a gruppi formati da piaghe parallele che salgono oblique verso le scapole. Paul Vignon ed alcuni medici (106) furono i primi a supporre che si trattasse dei segni della flagellazione di cui parlano i Vangeli di Matteo, Marco e Giovanni. Poi le elaborazioni digitali dell'immagine sindonica e le fotografie a colori con fluorescenza nel campo dell'ultravioletto realizzate a Torino nel 1978 dai ricercatori statunitensi (107), apportarono ulteriori elementi per una definitiva conferma. Si trattava proprio dei segni di una flagellazione. Il flagello romano (108) era composto da strisce di cuoio all'estremità delle quali stavano dei piccoli pesi di piombo o ossa di animali, che avevano sul condannato un effetto devastante che, prolungato, scarnificava sino alle ossa.

Era con la fustigazione che venivano puniti gli schiavi, poiché i cittadini romani solitamente ne erano esenti. I magistrati romani erano sempre seguiti dai littori che portavano sulla spalla sinistra un fascio di verghe di olmo o di betulla strette insieme da cordicelle di color rosso che erano il simbolo ed al tempo stesso lo strumento del potere di coercizione dell'Autorità. Tuttavia la punizione non doveva giungere sino alla morte del reo, anche se il numero dei colpi da infliggere era a discrezione del magistrato. In età repubblicana i consoli attendevano di esser fuori dai confini della città per aggiungere la scure alle verghe ed attestare il loro diritto di vita o di morte. Negli eserciti romani, al contrario, la fustigazione sino alla morte con verghe o con particolari flagelli quali quelli sopra descritti, per i militari rei di gravissime colpe, non era cosa insolita.

I segni della flagellazione che si osservano sulla Sindone concordano con quanto attesta l'Evangelista Luca sulla volontà iniziale di Pilato di infliggere all'accusato la flagellazione quale severo castigo, respingendo però la richiesta dei Giudei di condannarlo a morte.

Il casco di spine

Il casco di spine è un'altra prova di audacia. che si colloca in rotta di collisione con tutta l'iconografia medioevale. Eppure le macchie di sangue prodotte dalle trafitture non lasciano dubbi. Non una coroncina ma una calotta sanguinante che avvolge il capo ove le fuoruscite di sangue visibili sono oltre una trentina. Le avevano notate anche le suore Clarisse mentre, in ginocchio con aghi d'oro, rammendavano e foderavano il Telo che era stato loro affidato dopo l'incendio di Chambery: Nella relazione del 1534, relativa alle operazioni di restauro, scrivevano di aver osservato la sua testa divina forata da grosse spine da cui uscivano rivoli di sangue che colavano sulla fronte (109).

Il prof. Rodante ha verificato l'esattezza di diverse di queste tracce di sangue sia arterioso che venoso con l'anatomia topografica del capo, oggi a noi perfettamente nota (110). Ad esempio quella discesa di sangue venoso a forma di ε, alla quale abbiamo accennato in precedenza, ben visibile sulla fronte a sinistra della mezzeria del volto, dovuta forse alla contrazione spasmodica della fronte, e quella di sangue arterioso sulla tempia, a sinistra dell'immagine, che si biforca secondo due direzioni, suggerendo un movimento alternato della testa.

Dal prof Baima Bollone apprendiamo che la tradizione vuole che la corona di spine sia stata formata da un'intreccio di rami di Zizyphus (Z. Spina Christi); Barbet asserisce che è probabile che ve ne fosse un mucchio nel pretorio, per il riscaldamento della coorte romana.

Baima nota che a differenza di altri cespugli spinosi lo Zizyphus è abbastanza flessibile ma le sue spine penetrano come aghi nella cute (111) senza piegarsi.

La ferita del polso sinistro

Una grossa ferita è perfettamente visibile sul Telo nella zona del carpo sinistro mentre il polso destro rimane nascosto poiché le mani sono incrociate sul pube. Le analisi ottenute con luce ultravioletta, ponendo la sorgente luminosa sul rovescio del telo sindonico, hanno rivelato una macchia più scura quadrata di circa un centimetro di lato: è la traccia del sangue che ha riempito il passaggio del chiodo dopo che questo venne estratto. Si tratta di uno di quei chiodi quadrati a testa larga usati dagli antichi carpentieri romani come quelli il cui ritrovamento la tradizione attribuisce alla pia madre dell'imperatore Costantino, Elena, e che si possono ancor oggi osservare nella Basilica di S.Croce a Roma o il tre maggio di ogni anno quando il chiodo della Santa Croce scende con la nivola dalla volta dell'altare maggiore del Duomo di Milano (112).

Ma ecco subito una prima difficoltà: tutta la tradizione pittorica mostra il Crocefisso con i chiodi che penetrano nel palmo delle mani mentre il nostro artista fa uscire il sangue dal polso (113). Soprattutto i medici che si sono interessati della Sindone hanno sentito la necessità di una verifica sperimentale. Barbet conficca nel palmo della mano di un braccio, da poco amputato, un chiodo di 8 millimetri di lato e vi appende un peso di 40 chili (114). Dopo dieci minuti bastano alcune piccole scosse perché il chiodo si faccia strada tra le carni lacerate sino al completo distacco. Allora va alla ricerca del punto che la Sindone sembra indicare e lo trova. E' il cosiddetto spazio di Destot un passaggio anatomico pre formato, normale, un cammino naturale ove il chiodo passa facilmente e ove è mantenuto assai solidamente dalle ossa del carpo e i legamenti anulari anteriori (115). Osserva inoltre che il chiodo passando per quel foro naturale aveva probabilmente leso il nervo mediano che pilota la flessione del pollice della mano. In realtà si dimostrò in seguito che basta che il nervo sia eccitato per sfregamento, perché il pollice si fletta e si porti sotto il palmo della mano. Naturalmente l'uomo della Sindone, era lecito dubitarne?, mostra solo quattro dita della mano sinistra. E questo ripropone il problema della data di nascita del nostro artista, poiché il particolare delle quattro dita è stato ritrovato su immagini anteriori all'epoca che avevamo ipotizzata.

Quattro dita mostra il Cristo unto da Nicodemo del manoscritto Pray del 1192, conservato nella Biblioteca Nazionale di Budapest (116). Sotto questa immagine è ritratta la scena dell'incontro delle sante donne con l'angelo. Ai loro piedi giace una stoffa sulla quale compaiono quattro gruppi di bruciature: sono piccoli fori disposti ad elle ed a semicerchio identici a quelli che si trovano sulla Sindone all'altezza delle reni ed a lato dei polpacci. Saranno visibili anche su di un medaglione, ricordo di un pellegrinaggio a Lirey, databile attorno al 1355 e in una tela del Dürer del 1516. Tutte queste immagini sono state realizzate prima dell'incendio del 1532 che provocò altre e ben più rilevanti bruciature. Di quasi due secoli precedente al codice Pray è il crocefisso con quattro dita che si trova nel Santuario di Santa Maria a Mare nell'arcipelago delle Tremiti (1016) (117). Un altro antico documento, di manifattura serba del XII secolo, è la così detta umbella di papa Giovanni VII (705-708) (118). Questo ombrello liturgico faceva parte degli arredi dell'Oratorio di Giovanni VII. Giacomo Grimaldi, notaio apostolico ed archivista del capitolo di S. Pietro l'ha descritto e disegnato prima che venisse demolito, nel 1606; fra gli arredi compare la fastosa umbella intessuta d'oro e d'argento. Al principio di questo secolo il disegno venne ritrovato. Vi appaiono figure simboliche, personaggi biblici e della Chiesa, scene della vita di Cristo ed al centro, in grande, un Cristo morto con le mani incrociate. La mano destra con quattro dita copre la sinistra (119).

Ma ritorniamo al polso trafitto. Dal polso partono due colate di sangue che risalgono l'avambraccio formando un angolo di 30° tra loro, come se il crocefisso avesse assunto durante il supplizio alternativamente due diverse posizioni. Si è avanzata l'ipotesi che il condannato si sollevasse per poter respirare e nuovamente si accasciasse su se stesso. E in effetti esperimenti condotti da Hermann Müdder un radiologo tedesco e dai suoi assistenti, che si appesero ad una croce mediante delle bende legate ai polsi, dimostrarono che non era possibile resistere a lungo nella scomoda posizione: la respirazione diventava difficile, l'acido carbonico si accumulava nei polmoni e nel sangue, la circolazione del miocardio si faceva sempre più insufficiente. Alcuni degli sperimentatori svennero dopo pochi minuti. Solo se era consentito loro di appoggiare un poco la punta dei piedi si notava un ritorno verso le condizioni normali.

I due rivoli di sangue con la loro biforcazione, apparentemente poco significativi, presuppongono al contrario precise conoscenze sulla crocifissione, un supplizio assai diffuso nel mondo romano ma i cui particolari erano in gran parte dimenticati (120). Certo v'erano molte varianti del supplizio perché soprattutto i legionari utilizzavano ciò che avevano a disposizione. Narra ad esempio Giuseppe Flavio, nella Guerra giudaica, che durante l'assedio di Gerusalemme del '70 dopo Cristo, poiché per spezzare la resistenza nemica si procedeva al ritmo di cinquecento esecuzioni al giorno, mancava lo spazio per le croci e le croci per le vittime. Per di più i legionari si divertivano a far assumere ai nemici catturati le più impensate posizioni. In altre circostanze si faceva uso anche di corde. Tuttavia i due rivoli di sangue dei polsi indicano una modalità di crocifissione che si accorda con le leggi fisiche e con quel poco che sappiamo sull'antico supplizio (121). Nel nostro caso il condannato, disteso a terra con le braccia aperte, era stato inchiodato per i polsi al patibulum, e poi era stato sollevato verticalmente mentre il corpo si accasciava verso il basso, per quel poco che lo consentivano i chiodi. In breve tempo, dopo che anche i piedi erano stati inchiodati, si manifestavano in quella posizione i segni dell'asfissia, ed allora il condannato cercava di sollevarsi sui piedi riportando le braccia in orizzontale per poi di nuovo ricadere su se stesso. Così il sangue colava dal polso in due diverse direzioni.

...ed al piede destro

Si è molto dibattuto tra gli studiosi della Sindone se Gesù fosse stato crocefisso agli arti inferiori con uno o due chiodi. Sino al XII secolo le immagini, salvo poche eccezioni, mostrano Nostro Signore trafitto ai piedi con due chiodi. Si è fatto rilevare che si tratta di rappresentazioni nelle quali il desiderio di evidenziare tutte le piaghe del Cristo era di certo prevalente (122). Tuttavia, se il problema della crocifissione al carpo degli arti superiori è ormai quasi universalmente accettata, sugli arti inferiori non vi è accordo. Un ritrovamento fortuito avvenuto a Gerusalemme, fuori della Porta di Damasco, ha riacceso il dibattito. Sono tombe scavate nella roccia: nelle 15 urne di pietra che erano conservate in esse si trovarono i resti di trentacinque persone, donne, uomini e bambini vissuti certamente in un periodo tragico poiché diversi di loro recano segni di morte violenta. Gli archeologi israeliani sono certi che siano vissuti negli anni che vanno dalla morte di Erode il Grande alla distruzione del Tempio ('70 d.C.). Una delle urne ha un'importanza tutta particolare perché contiene le ossa di un uomo che è stato crocefisso, il solo esempio di crocifisso che sia stato ritrovato (123). Ha fratturate le tibie ed il perone sinistro, l'avambraccio destro presenta una scalfittura nella zona del radio mentre un chiodo trapassa il tallone destro. Questi segni traumatici ci dicono che i chiodi della mano penetravano nella zona del carpo, che il condannato aveva subito la frattura degli arti inferiori (crurifragium) che bloccando i movimenti ne accelerava la morte ed infine, poiché il chiodo nel calcagno non supera con la punta ricurva i 10 centimetri, si può ipotizzare l'uso di due chiodi, uno per ogni piede, conficcati a destra ed a sinistra dello stipes. Ma non è detto che si procedesse sempre esattamente nello stesso modo..

Comunque stiano le cose il nostro lungimirante artista non si è compromesso troppo e ancora una volta, con quella sottigliezza che ormai abbiamo imparato a conoscere, ha suggerito la sua soluzione senza renderla immediatamente evidente.

Sull'immagine anteriore i piedi sono a mala pena visibili mentre in quella posteriore appare nitidamente l'impronta plantare completa del piede destro ed il tallone di quello sinistro come se il telo fosse stato rimboccato. Sulla superficie plantare destra spicca, nella zona del metatarso, un foro quadrato (rilevato anche con radiazioni UV) da cui partono colature di sangue al quale fa riscontro nell'immagine anteriore una chiazza di sangue larga quanto la superficie superiore del piede! Con ineffabile maestria e discrezione il nostro artista ci ha voluto segnalare che, secondo il suo parere, il piede sinistro si trovava sovrapposto e a stretto contatto col destro (124). D'altronde la posizione dei piedi che non sono alla stessa altezza e che ha dato luogo alla leggenda del Cristo zoppo, sembrerebbe a favore di quest'ultima ipotesi. Naturalmente il nostro artista non ha dimenticato che gli arti inferiori della Sindone non devono presentare segni di rottura poiché, secondo quanto narra l'evangelista Giovanni, com'ebbero visto che era già morto non gli spezzarono le gambe.

La ferita al costato

Ed è ancora l'Evangelista Giovanni che ci parla del soldato che trafigge Gesù morto con la lancia. Una ferita da cui subito ne uscì sangue ed acqua. Anche in questo caso nulla è stato trascurato per creare una immagine del tutto verosimile. Sull'emitorace destro a 12 centimetri dallo sterno è riprodotta una ferita da arma da taglio, un occhiello ellittico lungo 45 millimetri e largo 15, netto, senza turgore, dai bordi beanti, come sono le ferite di persona già morta. Dalla ferita scende un'abbondantissima colata di sangue cadaverico già separato nelle sue componenti corpuscolare e sierosa. Non un'impronta continua, come in altri punti del Telo, ma grumi con attorno un alone di siero (individuato anche in questo caso per fluorescenza all'ultravioletto) (125), segno che il cuore non pulsava più. Il sangue scende poi sull'addome e lo ritroviamo sul dorso in forma di una larga fascia suddivisa in numerosi rivoli.

La lancia della Sindone, quella che la tradizione attribuisce al centurione Longino, il militare che riconobbe la divinità di Gesù al momento della sua morte, sembrerebbe una lancia in dotazione all'esercito romano ed alle truppe ausiliarie (126), (127) simile agli esemplari provenienti dagli scavi archeologici, ed identica in larghezza a quella ritrovata proprio a Gerusalemme e datata all'epoca della guerra giudaica. Quasi sicuramente il nostro artista non ha potuto osservare la reliquia originale, conservata nei palazzi imperiali di Costantinopoli dall'ottavo secolo sino alla caduta dell'impero romano d'Oriente (1204), ma è certo che aveva acquisito, per vie a noi ancora ignote, eccezionali conoscenze, oltre che nel campo medico, anche in quello archeologico.

La moneta sull'occhio destro.

Il nostro umanista appare straordinariamente sapiente anche nel campo dell'archeologia ed in particolare della numismatica antica. Non possiamo dubitarne perché lui stesso ce lo dice, naturalmente non in maniera esplicita, ma come è nel suo stile, in modo criptico cioè tale che venga capito solo da chi si sforza di comprendere.

In questo caso la soluzione dell'enigma sapientemente proposto è stata tutt'altro che facile. Il nostro lascia una prima traccia. La rilevano nel 1977 i ricercatori statunitensi dell'Accademia aeronautica degli Stati Uniti, John Jackson ed Eric Jumper quando eseguono l'elaborazione elettronica dell'impronta delle fotografie della Sindone scattate da Enrie nel 1931, che permette loro di ottenere un'immagine tridimensionale. Eric Jumper, segnala, tra l'altro, che in un ingrandimento, in rilievo, sugli occhi del volto sindonico si rilevano due ispessimenti delle dimensioni di un bottone, forse qualche tipo di moneta (128). Quasi contemporaneamente un sagace farmacista di Stradella, osservando le elaborazioni eseguite in fase di sviluppo di fotografie in bianco e nero e con diapositive a colori scattate nel 1969 dal dottor Judica Cordiglia, individuava sulle palpebre del volto sindonico due superfici in rilievo l'una di forma circolare e l'altra ellittica. Questa non fu l'unica interessante scoperta del dottor Pietro Ugolotti anche se, purtroppo, provenendo da un farmacista di Stradella, non ebbe tra gli scienziati grande risonanza. Nell'agosto del 1979 padre Filas un gesuita, professore a Chicago presso la Loyola University, mentre osserva alcuni ingrandimenti delle fotografie di Enrie riesce a decifrare sulla palpebra destra nella zona in rilievo quattro lettere poste ad arco. Le lettere sono Y, C, A, I ed allora padre Filas si chiede se non si tratti di una scritta parziale riportata in rilievo su qualche moneta. Con l'aiuto di un'esperto numismatico controlla cataloghi e testi di numismatica ed alla fine scopre l'esistenza di monetine di bronzo di piccolo diametro recanti la scritta greca TIBEPIOY KAICAPOC cioè di Tiberio Cesare. Il simbolo che appare è un lituo una delle insegne del potere dei magistrati e dei sacerdoti presso gli Italici (129). Una moneta simile di circa 17 mm di diametro, un dilepton lituus, è stata coniata dal procuratore Ponzio Pilato (130). Padre Filas attribuisce allora il decalco delle lettere che appare sulla Sindone alla moneta di Pilato anche se uno stesso conio con identica iscrizione e medesimo simbolo è stato emesso in precedenza dal procuratore Valerio Grato(15-26 d.C.) (131). Vi immaginereste un plauso entusiastico dinnanzi a tanta scoperta. Al contrario; quando il povero Padre rese pubblica la notizia, malgrado non fosse di Stradella, incontrò un diffuso scetticismo, quando non una vera e propria ostilità. Ancora recentemente è ricomparsa sulla stampa (132) la tesi del prof.Pesce secondo la quale i caratteri maiuscoli che il prof. Filas aveva creduto di scorgere altro non sono che i bastoncini argentei, rettilinei e curvi, della grana fotografica visibili al microscopio. E' noto però che questa emulsione è visibile sul negativo ma non sulla stampa ove si ottiene semplicemente l'immagine ripresa dall'obbiettivo fotografico.

Per la verità numerosi argomenti si opponevano ad una piena accettazione di quanto affermava padre Filas. Anzitutto KAICAPOC inizia con la K e non con la C. Un errore di maestranze non molto esperte della lingua greca? Solo due anni dopo, quando padre Filas riuscì a trovare una moneta da collezione che mostrava una C al posto della K, questa obiezione venne archiviata. Ma era un uso ebraico mettere monete sugli occhi dei defunti? Anche qui si innescava una querelle infinita. In ogni caso sono stati rinvenuti due piccoli coni, del periodo prossimo a quello in cui visse Gesù, nella parte posteriore interna di due dei crani ritrovati nel Cimitero comunitario israeliano di Gerico (133) e, ultimamente, una moneta di Erode Agrippa I nella camera funeraria della famiglia del sommo sacerdote Caifa. Questi reperti confermano l'uso di collocare monete sugli occhi dei defunti. Né vale l'obiezione che forse le monete venivano poste in bocca come l'obolo, moneta di minimo valore di cui parla Luciano di Samostata, che si riteneva che Caronte richiedesse al passaggio dello Stige. E' dimostrabile che monete di piccolo taglio possono venir ritrovate sul fondo della scatola cranica solo nel caso che, cadendo nella cavità orbitale, ne imbocchino la fessura superiore.

Ancora obiezioni. Se l'immagine è un decalco, cioè un oggetto che si vede al rovescio, allora quella di Filas dovrebbe avere il pastorale ruotato secondo l'asse di 180° , cioè la moneta dovrebbe presentare un pastorale molto simile ad un vero punto interrogativo anche se testi e cataloghi delle raccolte numismatiche presentano sempre il pastorale nella forma già nota. E' Mario Moroni che formula l'obiezione (134). Il prof. Filas gli invia nel gennaio dell'85, un mese prima della sua prematura morte, un interessante articolo di Brame, un appassionato collezionista californiano di monete ebraiche emesse dai Procuratori romani (135). Questi cede a Moroni alcuni esemplari della rara moneta di Ponzio Pilato col desiderato punto di domanda. Sul verso è chiaramente leggibile ..Is , il XVI di Tiberio (29-30 d.C.) (136). Ma anche la scritta dovrebbe essere capovolta; un particolare del quale nessuno si era accorto: se il pastorale risultava invertito anche la dicitura letta sul negativo avrebbe dovuto essere tale. Infatti i litui riverse noti portano invertita anche la leggenda. L’obiezione apparve in evidenza solo durante una nuova elaborazione elettronica eseguita dal professor Balossino nell’aprile del 1996. Questa elaborazione permise anche di rilevare che alcune lettere della dicitura non erano disposte circolarmente intorno al pastorale: la C ed un estremo della A risultano chiaramente collocate sopra la parte ricurva del lituo "riverse" sottostante che presenta interruzione nelle zone di sovrapposizione (137). Se ne può dedurre che la moneta è stata ribattuta imprimendo in un primo momento il pastorale rovesciato poi le lettere Y CAI. Sono emersi anche due brevi tratti paralleli posti a lato dell’asta verticale del lituo, con ogni probabilità i segni della pinzatura del tondello durante la coniazione.

C'è chi afferma che monete piccole e leggere (1,8 gr circa) non possono trattenere le palpebre abbassate. Tuttavia i patologi legali, che meglio conoscono la sensibilità muscolare nel rigor mortis, hanno accertato che un piccolo peso è in grado di impedire il sollevamento delle palpebre (138). Né scivola dall'occhio di una persona col capo appoggiato sul petto proprio perché piccola e leggera.

E' interessante osservare come le tracce lasciate dal nostro artista abbiano stimolato ogni tipo di analisi. Ad esempio per rispondere all'obiezione che l'impronta avrebbe dovuto lasciare impresse tutte le lettere riportate sul conio e in perfetta posizione circolare (139) si sono dovute precisare le modalità della produzione in serie delle monete povere ai tempi di Pilato, monete che, come attestano gli esemplari a noi noti, non erano mai perfettamente circolari e presentavano smussature o tosature e talvolta delle appendici, a causa del tipo di fusione.

In una madreforma di pietra refrattaria (forma e controforma) recante in incavo l'impronta delle monete, comunicanti tra loro mediante un canaletto di alimentazione nel quale scorre il metallo fuso, a gettata solidificata il fonditore estrae dalla madreforma con una pinza, poiché il bronzo è ancora caldo, la collana di monete. Quest'ultima viene appoggiata all'estremità dell'incudine e l'operatore, con un doppio colpo di scalpello, fa saltare il ponticello della prima moneta che è legata alla successiva; quindi afferra la seconda moneta ancora con la pinza e la stacca dal ponticello che l'univa alla terza e così via fino alla liberazione di tutte le monete (140). Mario Moroni ha individuato su una delle monete di Pilato in suo possesso, oltre alla data ..Is, anche i segni lasciati dalla pinza nell'afferraggio della moneta, due segmenti talvolta assai profondi che possono presentarsi su un punto qualsiasi del conio. Anche la Sindone riporta questi tratti sotto l'asta verticale del lituo.

La scoperta non scientifica di padre Filas riceve in seguito numerose conferme dal prof. Tamburelli del Dipartimento di Informatica dell'Università di Torino (141), dal dott. Robert Haralik (142), direttore del Laboratorio di analisi dei dati spaziali del Politecnico della Virginia che non solo identifica il lituo e le quattro lettere di Filas ma ne aggiunge altre due: una O ed una C (O YCAI C).

......e sul sopracciglio sinistro

La scoperta di una monetina sulla palpebra destra trova un importante riscontro con il recente ritrovamento di una seconda moneta sull'arcata sopraccigliare dell'occhio sinistro. Ne hanno dato notizia il prof. Baima Bollone noto sindonologo e il prof. Nello Balossino, allievo del prof. Tamburelli e docente di Elaborazione elettronica al Politecnico di Torino (143). Si tratta anche in questo caso del decalco di una moneta di Ponzio Pilato che reca al centro il simpulum, un piccolo mestolo con impugnatura (144). Attorno al bordo scorre la scritta TIBEPIOY KAICAPOC e la data LIs (29 d.C.). Il conio è di 16 millimetri di diametro e di peso inferiore ai 2 gr. Esperienze di decalco su tele umide delle parti in rilievo di una di tali monete, imbrattata di sangue essiccato, hanno dato esito positivo: il simbolo riprodotto risulta come quello sulla Sindone ben visibile senza lenti di ingrandimento, quindi senza il rischio di vedere ciò che non c'è.

Forse il nostro artista nel riprodurre le monetine sugli occhi si è ricordato dei due spiccioli, l'obolo della vedova, di cui aveva parlato Gesù.

Una seconda considerazione

I segni della crocifissione ed anche le monete ritrovate sulle palpebre non fanno che ribadire la grande sapienza di un artista dallo spirito un poco beffardo e la sua cultura enciclopedica. Le deboli tracce che lascia sono così ricche di informazione che spesso la scienza del XX secolo si smarrisce. Non solo i paladini della Sindone spesso non sanno come abbia realizzato dettagli stupefacenti ma coloro che sono convinti che sia l'opera di un artista sconosciuto inventano talora soluzioni puerili o inesatte dal punto di vista storico, medico, archeologico e via dicendo, che non reggono a più approfondite indagini.

Certo questa immagine, unica in tutta l'arte del Medioevo, testimonianza certa di uno spregiudicato anticonformismo, se lascia stupefatti con il suo realismo e la sua impressionante precisione noi uomini dell'era spaziale doveva apparire quasi blasfema ai suoi contemporanei! Ancora una volta nessuno stile, nessuna espressione personale, nessun volo della fantasia, ma un'immagine che sembra uscita da un obiettivo fotografico. Modestissimo o forse sdegnoso dell'ignoranza che lo circondava trasmise ai posteri un'opera che i contemporanei individuavano a malapena e poi, forse disgustato dell'incomprensione generale, distrusse ogni traccia di sé e dei suoi capolavori (la Sindone non sarà certo stata un unicum) e persino gli strumenti e le attrezzature che gli erano servite per crearli (145). Una sorte infelice. In un'epoca prossima alla sua il nome di Leonardo era sulla bocca di tutti mentre Lui, certamente più abile e sapiente di Leonardo, appare un attimo come falsario in un controverso documento e poi scompare nell'oblio più completo.

Uno spiraglio di luce

Le analisi col C14

Dagli anni cinquanta esiste fortunatamente una sofisticata tecnica di datazione dei reperti archeologici. E' stata proposta nel 1952 da un chimico dell'Università di Chicago che, dopo aver scoperto che nella materia vivente un isotopo del carbonio (146), il C14, decade nel tempo, ha ideato un metodo (147) per misurare l'età dei reperti di natura organica. Con questo isotopo si quantifica il tempo trascorso da quando una sostanza organica vivente ha cessato di vivere, cioè ha cessato di assorbire carbonio dall'atmosfera. Del carbonio assimilato dagli animali e dai vegetali gran parte si conserva inalterata nel tempo (C12 e C13); al contrario la concentrazione del C14, che si trasforma di continuo in azoto 14, diminuisce quando viene a cessare l'equilibrio con l'ambiente esterno che la manteneva costante. La trasformazione è relativamente lenta, perché ci vogliono circa 5700 anni perché la concentrazione si riduca alla metà. Pertanto il contenuto di C14 diminuisce (in maniera esponenziale) col passare del tempo ed il suo valore attuale è un indice del tempo trascorso dalla cessazione degli scambi con l'ambiente esterno.

Le prime apparecchiature di conteggio non erano altro che dei particolari contatori Gaiger (148). Si basavano sul fatto che il C14 decadendo emette particelle β e pertanto misuravano la quantità di radioattività residua rispetto a quella iniziale di un analogo campione. Il campione in questo caso rimane a disposizione per ulteriori analisi.

In seguito, dopo il 1979, vennero realizzati degli spettrometri di massa ad accelerazione che separavano gli atomi di C14 dagli altri isotopi e li contavano direttamente. Gli AMS (Accelerator Mass Spectrometer), spettrometri di massa ad accelerazione, sono macchine molto costose e complesse ma presentano il vantaggio di eseguire l'analisi in poche ore mentre in precedenza occorrevano alcuni mesi e con una quantità di materiale minimo necessario di alcune decine di milligrammi, inferiore quindi anche a quella dei contatori proporzionali dell'ultima generazione. L'analisi in questo caso comporta però la distruzione del campione.

Dopo una serie di manovre e contro manovre, ritiri e colpi di scena, tre laboratori dotati di apparecchiature AMS ottenevano nel 1987 dalla Segreteria Vaticana l'autorizzazione al prelievo di tre piccoli spezzoni di tessuto sindonico per procedere alla radiodatazione del Telo (149). Erano i laboratori dell'Università dell'Arizona di Tucson, del Politecnico Federale di Zurigo e di quello per le ricerche sull'Archeologia e la Storia dell'Arte di Oxford, coordinati dal dottor Tite del Brithish Museum.

Le condizioni in cui si svolse la prova erano, dal punto di vista psicologico, pressoché perfette. Gli operatori e lo stesso coordinatore erano quasi digiuni di conoscenze riguardo al reperto che dovevano analizzare (150) e, per di più, la maggior parte di essi era già convinta che si trattava di un falso medioevale (151). In questo modo le eventuali suggestioni di carattere fideistico non influenzarono il loro lavoro e si puntò con decisione al risultato.

Vennero eliminate le analisi preliminari delle fibre e del loro eventuale inquinamento risparmiando così diversi mesi di tempo; si ridusse, per snellire la struttura operativa, il numero dei garanti richiesti da quattro a due: il Brithish Museum rappresentato dal dott. Tite e la Santa Sede dal Custode della Sindone, nella persona del cardinale di Torino Anastasio Ballestrero, più noto per le indubbie virtù pastorali che per meriti scientifici. Avendo eliminato i Laboratori che adottavano il conteggio proporzionale, fu possibile asportare dalla Sindone 478 mg di tessuto, circa 150 per le analisi e una scorta per ogni evenienza. Era stato chiesto da più parti che con i campioni sindonici venisse fornito ad ogni laboratorio un paio di campioni di cui fosse certa in precedenza la datazione: secondo un metodo di analisi alla cieca le date non dovevano venir comunicate ai Laboratori se non ad analisi ultimate. Se i valori trovati risultavano coincidenti con quelli noti anche la datazione del campione sindonico era da ritenersi affidabile. Molto più semplicemente il dott. Tite comunicò in precedenza le date dei campioni di riferimento, considerando giustamente che si poteva contare sulla correttezza dei ricercatori. I risultati furono infatti quelli che ci si aspettava anche se la dispersione dei valori ottenuti dai tre Laboratori risultò un poco eccessiva e, volendo andar per il sottile, i risultati avrebbero dovuto venir riconsiderati, poiché non erano omogenei tra loro (152). Questa malevola interpretazione apriva la strada ad una obiezione ancora più insidiosa. I risultati ottenuti dai tre laboratori presuppongono che i singoli valori provenienti dalle analisi si dispongano secondo una distribuzione normale (a forma di campana svasata centrata nel punto di media) ma questo tipo di distribuzione si può utilizzare solo se i campioni sono tra loro omogenei (153).

Tuttavia l'intervallo stabilito dai Laboratori, 1260-1390 d.C., fu accolto ovunque con simpatia. Il prof Hall direttore del Laboratorio di Oxford ricevette nel 1989 da quarantacinque uomini d'affari un milione di sterline per l'attività svolta ed in particolare per aver stabilito l'anno precedente che il Sudario di Torino era un falso medioevale. Il denaro fu utilizzato per istituire una cattedra in Scienze archeologiche. Secondo il Thelegraph del 25 marzo 1989, La nuova cattedra sarà occupata dal dottor Michael Tite, direttore del Laboratorio di ricerche del Brithish Museum che, del pari, ha giocato un ruolo preponderante per smascherare la frode del Sudario di Torino.

Questa datazione è certamente un risultato importante nella ricerca del nostro artista. Tuttavia occorre osservare che, spinti dal loro entusiasmo scientifico, i carbonisti hanno presentato i risultati come la prova di un falso ed un loro amico, il benemerito reverendo Sox (154), pubblicherà addirittura un libro, che apparirà nelle librerie contemporaneamente all'annuncio dei risultati degli esami, dal titolo impegnativo: La Sindone smascherata: scoperta del più grande falso di tutti i tempi. Lo stesso dottor Tite ha riconosciuto in seguito che non credeva che si dovesse pensare necessariamente ad un falso, cosa per altro difficile da stabilire per mezzo di un'analisi che interessava il solo telo di supporto. Ma come si sa gli errori di interpretazione sono duri a morire e a due anni dalla datazione col C14 il Brithish Museum inaugura una grande mostra che rimarrà aperta ininterrottamente per sei mesi dal titolo: Falso? L'arte dell'inganno ove nella sezione Individuazione scientifica dei falsi e delle contraffazioni, spicca una enorme diapositiva, in grandezza naturale, del negativo della Sindone.

Bisogna comunque riconoscere ai carbonisti il merito di una data di partenza certa. Giustamente il dottor Tite ha affermato: io credo che il carbonio sia l'unica certezza (155). E in verità nessuno ha osato discutere il metodo di datazione col C14; tuttavia coloro che ancora credono che la Sindone sia un'autentica reliquia e non accettano il definitivo verdetto della Scienza non tardarono a avanzare una quantità di cavilli che indicheremo qui brevemente per ragioni di obiettività.

La risposta degli oscurantisti

Anzitutto si fece presente che non vi è la certezza che tutto l'inquinamento di cui è impregnata la Sindone sia stato rimosso dai campioncini analizzati. La zona dove è avvenuto il loro prelievo, prossima al cosiddetto angolo di Raes ove nel 1973 era stato asportato un piccolo spezzone di stoffa, è uno dei punti più esposti alla contaminazione. Si trova infatti in uno dei due angoli dai quali la Sindone veniva tenuta spiegata durante le ostensioni. Inoltre è a pochi centimetri di distanza da uno dei punti carbonizzati dalle gocce di metallo fuso cadute durante l'incendio del 1532 e proviene proprio da uno dei bordi macchiati dall'acqua usata per spegnere l'incendio, dove si sono accumulati prodotti di pirolisi e si è depositata tutta la sporcizia di secoli (156). Le fotografie scattate nel 1978 mostrano, proprio nella zona di prelievo, un probabile imbrattamento nerastro di natura imprecisata (157). I tre laboratori AMS che hanno eseguito le analisi non hanno rilevato, nel trattamento preliminare di pulizia con agenti chimici diversi, un significativo inquinamento dei campioni (158). Questo sorprendente risultato è stato interpretato da alcuni, particolarmente prevenuti, come la prova che i campioni sono stati sostituiti prima di venir consegnati ai Laboratori e da altri, più semplicemente, come indice dell’impossibilità di rimuovere il materiale inquinante. Non si può inoltre escludere che i campioni prelevati contengano rammendi e fili estranei, spesso invisibili a prima vista. Il laboratorio di Tucson, per esempio, ha trovato nello spezzoncino sindonico che gli era stato consegnato un filo di seta rossa e fibrille blu, evidentemente sfuggite a chi eseguiva il prelievo (159).

Tuttavia per una strana contraddizione, quasi un’inversione di ruoli, sono proprio i patiti della Sindone i più convinti che le analisi, anche se eseguite correttamente, non avrebbero potuto fornire come data storica gli anni in cui morì nostro Signore. Indipendentemente dai risultati del 1988, che ritengono privi di attendibilità per le forzature operative che sono certi di aver individuato, essi non si attendono che le analisi radiocarboniche determinino come data storica il primo secolo ma una più vicina ai nostri giorni.

La cosa non dovrebbe destare meraviglia. All'epoca delle nostre nonne, quando ancora le lenzuola erano di lino e si conservavano gelosamente al fresco negli armadi come un patrimonio di famiglia, tutti sapevano che col tempo il lino, soprattutto se esposto alla luce, ingiallisce. La cosa per chi si interessi di chimica organica è semplice: il lino, formato per circa il 70 % di cellulosa pura, è composto da lunghe catene lineari di molecole tutte eguali, che nel tempo aggregano dei gruppi chimici detti cromofori, che sono all'origine del suo ingiallimento. Questo fatto che, come dicevamo, era già noto alle nostre nonne non è privo di conseguenze poiché pone in dubbio nel caso dei tessuti di origine vegetale il postulato cardine di ogni radiodatazione: dopo la morte la sostanza organica analizzata cessa completamente qualsiasi scambio e permette al C14 di decadere senza ulteriori apporti dall'esterno (in fisica si dice che è un sistema chiuso). Questi gruppi cromofori, che entrano a far parte delle molecole che compongono le catene (e che contengono carbonio fresco che si aggiunge a quello già presente nel tessuto) affermano al contrario che il sistema è aperto. Il processo di aggregazione si accelera in presenza di luce e di calore e anche questo, per quanto empiricamente, si sapeva già. Tra l'altro Vernon Miller, un esperto di fluorescenza UV e riflessometria del Brooks Institute, mediante fotografie a trasmissione ha potuto porre a confronto i rappezzi, cioè i pezzi di stoffa applicati dalle Clarisse là dove l'incendio del 1523 aveva distrutto il Telo, e la Sindone stessa. Quest'ultima presentava un ingiallimento maggiore dei rappezzi. (160)

Sfortunatamente delle vicissitudini del Telo si sa molto poco. L’unico avvenimento che ha interessato la Sindone conosciuto con certezza è l’incendio divampato nel 1532 nella cappella del castello di Chambery. Già dal 1993, sono state condotte numerose campagne sperimentali di simulazione di tale incendio (161). Occorre rilevare che l’unico parametro noto con relativa precisione è la temperatura massima raggiunta dal telo, che venne anche rilevata con uno spettrofotometro sulla base della colorazione della Sindone. Tuttavia, più recentemente, variando i parametri della simulazione è stato possibile riscontrare, dopo l’analisi AMS, aumenti nel contenuto in C14 pari ad un ringiovanimento di 160 e di 300 anni (162). Si è constatato che la presenza contemporanea di tre elementi è indispensabile nelle prove per ottenere un aumento del tenore di C14: la temperatura, il vapore acqueo e gli ioni argento.

Va inoltre segnalato che sulla base di una ipotesi di formazione dell’immagine sindonica formulata da un professore della Facoltà di Medicina di Monpellier (Francia) (163) è stata avviata una campagna sperimentale in seguito alla quale sono state analizzati campioni antichi di lino, alcuni sottoposti ad irraggiamento neutronico, altri ad un successivo trattamento di simulazione termica dopo l’irraggiamento. Le analisi con spettrometro di massa ad accelerazione hanno determinato ringiovanimenti radiocarbonici pari a 360 anni per i campioni irraggiati e ulteriori 760 e 1030 anni per quelli sottoposti anche alla successiva simulazione termica (164).

Un altro possibile meccanismo di aumento e diminuzione locale del tenore di C 14 è la diffusione a caldo degli isotopi del carbonio. Un modalità che è stata esclusa dagli analisti AMS che, tuttavia, dovevano nutrire qualche dubbio sul punto se hanno raccomandato di non effettuare il prelievo dei campioni della Sindone in prossimità delle zone carbonizzate malgrado il fatto che il carbone sia considerato un materiale ottimo ai fini della radiodatazione. Si può anche osservare che il contenuto di carbonio dei tre spezzoni della Sindone analizzati nel 1988 variano gradualmente in funzione della distanza di questi dal bordo della tela. Sono stati proposti dei modelli teorici ed eseguite analisi statistiche a supporto di questa ipotesi di variazione della concentrazione isotopica (165). Casualmente su di un tessuto sintetico sfuggito alla distruzione di un supermercato perché protetto dal fuoco e dall’acqua da un involucro in plastica e da una scatola di cartone si sono individuate delle tracce nerastre nella zona delle pieghe. Si tratta di strisce di carbone indelebili, che resistono agli attacchi acidi e basici nelle quali l’arricchimento in C 13 e C14 varia dal 2-3 % sino al 20% con punte del 50% (166).

Ma i meccanismi che possono alterare il risultato dell’analisi radiocarbonica di un tessuto di lino non si esauriscono qui.

Anzitutto il calcolo del tempo intercorso tra la morte della piante a l’analisi radiocarbonica è possibile perché si da per scontato che, sino alla morte della pianta, questa sia in equilibrio con l’ambiente esterno, cioè ci sia nella pianta una concentrazione di C14 pari a quella che si riscontra nell’atmosfera circostante. Tuttavia la pianta è formata da radici, fusto (che a sua volta è composto da numerosi elementi), foglie e frutti. E quanto mai improbabile che in tutte queste parti della pianta il tenore di C14 si mantenga identico a quello dell’ambiente esterno. Il frazionamento isotopico, questo il nome della distribuzione di un isotopo nelle varie zone di un organismo vivente, può variare da componente a componente della pianta, ciascuno dei quali ha una diversa funzione e un differente contenuto in lipidi, albumina e carboidrati e tale distribuzione biologica non si mantiene costante ma può variare per una molteplicità di fattori esterni (167). Spesso ci si riferisce per controllo ad un coefficiente di frazionamento ma è dimostrato che le variazioni possono avvenire anche se questo rimane costante (168).

Quanto alle curve dendrocronologiche è noto che esse forniscono il valore del tenore di C 14 presente anno per anno negli anelli annuali delle piante. Ma non è tuttora dimostrato che le circa 230 specie di lino, piante erbacee che possono essere annuali, biennali o perenni e che crescono sotto tutti i climi e a tutte le altezze, in habitat i più diversi, contengano ogni anno nelle loro fibre lo stesso tenore in C 14 dei tronchi di pinus aristata, conifere che crescono ad oltre 3000 metri nelle Withe Muntains della California. Questi hanno fornito, mediante una ricerca estremamente impegnativa, la base di tutte le attuali curve dendrocronologiche. Tuttavia se solo si confrontano le più recenti curve di Klein et al. con quelle di Stuiver e Pearson, che ai dati dell’aristata aggiungono quelli di piante ad alto fusto cresciute in Irlanda, si notano differenze tutt’altro che trascurabili (169).

Vi sono inoltre transitori di breve periodo della concentrazione del C 14 nell’atmosfera che gli anelli delle piante non riescono a segnalare correttamente. Ad esempio l’esplosione di supernuove determina un notevole aumento delle radiazioni provenienti dallo spazio con un picco di attività della durata di 30-50 giorni. Questa potrà influire notevolmente sulla concentrazione di C14 del lino se tali esplosioni coincideranno con il periodo di crescita dalla pianta, ma verrà registrato in modo assai più diluito in un anello di crescita annuale.

La dottoressa Jeannette Cardamone, una specialista nella chimica dei tessili del Politecnico della Virginia, elencava tra i fattori che favoriscono il degrado calore, la luce ed l’umidità e osservava che quest'ultima può causare lo sviluppo di microorganismi come funghi o batteri provenienti dal suolo, dall'acqua o dall'atmosfera (170). Già nel 1977 osservando con un microscopio elettronico a scansione (SEM) un filo della Sindone prelevato dalla Principessa Clotilde di Savoia in occasione di rammendi del 1868 si era rilevata una superficie inquinata dall'apporto di abbondante materiale estraneo appartenente al gruppo delle spore e delle ife fungine (171).

Erano queste le avvisaglie di un'ulteriore eccezione che viene di recente sollevata nei riguardi dei risultati della radiodatazione. Un microbiologo di origine messicana, Leoncio Garza- Valdes, studiando antichi manufatti delle culture pre-colombiane si accorse che talvolta questi erano ricoperti da depositi naturali prodotti dall'interazione tra alcuni tipi di funghi e di batteri. Depositi che crescono nel tempo anche se occorrono centinaia d'anni di questa simbiosi per creare uno strato continuo su di una superficie. Non solo, ma questa simbiosi trova un habitat propizio in ambienti salini come quello creato dal carbonato di sodio usato per sbiancare i tessuti antichi. Perché non era possibile che anche sulla Sindone si fosse formata nei secoli una guaina bioplastica? Una prima osservazione con un semplice microscopio portatile su un frammento di lino che si riteneva provenisse dalla Sindone (172) mostrava che erano presenti dei batteri, taluni dei quali vivi, e pertanto valeva la pena di approfondire la ricerca. Nel Laboratorio di genetica dell'università del Texas a San Antonio si sviluppava uno studio ad ampio respiro che confermava l'intuizione iniziale (173). V'è dunque una concreta possibilità che il C14 misurato provenga, in parte forse notevole, dalla guaina bioplastica formatasi intorno alle fibre ove lo scambio con l'ambiente esterno potrebbe essere tuttora in atto. Anche i carbonisti si sono preoccupati della cosa. Il prof. Harry Gove dell'Università di Rochester, uno dei pionieri della radiodatazione con le apparecchiature AMS, e che è stato uno degli artefici del bliz compiuto dai carbonisti nel 1987 sulla Sindone di Torino, ha offerto la propria collaborazione al dott. Garza-Valdes per mettere a punto un metodo di datazione radiocarbonica della effettiva cellulosa del tessuto di lino sindonico senza tener conto del rivestimento bioplastico (174). Anche la controversa datazione di una mummia egizia ha dato luogo qualche anno fa ad una verifica mediante la radiodatazione eseguita sulle bende che avvolgevano un ibis proveniente dall’antico Egitto. L’analisi ha messo in evidenza la possibilità che strati bioplastici alterino il risultato che si ottiene con le apparecchiature AMS. Le ricerche, a cui prese parte anche il dottor Gove, rilevarono che tra le bende e l’ibis avvolto in esse si osservava una differenza in C14 pari ad un intervallo temporale compreso tre i 370 ed i 730 anni. Nella relazione finale si dice che le misure includono la possibilità che il rivestimento bioplastico osservato sulle fibre della fasciatura dell’ibis producano un’età radiocarbonica di diverse centinaia di anni più giovane della sua vera età (175).

Queste erano le obiezioni degli oscurantisti che riportavamo nella prima edizione del presente volume. Oggi dopo oltre 10 anni di approfondimenti sembra si siano fatte più incisive. Si è anzitutto constatato che una data lontana dalla presunta morte di Gesù potrà anche dimostrare che la Sindone è un falso medioevale ma anche, al contrario, che i tessuti organici interagiscono nel tempo con l’ambiente esterno e che, se così è, l’unico valore ottenuto dalle analisi da rigettare sarebbe quello storico della morte del Signore.

In secondo luogo sarebbe opportuno incominciare a considerare il fatto decisivo che il lino non è cellulosa pura. Spesso i detrattori della Sindone estraggono cellulosa pura e poi scoprono che anche se sottoposta a simulazione termica tace, come la mosca del celebre esperimento che, dopo asportazione delle alucce, si constatò che non volava.

Anzitutto quella che viene lavorata non è la fibra elementare composta dal 98 % di cellulosa pura ma la cosiddetta fibra tecnica ove la fibra cellulosica è accompagnata da sostanze complementari che crescono con essa e non vengono rimosse: pectina, lignina, sostanze incrostanti, ecc. Le fibre tecniche a loro volta sono legate in fasci paralleli nelle quali le fibre elementari sono tenute insieme da legami a idrogeno tra i numerosi gruppi -OH adiacenti. Questi fasci sono intrecciati insieme formando delle strutture simili a quelle di una fune, raggruppate per formare i fili di lino.

Le singole catene si dispongono nello spazio in modo da favorire al massimo la formazione di numerosissimi ponti idrogeno che le tengono legate le une alle altre. Benché il singolo legame idrogeno sia debole il grandissimo numero di tali legami equivale complessivamente ad un legame abbastanza forte. Tanto è maggiore il numero di ponti idrogeno tanto più il fascio di molecole sarà fitto e regolare. Si parlerà allora di una zona cristallina. Se, al contrario, i fasci saranno meno regolari e compatti queste altre zone, le più aggredibili dagli agenti esterni, saranno dette semicristalline o amorfe (176) In recenti campagne sperimentali (177)si è dimostrato con la diffrazione ai raggi X che i trattamenti termici diminuiscono il grado di cristallinità della cellulosa, e che le zone amorfe crescono all’aumentare della temperatura di prova; tale è pure l’effetto dei normali trattamenti di pulizia dopo riscaldamento. Si è inoltre dimostrato con la miscoscopia infrarossa che la zona amorfa è più ricca di gruppi carbossilici e carbonilici che non quella cristallina e che il loro tenore non è in diretta relazione con l’età storica dei lini, cioè il degrado o, se si vuole, l’attacco operato dall’ambiente esterno, dipende dalla storia di ogni singolo tessuto.

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Naturalmente tutte queste obiezioni, che non scalfiscono minimamente l'ammirazione per il nostro artista e la certezza morale nella sua esistenza, ripropongono ancora una volta il problema dal quale eravamo partiti, l'unico sul quale sembrava ci fosse un minimo di certezza, quello della data di nascita. Perché, se come dice il prof Georges Salet nella sua critica a Kouznetsov, i gruppi chimici contenenti carbonio fresco possono aggregarsi alla cellulosa del lino ma, nella migliore delle ipotesi, si avrebbe un ringiovanimento di 537 anni (178), ci possiamo consolare che, da solo, il meccanismo proposto dal russo non ci riporta all'epoca di Gesù, ma quanto alla nascita del Nostro possiamo scegliere dall'epoca dei Carolingi a quella dei Valois (ma sarà poi stato suddito dei re di Francia?). Senza parlare dei rivestimenti bioplastici.

Almeno avesse lasciato, come fanno tutti, una firma ed una data! E in verità ha scritto qualcosa sulla Sindone ma è...l'ennesimo enigma! Ancora una volta l'attentissimo dottor Ugolotti ha scoperto alcune lettere sul sopracciglio sinistro ed altre ne ha intraviste intorno al volto ed in corrispondenza delle ginocchia. Ma non capiva di che scrittura si trattasse ed allora ha rintracciato un amico che faceva proprio al caso suo, un filologo e paleografo illustre: don Aldo Marastoni. Senza entrare, (non vorremmo tediare l'esausto lettore) nel problema della decifrazione delle parole, sapete che cosa ha fatto il nostro artista? Ha utilizzato per le scritte antichi caratteri greci, latini e pregotici e l'ebraico quadrato con cui si scriveva l'ebraico e l'aramaico ai tempi di nostro Signore e che è stato ritrovato in numerosi documenti tra i quali anche i famosi rotoli di Qumran (179). Per di più, per imprimere in modo indelebile tali caratteri sulla stoffa, ha utilizzato una tecnica che non siamo ancora in grado di indicare con certezza. Inutile dire che anche il professor Marastoni, di fronte a tanta abilità e sapienza filologica, ha finito per cadere nella trappola e convincersi dell'autenticità del Telo (180).

Considerazioni finali ma non ...conclusive

Siamo giunti al termine della nostra ricerca e possiamo dire che conosciamo ormai perfettamente le doti intellettuali ed il profilo psicologico-morale del nostro artista. Un dotto dalla cultura enciclopedica ed al tempo stesso un grandissimo tecnologo. Schivo di fama ed onori, modesto e beffardo al tempo stesso, ha preferito consegnare ai posteri un capolavoro ricco di elementi nascosti che avrebbero dovuto scoprire, uno dopo l'altro, come in un gioco di scatole cinesi. I segni enigmatici che si ritrovano sulla Sindone sono la testimonianza del suo isolamento così come del suo assoluto anticonformismo. Sono questi che hanno scatenato per ogni particolare dalla Sindone una ridda di supposizioni, dalle più ragionevoli a quelle sicuramente cervellotiche, che ancora non si è placata.

Anche se non possiamo ancora pronunciare il suo nome nè conoscere in quale secolo abbia operato, dobbiamo in ogni caso essergli riconoscenti per averci trasmesso un'impareggiabile immagine di nostro Signore. La Sindone ce lo descrive come l'Uomo dei dolori: la flagellazione, la corona di spine, le cadute, la crocifissione, i segni di una morte rapida, la ferita al costato da cui uscirono sangue ed acqua, il cadavere non lavato; tutto quanto narrano i Vangeli lo ritroviamo in immagine con altre preziose informazioni del tutto verosimili. Ma non solo: se rimuoviamo dall'immagine i grumi di sangue e i segni della passione che deturpano il volto riscopriamo secondo il Salmo 45 il più bello dei figli dell'uomo. Ci ha trasmesso secondo le parole di Daniel Rops un Volto di ineffabile e pacata bellezza e di una maestà veramente sovrana. E questa tra tutte è l'invenzione massima del nostro artista, poiché nessun apprendista stregone di basso rango avrebbe saputo ideare un'immagine di tale compiuta bellezza.

 

Indice dei nomi
(in questa sezione le indicazioni fanno riferimento all'edizione cartacea)

Accetta J.S. ref.78
Adgè M. ref.90
Adler A.D. ref. 12,13,15,27
Arcis P.d' pag.5,6,11
Ashe G. ref.21
Ballestrero A.(cardinale) pag.46
Baffo D. ref.18
Baima Bollone P.L. ref. 6,15,63,81,89,94,97,111,120,138,143,150,157,171
Balossino N. ref. 61,143
Barbera P. ref. 95
Barbesino F. ref. 137,149,160,162
Barbet P. ref.106,115
Basilio I macedone pag.4
Baumgart J.S. ref.78
Bedeschi E. ref.39
Bertolani Marchetti D. ref.45
Bettinelli M. ref.160,162
Bonnet Eymard B. ref. 105,159
Borga Coero P. ref. 171
Bouchage L. ref. 84
Bougarde pag.19
Brame A.H. Jr ref. 135
Bresee R.R. ref.36
Brillante C. ref. 20
Caifa pag.41
Calvino G. pag.26
Cameron J. pag.24
Cardamone J.M. ref.170
Carella A. ref.117
Carreño Etxeandia J.L. ref. 21,47
Curtoni E. ref. 160
Caselli G. ref. 21
Cavedoni ref.131
Charny G.I (di) pag.5, ref. 4
Charny G II (di) pag.5
Chevalier U.P. pag.6
Chiavarello G. ref. 52,53
Cisalpino A. pag.15
Clemente VII papa pag.5
Colson R. pag.21
Coppini L. ref. 127
Corti M.C. pag.8
Costantino VII pag.4
Craig E.A. ref. 36
Cruquison J. ref.118
Courage AL. ref. 178
Dale W.S.A. ref. 157
Danin A. ref. 102
David A.R. ref.175
Delage Y. ref. 69,105,106
Della Beffa F. pag.20
De Salvo J.A. ref. 54,60
Devan D. ref. 128
Di Monaco G. ref.117
Dürer A. pag.36
Elena (santa) pag.35
Enrie G. ref.52
Erode Agrippa I ref.133
Erode Archelao ref.133
Erode il Grande pag.37
Evans M.S. ref. 96
Fasola V.M. ref. 92
Filas F.L. pag.40
Filippo IV di Valois pag.5
Filone d'Alessandria ref. 130
Fossati L. ref. 5,11,95,99
Frei Sulzer M. ref. 97,98
Fumagalli G. ref. 29
Galeno ref. 30
Garrevod L.(cardinale) pag.26
Garza-Valdes L. ref. 173,175
Gervasio R. ref. 86
Gilbert R. Jr ref. 80
Gilbert M.M. ref. 80
Giovanni evangelista pag.33, ref..121
Giovanni VII (papa) pag.36
Giuseppe Flavio ref.130
Giustiniano II pag.4
Gove H. ref.175
Grato Valerio pag.40
Grimaldi G. pag.36
Habermas G.R. ref. 21,26
Hall E. ref. 150
Haralik R.M. ref. 142
Heller J.H. ref. 12,13,15,27
Hersey J. ref. 44
Imbalsamo G. ref. 70
Intrigillo G. ref. 93
Ircano II ref.133
Ivanov A.A. ref.161,167
Jackson J.P. ref. 50,72,128,165
Jounvenroux R.P. ref. 153
Judica Cordilia G.B. ref. 21,41,64
Jumper E. J. ref. 10,17,128
Klein J. pag.51
Kohlbek J.A. ref. 42
Kouznetsov D.A. ref. 161
La Dardye pag.19
Lagrange J. ref. 95
Lambert P. pag.26
Leonardo da Vinci pag.8
Levi Setti R. ref. 43
Less pag.23
Leynen H. ref. 5
Libby F.W. ref. 147
Longino pag.39
Lorre J.J. ref. 107
Luca evangelista pag.34
Luciano di Samostata pag.41
Lynn D.J. ref.107
Mc Crone W. ref. 12,154
Madden F. ref. 131
Makhlouf C. (beato) ref. 76
Maloney P.C. ref. 101
Manuele I pag.4
Marastoni A. pag.53
Marco evangelista pag.33
Marinelli E. ref. 31,156,164
Marion A. ref. 178
Mariotti M. pag.32
Masini N. ref. 19
Matteo evangelista pag.19,33
Mattingly S.J. ref. 175
Meshroer J. ref.136
Michele III pag.4
Miller V.D. ref. 16,107,116,125
Molinari I. ref. 174
Montenegro Elena (del) pag.8
Moran K.E. ref. 58
Morano E. ref. 171
Moroni M. ref. 32,41,57,134,137,140,149,160,162
Morris R.A. ref. 14
Mosso N. ref. 21
Mottern R.V. ref. 128
Müdder H. pag.36
Müntz E. pag.
Nickel J. ref. 25
Nieper ref. 75
Nitowski E.L. ref. 42
Noguier de Malijay N. ref. 21
Oliver P. ref. 74
Ottaviano P. ref. 95
Papini C. ref. 24,30
Pearson G.W. pag.51
Pellegrino M. pag. 28
Pellicori S.F. ref. 16,96,107,125
Pesce Delfino V. ref. 22,28,33,46
Petrosillo O. ref. 31,156,164
Pia S. pag.8
Piano L.G. ref. 82
Piazzoli A ref. 88
Picknett L. pag. 8.
Pilato Ponzio ref. 121,130
Poitiers H. (di) ref. 4
Price C. pag. 8
Propp K. ref. 165
Raes G. pag. 7
Rebelais F. pag. 25
Ricci G. ref. 124,139
Riggi di Numana G. ref. 38,172
Rinaudo J.B. ref. 163
Rodante S. ref. 18,20,48,49,66,67,68,93,109,110,127
Romanese R. ref. 65
Romano I pag. 4
Romano III pag. 4
Romolo ref. 129
Rogers R.N. ref. 9,14,37,79
Rops D. pag.54
Saldarini G. (cardinale) ref. 172
Salet G. ref. 176
Savoia Amedeo IX (di) pag.31
Savoia Clotilde (di) pag.51
Savoia VittorioEmanuele (di) pag.8
Scheuerman O. ref. 40,75
Schwalbe L.A. ref. 9,14,37,79
Sestini D. ref.131
Siliato M.G. ref. 7,38,83
Skirius C. ref. 12
Sox D. ref.154
Stevenson K.E. ref. 21,26,128
Stuiver M. pag.51
Tacito Cornelio
Tamburelli G. ref. 72,141
Tiberio Cesare pag. 40
Tite M. ref. 155,172
Thurston H. pag. 6
Tonelli A. ref. 85,94
Toolin L.J. pag. 48
Trenn P. pag. 19
Tzaferis V. ref. 123
Ugolotti P. pag. 40
Upinsky A.A. ref.145
Valetsky P.R. ref.161
Van Oosterwyck G. M-C. ref. 153,166,169
Vial G. ref. 8
Vigliano G. ref. 92
Vignon P. ref. 19,62,106
Volckringer M.T. ref. 55,56,59
Walsh B.J. ref. 165
Whanger A.D. ref. 2,40,51,100
Whanger M. ref. 2,51,100
Willis D. ref. 21
Wilson J. ref. 73,116
Wölflin W. ref. 158
Zaninotto G. ref.103,122

 

 

NOTE

(1)     Sono caratteristici la folta barba, i baffi irregolari ed il ciuffo di capelli sulla fronte a forma di ε. Ed ancora i grandi occhi chiusi, le guance gonfie, i lunghi capelli che ricadono sulle spalle e nascondono le orecchie, il naso diritto con la punta appiattita e le narici dilatate.

(2)     A.D.Whanger- M.Whanger: Polarized image overlay technique: a new image comparison method and its applications, Applied Optics, 24, n° 6, 15 March 1985, pp.766-772.

(3)     In verità un ginocchio più flesso dell'altro nella crocifissione, imporrebbe che nel rigore della morte, un arto appaia visivamente più corto di quello al quale era sovrapposto.

(4)     Lettera del vescovo di Trojes, Henry di Poitiers, a Geoffrey I di Charny in data 28 maggio 1356 (Archivio dipartimentale de l'Aube, Troyes, I, 17-originale in pergamena, ed Archivio Nazionale, Parigi, carton L 746, n° 22-copia cartacea, Camusat, fol.422 v.) nella quale il presule si complimenta per la felice conclusione dei lavori della Collegiata.

(5)     H.Leynen, Sudarion, 2 settembre 1993, ed ancora L.Fossati: I più antichi documenti sulla Sindone, Studi Cattolici, n° 287, gennaio 1985, pp.23-31.

(6)     P.L.Baima Bollone: Sindone o no, Società Editrice Internazionale, Torino 1990, pp.251- 253.

(7)     M.G.Siliato: Indagine su un antico delitto, Piemme, Roma, 1983, pp.157-159.

(8)     Gabriel Vial dice che potrebbe trattarsi di residui dovuti al normale inquinamento attraverso i secoli; Gilbert Raes fa osservare che la banda laterale (che potrebbe essere di epoca posteriore) non presenta tracce di cotone ed inoltre durante le analisi del 1988 anche il laboratorio di Oxford ha trovato fibre estranee che, analizzate da un laboratorio tessile specializzato, si sono rivelate di cotone.

(9)     L.A.Schwalbe-R.N.Rogers: Physics and Chemistry of the Shroud of Turin - A Summary of the 1978 Investigation, Analytica Chimica Acta, 135, 1982, pp 3-49.

(10)     E.J.Jumper et al.: A Comprehensive Examination of the Various Stains and Images on the Shroud of Turin, ACS Advances in Chemistry, n° 205, Archaeological Chemistry III, American Chemical Society, 1984.

(11)     Un'ottima descrizione della vicenda, sintetica ma ricca di particolari e richiami bibliografici, in Luigi Fossati: La ripresa della fotografia della sacra Sindone durante l'Ostensione del 1989, Collegamento Pro Sindone, settembre-ottobre 1994, pp.3-34.

(12)     Heller e Adler che eseguirono le analisi chimiche trovarono solo una particella di cinabro (solfuro di Hg), contrariamente a Mc Crone e Skirius che ne avevano individuate anche alcune di orpimento, di ultramarino, di azzurrite e vermiglione.
La presenza di tracce di pigmenti sul telo sindonico può essere attribuita agli artisti che hanno realizzato copie della Sindone: a lavoro ultimato le copie venivano poste a contatto con l'originale divenendo in tal modo "reliquie" da esporre alla venerazione dei fedeli. E' possibile che qualche pigmento sia rimasto sulla Sindone come altri residui estranei individuati su di essa: cera, fibre acriliche colorate, peli e parti di insetti.

(13)     J.H.Heller ed A.D.Adler dimostrarono che sul lino della Sindone esistono tre tipi di Fe: il ferro chelato proveniente dalla macerazione del lino; l'ossido di ferro Fe2O3, minerale impuro che si trova nelle gore dell'acqua utilizzata per spegnere l'incendio del 1532; ferro purissimo in forma di catena ematica sparso un po' ovunque sul tessuto oltre che in forte quantità nelle macchie di sangue.

(14)     L.A.Schwalbe e R.N.Rogers in Physics and Chemistry of the Shroud of Turin (vedi ref.9) dicono che poiché Mc Crone non forniva stime quantitative della densità delle particelle che aderivano alle fibrille o della loro concentrazione per unità di area, R.A.Morris et al. definirono la minima quantità di ossido di ferro visibile (Fe2O3) che è di 2 μg /cm2. Malgrado in alcuni casi, del tutto particolari, si fossero trovati 30 μg sul telo e 10 sull'immagine, R.A. Morris et al. analizzarono una striscia del volto sindonico dai capelli al naso con aree di 1 cm2 ad intervalli di un cm. Le variazioni riscontrate sono di 2 ¸ 5 μg / cm2. In generale i valori misurati non erano nemmeno lontanamente sufficienti per spiegare almeno un ravvivamento dell'immagine.

(15)     Un lavoro di grande importanza fu quello di Heller ed Adler che individuarono con metodi micro-spettrofotometrici, su nastri con fibrille macchiate di sangue, l'emoglobina, un componente che contribuisce alla colorazione del sangue. Isolarono poi la porfirina un'altro componente del sangue che dà fluorescenza rossa ai raggi UV. Infine, in esperienze successive, furono in grado di riconoscere albumina e bilirumina. Quest'ultima si trova in forte eccesso così come avviene per rottura dei globuli rossi in seguito a forti traumi. Tuttavia questa crescita abnorme è stata individuata ed interpretata solamente da alcuni decenni.
A queste ricerche si sono intrecciate e sovrapposte ricerche italiane condotte sotto la direzione del prof. Baima Bollone i cui risultati erano in accordo con i precedenti. Per accertare che si trattasse veramente di sangue umano si adottarono sieri con anticorpi fluorescenti che si fissano agli antigeni della specie biologica sottoposta ad immunizzazione e che si rendono così visibili mediante un microscopio a luce ultravioletta. La possibilità di identificare globuline umane anche a distanza di migliaia d'anni era stata preventivamente verificata su mummie egizie.

(16)     V.D.Miller-S.F.Pellicori: Ultraviolet fluorescence photography of the Shroud of Turin, J. of Biological Photography, 49, n° 3, July 1981, pp.71-85. Gli autori con tecniche spettrofotometriche individuarono in tre punti dell'immagine (ferita al fianco, passaggio del chiodo al polso, colatura di sangue al piede destro nell'immagine dorsale), attorno alle macchie di sangue, un'aerola fluorescente. Con prove successive scoprirono appunto che il siero ematico è fluorescente.

(17)     E.J.Jumper et al.: ref.10.

(18)     Tuttavia sulle orme dei favolisti rinascimentali v'è chi ha scoperto un certo Diego Baffo che per compiere un'opera di misericordia corporale in memoria del figlio, perito tragicamente, nel 1453 (sic!) aveva raccolto nella città di Pera con l'aiuto di un servo moro il corpo di un uomo del quale i turchi avevano fatto scempio e adagiatolo sopra un vecchio lino, lungo oltre quattro metri, lo aveva trasportato fuori città ove lo aveva seppellito (Corriere della Sera del 15 ottobre 1988 in S.Rodante: La scienza convalida la Sindone, Massimo, Milano 1994, pp.48-49).

(19)     N.Masini in Conoscere la Sindone (Collegamento Pro Sindone, n° 1, gennaio-febbraio 1988, pp.31-35) dice che: Quando esce sangue da una ferita, una parte di esso (fibrogeno) da liquido che è prende la forma di minutissime fibre intrecciate (fibrina) che formano qualcosa di simile ad una finissima rete. In questa rimangono presi i corpuscoli del sangue (piastrine, globuli rossi, globuli bianchi). In questo modo si forma il coagulo che tende a fermare la fuoruscita del sangue. Il coagulo una volta formato si ritrae, premendo verso l'esterno la parte più liquida (siero), sicché ad ogni coagulo che si forma sul corpo tende a formarsi intorno un alone di siero che è invisibile ad occhio nudo, ma visibile in fluorescenza sotto luce ultravioletta. C'è da dire ancora che, in determinate condizioni, dopo poche ore da quando si è formata, la fibrina si fluidifica, si liquefa molto lentamente (fibrinolisi). Secondo Vignon la fibrina si discioglie lentamente e quando è esattamente disciolta a metà si ottiene un buon decalco (P.Vignon: Le Saint Suaire de Turin, ed. Bottega di Erasmo, Torino, 1978).

(20)     C.Brillante: La fibrinolisi nella genesi dell'impronta sindonica, in "La Sindone, Scienza e Fede", CLUEB, Bologna 1983, pp.239-241. Anche il dottor Sebastiano Rodante ha mostrato sperimentalmente che sono necessarie 36 ore per ottenere decalchi analoghi a quelli che si riscontrano sulla Sindone.

(21)     G.Ashe: What sort of picture? An experimental clue to the nature of the body impressions, Sindon, 10, C.I.S. di Torino, Aprile 1966, pp.16-19. L'ipotesi del calore o della radiazione era stata proposta nel 1930 da N.Noguier de Malijay e successivamente da G.Caselli nel 1950. Tale ipotesi fu accettata da molti altri: D.Willis, N.Mosso, J.L.Carreño, K.E.Stevenson ed G.R.Habermas, e da G.B.Judica Cordiglia.

(22)     V.Pesce Delfino: E l'uomo creò la Sindone, Dedalo, Bari 1982.

(23)     Di solito un falso presuppone la falsificazione di un originale noto, di maggior perfezione della copia, e la possibilità di osservarlo per copiarlo. Come si vedrà in seguito è difficile immaginare un originale più ricco di particolari e di maggior precisione della Sindone attualmente in nostro possesso ove nulla è affidato alla fantasia.

(24)     C.Papini: La Sindone, un mistero che si svela, Dossier 16 , Claudiana, Torino 1982.

(25)     J.Nickell: Inquest on the Shroud of Turin, New York 1983\1987.

(26)      K.E.Stevenson-G.R.Habermas: Verdetto sulla Sindone, Queriniana, Brescia 1982, p.229.

(27)     J.H.Heller-A.D.Adler: A chemical investigation of the Shroud of Turin, Canadian Society Forensis Science Journal, 14, 1981, pp.81-103.

(28)     V. Pesce Delfino: ref. 22.

(29)     Questa lunga citazione è tratta dall'opuscolo, breve ma efficace, del dott. Giovanni Fumagalli: Ma allora ...la Sacra Sindone è proprio falsa?, Il Centro, Parabiago (Mi), 1988.

(30)     Carlo Papini (ref. 24), scrive tra l'altro a questo proposito: Ancora una volta si dimentica o si sottace l'eccezionale sviluppo dell'arte medica e delle conoscenze anatomiche raggiunto nell'oriente Bizantino e arabo. Gli scritti di Galeno (II secolo d.C.), dimenticati in Occidente e riscoperti solo a partire dal XII secolo sono sempre stati studiati a Bisanzio. Il nostro falsario era bizantino? Forse neppure medioevale? Quanto a Galeno si ricorda che l'opera del Cisalpino si colloca proprio in un vasto movimento di emancipazione dagli errori dell'ortodossia galenica in materia di circolazione del sangue che inizia in Occidente nella metà del cinquecento. Basta consultare una nomale enciclopedia alla voce "circolazione sanguigna" per accertarsene.

(31)     O.Petrosillo-E.Marinelli: La Sindone un enigma alla prova della scienza, Rizzoli, Milano 1990, p.230.

(32)     M.Moroni: Sulla formazione naturale e sulla strinatura accidentale dell'immagine sindonica, in "La Sindone-Indagini scientifiche.", Atti del IV Congresso Nazionale di Studi sulla Sindone, Siracusa, 17-18 ottobre 1987, Edizioni Paoline, 1988, pp.142-185.

(33)     E' la conclusione del libro citato alla ref. 22.

(34)     Articolo apparso su "Riforma" di venerdì 5 aprile 1996.

(35)     Il Moniteur fondato nel 1789 fu soppresso con il colpo del 18 brumaio 1799.

(36)     E.A.Craig-R.R.Bresee: Image formation and the Shroud of Turin, J. of Image Science and Technology, 38, n° 7, january-february 1994.

(37)  L.A.Schwalbe-R.N.Rogers: ref.9, pp.28-29.

(38)     M.G.Siliato: Indagine su un antico delitto, Piemme, Roma, 1983 ed inoltre G.Riggi di Numana: Rapporto Sindone 1978-1982, Il Piccolo, Torino, 1982.

(39)     Il sale di Qumran è ricco di minerali di potassio, sodio, magnesio, cloro e bromo come il Natron d'Egitto. E' stato condotto un esperimento su un modello di gesso, inumidito con soluzione di sale di Qumran; sul calco, con macchie di sangue essiccato, viene collocata una tela imbevuta di aromi e in un successivo esperimento, una tela asciutta, ricoperta di aloe e mirra in polvere. In ambedue i casi il risultato fu deludente. (E.Bedeschi: Estratto del "Bollettino chimico farmaceutico", fasc.20, Como, ottobre 1934.) Secondo l'autore, nel caso di Gesù la salagione può esser stata rapida e ridotta al semplice bagno del cadavere in una soluzione di Natron (carbonato di sodio) coperto poi con un lenzuolo impregnato di succo di aloe. Nel processo di imbalsamazione in uso ai tempi di Gesù all'aloe veniva sempre associata una salagione.

(40)     O.Scheuerman: Wie ist das Abbild entstanden? Forschungergebnisse und Fragen zum turiner Grabtuch, Das Fels, 17, n° 4, April 1986, pp.115-122, inoltre A.D.Wanger: Duke professor unveils new evidence on Shroud of Turin, comunicazione privata.

(41)     In seguito Judica Cordilia (G.B.Judica Cordilia: La Sindone immagine elettrostatica?, in AA.VV.: "La Sindone. Nuovi studi e ricerche.", Paoline, Alba 1978.) ha ottenuto impronte superficiali di gran lunga migliori a partire da metalli, materiale organico e da persona vivente. Questa ultima riproduzione, su tela asciutta, riguarda le mani ed è paragonabile agli arti visibili sulla Sindone. Prove condotte da M.Moroni con tele umide trattate con aromi hanno fornito immagini bruciacchiate e passanti sul rovescio.

(42)     J.A.Kohlbek-E.L.Nitowski: New evidence may explain image on Shroud of Turin, Biblical Archeology Rewiew, XII, N° 4, July-August 1986, pp.18-29.

(43)     R.Levi-Setti et al.: Progress in high resolution scanning ion microscopy and secondary ion mass spectroscopy imaging microanalysis, Scanning Electron Microscopy, 1985, pp.535-552.

(44)     J.Hersey: Hiroshima, Penguin Books, London 1972, pp.99-100.

(45)     L'assenza di calcinazione nella zona in cui appare l'ombra proiettata dalle figure umane ci ha spinto a controllare un frammento di materiale ceramico di rivestimento esterno delle pareti del Nisseki Hospital di Hiroshima investito dall'onda termica dell'esplosione (fornito dal Museo di Hiroshima). Il prof. M. Bertolani dell'Università di Modena che ha esaminato al microscopio il frammento ceramico ed il sottostante strato di cemento ha confermato che il cemento di posa si è mantenuto "calcitico" senza alcuna particolare variazione dei componenti.

(46)     V.Pesce Delfino: op.cit. ref.22, p.229.

(47)     J.L.Carreño-Etxeandia: La Sindone ultimo reporter, Edizioni Paoline, Alba 1978.

(48)     S.Rodante: La scienza convalida la Sindone, Massimo, Milano, 1994, pp.73-74.

(49)     S.Rodante: La realtà della Sindone, Massimo, Milano, 1987. ed inoltre, dello stesso autore, l'opera citata alla ref.48.

(50)     J.Jackson: "Shroud Spectrum", n° 28-29, settembre 1988, pp.516-519, ed inoltre conferenza al Rosetum di Milano il 24 marzo 1990

(51)     A.D.Whanger-M.Whanger: "Collegamento Pro Sindone", 6 maggio-giugno 1994, p.42.

(52)     Il fenomeno viene attribuito ad una reazione chimica che si manifesta, col passare degli anni, ed è facilitata dall'umidità: la zolfo del cinabro si unisce al piombo della biacca (G.Enrie: La Santa Sindone rivelata dalla fotografia, SEI, Torino, 2a edizione; G.Chiavarello: Di eventuali tracce di sostanze colorate o colorate-coloranti sulla Sindone, in AA.VV.: "La Sindone, la scienza, la fede.", CLUEB, Bologna, 1983.)

(53)     G.Chiavarello: ref.52.

(54)     J.A.De Salvo: The image formation process of the Shroud of Turin and its similarities to Volckringer patterns, Sindon, 31, CIS, Torino, dicembre 1981. L'Autore afferma che le tracce di acido lattico, contento nei vegetali, possono aver impressionato nel tempo la cellulosa della carta.

(55)     M.J.Volckringer: Le probleme des impreintes devant la Science, Procure du Carmel de l'Action de Graces, Ajaccio, 1981.

(56)     M.J.Volckringer: Relazione al Centre d'Etudes Théologiques presentata il 28 maggio 1984 a Caen.

(57)     Trovata da M.Moroni negli Album au collection complete et historique des costumes de la Cour de Rome, Paris, 1862, riproduce un piffero della Guardia Svizzera. I colori sono di tipo "minerale" o naturale (come tutti i colori utilizzati prima della metà dell'ottocento), diluiti in olii vegetali.

(58)     Elaborazione tridimensionale eseguita dal dott. K.E.Moran presso la Estek Kodak Company North Carolina, USA.

(59)     M.J.Volckringer: The Holy Shroud: Science Confronts the Imprints, traslated by V.Harper, Morgan, Australia 1991.

(60)     J.A.De Salvo, ref.54. Il De Salvo afferma che La più sorprendente somiglianza tra l'immagine del corpo sindonico e i campioni di Volckringer è che questi ultimi possono essere ricostruiti in rilievo tridimensionale usando un analizzatore tridimensionale VP-8, così come si può fare con l'immagine del corpo sindonico.

(61)     L'elaborazione del dorso, eseguita dal prof. Nello Balossino di Torino ed ancora inedita, conferma il carattere tridimensionale di questo lato dell'immagine.

(62)     P.Vignon: Le Saint Suaire de Turin devant la Science, l'Archeologie, l'Histoire, l'Iconographie, la Logique, ref.19.

(63)     P.L.Baima Bollone: ref.6, pp.203-204. Il prof Bollone fa notare inoltre che la trasformazione dell'aloe in carbonato di ammoniaca non avviene nel primo periodo dopo la morte anche se la presenza di aloe e mirra può accelerarla.

(64)     G.Judica Cordiglia: Ricerche ed esperienze sulla genesi delle impronte della S.Sindone in AA.VV:"La Santa Sindone nelle ricerche moderne. Risultati del Convegno Nazionale di studi sulla Santa Sindone."", Torino 1941, pp.37-51; L'Uomo della Sindone è il Cristo, Milano, 1941.; Ipotesi e nuovi esperimenti sulla genesi delle impronte in AA.VV.:"La Santa Sindone nelle ricerche moderne.", I Convegno internazionale di studio Roma-Torino Anno Santo 1950, Torino 1951, pp. 23-26.

(65)     R.Romanese: Contributo sperimentale allo studio della genesi delle impronte della Santa Sindone, in AA.VV.: Risultati del Convegno Nazionale del 1941, op. cit ref.64, pp. 51 - 61.

(66)     S.Rodante: Il sudore di sangue e le impronte della Sindone, Sindon, 21, 1975, pp.6-12; "Ipotesi sulla natura delle impronte sindoniche", Sindon, 1978, pp.126 -136; Mixturam myrrae et aloe - Rilievi di semeiotica sindonica, in AA.VV., "La Sindone e la Scienza", Atti del II Congresso Internazionale di Sindonologia, Paoline, Leinì (Torino), 1979, pp.419 - 423.

(67)     S.Rodante: Le impronte della Sindone non derivano soltanto da radiazione di varie lunghezze d'onda..., Sindon, 31, 1982. Rodante ammette un fissaggio fotoradiante sulla tela ancora umida, successivo alla formazione dell'immagine.

(68)     S.Rodante: Ipotesi sulla natura delle impronte sindoniche, in AA.VV.: "L'Uomo della Sindone", ed. Orizzonte Medico, Poliglotta Vaticana, Roma, 1979.

(69)     "I vapori alcalini possono provenire dalla fermentazione in carbonato di ammonio dell'urea, abbondante nel sudore febbrile durante il supplizio. I vapori prodotti sono meno intensi man mano che essi si trovano distanti dalla superficie del lenzuol", Yves Delage, Revue Scientifique, 3 maggio 1902 (relazione letta il 21 aprile 1902 nel Salone delle Scienze di Parigi che diede luogo ad accesi contrasti malgrado il prof. Delague fosse notoriamente agnostico).

(70)     G.Imbalsamo: Il linguaggio della Sindone: formazione dell'immagine, Sindon, n° 3, dicembre 1981.

(71)     Il "meccanismo verticale" del corpo sulla tela non spiega la formazione del volto dell'Uomo della Sindone che si trova col capo un po' inclinato in avanti e non nella posizione perfettamente orizzontale. La stessa considerazione vale per l'impronta di entrambe le volte plantari. Questi due importanti particolari non si accordano con l'ipotesi che l'impronta sia il risultato di una proiezione ortogonale.

(72)     Secondo J.Jackson le macchie di sangue sono spiegabili con il contatto della tela con il corpo ferito, ma non l'immagine: la sua tridimensionalità esclude un "meccanismo a contatto". L'affermazione non è accettabile poiché le macchie ematiche, quella della fronte ad esempio, elaborata dal prof. G. Tamburelli contiene un'informazione tridimensionale.

(73)     I.Wilson: "Magazine" del Sunday Observer del 31 gennaio 1988, e "Newsletters" della British Society for the Turin Shroud, 19, 1988.

(74)     Seguendo l'abitudine, i becchini avevano portato via il corpo nel lenzuolo dell'ospedale sul quale era stato steso. Rimase il pigiama che il defunto indossava, che venne gettato via, ed il materasso del letto a cui fu tolta la copertura sintetica che risultava macchiata. Quest'ultima venne strofinata con candeggina ma senza che le macchie sparissero. Infine la scoperta: "Poi mentre guardava di nuovo (si tratta di Patricia Oliver) diventò fredda dall'incredulità. C'era qualcosa di strano e completamente fuori del comune nelle macchie su cui stava lavorando. Chiaramente distinguibile sul colore carne della copertura del materasso c'era la spettrale immagine di una mano, col palmo rivolto all'insù: debole ma stampata con tale precisione che poteva distinguere le varie venature."

(75)     Più recentemente il sindonologo tedesco Oswald Scheuerman ha segnalato un caso analogo avvenuto in un ospedale tedesco e riportato dal dott.Nieper: "Alcuni anni fa avemmo un paziente ricoverato nel nostro ospedale che soffriva di un tumore al rene. Per caso, quando si stava rifacendo il letto alcuni giorni più tardi, si notò un'immagine sulla stoffa dell'imbottitura del materasso". L'impronta del tumore era particolarmente marcata, mentre quella dell'intero corpo, arti inclusi, era più debole.

(76)     Un ulteriore caso è quello del beato Charbel Makhlouf, monaco maronita, morto in Libano nel 1898. La ricognizione canonica, eseguita nel 1950, ha accertato che il sudario reca i lineamenti del volto, anche se un po' confusi. Inoltre si ha notizia di un altro sudario trovato sopra una mummia in una tomba di Antinoopolis, durante gli scavi del 1902. Questo sudario, con impressi i lineamenti di un volto era stato mostrato pubblicamente a Parigi e, successivamente, trasferito al Louvre; ora non è più rintracciabile.

(77)     Media Duemila, 3, marzo 1985, pp.51-66.

(78)     J.S.Accetta- J.S.Baumgart, Applied Optics, 19, 1980, p.1921.

(79)     L.A.Schwalbe-R.N.Rogers: Physics and Chemistry of the Shroud of Turin. A summary of the investigations, Analytica Chimica Acta, 135, 1982, pp.3-49.

(80)     R.Gilbert Jr.-M.M.Gilbert: Ultraviolet Visibile Reflectance and Fluorescence Spectra of the Shroud of Turin, Applied Optics, 1980, pp.1930-1986.

(81)     P.L.Baima Bollone: ref.6, pp.138-140. L'autore fornisce anche altri particolari sulla cassetta-reliquario e si riferisce, relativamente al luogo ove era conservata la Sindone, al "coro-sagrestia" poiché evidentemente tale spazio svolgeva ambedue le funzioni.

(82)     L.G.Piano: Commentarii critico-archeologici sopra la S.Sindone di N.S. Gesù Cristo venerata in Torino, Eredi Bianco e Comp., 1833. Anche la successive citazioni, poste in corsivo, provengono da questa medesima fonte.

(83)     Maria Grazia Siliato scrive: Il fuoco era già arrivato all'armadio e al suo contenuto quando il consigliere ducale Philippe Lambert s'avvide dell'incendio.Ma il coro era chiuso da una robusta cancellata. E il vento notturno, per le porte spalancate alimentava l'incendio. Ma qualcun altro aveva visto i bagliori del fuoco sulla neve, il fabbro Gillaume Poussod, il cui nome merita di essere ricordato perché forzò le sbarre ormai roventi, ustionandosi fino alle ossa delle dita, e aprì un varco. Due frati francescani con lui, il cui nome nessuno ha trascritto, arrivarono all'armadio ed estrassero la cassa d'argento..., (da "Il mistero della Sindone", Piemme, Casale Monferrato 1989, p.83.)

(84)     Le Saint Suaire de Chambery a Saint-Claire-en-Ville." par M. l'Abbé Léon Bouchage, Chambery, Imprimerie C. Drivet, 1891, pp.16-26

(85)     La nicchia, inserita nella parete costituita da blocchi di pietra rozzamente scalpellati ed ancor oggi anneriti, è situata a 2,50 metri dal pavimento. Misura 1,65 metri di lunghezza, 0,60 di altezza e 0,50 di profondità. Sulla parte frontale della nicchia, tutto attorno al bordo perimetrale è stata ricavata una battuta o bordura rientrante profonda 5 centimetri con l'evidente funzione di sede di appoggio per un'intelaiatura con grata di protezione Infatti sono ancora visibili in alto ed in basso della nicchia due fori praticati quasi sulla mezzeria che dovevano servire da fermo a due piccole ante da 80 x 60 centimetri ognuna. Ai lati sono ancora evidenti quattro incavi utilizzati, assai probabilmente, per murare le zanche di sostegno del telaio.
Questi rilievi dimostrano che la nicchia non era stata costruita per custodire il prezioso reliquario: questo infatti era di poco più grande del Telo ripiegato più volte su stesso in modo tale da ricoprire una superficie di 36 x 27 centimetri (vedi A.Tonelli: Il problema delle bruciature e la questione storica, Sindon, 8, aprile 1962.) Esperienze successive sulle temperature esterne ed interne al cofano necessarie per ottenere strinature identiche a quelle che si osservano sulla Sindone (vedi oltre) confermano che il cofano doveva esser stato completamente avvolto dalle fiamme come sarebbe avvenuto se fosse stato riposto in un armadio.

(86)     La campagna sperimentale è stata ricca di indicazioni:
a) se il cofano sperimentale veniva posto in una nicchia (a 2,5 m da terra), come quella dietro l'altare descritta e raffigurata in vecchi documenti, le temperature raggiunte non producono le due striature nerastre, visibili sulla Sindone, che la percorrono per intero nel senso della lunghezza;
b) per preservare i primi due strati superiori da una più marcata strinatura è stato indispensabile avvolgere il telo in un panno esso pure di lino. D'altra parte è plausibile che nel reliquiario un panno fosse posto a protezione del Telo;
c) le temperature esterne non giustificano la fusione di una lega d'argento quale quella usata all'epoca per la monetazione (54 % di rame e 43% di argento). L'ipotesi più probabile è che le lamine fossero saldate a stagno , di bordo tra loro;
d) la Sindone a Chambery era collocata nel cofano con tre lati a contatto con le pareti mentre uno solo era distanziato da esse, disposizione che all'origine delle due striature nerastre. Contrariamente a quanto ipotizzato da alcuni studiosi quelli che si carbonizzano sono proprio i lati non aderenti alle pareti (R.Gervasio: Bruciature, macchie ed aloni che si riscontrano sul tessuto della Sindone, Sindon, 24, CIS Torino, ottobre 1976, p.10).

(87)     Gli esami hanno confermato che esiste una progressiva variazione di colore dal primo all'ultimo strato anche se la variazione è più marcata che in quelli sottostanti. Il fattore di luminanza medio del 27° e del 39° strato (il facsimile è stato piegato come la Sindone in 48 riquadri) è risultato rispettivamente 0,662 e 0,679. Si spiegano pertanto le tonalità più evidenziate che appaiono sulla Sindone nella zona del dorso e del torace. Strinatura marcata che, per inciso, non può venir attribuita al peso del cadavere o ad un simulacro di esso poiché è riscontrabile anche nella zona del petto.

(88)     A.Piazzoli: Ecco le falle della Sindone, "l'Unità", venerdì 23 marzo 1996. L'articolista è ordinario di "Fisica generale" all'Università di Padova.

(89)     P.L.Baima Bollone: Primi risultati delle ricerche si fili della Sindone prelevati nel 1978, Sindon, XXIII, 30, CIS Torino, dicembre 1981.

(90)     M.Adgé: Rilievi sperimentali su alcune proprietà dell'aloe e della mirra, in "La Sindone: Scienza e Fede", Atti del 2° Congresso Nazionale di Sindonologia, CLUEB, Bologna 1983. Questi ha dimostrato che 2 mg di aloe sono sufficienti per eliminare la colorazione blu-verde prodotta da 1 mg di sangue in soluzione di benzidrina ed acqua ossigenata.

(91)     AA.VV.: La Santa Sindone, Ricerche e studi della Commissione di esperti nominati dall'Arcivescovo di Torino cardinale Michele Pellegrino nel 1969, Supp. Rivista Diocesana Torinese, Torino, gennaio 1976.

(92)     V.M.Fasola-G.Vigliano: Relazione preliminare all'analisi chimica del materiale prelevato all'interno dei sepolcri delle catacombe ebraiche di Villa Torlonia a Roma, in "La Sindone e la Scienza", Atti del 2° Congresso Internazionale di Sindonologia a cura di P. Coero Borga, Paoline, Torino 1978. Sono stati analizzati due campioni provenienti da loculi diversi, consistenti in frammenti di tufo con in superficie una sostanza nerastra. E' stato possibile individuare gruppi di comportamento cromatografico analogo a quello dei derivati antracenici presenti nell'aloe e tracce di materiale resinoso come la mirra. In seguito Fasola ottenne ulteriori numerose conferme in un'altra catacomba ebraica a sud di Roma detta di Vigna Randanini (vedi intervento alla Discussione a chiusura del IV Congresso Nazionale di Studi sulla Sindone, in "La Sindone -Indagini scientifiche." ref.32, p.423).

(93)     Analoghi esperimenti erano stati condotti in precedenza dal dottor Sebastiano Rodante e, successivamente dal prof Gaetano Intrigillo.

(94)     Per queste esperienze ci si è riferiti agli studi del prof.A.Tonelli che in base alle tracce lasciate sulla Sindone dall'incendio del 1532, ha determinato il modo secondo il quale il Telo veniva ripiegato nel reliquario (Baima Bollone cita nel volume L'impronta di Dio –Mondatori, Milano, 1985, il documento Verso l'ostensione della Sindone, Rivista dei giovani, 15 agosto 1933). La tela utilizzata, di dimensioni metà di quella sindonica, era inumidita preventivamente con una soluzione acquosa di aloe e mirra. Il tessuto è stato poi ripiegato secondo lo schema proposto dal Tonelli: si è constatato che un angolo degli strati sovrapposti rimaneva più sollevato degli altri tre. Una simile disposizione spiega come l'acqua di raffreddamento, penetrata a causa del cedimento della saldatura a stagno in un angolo del coperchio abbia inzuppato tutto lo spessore della tela senza raggiungere l'angolo posto più in alto degli altri. Questa porzione triangolare è stata solo inumidita per capillarità ed ha mantenuto un colore più scuro. La tela da esperimento, infatti, una volta dispiegata presentava delle chiazze quadrangolari dai contorni seghettati e di colore più intenso rispetto all'intero tessuto che, rimasto in ammollo, si è schiarito poiché ha ceduto buona parte della soluzione acquosa di aromi assorbita in precedenza.
Come controprova si è utilizzata una tela vecchia ed impolverata, non impregnata di aromi. Piegata in 48 parti con le stesse modalità è stata lasciata per 80 ore in ammollo in acqua ricca di calcare. Sul telo non si è potuto osservare alcun segno o chiazza che indicasse il limite fra la zona bagnata e quella non raggiunta dall'acqua.

(95)     J.Lagrange O.P.: Sinossi dei quattro evangeli secondo la sinossi greca, Morcelliana, Brescia 1970. Sui sinottici si parla di lenzuolo mentre in Giovanni viene utilizzato il termine bende traduzione che tuttavia è stato oggetto di dettagliate critiche. Si veda ad esempio la prefazione di Paolo Barbera e Piero Ottaviano al volume in ref.62. L' argomento è stato ripreso da L.Fossati in Collegamento Pro Sindone del marzo-aprile 1994.

(96)     S.F.Pellicori-M.S.Evans: The Shroud of Turin through the Microscope, Archaeology, 34, January-February 1981, pp.34-43.

(97)     P.L.Baima Bollone: Ricordo del prof. Max Frei-Sulzer (1913-1983), Sindon, CIS Torino, 1983, pp.139-140. Del prof Bollone è pure una rapida ma esaustiva sintesi dell'intera vicenda relativa all'individuazione dei pollini in "Sindone o no" (capitolo 14) ref.6.

(98)     M.Frei: Il passato della Sindone alla luce della palinologia in "Atti del II Congresso Internazionale di Sindonologia", Torino 7-8 ottobre 1978, Edizioni Paoline, Torino 1979, pp.191-200; Identificazione e classificazione dei nuovi pollini della Sindone in "Atti del II Convegno Nazionale di Sindonologia, Bologna, 27-29 novembre 1981, CLUEB, Bologna 1983, pp. 277-284.

(99)     L.Fossati: Principali avvenimenti da quando la Sindone passò ai Savoia, Collegamento Pro Sindone, settembre-ottobre 1993.

(100)     A.D.Whanger-M.Whanger: Floral coin and other non-body images on tht Shroud of Turin.", Poster al "Symposium Scientifique International sur le Linceul de Turin", CIELT, Paris, 7-8 Septembre 1989. Gli autori hanno riconosciuto 28 tipi di fiori primaverili della Palestina; di 25 di essi Frei ne aveva individuato il polline.

(101)     P.C.Maloney: The current status of pollen research and prospect for the future, Relazione al "Symposium Scientifique International sur le Linceul de Turin.", ref.100.

(102)     A.Danin: Indicazioni floreali per l’origine geografica della Sindone di Torino, Il Telo-Rivista di Sindonologia, maggio-dicembre 2001, pp.12-21; Micro-traces of Plants on the Shroud of Turin as Geographical Markers, Int. Scient. Symposium: "The Turin Shroud, past, present and future", Torino 2-5 March 2000, Sindon-Effatà, Torino-Cantalupo (To) 2000, pp. 495-500.

(103)     G. Zaninotto: Sindone tovaglia dell’ultima cena. Ipotesi senza valore, Il Telo-Rivista di sindonologia, maggio-dicembre 2001, pp.22-27.

(104)     E' una delle numerose ipotesi, di scarsa probabilità, sulle vicende della Sindone nel periodo che va dai due saccheggi di Costantinopoli ad opera delle milizie della IV crociata (1204 e 1204) e la ricomparsa a Lirey, in Francia, qualche anno prima del 1356 anno in cui muore in battaglia il primo possessore certo della Sindone, Goffredo di Charny.

(105)     La frase è del prof. Yves Delage ed è tratta dal volume di fr.B.Bonnet Eymard: Le Saint Suaire preuve de la mort et de la résurrection du Christ, Tome I, Editions de la Contre-Reforme catholique, Saint-Parres-Lès-Vaudes, 1986.

(106)     P.Vignon, del quale già si è scritto. Yves Delage professore di Anatomia comparata alla Sorbona di Parigi, membro dell'Accademia delle Scienze. Si è accennato in precedenza come, malgrado il prof. Delage fosse un agnostico convinto, dopo uno studio accurato della Sindone, il 21 aprile 1902 presentava le sue conclusioni in una comunicazione dal titolo L'immagine di Cristo visibile sul Santo Sudario di Torino che l'Accademia, per spirito repubblicano, si rifiutava di pubblicare integralmente. Ed ancora il medico Pierre Barbet chirurgo militare nella 1a Guerra Mondiale e dell'Ospedale Saint Joseph di Parigi dal 1934 al 1948 ed autore di un opera tra le più significative pubblicate dagli studiosi di questa prima generazione: La passion du Christ selon le chirurgien, Apostolat des Editions, 1965.

(107)     D.J.Lynn-J.J.Lorre: Digital Enhancement of Images of the Shroud of Turin in "Proceedings of the United States Conference of Research on the Shroud of Turin.", Albuquerque, 1977 ed inoltre V.D.Miller-S.F.Pellicori, ref.16.

(108)     E' il flagrum che si trova su alcune monete romane e che è stato tra l'altro ritrovato negli scavi di Ercolano, e nelle catacombe di Roma.

(109)     Citazione tratta da S.Rodante: Sudario e anamnesi., Atti del 3° Congresso Nazionale di Studi sulla Sindone, Trani, 13-14 ottobre 1984, a cura di P.Coero Borga e G.Intrigillo, Edizioni Paoline, Milano 1986, pp.281-292.

(110)     S.Rodante: La coronazione di spine alla luce della Sindone, Sindon, 24, CIS Torino, 1976.

(111)     P.L.Baima Bollone: Sindone o no, ref. 6, p.320, nota 19.

(112)     Questo chiodo porta saldato verticalmente sulla testa un anello al quale ne è concatenato un secondo. Ambedue dovrebbero essere aggiunte posteriori, altrimenti non si capisce come il martello avrebbe potuto percuotere la testa.

(113)     Dal punto di vista anatomico con mano si intende oltre alle dita ed al palmo anche il polso e questa accezione era probabilmente tale anche nel passato.

(114)     In realtà, se si vuol sostenere un corpo di ottanta chili quale è il peso stimato di nostro Signore Gesù, mediante le braccia che formino un angolo di 60° con la verticale, quale è approssimativamente quello presentato dalle braccia di un crocefisso, la forza che si esercita lungo ciascun braccio, per fare equilibrio al peso, è ancora di 80 chilogrammi.

(115)     P. Barbet: Cinq Plaies de Christ, Ed. Dillen, Issoudun, 1937 in fr.B.Bonnet Eymard, ref.105.

(116)     I.Wilson-V.D.Miller: The mysterious Shroud, Doubleday, New York, october 1988, pp.131-135.

(117)     A.Carella-G.Di Monaco: Caratteristiche sindoniche nel crocefisso delle Tremiti in "La Sindone, nuovi studi e ricerche.", Atti del 3° Congresso Nazionale di Sindonologia." di Trani, ref.109, p.163.

(118)     J.Croquison: Un précieux monument d'art byzantine du l'ancien tresor du saint Pierre: l'umbella de Jean VII, Rivista di archeologia cristiana, 43, 1967, pp.49-110.

(119)     La mano è quella destra perché corpo e immagine sono speculari.

(120)     L'ultima esecuzione capitale mediante crocifissione è quella di uno schiavo turco a Damasco nel 1247 (P.L.Baima Bollone in Sindon 1, NS -1989-Q, n° 1, CIS Torino, pp.23-29) Occorre tuttavia considerare che nell'Impero romano la crocifissione era stata abolita dopo il 314 da Costantino e che si può dubitare che le modalità di esecuzione nell'Impero turco del XIV secolo siano state le stesse di quelle romane di quattordici secoli prima.

(121)     Il cruciario era costretto a trasportare, il patibulum, che in origine era la trave con la quale veniva sbarrata la casa romana e alla quale si inchiodavano gli schiavi fuggitivi, sino al luogo dell'esecuzione, dove era stato in precedenza fissato al suolo un palo verticale, lo stipes. Dopo che il condannato era stato inchiodato al patibulum questo veniva issato con funi ed incastrato od inchiodato all'estremità dello stipes. Talvolta per prolungare la sofferenza del condannato lo si sosteneva in parte ponendo tra le gambe un sedile o sotto i piedi un suppedaneum. Ma i Vangeli attestano che Gesù mori in croce dopo appena tre ore e lo stesso Pilato ne rimase stupito Giovanni (19, 33-34) narra che per questo non gli spezzarono le gambe ma uno dei soldati, con un colpo di lancia, gli trafisse il fianco. Queste testimonianze concordano con le colate di sangue al polso nell'ipotesi che, nel caso di Gesù, non vi fosse né sedile né suppedaneo.

(122)     Per uno studio accurato della crocifissione romana e dei problemi ad essa connessi si rimanda alle numerose pubblicazioni del prof. Gino Zaninotto. In particolare sul numero dei chiodi vedi G. Zaninotto: La crocifissione a quattro chiodi e l'uomo della Sindone in "La Sindone - Indagini scientifiche.", Atti del IV Congresso Nazionale di Studi sulla Sindone a cura di S. Rodante, Siracusa 17-18 ottobre 1987, Edizioni Paoline, Milano 1988.

(123)     La località ha nome Giv'at ha-Mivtar (collina della divisione). Il crocefisso ha il proprio nome inciso in aramaico su un lato dell'urna di pietra che ne contiene le ossa. Si legge GIOVANNI-GIOVANNI FIGLIO DI HGQWL ma il significato dell'ultima parola è incerto. Sui ritrovamenti di Giv'atha-Mivtar vedi V.Tzaferis: Jewish Tombs at and near Giv'at ha-Mivtar, Jerusalem, Israel Esploration Journal, 20, 1978, pp.18-32.

(124)     G.Ricci: L'uomo della Sindone è Gesù. Diamo le prove, Edizioni Carroccio, Vigodarzere (PD) 1989, pp. 47-49.

(125)     V.D.Miller-S.F.Pellicori, ref.16.

(126)     La lancia era l'arma per eccellenza dell'esercito romano al punto che i romani derivavano da essa il loro nome di Quiriti. In generale la cuspide era a foglia di salice e pertanto feriva sia di punta che di taglio.

(127)     Quando, nel 6 d.C., fu trasformata in provincia romana, la Giudea ricevette per la prima volta un presidio; giudicata di scarso rilievo strategico ed affidata perciò ad un procuratore, non ebbe sul suo territorio, almeno fino al 70 d.C., alcuna legione. I procuratori avevano ai loro comandi truppe ausiliarie, levate per lo più nel territorio stesso, tra le popolazione non giudaiche della Palestina.(...) Gerusalemme era presidiata da distaccamenti di queste truppe; nella torre Antonia era acquartierata, di norma, una coorte. (in L.Coppini: Le lesioni di punta ed il colpo di lancia visibili sulla Sindone. Rilievi di anatomia topografica e radiologica, S.Rodante (a cura di) "La Sindone-Indagini scientifiche", Edizioni Paoline, Cinisello B. (Mi), 1988 , nota n° 20 dell'Appendice, p.80).

(128)     E.J.Jumper,J.P.Jackson and D.Devan: Computer related investigation on the Holy Shroud, in K.E.Stevenson (a cura di) "Proceedings of the 1977 U.S. Conference of Research on the Shroud of Turin.", New York 1977; nello stesso documento J.P.Jackson, E.J.Jumper, R.W.Mottern and K.E.Stevenson: The three dimensional image of Jesus' burial cloth., pp.74-94; E.J.Jumper, J.P.Jackson and K.E.Stevenson: Images of coins on a burial cloth?, The Numismatist, Juli 1978, pp.1350-1357.

(129)     Era così chiamato il bastone, grosso, dall'estremità superiore arcuata e senza nodi adoperato dagli auguri per la delimitazione del templum cioè dello spazio celeste corrispondente allo spazio terrestre che doveva essere consacrato. A Roma, nella Curia dei Salii palatini, si conservava un lituo di cui, secondo la leggenda, Romolo si era servito per ripartire, secondo il rito etrusco, le regioni della città da lui fondata. Verosimilmente, da principio, il lituo fu una specie di bacchetta magica. (Enciclopedia Italiana, XXI, Istituto dell'Enciclopedia Italiana, Rizzoli, Milano 1934, pp. 304-305).

(130)     Malgrado alcuni neghino che sia esistito parlano di Pilato, oltre i Vangeli, Flavio Giuseppe nelle Antichità giudaiche e Filone di Alessandria in Legazione a Caio. Anche Tacito lo nomina nei suoi Annali. Quinto dei Procuratori romani governò la Giudea dal 26 al 36 d.C. La data di emissione delle monete è preceduta da un L che significa dell’anno (genitivo del termine lukabas), ed è espressa con lettere maiuscole dell’alfabeto greco: le prime nove lettere per le unità, le successive per le decine. Abbiamo pertanto delle monete del 29/30 d.C indicate con LIς (lo stigma ς θ un antico segno minuscolo introdotto tra le prime lettere dell’alfabeto con valore 6), del 30/31 d.C indicate con LIZ, ed infine quelle del 31/32 d.C. a cui corrispondono le lettere LIH.

(131)     La moneta reca sul verso la data LIA, anno XI di Tiberio, il 24 d.C. Fanno riferimento a monete dilepton lituus datate LIA, D.Sestini (1796), Cavedoni (1856), F.Madden (1864).

(132)     Bari sera, pagina Cultura: Come ti demolisco la tesi della monetina impressa sull'occhio del Cristo, venerdì 12-sabato13 luglio 1996.

(133)     In un cranio una moneta di Ircano II (63-40 a.C) ed una di Erode Archelao (4 a.C - 6 d.C.) mentre nell'altro due monete di Erode Agrippa I (37-44 d.C.).

(134)     M.Moroni: Ulteriore prova della presenza sull'occhio destro dell'Uomo della Sindone di una rara moneta emessa da Ponzio Pilato in "La Sindone - Indagini scientifiche." ref. 127, pp.329-343.

(135)     A.H.Brame Jr.II: The dating of the Shroud of Turin: two rare, previously unrecognized, Lituus dilepta issued A.D. 24-25 by Valerius Gratus and A.D. 29-30 by Pontius Pilatus, The Augustan, XXII, n° 2, October 1984, pp.66-78.

(136)     Una ulteriore conferma si ebbe da un archeologo israeliano di Tel Aviv, Y. Meshroer che nel volume Ancient Jewish Coinage, vol.II, tav.32, n.23 g - Herod the Great through bar Cochba, Amphora Books, New York 1982, riportava un dilepton lituus di tipo retrograde (rovesciato) anche se datato LIZ, anno XVII di Tiberio, 30/31 d.C.

(137)     M.Moroni e F. Barbesino: Sulla Sindone due monete di Tiberio Cesare?, Il grande libro della Sindone, San Paolo, 2000, pp. 217-220.

(138)     "Le palpebre, poche ore dopo la morte, al momento dell'instaurazione della rigidità cadaverica tendono a sollevarsi. Un piccolo peso è in grado di impedirlo. E' chiaro che una quantità di oggetti di ridotte dimensioni e di modestissima massa si presta indifferentemente allo scopo . Tra essi sono da annoverare le piccole monete." P.L. Baima Bollone: L'impronta di Dio, ref. 94, p.165.

(139)     G.Ricci : ref. 122, pp.91 - 92.

(140)     M.Moroni: Quella moneta di Pilato sull'occhio destro, in AA.VV.: "La Sindone questo mistero. Storia - Scienza - Archeologia." a cura della Delegazione Lombarda del Centro Internazionale della Sindone di Torino, Stampato in proprio, Bovisio Masciago (LE) 1991.

(141)     G.Tamburelli: Some result in the processing of the Holy Shroud of Turin, IEEE Transaction on Pattren Analysis and Machine Intelligence, vol. PAMI 3, n.6, november 1981.

(142)     R.M.Haralik: Analysis of digital on the Shroud of Turin, Spatial Data Analysis Laboratory, Virginia Polytecnic Institute, Blacksburg (Virginia), 1983.

(143)     Radiotelevisione italiana, RAI 2, programma "Mixer" del 8 luglio 1996. La notizia è comparsa anche sui quotidiani nazionali La Stampa, Il Giorno, Avvenire del 7 luglio 1996.

(144)     Sul diritto della moneta sono raffigurate tre spighe di orzo con il nome di Julia Augusta la madre di Tiberio: IOYAIA KAICAPOC.

(145)     Un'analisi epistemologica dei dati scientifici riguardanti la Sindone, forse non apprezzata nel suo giusto valore, è stata condotta dal dott. A. Upinsky. In essa si parla di una crisi epistemologica nel senso che tutte le informazioni scientifiche convergono malgrado obiezioni e incertezze verso l'autenticità del Telo. Se fosse un artefatto del XIV secolo la scienza attesterebbe due fatti tra loro in contraddizione (A.A.Upinsky: La science à l'épreuve du Linceul, Conferenza al "Symposium Scientifique International de Paris sur le Linceul de Turin.", OEIL, Paris, 7-8 septembre 1989).

(146)     Il carbonio si trova in natura libero o combinato con altri elementi. Sono noti cinque isotopi, cioè elementi che hanno lo stesso numero atomico e massa diversa. Due stabili nel tempo, il C12 (98,89 % circa) ed il C13 (1,11 % circa) e tre instabili dei quale solo il C14 anche se in quantità infinitesime (un atomo ogni mille miliardi di atomi di carbonio) ha un tempo di trasformazione sufficientemente lungo per venir utilizzato per la datazione.

(147)     Willard Frank Libby. professore di chimica all'Istituto di Studi nucleari di Chicago, ricevette nel 1962 il premio Nobel per le ricerche riguardanti il metodo della radiodatazione con radioisotopi, in particolare il C14.

(148)     Appartengono ai contatori detti proporzionali perché il numeri di atomi radioattivi viene stimato in base al numero di disintegrazioni radioattive rivelate in un certo intervallo di tempo.

(149)     Per una esposizione dettagliata delle vicende legate alla datazione della Sindone con gli spettrometri di massa ad accelerazione si rimanda a F.Barbesino-M. Moroni: L'ordalia del carbonio 14, Mimep-Docete, Pessano (Milano), 1996.

(150)     Il prof. Baima Bollone scrive: Nessuno dei ventuno autori (quelli che compaiono sull'articolo che riporta i risultati delle analisi N.d.A.) è un esperto di Sindone ed in bibliografia si cita un solo testo sindonologico. Si tratta dei criticatissimi risultati delle ricerche e degli studi compiuti dalla Commissione di Esperti nominata dall'Arcivescovo di Torino, cardinale Michele Pellegrino, pubblicato nel 1976. L'articolo presenta la Sindone in termini erronei. ecc,ecc. (P.L.Baima Bollone: Sindone o no, op. cit. ref.6). In una intervista a The Tablet del 14 gennaio 1989 il prof. Edward Hall, l'analista di Oxford, affermava: Personalmente penso che non vi sia il minimo lembo di prova perché un'origine del primi secolo stia in piedi. Per esempio la cosa rimarchevole a proposito del Sudario di Torino è che i primi e soli documenti precisi e storici sono le due menzioni del XIV secolo quando i vescovo dell'epoca si sono lamentati che fosse un falso. E' la sola porzione di storia che si abbia.

(151)     Che nell'ambiente degli analisti AMS fosse diffuso il preconcetto che la Sindone di Torino fosse d'origine medioevale se ne ebbe conferma già nel 1987 al 4° Simposio Internazionale sulla Spettrografia di Massa con Acceleratori che si tenne in Canada ad Niagara-on-the-Lake. Durante il banchetto ufficiale all'Università di Rochester il professor W.S.A.Dale dell'Università dell'Ovest Ontario intrattenne i commensali sul tema Il Sudario di Torino: reliquia od icona? Secondo il prof. Dale è improbabile che l'immagine superficiale del Sudario di Torino sia anteriore al 969 d.C. e posteriore al 1169.

(152)     Vi sono delle procedure statistiche per verificare che lo scarto dei valori ottenuti dai singoli laboratori siano puramente casuali e non dovuti ad errori di procedura o ad un campionamento non significativo. La procedura adottata forniva un valore statistico del cosiddetto livello di significatività (significance level) che imponeva di riconsiderare i valori ottenuti. Il valore limite minimo accettabile di tale livello è il 5% e questo è appunto il valore compare nell'articolo di presentazione dei risultati. Tuttavia il valore corretto che si ottiene dal calcolo è il 4%. (vedi ref.153).

(153)     R.P.Jounvenroux: Intervalles de confiance et datation radiocarbone du Linceul de Turin, Actes du Symposium Scientifique International, Roma 1993, ed. F. Xavier de Guibert – Paris, pp.185-205. Una buona sintesi in M-C Van Oosterwyck Gastuche: Le radiocarbone face au Linceul de Turin, F.Xavier de Guibert, Paris 1999, pp.319-338.

(154)     Il reverendo David Sox è un benemerito della S.Sindone. La sua opera di demitizzazione è stata incessante. Già nel 1980 l'amico dottor Walter Mc Crone, un altro ricercatore, al quale si è già accennato nel presente testo, e che ha fatto molto per la Sindone di Torino, analizzando il materiale asportato dal Telo dai ricercatori dello STURP (Shroud of Turin Research Project) crede di aver individuato la prova che la Sindone è un dipinto di età medioevale. Vola allora in Inghilterra e fornisce la notizia della clamorosa scoperta sotto forma di comunicazione privata alla British Society for the Turin Shroud (Società britannica per la Sindone di Torino) della quale è segretario il reverendo Sox. Il Chatholic Herald pubblica nel settembre dell'80 la notizia che si diffonde sulla stampa mondiale. Sox dà le dimissioni da segretario e subito scrive un libro dal titolo L'immagine sulla Sindone. E' la Sindone di Torino un imbroglio? ove chiede scusa al pubblico per averlo involontariamente ingannato con una reliquia che la scienza ha dimostrato un falso. Purtroppo le prove di Mc Crone non hanno trovato conferma e si è dovuto definitivamente abbandonarle dopo i risultati delle ricerche multidisciplinari eseguite dei ricercatori dello STURP.

(155)     M.Tite: intervista al quindicinale cattolico L'homme nouveau, del 15 ottobre 1989.

(156)     O.Petrosillo-E.Marinelli: La Sindone: un enigma alla prova della scienza, ref.31, p.75.

(157)     P.L.Baima Bollone: Sindone o no, ref.6, p.282.

(158)     Scrive il dott.Willy Wölfli direttore del Laboratorio di Zurigo: la fuliggine di un incendio così come semi e pollini potrebbero contaminare un campione. Perciò tutti i campioni furono esaminati microscopicamente al fine di individuare e rimuovere il materiale estraneo presente, Nel nostro caso nessun materiale di questo tipo è stato scoperto (Collegamento Pro Sindone, maggio-giugno 1989, pp.30-31).

(159)     La Contre-Reforme catholique au XXe siècle, Numéro Spécial 271, Fevrier-Mars 1991, pp. 36-37 e Fig.31. Occorre segnalare che le affermazioni riportate sono state registrate da fr.B.Bonnet-Eymard con l'autorizzazione degli interlocutori. I ricercatori di Tucson hanno scattato una macrografia del filo di seta rossa (la Sindone è fissata con impunture al suo supporto, un telo d'Olanda od "olandina", e protetta nella parte superiore da un panno di raso rosso). Uno di essi, Toolin, ha affermato a Bonnet -Eymard di averlo conservato; tuttavia, all'atto di mostrarlo all'ospite, non è stato possibile trovarlo

(160)     I rappezzi sono gli spezzoni di stoffa applicati al telo sindonico nelle aree carbonizzate ed ora rimossi dopo il restauro conservativo del 2002.

(161)     D.A.Kouznetsov-A.A.Ivanov-P.R.Valetsky: Effect of fires and biofractionation of carbon isotopes on results of radiocarbon dating of old textiles: the Shroud of Turin, J. of Archaeological Science, 23, 1996, pp.109-121; Detection of Alkylated Cellulose Archaeological Line Texile Samples by Capillary Electrophoresis / Mass Spectrometry, Analytical Chemistry, vol.66, n° 23, December 1,1994, pp.4359-4365.

(162)     M.Moroni: The age of the Shroud of Turin, Int. Sc. Symposium: "The Turin Shroud, past, present and future", Torino, 2-5 March 2000, Sindon-Effatà, Torino-Cantalupo (To) 2000, pp.515-522; M.Moroni-F.Barbesino-M.Bettinelli: Possible Rejuvenation Modalities of the. radiocarbon Age of the Shroud of Turin, Shroud Turin Conference, Richmond, Virginia, 18-19 June 1999; Verifica di una ipotesi di ringiovanimento radiocarbonico, III Congresso Int. di Studi sulla Sindone, Torino, 5-7 giugno 1998.

(163)     J-B.Rinaudo: Protoni e neutroni le chiavi dell’enigma, Il Telo - Giornale Italiano di Sindonologia, maggio-agosto 1999, pp. 12-17; J-B. Rinaudo: Nouveau mécanisme de formation de l’image sur le Linceul de Turin ayant pur entraineruna fausse radiodatation médiévale, Actes du Symposium Scientifique International, CIELT, Roma 1993, F-X de Guibert 1993, pp. 293-300.

(164)     Ref. 156.

(165)     J.P.Jackson - K.Propp: On the evidence that the radiocarbon date of the Turin Shroud was significantly affected by the 1532 fire, Actes du IIIè Symposium scientifique International du CIELT , Nice, Editions du CIELT, Paris 1988, pp.61-82; B.J.Walsh: The 1988 Shroud of Turin Radiocarbon Tests Reconsidered, Shroud of Turin Int. Research Conference, Richmond, June 18-20, 1999.

(166)     M-C.Van Oosterwyck Gastuche: Dates radiocarbone sur tissus d’âge archéologique bien connu, Actes du Symposium Scientifique International, Rome, 10-12 juin 1993, François-Xavier de Guibert, Paris 1993, pp.219-228.

(167)     A.Ivanov: Carbon dating of the Turin Shroud: reasons for scepticism, alternative approaches, prospects and further research, Int. Sc. Symposium: "The Turin Shroud, past, present and future", ref. 102, pp. 479-494.

(168)     Il coefficiente di frazionamento è δ C13 = [(C13/C12)pianta / (C13/C12)atmosfera - 1] x 1000, espressione solitamente normalizzata al – 25 0/00. Se il rapporto (C13/C12)pianta rimane invariato non è possibile individuare le variazioni nel tenore degli isotopi. Tali variazioni possono raggiungere il 5-6 %, introducendo errori assoluti di 400-500 anni.

(169)     M-C Van Oostrerwyck Gastuche: Le radiocarbone face au Linceul de Turin, ref.153

(170)     J.M.Cardamone: Flax cellulose: characterization and aging, "Symposium Scientifique International sur le Linceul de Turin.", ref.145.

(171)     P.L.Baima Bollone-P.Borga-E.Morano: Prime osservazioni sulla fine struttura della Sindone al microscopio elettronico a scansione, Sindon, XIX, n° 26, CIS Torino, ottobre 1977, pp.15-22.

(172)     E' probabile che si tratti degli sfridi di lavorazione ottenuti dal sig.G. Riggi di Numana durante il prelievo per la radiodatazione nell'aprile dell'88. Tuttavia la cosa non è certa perché di tutta l'operazione coordinata dal dott.Tite, compresa la destinazione del materiale residuo, non esiste alcun verbale ufficiale. Il cardinale Giovanni Saldarini, attuale Custode della Sindone, ha rilasciato il 15 settembre '95 una dichiarazione nella quale afferma che non è noto che esista materiale residuo in mano a terzi e che se esistesse andrebbe restituita alla Santa Sede che ne è la legittima proprietaria.

(173)     Si tratta di funghi Lichenothelia che interagiscono con batteri Cyanobacteria formando strati che vanno da 1 a 500 millesimi di millimetro. La guaina che copre i fili sindonici è stata confrontata con quella di sei antichi artefatti; vedi L.Garza-Valdes: Bio-plastic coating on the Shroud of Turin, a preliminary report, Symposium on the Shroud of Turin, San Antonio-Texas, 11 September 1993. D’altra parte .. la pulizia con il metodo standard non garantisce la rimozione delle microife. Occorre un metodo più selettivo (Radiocarbon, vol. 28, n°1, 1986, pp. 170-174).

(174)     Intervista rilasciata alla giornalista Ida Molinari di Torino il 27 gennaio 1995.

(175)     H.E.Gove-S.J.Mattingly-A.R.David-L.A.Garza-Valdes: A problematic source of organic contamination of linen, Nuclear Instruments and Methods in Physics Research, B 123, 1997, pp.504-507.

(176)     R. T. Morrison - R. N. Boyd: Chimica organica, Ambrosiana, Milano 1965, pp.859-860; M.Copedé: La carta e il suo degrado, Nardini, Firenze 1991; J. C. Roberts: The chemistry of paper, The Royal Society of Chemistry.

(177)     M.Bettinelli - E.Cartoni - M.Moroni - F.Barbesino: Impiego di tecniche chimico-fisiche per lo studio dell’invecchiamento delle fibre di lino, Worlwide Congress Sindone 2000, Orvieto, 27-29 agosto 2000; M.Moroni – F.Barbesino - M.Bettinelli: Analisi radiocarbonica e datazione della Sindone di Torino, I Congresso internacional, II Congresso brasileiro sobre O Santo Sudario, Rio de Janeiro, 27-29 de junho de 2002.

(178)     G.Salet: articoli apparsi su La Lettre Mensuelle du CIELT. del febbraio (n° 50) e del maggio (n° 53-supplemento) del '94.

(179)     La scrittura ebraica classica, detta quadrata, si forma alla fine del 1° secolo d.C. Per un'organica esposizione dell'argomento si rimanda al capitolo 6 del volume Sindone e no, ref.6, ove l'argomento è trattato con ricchezza di informazioni.

(180)     In seguito i ricercatori dell’Istituto Ottico d’Orsay hanno applicato all’immagine del Volto sindonico le tecniche di codifica digitale confermando e ampliando le precedenti osservazioni, vedi A.Marion-AL.Courage: La Sacra Sindone - Nuove Scoperte, Neri Pozza, Vicenza 1988.