Mato de Guera

Volti di una follia: "MATO DE GUERA"  di Gian Domenico Mazzocato.

Un monologo sulla guerra, un viaggio nella follia interpretato da Luigi Mardegan.

Per arrivare qui percorro una strada stretta che taglia, in piena zona Sacra, le ondulazione del Carso, stretta ai lati dalla macchia di vegetazione tipica di questa terra. Ho chiesto di poter fotografare Gigi Mardegan nel corso del suo monologo. Lui mi ha proposto di farlo qui, a San Martino del Carso, il 29 giugno 2004, nell’anniversario dell’attacco sferrato sul Monte San Michele nel 1916, quello in cui gli austro-ungarici usarono i gas asfissianti…Sono stata molte volte sul Carso, e spesso per fotografare i luoghi della guerra, ma arrivare qui è un’altra cosa. Mentre guido la macchina mi tornano in mente continuamente i versi di Ungaretti: “….ma nel mio cuore nessuna croce manca. E’ il mio cuore il paese più straziato”. A San Martino del Carso vengo a sentire una storia della guerra, ottantotto anni dopo. So che anche Mardegan dirà del suo cuore, anzi, del cuore del personaggio, come del paese più straziato. Negli ultimi due mesi ho visto “Mato de Guera” quattro volte, le ultime tre per memorizzare i momenti più importanti – ma lo sono tutti… - ; la prima volta  la commozione è stata così forte e tale il coinvolgimento da paralizzarmi nella poltroncina del teatro.Comincio col fotografare gli oggetti di scena: oggetti semplici come un pitale, un comodino di metallo stinto, un letto che diventa, a seconda del momento, un confine, una dorsale del Carso sulla quale si attacca o si fugge dal nemico, la parete di una trincea. Faccio qualche scatto alla messa a punto dello spazio scenico: gesti importantissimi atti a sottolineare la potenza delle parole e dell’evento narrato.Il calar del sole: si possono accendere i fari di scena.. lo spettacolo può iniziare, pioviggina per un po’, ma non importa, rimaniamo qui. La storia del fante Ugo Vardanega, uscita dalla penna di Gian Domenico Mazzocato, è tutta qui: da ascoltare, da vedere e da sentire, nelle sue parole , ma soprattutto nei suoi gesti e nei suoi occhi spiritati di follia lucida  e tagliente come spada. Nell’inquietudine e nella magia che sempre e solo un momento di grande teatro sa dare.


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