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Nei sotterranei del Santuario di Caravaggio
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La folla si radunò numerosa in quel 26 maggio del 1520.
C’erano adulti e bambini, contadini e artigiani, militari e aristocratici a
cavallo. La minaccia della pioggia non aveva scoraggiato nessuno: tutti
volevano assistere all’esecuzione. Domenico Mozzacagna, il brigante che a
lungo aveva terrorizzato la zona intorno al paese di Caravaggio, nella
campagna bergamasca, era stato finalmente catturato qualche mese prima, e
messo a morte. Ora sarebbe stato decapitato. La gente guardava con curiosità
mista a sgomento la ghigliottina pronta ad eseguire la sentenza. C’era chi
agitava i pugni in aria chiedendo giustizia e chi invece pregava in silenzio
per la salvezza dell’anima del condannato, che a quanto si diceva, nei
lunghi mesi trascorsi in carcere si era pentito e convertito. Il fatto poi
che l’esecuzione fosse stata programmata proprio per quel giorno, 26 maggio,
anniversario dell’apparizione della Madonna a Caravaggio, dava
all’avvenimento un significato ancora più tragico, ma riempiva i cuori dei
fedeli di speranza per le sorti dell’anima del brigante. Poi avvenne tutto
molto rapidamente. |
La ghigliottina, quel
micidiale strumento di morte, non funzionò. Per quanto il boia ce la mettesse
tutta, non ci fu verso di far calare la lama affilata sul collo del condannato.
Qualcuno tra il pubblico gridò al miracolo, qualcun altro s’inginocchiò
facendosi il segno della croce e pregando ad alta voce. Il prigioniero fu
riportato in cella e il Senato milanese, convinto che si fosse trattato di un
intervento soprannaturale, gli fece dono della grazia. Questo fatto singolare,
di cui non si conoscono altri particolari, accadde quasi cinquecento anni fa ed
è avvolto ormai dall’alone della leggenda. Ma c’è un reperto che, solenne
testimone di quel giorno, ha sfidato il tempo per continuare a raccontare la
storia di quella esecuzione mancata. Nel Santuario di Caravaggio è conservata,
infatti, quella ghigliottina che si rifiutò di compiere il suo triste
dovere: la si può vedere, chiusa in una teca protettiva, nel sotterraneo,
accanto alla fonte della Madonna. |
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Il Santuario di Caravaggio, in provincia di Bergamo, è uno
dei luoghi mariani più frequentati. Sono più di tre milioni i pellegrini che
ogni anno lo visitano. Il complesso, che comprende la grande Basilica, un
parco e quattro piazzali, il tutto circondato da portici lunghi 900 metri e con
oltre duecento arcate, si erge maestoso proprio nel mezzo delle coltivazioni di
grano. Qui, in un prato che un tempo si chiamava Mazzolengo, il 26 maggio 1432
la Madonna apparve a Giannetta, una contadina intenta a falciare l'erba per il
bestiame. La Vergine le parlò e nel punto esatto in cui aveva posato a terra i
piedi, scaturì una fonte di acqua.
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Secondo la tradizione,
l’acqua della fonte è miracolosa e moltissimi sono stati, nel corso dei
secoli, i malati guariti inspiegabilmente dopo averla bevuta. L’acqua scorre
in una grande vasca nel sotterraneo della Basilica, a disposizione dei
devoti che ne riempiono bottiglie. E lì, nel sotterraneo, subito dopo
l’entrata, si trova anche la famosa ghigliottina del miracolo, alloggiata in
una nicchia nel muro. A prima vista sembra solo un fascio di vecchie e
polverose travi di legno tarlato e consumato dai secoli. Ma osservando
attentamente, è facile riconoscere le due strutture portanti in mezzo alle
quali è collocato un grosso pezzo di legno squadrato, quello che
calava sul collo del condannato a morte: alla sua estremità è ancora
attaccata la lama di ferro, rozza e scurita dal tempo. Questa ghigliottina non ha niente a che
vedere con quelle che si vedono nei film o nei dipinti sulla Rivoluzione
francese, con i due alti travi paralleli che sostengono la grande lama obliqua.
E proprio qui sta l’importanza storica del reperto di Caravaggio: oltre ad
essere stato, secondo la tradizione, il protagonista di un miracolo, il
letale marchingegno è uno dei primissimi prototipi di strumenti per
esecuzione, che precedette di quasi trecento anni l’invenzione della
ghigliottina vera e propria. |
Ideata dal medico francese Joseph-Ignace de Guillotin, la ghigliottina
propriamente detta fece la sua comparsa nel 1789 e fu usata per la prima volta
nel 1792, per giustiziare un certo Nicolas-Jacques Pelletier. Il suo inventore,
che aveva perfezionato lo strumento insieme all’amico falegname Schmidt, ne
propose l’uso sistematico durante la Rivoluzione scoppiata in Francia. Ma il
principio di funzionamento della ghigliottina non era una novità: esistono
documenti che dimostrano come in Italia ci fossero macchine simili già prima
del Cinquecento. La ghigliottina conservata nel Santuario di Caravaggio, che
smise di funzionare in quel fatidico 1520, rimane perciò uno dei primi
esemplari conosciuti, testimone di fatti miracolosi per chi crede, ma anche
testimonianza inquietante del cammino umano alla ricerca della morte
perfetta. Sulla parete di
fronte alla ghigliottina, sempre nel sotterraneo della Basilica della Madonna di Caravaggio, c’è anche un altro reperto alquanto curioso che ha contribuito
a confermare, nella mentalità popolare, la santità del luogo. |
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Si tratta di un vecchio chiavistello, di quelli che un
tempo servivano per chiudere i pesanti portoni delle chiese: se lo si
osserva da vicino, si scopre che è perfettamente tagliato in due, come se
fosse stato diviso da una lama incandescente. La leggenda racconta che una
sera del 1650 un uomo inseguito da alcuni briganti che volevano assassinarlo
arrivò fino alla porta del Santuario, ma la trovò chiusa dal pesante
chiavistello. Il disgraziato invocò allora l’aiuto della Madonna e, di
colpo, il chiavistello si aprì in due, permettendo all’uomo di entrare in
chiesa. Fu salvo, per miracolo. Roberto Allegri |
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