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LIBRERIA URSO AVOLA AUTORI MODERNI

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        BIAGIO PANASCIA    

      (Storia di una presenza a Pachino)

       

      Ho accolto con piacere l’invito del direttore, dott. Mario Besta, di ricordare Biagio Panascia per un duplice motivo: per tracciare il profilo di uno dei protagonisti della “storia” della prima metà del Novecento pachinese e per l’affetto e la stima che mi legano al figlio, il pastore Pietro Valdo Panascia, che non vedo qui presente, e gli impedimenti saranno seri. Io so quanto sia importante per lui questo momento.

       

      Biagio Panascia nasce a Ragusa il 22.12.1871. Nel 1898, all’età di 27 anni, arriva a Pachino con la moglie Vincenzina Giardina, di Modica e con la piccola Ester (che vivrà a Pachino sino all’età di 97 anni).

      Biagio Panascia, quale colportore  ( predicatore valdese ) è stato inviato a Pachino dopo una dura esperienza fatta a Caltagirone dove due giovani fratelli sacerdoti a nome Sturzo, uno Luigi che sarà il fondatore della Democrazia Cristiana, l’altro Alfonso che diventerà vescovo di Piazza Armerina, lo contrastano energicamente nella sua missione allo scopo di impedire che l’eresia protestante possa radicarsi nella loro città. Vista la piega degli avvenimenti, il presidente Matteo Prochet scrive a Panascia dicendogli di andare a Pachino, e aggiunge: “affitta una casa e in una sala raduna gli amici del vangelo, lo leggi e lo annunzi nel nome di Dio”.

      Biagio Panascia arriva a Pachino con il compito di occuparsi della nascente chiesa valdese. Sia lui che la moglie sono accolti dalla gente con affetto e simpatia. Questo fatto suscitò nel loro cuore, e in seguito anche nei loro figli, una così grande riconoscenza e un così grande amore per cui Pachino rimase, per sempre, nella tradizione familiare, “il paese più bello del mondo”.

      La Famiglia Panascia si stabilì fin dai primi anni in campagna, non abitò che per breve tempo in paese. Sino a pochi anni fa c’era ancora, in fondo alla via Torino, la vecchia Villa Pax quasi diroccata, in rovina. Aveva rappresentato per varie generazioni di pachinesi un punto di riferimento. Molti ne rimpiansero la inevitabile rovina.

      I coniugi Panascia iniziarono la loro opera con la lotta all’analfabetismo molto diffuso, per cui aprirono una scuola serale e furono in molti a partecipare. Il pastore Panascia si occupava dell’insegnamento degli uomini, la moglie delle donne.

      Visto il successo la Tavola Valdese inviò a Pachino il pastore Giuseppe Banchetti. Entrambi, Panascia e Banchetti, lavoravano con fraterna e profonda amicizia, dedicandosi alla loro vocazione pastorale, ma anche ai gravi problemi sociali che travagliavano la povera gente, i contadini, i modesti  operai di Pachino,  così pure  prestavano   attenzione al gran numero di vittime che l’usura spingeva fino alla disperazione. Entrambi, il 4 luglio 1903, così scrivevano in una relazione alla Conferenza distrettuale di Catania:

      “Gli usurai speculano sulle disperate ristrettezze economiche per fare dei prestiti con un tasso di interessi che arriva fino al 250 e al 500 per cento. Per una lira, si è costretti a versare un soldo a settimana, altrimenti il creditore potrà  sequestrare gli attrezzi di lavoro. Altra forma di strozzinaggio è quella di acquistare il vino al prezzo di lire 7,50 l’ettolitro, quando la vigna deve ancora sbocciare, ma che raddoppia il prezzo alla vendemmia”.

      La relazione definisce l’usura una piaga orribile generata dalla miseria. Nel 1908 Biagio Panascia fonda, insieme ad alcuni membri della comunità evangelica di Pachino, la Cooperativa Produzione e Lavoro, che nel tempo, diventerà la Banca di Credito Cooperativo di Pachino. Ma per comprendere il motivo per cui nasce la cooperativa giova esaminare cosa accade in quegli anni, in particolare nel 1908, a Pachino.

      Già nella seconda metà dell’800 la miseria, le malattie, la fame avevano creato i primi emigranti per l’America, il Canada e gli Stati Uniti.

      Sono centinaia e centinaia i pachinesi che nel 1908 abbandonano la loro terra per imbarcarsi alla ricerca di fortuna in America e in Argentina. Alcuni sono giovani, ancora minorenni che vengono affidati ad un accompagnatore che davanti a funzionari comunali assume l’impegno, per iscritto, di condurre e consegnare l’affidato all’amico o al parente nella nuova città dove si recheranno.

      Giovani appartenenti a famiglie numerose partono con una gravosa responsabilità: trovare lavoro in terra straniera e fare in modo di inviare quel minimo indispensabile perché, la famiglia, a Pachino, sopravviva.

      Le emigrazioni del 1908 rappresentano, per certi versi, un titolo dotale per migliaia di pachinesi, perché molti, nascendo in America acquisiscono il titolo che consentirà loro, negli anni, di richiedere il passaporto americano e di ritornare in America.

      La situazione disastrosa di Pachino del 1908 viene descritta pure, dal sindaco dell’epoca, l’avv. Corrado Bellomia, il quale, per invocare provvidenze del Ministero dell’Interno in aiuto della popolazione, così scrive al Prefetto il 18 settembre 1908:

      Sento il dovere di far presente alla S. V. le desolanti condizioni di questa popolazione. Il dissesto economico, iniziato lo scorso anno, per la distruzione del prodotto del vino, è divenuto oggi più grave per eccezionale rinvilimento dei prezzi, da lire tre a lire quattro l’ettolitro, causato da mancanza assoluta di compratori.

      Produttori costretti a svendere per mancanza di recipienti e per sostenere spese della vendemmia. Altri preferiscono abbandonare vigneti non vendemmiati. In vista di così allarmante condizione, che getta nella miseria ogni classe di cittadini, è necessario invocare urgenti aiuti da parte del provvido Governo.

      Preparato e pronto per la pubblicazione il ruolo del focatico per il 1907 è bloccato per la crisi vinicola, sperando nella riscossione della prossima vendemmia. Questa Amministrazione è obbligata a sospendere la riscossione per non commettere grave imprudenza, potrebbe diventare una provocazione ed un incitamento a disordini. Prego la S.V. di interessare il Governo perché conceda al Comune un sussidio equivalente all’ammontare della tassa sul focatico ( imposta di famiglia del tempo) di £. 12.750. E’ necessario, infatti, far funzionare i servizi previsti in bilancio e far ottenere ai debitori del Banco di Sicilia, per prestiti di credito agrario, una proroga alla scadenza delle cambiali fissata a fine settembre e ottobre.

      Confido che mercè l’opera valevolissima della S.V. il Governo possa scongiurare le tristi conseguenze derivanti dalla immensa sventura che ha colpito questo paese”.

                                                      

                                                                       

                      Devotamente

                                                                 Sindaco Corrado Bellomia

       

       

       

       

      Secca la risposta del prefetto del 9 ottobre 1908:

       

       “Il ministro dell’interno, al quale fu trasmessa, raccomandandola vivamente l’istanza della S.V. per la concessione di un sussidio a favore di codesto Comune, risponde che non è possibile di accoglierla perché nel bilancio dello Stato non esistono stanziamenti sui quali si possano concedere sussidi a pareggio dei loro bilanci…. Stando così le cose occorre pensare seriamente a sistemare le finanze di questo Comune, e in primo luogo  a  riscuotere  senza  ulteriore  indugio  le  tasse  locali.…Vorrà quindi la S.V. disporre subito la riscossione delle tasse locali”.        

       

                                                                       Il Prefetto

       

      Questi gli eventi tra il settembre e l’ottobre del 1908. Ma non basta. La Camera di Commercio di Siracusa chiede al sindaco alcune notizie: “ per poterne dare comunicazione al Regio Ministero dell’Agricoltura, Industria e Commercio.

      Questa la risposta del sindaco del 25 agosto:  “ In evasione alla Sua del 22 corrente mese, rispondo categoricamente ai quesiti richiesti dal Ministero di A.I.C. per cercare di risolvere la crisi vinicola che travaglia questa plaga così ubertosa di vigneti:

      1)   Sono   ancora   giacenti   nelle   cantine di   questo  comune         

             Ettolitri 40.000 di vino;

      2)  La previsione sulla produzione della prossima vendemmia è            

            di Ettolitri 180.000.   La produzione  normale  è  di 220.000

           Ettolitri.”

                                                                                 

                                                             Il sindaco

                                                 (Avv. Corrado Bellomia)

       

      Nacque così la Cooperativa Produzione Lavoro e si ottenne il finanziamento del Banco di Sicilia. Molte famiglie furono aiutate con il credito agrario. Furono distribuiti rifornimenti in natura, pasta, farina, pane e scarpe. La cooperativa ebbe un grande successo. Ma come già detto, quel 1908, è un anno particolare: avviene il terremoto che distrugge Messina e Reggio Calabria. Biagio Panascia affida ad altri le cure della Cooperativa e con la famiglia si trasferisce a Reggio per portare soccorso alle famiglie terremotate, agli orfani e concorrere alla ricostruzione. A Reggio, vive per alcuni anni con la famiglia in una baracca. Nascono nel frattempo Pietro (1910) ed Ettore (1914). La moglie accudisce già a quattro figli: Ester, Giovanni, Virginia, Clelia.

      Dopo cinque anni di impegno, il pastore Panascia riceve improvvisamente la comunicazione di trasferirsi a Vasto in Abruzzo, un ordine che gli appare immeritato e inaccettabile, per cui decide di rientrare a Pachino. Si è in periodo di guerra, la prima guerra mondiale del 15  18, un periodo di miseria e di lutti.

      Malgrado le difficoltà economiche in cui il pastore Panascia viene a trovarsi, arrivato a Pachino con una famiglia così numerosa, non pensò mai ad un qualsiasi impiego nella “sua”

      Cooperativa. Si dedicò al lavoro di un modesto appezzamento di terra su cui nascerà in appresso Villa Pax. Villa Pax per alcuni decenni e fino alla fine della seconda guerra mondiale, sarà sede di una scuola materna cui affluiranno centinaia di bambini. Oggi molte generazioni di professionisti, insegnanti, lavoratori conservano ancora un prezioso e indimenticabile ricordo della loro infanzia. A questo benemerito lavoro si dedicarono per quasi tutta la vita, le figlie del pastore, soprattutto Clelia.

      Biagio Panascia fu innegabilmente un personaggio e un protagonista della vita del tempo di Pachino. Ancor oggi molti lo ricordano quando con il suo carrozzino, trainato da un asino, saliva in paese da Villa Pax. Salutava ed era salutato da tutti. Per tutti aveva un gesto, una parola di simpatia, un consiglio. Uomo dalla figura maestosa, la folta barba bianca gli conferiva una immagine biblica.

      E’ difficile valutare quanto la sua azione contro l’analfabetismo, l’incremento e la promozione data all’istruzione ( con il concorso dei figli, Virginia come insegnante   elementare,   Ettore come direttore didattico ) abbia contribuito al progresso e allo sviluppo civile di Pachino, così  pure quanto la creazione della Cooperativa, considerando gli sviluppi raggiunti, abbia aiutato i lavoratori e incrementato l’economia e il benessere di questa città. Un giorno la storia darà una risposta a questi doverosi interrogativi.

      Ho tralasciato, volutamente, di parlare di quello che fu il feroce scontro religioso, protrattosi per decenni tra il parroco della Chiesa madre, il sacerdote Simone Sultano e il pastore della Chiesa Valdese, Biagio Panascia. Questa è una pagina importante della nostra storia locale che pubblicherò uno di questi giorni e che ci fa capire quali e quanti giorni bui abbia vissuto Pachino. Ma erano altri tempi !

      Biagio Panascia muore a Pachino il 7 gennaio 1952. Ieri sono stato a far visita alla sua semplice ma austera tomba, posta a sinistra del terzo viale, entrando dalla porta principale del cimitero di Pachino. E’ la numero 710. Una tomba familiare: sul lato sinistro ci sono le spoglie di Biagio Panascia e della moglie Vincenza Giardina, morta nel 1960;  a destra quelle delle figlie Clelia, morta nel 1969, ed Ester nel 1995. Non c’è nulla che ricordi chi fu Biagio Panascia. Sta solo scritto: Gesù disse: “Io sono la resurrezione e la vita: chi crede in me, anche se muore, vivrà”. Ho mormorato una preghiera e un ringraziamento per quest’uomo che ritengo, a tutti gli effetti, pachinese, ottimo pachinese, per avere contribuito, con intelligenza, impegno e dedizione, alla nostra crescita morale e sociale.

      Potrei chiudere qui il profilo di Biagio Panascia uomo, pastore, fondatore della Cooperativa Produzione, ma farei un torto al figlio Pietro, se non facessi cenno a quella lettera da lui inviata, in data 1 agosto 1997, al Consiglio della Banca e di cui conservo copia per averla ricevuta lo stesso giorno.

      Una risposta significativa a quella lettera, a nome della Banca, l’ha già data Maurizio Campo, io desidero soffermarmi solo su un passo che rappresenta un atto di struggente amore filiale, e che fa di un uomo semplice, affabile, mite, qual è il pastore Pietro Valdo Panascia, che io voglio bene e stimo, un condottiero pronto ad ergersi per reclamare doverosi onori al padre. “Mi sia consentito concludere  così la lettera di Pietro Panascia  sollevando il dubbio che la targa murale dei soci fondatori non può dare una risposta adeguata e soddisfacente a chi si pone legittimamente la domanda e vuole sapere chi è stato il fondatore, l’ideatore, il creatore di una così provvida istituzione che di tanto aiuto economico è stata per la classe lavoratrice, che ha incontrato tanto successo e ha avuto un così considerevole sviluppo nel corso degli anni.

      Fra i tanti nomi che la targa murale contiene ne mancherà sempre uno,  perché, anche se vi è stato trascritto, non si trova nel posto giusto e non gli è stato dato il giusto rilievo, quello di un    uomo   che   i   cittadini   di   Pachino   che  lo  conobbero,

      e in molti ancora  ricordano e stimarono per la sua generosità, il suo altruismo, quello di un uomo che i soci della Banca di Credito Cooperativo, gli utenti che ogni giorno ne varcano la soglia, vogliono sempre ricordare e che sia ricordato, il nome di Biagio Panascia.

      Il figlio Pietro Panascia, unico sopravvissuto della famiglia, i numerosi nipoti che si distinguono nel campo della cultura, della medicina, dello sviluppo civile, morale e religioso del nostro paese, firmatari di questa lettera, fanno voti che codesto Consiglio di Amministrazione venga incontro al legittimo  desiderio  che  al  loro  illustre  genitore  venga reso l’onore dovuto.”

                Pachino 1 agosto 1997.

       

      Seguono le firme di Pietro Valdo Panascia, figlio;  dei nipoti: Biagio, Arturo, Giovanni, Arnaldo, Mirella, Marcello e dei pronipoti: Ettore, Giada, Clara, Pierluca  Panascia.

       

      Oggi siamo in questa sede per rendere il meritato onore a Biagio Panascia ed esternare ai suoi congiunti il nostro caro ricordo e la nostra gratitudine.

      Grazie.

      Pachino, 15 dicembre 2001

       

       

                                                                              Corrado Arangio *

                                                                                                                                   

       

       

* Giornalista pubblicista

 

 
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