Mario Moroni – Francesco Barbesino – Maurizio Bettinelli

La Santa Sindone di Torino e le monete di Ponzio Pilato

I Congresso Internacional - II Congresso Brasileiro Sobre O Santo Sudario

27 – 29 de junho de 2002
Rio Janeiro - Brasil

Questa memoria illustra, sul piano storico e sperimentale, come sul telo della Santa Sindone di Torino sia possibile individuare l’impronta di due monete emesse dal Procuratore romano della Giudea Ponzio Pilato negli anni dal 29/39 della nostra era, l’una sulla palpebra destra e l’altra sul sopracciglio sinistro.

Tuttavia per provare questo assunto occorrerà premettere diverse considerazioni di carattere generale.

1. Le monete imperiali romane

Divenuto unico arbitro della politica dell’Impero nel giugno del 23 a.C. Augusto pose mano, tra l’altro, alla riforma del sistema monetario fissando i pesi delle monete d’oro e argento e di metalli meno pregiati ed i reciproci rapporti. L’emissione delle monete d’oro e d’argento (il denario ed il quinario aureo ed argenteo) erano prerogativa che il Principe aveva avocato a se e vi compariva quasi costantemente la sua immagine anche se, per rispetto alle tradizioni senatorie, le monete venivano impresse lontano da Roma nella zecca di Lione (Lugdunum). La giurisdizione, almeno nominale, del Senato riguardava le emissioni in oricalco, lega di rame e zinco (sesterzio e dupondio), ed in rame che venivano coniate a Roma.

Queste infatti recavano le lettere S e C (Senatus Consultum) e, secondo la tradizione repubblicana, il nome del monetiere cioè di uno dei tre magistrati addetti all’emissione delle monete (tresviri monetales).

Tiberio, succeduto ad Augusto, non si scostò per nulla dal sistema monetario instaurato e mantenne inalterata questa diarchia (o finzione politica) riguardante l’emissione della moneta.

Tuttavia non occorreva essere al vertice dell’Impero per coniare lecitamente denaro. Già in epoca repubblicana l’imperium militiae attribuito ai magistrati maiores, governatori, legati, proconsoli, consentiva in caso di necessità di battere moneta, ad esempio quando occorresse pagare i soldati (1).

2. Le emissioni dei Procuratori romani di Palestina

E’ noto che alla morte di Erode il Grande, re della Palestina, gli succedettero per testamento i suoi tre figli. Archelao ebbe la Giudea, la Samaria e l’Idumea ma ben presto Augusto fu costretto per la crudeltà di questo (Mt. 2,22) ad avocare a se l’amministrazione di quelle regioni nominando un Procuratore scelto tra i funzionari romani dell’ordine equestre. Così dal 6 d.C. si succedettero quasi ininterrottamente sino all’inizio della Guerra giudaica ben 14 Procuratori. Tra i diritti che erano loro propri v’era quello di battere moneta. In realtà coloro che se ne avvalsero emisero monete di bronzo del valore di mezzo quadrante che presero il nome di dilepton (plurale dilepta); pesavano tra 1,3 e 2 grammi e presentavano un diametro medio di 16 mm. Il quadrante, un quarto dell’asse romano, anch’esso in bronzo, era la moneta di minimo valore del sistema monetario stabilito da Augusto ma, evidentemente, l’estrema povertà del popolo minuto imponeva che si coniassero monete di valore ancor minore. Quando la vedova additata ad esempio da Gesù ai discepoli (Luca 21, 1-4) versa al tempio tutto quanto possiede si tratta certamente di monete il cui valore era inferiore al quadrante, anche se non è facile stabilire a quali monete ci si riferisse perché, oltre a quelle dei Procuratori, erano in circolazione numerose monete di bronzo di piccolo taglio dei sovrani Asmonei che si erano succeduti nel passato, di Erode il Grande e dei principi erodiani.

Le monete dei Procuratori romani, come ogni altra moneta romana, venivano fabbricate per coniazione; solo per le prime emissioni di bronzo del periodo repubblicano, stante le loro notevoli dimensioni, si era ricorsi al processo per fusione nel quale il metallo fuso colava in due stampi singoli o multipli di materiale refrattario (stampo e contro-stampo) perfettamente combacianti.

Nel processo di coniazione, più complesso di quello di fusione, si procedeva anzitutto alla fabbricazione di tondelli lenticolari colando il metallo fuso in stampi circolari analoghi a quelli di fusione, ma che a differenza di questi avevano le pareti lisce. Spesso, più semplicemente, si colava il metallo in un solo stampo di terracotta o di pietra ad una faccia, sulla superficie del quale erano ricavate delle celle circolari collegate tra loro da dei brevi condotti che permettevano il fluire del metallo dall’una all’altra cella (Fig.1); i bordi inferiori di questa erano smussati per facilitare l’estrazione del metallo solidificato.

Si passava poi alle vera e propria coniazione . I tondelli venivano separati uno per uno dai codoli di fusione che li collegavano gli uni agli altri, nuovamente riscaldati e, operando con delle pinze dalle lunghe leve, posti sull’incudine o blocco fisso al quale era rigidamente collegato il conio di bronzo o di ferro con inciso il diritto della moneta. A questo punto si assestava sul metallo un colpo con un martello che recava il conio del rovescio della moneta. Di questa tecnica si è ritrovata un vivace illustrazione a Pompei nella casa dei Vettii ove si vedono dei graziosi amorini monetari tutti intenti alle varie fasi del lavoro (Fig.2).

Tuttavia è lecito credere che, soprattutto per le monete di bronzo di scarso valore, il lavoro non fosse particolarmente accurato.. I membri della varie familiae monetalis erano reclutati esclusivamente tra i liberti e gli schiavi e degli stessi incisori non è stato tramandato il nome di nessuno di essi (2).

Non è infrequente trovare monete ribattute cioè conii a cui non era bastato il primo colpo di martello per imprimere l’intera impronta sul metallo (Fig.3), sia perché era difficile colpire sempre con la stessa energia sia perché il tondello si spostava facilmente. Il distacco del ponticelli di fusione che collegavano tra loro i tondelli dava spesso luogo a monete tosate quando le cesoie asportavano anche parte del bordo della moneta o con un breve codolo quando il ponticello non veniva tranciato completamente.

V’erano poi monete irregolari e monete con segni di rottura o di pinzatura; questi ultimi si erano impressi a caldo durante la fase finale della coniatura quando la moneta veniva trattenuta dalle pinze sull’incudine.

Quanto alla tematica monetale un elemento importante distingue le monete di bronzo coniate dai Procuratori di Galilea da quelle emesse a Roma sotto l’autorità senatoria. In primo luogo il nome dell’imperatore regnante o un chiarissima allusione a lui compare sul recto di tutte le monete emesse sia Procuratori sia dal Senato. Ma questa concordanza è puramente apparente poiché la Giudea era una provincia procuratoria (una provincia imperiale di rango minore, di carattere più amministrativo che politico) alle dirette dipendenze dell’imperatore e quindi non soggetta all’autorità, sia pure formale, del senato. La ragione di questa "omissione di immagine" è da ricondursi ai limitati privilegi che Roma aveva riconosciuto alla nazione ebraica, soprattutto ad opera di Giulio Cesare. Tra essi vi era quello di astenersi in Palestina da imprimere monete sulle quali comparissero figure di uomini e di animali.

Se osserviamo le monete emesse dai procuratori di Galilea vediamo che i temi iconografici scelti, in generale tendevano a rispettare tale prescrizione. Abbondano gli alberi di palma (simbolo della Giudea) e le spighe d’orzo ma non mancano i gigli, i grappoli d’uva, ed i rami frondosi. Tuttavia in una moneta di Valerio Grato del 16/17 d.C. compare un caduceo con i due serpenti intrecciati, simbolo di prosperità e di pace ma anche di Ermete (Mercurio) il messaggero degli dei romani. Ma ancor più apertamente provocatorio fu il suo successore, il cavaliere Ponzio Pilato.

Le monete di Pilato

Ponzio Pilato fu procuratore della Galilea dal 26 al 36 d.C. L’immagine che di lui ci é tramandata attraverso Filone è tutt’altro che lusinghiera. Ma anche facendo una ragionevole tara ad un ritratto decisamente negativo rimane il fatto che tra lui e i suoi governati non correva buon sangue e Pilato faceva di tutto per contraddirli ed irritarli. In seguito trascese in vere e proprie repressioni cruente l’ultima delle quali, a danno dei Samaritani, fu la causa della sua rovina.

Questo si può constatare osservando le tre emissioni di monete che vennero coniate mentre era in carica.

La prima è del 29/30 d. C. e sul rovescio, oltre la scitta "Imperatore Tiberio" (TIBEPYOI KAIKAPOC), reca un simbolo chiaramente pagano: il simpulum. Questo era un mestolo con impugnatura utilizzato per assaggiare il vino che veniva poi versato sul capo degli animali destinati ai sacrifici pagani. Sul recto la moneta indicata dai numismatici come dilepton simpulum riproduceva tre spighe d’orzo con il nome "Iulia Augusta" o di Augusto (IOYAIA KAIKAPOC) cioè Livia Drusilla moglie di Augusto e madre del regnante imperatore Tiberio che il testamento del marito volle fosse annoverata tra la Gens Julia con il titolo di Augusta (3).

Anche le altre due monete coniate nel 30/31 e nel 31/32 d.C. (4) portavano sul recto oltre la dicitura TIBEPYOI KAIKAPOC l’immagine chiaramente pagana di un lituus. Era questo una specie di bastone ricurvo senza nodi che gli auguri impugnavano durante le cerimonie e serviva per delimitare il templum

cioè lo spazio celeste sovrastante l’area che si voleva consacrare. A Roma nella curia dei Salii si conservava quello che si riteneva avesse usato Romolo per ripartire le regioni della città quadrata.

Sul retro di queste monete, indicate come lituus simpulum, fronde d’alloro simbolo di potere e di vittoria circonda la data di emissione, poiché nel frattempo Livia era morta.

In realtà su tutte le monete non compare la data del calendario ma l’anno dall’inizio del regno dell’imperatore e pertanto al numero impresso sul simpulo occorre sommare gli anni che separano la salita al potere di Tiberio (19 agosto del 14 d.C.) dalla nascita di nostro Signore. Inoltre questo numero, è preceduto da una L che significa dell’anno (genitivo del termine lukabas), è espresso con lettere maiuscole dell’alfabeto greco: le prime nove lettere per le unità, le successive per le decine. Abbiamo pertanto delle monete del 29/30 d.C indicate con LIς (5), del 30/31 d.C indicate con LIZ, ed infine quelle del 31/32 d.C. a cui corrispondono le lettere LIH.

Le monete dei Vangeli

Malgrado questi segni pagani è certo che le monete dei Procuratori venivano utilizzate nei piccoli commerci di tutti i giorni. Ma anche presso i sacerdoti del tempio di Gerusalemme e tra coloro che, come i farisei, ostentavano una intransigente fedeltà agli insegnamenti ed alle tradizioni ebraiche non si guardava molto per il sottile quando si doveva far uso di monete straniere. Ne sono testimoni i Vangeli.

Ad esempio la tassa annuale che ogni ebreo adulto da tutto l’impero versava direttamente al Tempio era di mezzo sekel di Tiro (6) (Fig.4) una moneta d’argento che si poteva acquistare anche dai cambiavalute che commerciavano nelle vicinanze del Tempio. Sul diritto era rappresentato il busto del dio Melkart, protettore dei naviganti, col capo cinto d’alloro.

Quando in Matteo (17, 24-27) gli esattori del Tempio chiedono a Pietro se il suo maestro paga la tassa per il Tempio, Pietro su ordine di Gesù getta l’amo e pesca una moneta che serve per pagare la tassa per ambedue; quella moneta è un sekel (7).

Con trenta sicli (sekel) d’argento Giuda di Keriot (Matteo 26,14-15) viene pagato per il suo tradimento anche se, quando il Sinedrio ritorna in possesso di quei denari, non li ripone nuovamente nel Tempio essendo "prezzo di sangue".

Anche nel notissimo episodio del tributo a Cesare, riportato da tutti e tre i sinottici, la moneta che viene mostrata a Gesù reca certamente l’effigie di un imperatore, Cesare Augusto o più probabilmente il regnante Tiberio Cesare.

Venti secoli dopo

Venti secoli dopo alcuni ricercatori statunitensi che adottavano per le loro ricerche astronomiche un elaboratore di immagini fornito di microprocessore pensarono di applicare tale strumento alle immagini della Santa Sindone di Torino scattate da Giuseppe Enrie nel 1931.

Lo strumento, un VP8 Image Analizer, era stato utilizzato per scattare fotografie spaziali ed elaborarle in modo da ottenere un’immagine tridimensionale. Questo era possibile nel caso del firmamento perché la densità luminosa delle singole stelle dipende unicamente dalla loro reale distanza mentre in una normale fotografia la tridimensionalità degli oggetti é percepita dal nostro cervello in base all’ombreggiatura degli oggetti. Al contrario, oltre ogni previsione degli stessi ricercatori che avevano proposto l’esperimento, l’elaborazione delle fotografie sindoniche restituì un’immagine plastica di un corpo umano nelle sue naturali proporzioni.

Non è qui il luogo di illustrare in dettaglio lo sviluppo delle ricerche riguardanti la tridimensionalità dell’immagine sindonica. Quello che riguarda più direttamente questa relazione è il fatto che alla conferenza sulla Sindone di Torino del marzo del 1977 ad Albuquerque (8) i ricercatori statunitensi presentarono una memoria sulle prime elaborazioni tridimensionali dell’immagine sindonica nella quale tra l’altro si diceva, relativamente alla zona del viso, che si erano notate nelle orbite…oggetti solidi posati sulle palpebre e si avanzava l’ipotesi che potesse trattarsi di qualche tipo di moneta.

Anche un gruppo di ricerca italiano alcuni mesi dopo, elaborando elettronicamente le immagini del volto sindonico in modo tale da rimuovere tutte le tracce di sangue, osservava due strutture simili a bottoni in corrispondenza delle orbite (9) (Fig.5). Sempre nel 78’ un ricercatore dilettante individuava, mediante la semplice stampa di fotografie a diversi colori del volto sindonico, due spessori di forma circolare in corrispondenza delle orbite (10).

Anche sulle monete dell’Impero romano d’Oriente, come ad esempio sul tremissis aureo coniato da Giustiniano II (685-695), l’immagine canonica del volto di Cristo, in tutto conforme a quella della santa Sindone, presenta sotto le palpebre chiuse i lobi degli occhi molto pronunciati.

In seguito indagini più accurate indirizzate specificatamente all’analisi della zona degli occhi dell’immagine sindonica accertarono che nell’orbita destra era presente una struttura con le dimensioni e lo spessore di una moneta mentre in quella sinistra era presente solo un contorno circolare.

Ma la scoperta più significativa è da attribuire al prof. Francis Filas, un’insegnante di Teologia presso la Loyola University di Chicago (11). Nel 1954 dovendo intervenire in televisione ad un incontro riguardante la santa Sindone aveva fatto ingrandire una fotografia del volto scattata dall’Enrie ed aveva notato la presenza sull’occhio destro di quattro lettere dell’alfabeto disposte, come preciserà in seguito, dalle 9.30 alle 11.30 del quadrante di un orologio (Fig.6). Fu solo alcuni anni più tardi però che con l’auto di esperti numismatici comprese che quelle lettere potevano appartenere alla titulatura di una antica moneta e precisamente ad una di quelle emesse dal Procuratore di Giudea Ponzio Pilato.

Le quattro lettere erano Y CAI e potevano far parte della dicitura greca TIBEPIOY KAICAPOC che appunto compariva su monete di 15-16 millimetri di diametro come i dilepta di bronzo emessi da Pilato. Tuttavia come prima lettera della seconda parola v’era una C anziché la K. Questo naturalmente creava un grave problema che si risolse solo dopo lunghe ricerche quando in un grande negozio di numismatica di Chicago padre Filas poté rintracciare un dilepton di Ponzio Pilato con la lettera C al posto della K, variante sino ad allora ignota e che venne inserita nello Standard Catalog of World Coins. Per la verità si conoscono oggigiorno anche delle monete nelle quali K è sostituita dalla lettera X, a conferma della poca accuratezza con la quale si emettevano queste monetine e lo scarso grado di cultura dei lavoranti.

Successive indagini

Le notevoli scoperte del prof. Filas lasciavamo tuttavia un ampio margine di incertezza. Anzitutto anche il predecessore di Ponzio Pilato, Valerio Grato, aveva emesso delle monetine di bronzo con la dicitura TIBEPIOY KAICAPOC in forma abbreviata, anche se nei maggiori repertori di monete antiche non compare alcuna moneta con tutte le quattro lettere individuate (la Y in particolare) e disposte in sequenza.

Nel 1984, in seguito ad una serie di esami particolareggiati, Mario Moroni sulle lastre fotografiche originali dell’Enrie (12) fu in grado di individuare in corrispondenza della palpebra destra il simbolo di un lituus impresso sulla tela della Sindone (13). Questo era orientato con il ricciolo superiore a destra dell’asse del pastorale e tale era quello che si poteva osservare anche sulle monete sino ad allora note. Occorre però ricordare che a differenza dell’impronta del corpo le macchie di sangue sulla Sindone compaiono in positivo e pertanto alla traccia ematica del lituus che era stato individuata su un negativo fotografico doveva corrispondere sulle monete un’immagine ad essa speculare. Alla traccia del lituus individuata sui negativi dell’Enrie doveva corrispondere un pastorale orientato come un punto interrogativo alla fine di una frase (?) .

Iniziava così una estenuante ricerca che si concludeva soltanto quando uno tra i più famosi collezionisti di monete dei Procuratori romani (14) rintracciava quattro esemplari di dilepton lituus "retrograde" cioè col ricciolo disposto come un punto interrogativo (Fig.7 a e b). La data sul rovescio delle stesse monete “comuni” era Iς cioθ il 29/30 (15) d.C. e pertanto si trattava di monete emesse dal Procuratore Ponzio Pilato.

Se è vero che alcune monete di Valerio Grato recano il simbolo del pastorale, tuttavia esse risultano diverse, come già abbiamo osservato, per le lettere e la disposizione della dicitura. Inoltre il numero di monete con il simbolo del lituo emesse da Pilato è certamente maggiore di quelle di Grato; infine i tipi reverse sino ad ora noti (nel frattempo altri ne sono stati reperiti), sono tutti appartenenti a monete fatte coniare da Pilato.

A questo punto emerse un particolare del quale nessuno si era accorto: se il pastorale risultava invertito anche la dicitura letta sul negativo avrebbe dovuto essere tale. Infatti i litui riverse noti portano invertita anche la leggenda. L’obiezione apparve in evidenza solo durante una nuova elaborazione elettronica eseguita dal professor Balossino nell’aprile del 1996. Questa elaborazione permise anche di rilevare che alcune lettere della dicitura non erano disposte circolarmente intorno al pastorale: la C ed un estremo della A risultano chiaramente collocate sopra la parte ricurva del lituo "riverse" sottostante che presenta interruzione nelle zone di sovrapposizione (16) (Fig.8). Se ne può dedurre che la moneta è stata ribattuta imprimendo in un primo momento il pastorale rovesciato poi le lettere Y CAI. Sono emersi anche due brevi tratti paralleli posti a lato dell’asta verticale del lituo, con ogni probabilità i segni della pinzatura del tondello durante la coniazione (Fig.9).

Infine, e fu il risultato più significativo sul quale ritorneremo in seguito, venne individuata sul sopracciglio sinistro una seconda monetina di Ponzio Pilato.

Una valanga di obiezioni

Le obiezioni avanzate riguardo alle tracce della moneta sull’occhio destro sono state molte. Alcune riguardano la possibilità di errore nell’individuazione sia delle lettere della dicitura che del pastorale altre, più radicali, la formazione del decalco e le ragioni della presenza di questo.

Si è obiettato che i caratteri maiuscoli delle lettere greche che padre Filas aveva creduto di vedere altro non erano che i bastoncino diritti o curvi dell’emulsione fotografica. Ipotesi alla quale si è risposto che questi bastoncini, visibili al microscopio, scompaiono sulla stampa ove è presente solamente l’immagine ripresa dall’obbiettivo.

Si è detto anche che il ricciolo del pastorale poteva essere semplicemente l’ombra di un filo che spuntava dal tessuto ma se tale ipotesi fosse vera il filo sarebbe visibile sulle fotografie come accade alle fibrille della trama. Si è supposto che il bastone fosse stato confuso con un filo del tessuto ma lo spessore del pastorale sui coni è di 0,7 mm mentre i fili del Telo sono di 0,4 mm, spessore che si può verificare direttamente sulle lastre dell’Enrie ove l’immagine sindonica é in grandezza reale. D’altra parte se si pulisce il Volto con un filtro mediano che elimina tutto quanto non dipende dalla geometria del tessuto il simbolo non scompare (17).

E’ stato invocato anche l’effetto Rohrschach che permette di ricostruire nella mente, a partire da un insieme di tratti in se slegati un’immagine nota. Effetto che non influenza l’elaboratore elettronico che presenta il pastorale come lo so vede sulle monete..

Taluni si sono meravigliati che solo alcune lettere si siano decalcate ma evidentemente non si sono considerate le modalità approssimative con le quali venivano prodotte le monete povere. Ci si è chiesto anche perché non compaia il bordo della moneta. Ciò è dovuto al fatto, già accennato, che i bordi erano svasati per favorire l’estrazione delle monete dallo stampo mentre nel caso in cui si utilizzava solo un mezzo stampo la superficie superiore risultava lenticolare.

Si è notato che l’impronta lasciata sul tessuto risulta ridotta (1÷25%) rispetto alle dimensioni originali del simbolo presente sul conio (Fig.10). Tale riduzione trae origine, assai probabilmente, dall’imperfetto contatto dell’estremità del simbolo impresso sulla moneta col tessuto (nonché eventualmente dalla sua bombatura) o dalla mancanza di sostanza d’apporto in corrispondenza dell’estremità dell’impronta (18).

Ma veniamo a domande di maggior rilievo.

Era usanza ebraica porre monete sugli occhi?

Anche tra gli ebrei di Palestina si usava chiudere gli occhi ai defunti. Il fatto non è contestabile. Compito normalmente spettante al figlio più anziano è attestato anche nella Genesi (46,4). Non così per la collocazione di piccoli oggetti, tra i quali le monetine, sugli occhi per impedire alle palpebre di rialzarsi.

Questa particolare usanza funebre è stata da molti negata, anche se è possibile trovare affermazioni di senso opposto (19). Era costume etrusco, greco e poi romano il porre una monetina detta obolo di Caronte nella tomba o nell’urna cineraria del defunto; per i cadaveri inumati solitamente la monetina veniva posta in bocca ma talvolta anche in mano e sugli occhi (20). La pratica prevalente, assai nota, ha forse creato un pregiudizio anche sulla collocazione delle monete nei riti funerari degli ebrei dell’epoca di nostro Signore, collocazione che potrebbe rispondere, come si è accennato, più che ad una pratica religiosa ad un mezzo per impedire l’apertura delle palpebre così come avviene poche ore dopo la morte quando subentra la rigidità cadaverica.

In ogni caso vi sono quattro ritrovamenti documentati di piccole monete di bronzo simili a dilepta di Pilato ritrovate al fondo di crani di defunti appartenenti ad ebrei della Giudea. Tre sono state individuate durante gli scavi nel cimitero comunitario israeliano di Gerico (21); di queste due di Erode Agrippa (37-44 d.C.) nella tomba indicata come D/3 ove il cranio venne ritrovato intatto, l’altra di Arcano II (63-44 a.C.) nella tomba D/18; una seconda di Archelao(4 a.C – 6 d.C.) giaceva li accanto al suolo.

Una quarta moneta di Erode Agrippa coniata nel 42/43 d.C. fu scoperta in un ossario con urne di pietra scavato nella roccia alla periferia sud di Gerusalemme, una caverna di notevoli dimensioni il cui proprietario si ritiene fosse quel Giuseppe Caifa che condannò Gesù nel Sinedrio. La moneta fu ritrovata nel teschio conservato in un’urna di pietra che recava l’iscrizione "Miriam figlia di Simone" (22) (Fig.11).

Per ragioni anatomiche una moneta di piccole dimensioni può cadere nella calotta cranica solo se è stata posta sugli occhi poiché solo in questa posizione può imboccare la fessura orbitale superiore; se venisse posta in bocca o rimarrebbe in essa o scivolerebbe in gola (Fig.12). Certamente le monete ritrovate nei crani sono relativamente poche ma occorre considerare che durante i movimenti tanatologici (23) le monete tendono a cadere in bocca o ai lati; in ogni caso mai da questi nella scatola cranica.

Si anche obiettato che la moneta era troppo leggera per tener chiuse le palpebre e che, inoltre, sarebbe scivolata via. Una serie di prove sperimentali hanno confermato il contrario (24); in particolare, operando su una persona supina col capo appoggiato al petto, ossia con inclinazione di 35-40°, sulle palpebre chiuse del quale venivano collocati dei dilepta di Ponzio Pilato si è potuto osservare che le monetine trattenute dalla sola untuosità della pelle, senza ricorrere ad alcun artificio, non scivolano via, cosa che non avviene con monete di peso e dimensioni maggiori. Quanto alla tela di lino che copre il cadavere, questa, imbevuta di una soluzione di aloe e mirra, si affloscia facilmente senza rimuovere le monete dalla loro posizione.

Perché si è formato il decalco di sangue?

Occorre premettere che il corpo di Gesù quando,deposto dalla Croce, venne ricomposto nel sepolcro non venne lavato. E questo perché era morto di morte violenta (25); se dalle ferite aperte era sgorgato sangue in quantità superiore ad un quarto di log (un po’ meno di un decilitro) questo sangue doveva venire seppellito col morto (26).

Pertanto è altamente probabile che le mani di coloro che avevano trasportato nostro Signore al sepolcro ed avevano adempiuto ai primi obblighi rituali si siano sporcate di sangue, imbrattando a loro volta gli oggetti che toccavano..

Poiché quella osservata sulla Sindone è una traccia ematica (abbiamo già detto che presenta la stessa inversione fotografica dei coaguli di sangue) per accertare la modalità secondo la quale poteva essersi decalcata si è proceduto ad una campagna di verifiche sperimentali. Una tela di lino a spina di pesce, simile a quella sindonica e dello stesso peso per cm2 , imbevuta di una soluzione di aloe e mirra, è stata posta a contatto con dei dilepton lituus originali ricoperti di un leggero velo ematico essiccato. Si sono ottenuti dei decalchi perfetti del pastorale (8 mm) e si è pure accertato che questi avvengono quasi istantaneamente dopo il contatto (Fig.13 a e b).

Un’ultima conferma

In passato alcuni ricercatori ritenevano di aver individuato il decalco di un‘altra moneta sull’occhio sinistro, in posizione simmetrica rispetto alla precedente. Tuttavia ulteriori elaborazioni elettroniche (27) mostrarono la presenza sulla palpebra sinistra di un semplice contorno circolare privo di spessore e, in generale, l’ipotesi della seconda moneta venne considerata di dubbia interpretazione (28).

La presenza di una moneta venne scoperta assai più tardi, come già abbiamo accennato, dai professori. Baima Bollone e Balossino ma non sulla palpebra bensì, più in alto, sul sopracciglio sinistro (29) (Fig.14). L’elaborazione elettronica ha messo in evidenza un corpo della forma e delle dimensioni di un simpulum e la parte iniziale e terminale della leggenda che lo circonda cioè TIB e LIς e pertanto la monetina altro non è che un dilepton simpulum la cui emissione avvenne nel 29/30 d.C. E’ probabile che la monetina sia scivolata sul sopracciglio durante l’accostamento del lenzuolo poiché se lo spostamento fosse avvenuto in seguito il decalco sarebbe comparso nella zona della palpebra.

Individuata la collocazione della moneta e la probabile ragione del suo spostamento M. Moroni chiedeva al prof. Balossino di verificare un’ipotesi che già era stata formulata nel passato da alcuni fotografi dilettanti (30) e cioè che la palpebra sinistra fosse rimasta semi aperta. Fu così che una indagine specifica sul punto permise di accertare che effettivamente la palpebra non era chiusa completamente e mettere in chiaramente in evidenza la pupilla che sporge da essa (Fig.15).




Immagini

Fig.1 - Stampo in pietra per la preparazione dei tondelli.



Fig.2 - Amorini monetarii. Dipinto nella Casa dei Vettii a Pompei.



Fig.3 - Moneta di Ponzio Pilato ribattuta.



Fig.4 – Mezzo sekel di Tiro.



Fig.5 - Elaborazione tridimensionale del Volto sindonico con in evidenza la zona dell’occhio destro e del sopracciglio sinistro.



Fig.6 - In alto a sinistra le quarto lettere dell’alfabeto individuate da Padre Filas.



Fig.7 – Monete di Ponzio Pilato: a) dilepton lituus ordinario; b) dilepton lituus reverse.



Fig.8 – Dilepton lituus con lettere eccentriche e sovrapposte al pastorale.



Fig.9 – Segni di pinzature sul dilepton lituus riverse (a destra).



Fig.10 – Riduzione dell’immagine del decalco rispetto alla moneta originale.



Fig.11 - Moneta di Erode Agrippa ritrovata nell’urna di pietra di Miriam.



Fig.12 – Possibile percorso della monetina posta sugli occhi.



Fig.13 – Decalchi sulla tela di lino del pastorale e del simpolum.



Fig.14 – Moneta individuata sul sopracciglio sinistro: elaborazione elettronica con pseudo colori (ref.29).



Fig.15 – Pupilla che sporge dall’occhio sinistro del Volto sindonico.






Note

(1) G. G. Belloni: La moneta romana – Società, politica, cultura, Carocci 2002, p. 118.

(2) Enciclopedia Italiana delle Scienze, Lettere ed Arti, Vol. XXXV, Roma 1934, voce zecca.

(3) M.Moroni – F.Barbesino: Il Telo, Anno II, 4, gennaio-aprile 2001, pp. 30-36

(4) Vedremo in seguito che v’é pure una variante di queste monete emessa prima del 19 agosto del 30 d.C.

(5) Lo stigma ς θ un antico segno minuscolo introdotto tra le prime lettere dell’alfabeto con valore 6.

(6) Tiro era una città libera nella Provincia romana di Siria e battè moneta propria dal 129 a.C. al 66 d.C.

(7) Nelle traduzioni della Bibbia spesso compare il termine generico di diadramma, essendo la dramma una moneta d’argento, o quello di statere, termine esso pure generico per indicare una moneta d’argento pari a due dramme.

(8) J.Jackson, E.Jumper, B.Mottern and K.Stevenson: The three dimensional image on Jesus’ burial cloth, Proc. U.S. Conference Shroud of Turin, Albuquerque, NM, Mar. 1977, pp.74-94.

(9) G.Tamburelli e G.Garibotto: Nuovi sviluppi nell’elaborazione dell’immagine sindonica, Atti del II Congresso Internazionale di Sindonologia, Torino 7-8 ottobre 1978, Paoline, Leinì 1978.

(10) P.Ugolotti: La Sindone attesa, Atti del II Congresso Internazionale di Sindonologia, ref.8.

(11) F.L. Filas: The dating of the Shroud of Turin from coins of Pontius Pilatus, 2nd ed., June 1982; M. Moroni: traduzione in italiano e recensione in Sindon, n° 31, dicembre 1982, pp.109-110.

(12) Si tratta di controtipi ottenuti per contatto diretto dai negativi originali anch’essi su lastre di vetro 40x50 cm.

(13) M. Moroni: L’Uomo della Sindone morì sotto Ponzio Pilato, Atti del II Congresso Nazionale di Sindonologia, Cagliari, 29-30 aprile 1990, pp. 253-291.

(14) Si tratta di Arden H.Brame Jr.II

(15) Il simbolo non è più il simpulum bensì il lituus reverse ma l’emissione è certamente avvenuta dopo la morte di Julia e prima del 19 agosto del 30 d.C (LIς cioθ 16 anni di regno di Tiberio Cesare). V’è disaccordo tra eminenti numismatici sul fatto che il numero si debba leggere Iς (16) o IZ (17) ove la Z sarebbe stata scritta a rovescio. Tuttavia in Y. Meshorer: Ancient Jewish Coinage, vol.II, Tav.32, n°23, Herod the Great through bar Cochba, Amphora Book, 1982 la presenza di una moneta datata Iς ι accertata.

(16) M.Moroni e F. Barbesino: Sulla Sindone due monete di Tiberio Casare?, Il grande libro della Sindone, San Paolo, 2000, pp. 217-220.

(17) G.Tamburelli e N.Balossino: La datazione della Sindone e l’impronta della monetina, V Congresso Nazionale di Sindonologia, Cagliari 29-30 aprile 1990.

(18) Vedi analisi elettronica del prof. G. Fanti – ottobre 2001.

(19) A. P. Bender: Belief, Rites and Customs of the Jews connected with Death, Burial and Mourning, Jewish Quarterly Review, VII, 1985. Anche l’autorevole archeologo di Gerusalemme Y. Meshorer si è espresso a favore delle monete sugli occhi nel corso di una conferenza registrata (marzo 1989).

(20) Sovrintendenza Archeologica per le Provincie di Napoli e Caserta: Dai Sedicini ai Romani – La necropoli di Orto Ceraso a Teano - Mostra di materiali archeologici dai nuovi scavi - Le monete (B.M.Sgersi).

(21) R.Hachilili: Ancient Burial Custom Preserved in Jericho Hills, Biblical Archaeology Review, 5, 1979; R. Hachilili and A. Killebrew: Was the Coin-on-Eye Custom a Jewish Burial Practice in the Second Temple Period?, Biblical Archaeologist, 46, 1983.

(22) Biblical Archaeology Review, September-October 1992, 18, n° 5, pp.28-44

(23) F. Pastore Trossello: Alcune considerazioni sulla questione delle monetine, Sindon, n° 34, pp. 103.107.

(24) M.Moroni: …ancora una monetina nel teschio

(25) M.Laman: The Jewish Way in Dath and Mournig, New York, 1969.

(26) G.Ghiberti: La sepoltura di Gesù, Marietti, Asti 1982, p.25

(27) Le prime osservazioni elettroniche furono quelle della Log/E Interpretation System di Overland Park; seguirono quelle del prof. G.Tamburelli (Sindon, 34, dicembre 1985, p.19) che giudicò l’ipotesi della seconda moneta non adeguatamente documentata.

(28) Il giudizio è di M.Moroni (L’Uomo della Sindone morì sotto Ponzio Pilato, Atti del V Congresso Nazionale di Sindonologia, Cagliari 1990, p. 258).

(29) Ne hanno dato notizia P.L. Baima Bollone e N. Balossino al programma Mixer della Radiotelevisione italiana RAI 2 il giorno l8 luglio 1996; inoltre vedi P.L. Baima Bolone: Sindone - La prova, Milano 1998, p.240.

(30) P.G. Sanna Solaro: La Sindone che si venera a Torino, Bona, Torino 1901; R. Voltolini: Una foto diversa, Atti del II Convegno Nazionale di Sindonologia, Bologna 27-29 novembre 1981.